Titolo:
Il Trapezista
Rating: giallo
Personaggi: Sud Italia (Lovino
Vargas), Nord Italia (Feliciano Vargas), Spagna (Antonio Fernandez Carriedo),
Altri
Avvertimenti: AU, Shounen Ai
Come un angelo, volteggiava nel
buio della notte, con soltanto una luce ad indicare il suo cammino.
Il suo corpo esile passava da un
trapezio all’altro, senza quasi avere peso, come se, volasse con ali
invisibili. Agli occhi di chiunque sembrava... quasi magico, anche se soltanto
lui sapeva quanta forza doveva mettere nelle sue braccia, quanta sicurezza
poneva in ogni passaggio, e quanta paura aveva di sbagliare, ogni volta che
mollava il trapezio. Quando atterrò, sano e salvo, sulla piattaforma da dove era
partito, allora, e soltanto allora, il pubblico ebbe il coraggio di respirare
di nuovo, e di applaudire il giovane che così tanto li aveva fatti angosciare.
Lovino fece un ultimo inchino, imitato da un altro acrobata sull’altra
piattaforma, per poi scendere la tortuosa scaletta, e uscire di scena.
Non era una bella vita, quella
del circo. Ogni tanto, si rischiava di morire di fame, se gli spettacoli non
piacevano, e Lovino preferiva che suo fratello mangiasse, dato che sprecava
tutto il suo cibo per la sua tigre, mentre lui restava appeso ai trapezi per
allenarsi. Era il più bravo, lo sapeva bene, ma questo era dovuto ad anni di
allenamenti duri, anche sotto la pioggia, ovunque potesse appendere una corda e
dondolarsi fino a volare, e aggrapparsi ad un’altra corda.
Il direttore lo lodava, era... il
piatto forte della serata, come lo presentava lui, e, con la sua leggiadria,
con la sua esilità, metteva anche nei cuori delle dame un senso di tenerezza.
Un paio di volte, specie quando era piccolo, aveva visto dei signori aprire il
portafoglio davanti al direttore per portar via il fanciullo da quella vita. Ma
Lovino non avrebbe abbandonato né il circo né suo fratello per nulla al mondo,
anche perché erano pochi a voler accettare una tigre in casa, dato che solo la
morte avrebbe separato Feliciano da Ivan, e allora Francis, il direttore, si
costringeva a deglutire davanti a quelle manciate di banconote, e scuotere la
testa. ≪ I
nostri artisti non sono in vendita. Se ci mettessimo a venderli, non credo
anche che guadagneremmo così tanto quanto ci fanno guadagnare ogni sera.≫.
Erano state le uniche volte in
cui Lovino aveva ringraziato quel maniaco del direttore. Per il resto, passava
il suo tempo con suo fratello, o da solo. Non si era mai sentito di far “veramente”
parte di quel gruppo di saltimbanchi, nonostante il fatto che erano nati e
cresciuti in quel gruppo colorato e festoso che appariva al pubblico dopo aver
montato il tendone.
Feliciano, invece, era tutt’altra
pasta. Allegro e gioviale, andava d’accordo con tutti, anche perché era l’unico
ad essere riuscito ad ammansire la tigre, quando era piccolo. Quando aveva
giusto due anni, ed era magro come un grissino, era entrato nella gabbia
dell’animale passando tra le sbarre.
Ivan era una bestia pericolosa. Da
quando aveva perso la madre, si aggirava ringhiando contro chiunque, con il
corpo sinuoso e forte si lanciava contro le sbarre della gabbia, con gli
artigli graffiava il pavimento di legno, e ruggiva con la sua voce potente. La
lunga coda sferzava l’aria, mentre attendeva il suo destino. Fu in quel
momento, che il piccolo Feliciano sfuggito all’attenzione del nonno e del
fratello, entrò nella gabbia ridendo con la sua voce cristallina. Fu amore a
prima vista. Ivan smise di agitarsi, e si avvicinò alla creaturina, che lo
additava, ridendo. Lo annusò, facendolo sternutire, e infine, gli diede una
leccata sul visetto sporco. Feliciano gli portò i braccini intorno al collo,
carezzandogli il pelo striato, accoccolandosi accanto a lui. Il felino si
raggomitolò, leccandogli ogni tanto il viso, come una madre con il proprio
cucciolo.
Il primo a ritrovare il bambino
su suo nonno, fortunatamente. L’uomo si rese conto che il piccolo aveva
compiuto un miracolo dove neanche uno era riuscito, e decise che nessuno avrebbe
dovuto separarli. Dopo un po’ di tempo insieme, Feliciano riuscì anche a farlo
saltare attraverso un cerchio, ma dopo quello, l’orgoglio della tigre non si
abbassò di più. Accettava cibo solo dal suo... padroncino, si faceva toccare
soltanto da lui. Solamente una volta si lasciò toccare da Lovino, ma per mezzo
secondo appena. Poi, ringhiò, e il ragazzo si affrettò a togliere la mano.
Ma Lovino non era invidioso del
rapporto che aveva il fratello con la tigre. Perché avrebbe dovuto? C’era chi
divertiva il pubblico, chi lo faceva sperare, e anche chi lo terrorizzava, per
poi farlo, sempre alla fine, esultare. E poi c’era lui, il direttore, che li
presentava, che preparava il pubblico a vederli. E che contava le banconote
guadagnate quella sera, tenendosi per sé un bel 60 %, e lasciare al resto della
compagnia i soldi per divertirsi. Oppure, per tenerli da parte fino al momento
che sarebbero stati abbastanza.
Quella sera, come sempre, Lovino
fu lodato ampiamente dal nonno e dal direttore, ma il ragazzo non si fece
ammansire da quelle moine. Era il più bravo trapezista del circo. Non serviva
che qualcuno glielo dicesse. Lo sapeva di esserlo.
Fu lasciato andare soltanto dopo
che fu informato della partenza imminente. ≪Mi raccomando, Feliciano deve
ricordarsi di chiudere la gabbia. Soltanto con lui quella bestia sta buona,
perché devo ricordartelo ogni volta?≫.
Lovino sbuffò, passandosi una mano sui vestiti laceri. ≪ Non devi ricordarlo a me, ma a
quell’idiota che lascia la gabbia aperta per poterci entrare ogni volta. Perché
non lo rinchiudiamo direttamente dentro? Sta così bene con la sua tigre!≫.
Il nonno gli mise una mano sulla
spalla. ≪Feliciano
è si affezionato a Ivan, ma nel momento che si ferirà davanti a lui, e la tigre
annuserà, e al peggio, assaggerà il suo sangue, sarà talmente ghiotto del
sangue umano, che ucciderà, pur di averne. A quel punto, dovremo abbatterla.
Anche lui insiste tanto di poter vivere nella gabbia, a proposito, controlla
anche che si lavi, ma tutte le mie spiegazioni sono inutili. Se non ci fosse
questo pericolo, credi che gli direi di no così tante volte?≫.
“È il tuo preferito....” pensò
Lovino, mentre andava da Feliciano, ricordandosi di controllare che la gabbia
di Ivan fosse chiusa. Accettò riconoscente la zuppa e il pane che gli tese il
fratellino, non senza prima controllare che avesse mangiato la sua parte senza
darla alla tigre, ma quella sera i guadagni erano stati davvero consistenti, e
Lovino potè aggiungere una banconota al suo gruzzolo segreto. ≪Domani partiremo all’alba, e
viaggeremo tutto il giorno. Raggiungeremo la prossima città soltanto
dopodomani.≫ ≪Ci fermeremo a fare una pausa,
vero? Ivan deve sgranchirsi le zampe, dopo tante ore dentro la gabbia!≫.
Lovino sospirò, poi gli venne
un’idea. ≪Senti,
perché non vai a fargli fare un giretto ora? Ti aspetto qua.≫. il ragazzo esultò, andando a
prendere l’animale e portarlo a fare una passeggiata.
All’alba, come deciso, partirono
alla volta della prossima città. La cosa che un po’ rompeva, a Lovino, era che
andavano sempre negli stessi posti. Anche per questo voleva andarsene. Per
vedere dei posti nuovi... conoscere nuova gente...
Lovino schioccò le redini dei
cavalli che conducevano il loro carro, con annessa la gabbia della tigre.
Feliciano dormiva ancora, e non gli andava di svegliarlo solo per vederselo
vomitare tutto. Alcuni bambini di quelli che erano venuti a vederli la sera
prima salutavano i saltimbanchi, ricambiati dai membri più simpatici della
compagnia. Il carro dei trapezisti fu affiancato dal cavallo bianco del
direttore. ≪Lovino,
faremo una pausa verso mezzogiorno... Saremo in mezzo al nulla, quindi stai
attento che Feliciano non faccia uscire Ivan. Fino alla città, è meglio non
fare uscire la bestia. Potrebbe scappare.≫.
Lovino sbuffò un ≪Va
bene, va bene...≫.
mentre con un altro colpo, faceva superare il cavallo.
Fu un viaggio particolarmente
tranquillo. Anche se, sulla terra, Lovino non si sentiva al sicuro quanto lo
era in cielo, aggrappato alle sue corde. Li si che stava bene, era il suo
territorio... il suo habitat naturale. Sulla terra si sentiva come Ivan dentro
la gabbia, prigioniero. Ogni tanto, pensava che avrebbe voluto nascere uccello,
solo per avere due ali per poter volare...
Quando si fermarono, Lovino si
assicurò che il nonno controllasse il fratello, per poi fuggire con le sue
corde. Che fortuna essersi fermati in mezzo alla foresta, pensava, mentre si
arrampicava su un altissimo albero. Attaccò le corde del primo trapezio ad un
robusto ramo, per poi farsi scivolare e cominciare a dondolarsi come su
un’altalena. Avanti e indietro, avanti e indietro... fino a darsi abbastanza
spinta, e saltare su un altro albero. Individuò subito un ramo adatto, appese
il secondo trapezio, e cominciò ad allenarsi a volare.
Li aveva attaccati piuttosto
vicini, e poco distanti dal terreno, per cui, se fosse caduto, non si sarebbe
fatto tanto male. Erano anni,ormai, che non usava più la rete, anche se il
direttore si divertiva a dire al pubblico ≪E
ora, il nostro giovane acrobata, si cimenterà per la prima volta in un
esercizio che vi farà paralizzare dallo stupore! Il triplo salto mortale...
senza rete!≫.
Come se non fosse stato praticamente ovvio che sei una persona sapeva fare il
triplo salto mortale con la rete, cosa voleva che fosse, farlo senza?
Un po’ per ripicca, ne provò a
fare uno, per poi ridere, quando le sue mani raggiunsero l’altro trapezio. In
quella, sentì qualcuno battere le mani. Si guardò intorno, e vide uno straniero
dalla pelle abbronzata e dei corti capelli mori. Scese, incuriosito. ≪Ben fatto, niño! Davvero ben fatto! Sembravi un angelito, da quanto eri sicuro lassù!≫. Lovino lo fissò male. ≪Cosa mi spii a fare, bastardo!
Vuoi forse derubarmi?≫.
lo spagnolo rise, a vederlo così imbronciato, lasciandolo di stucco. Dopo
alcuni minuti, si calmò, sorridendogli allegro. ≪No, non sono un ladro, angelito... Sono un viaggiatore. Mi
stavo dirigendo da questa parte, quando ti ho visto volteggiare... poi, quel
salto assurdo...≫.
si avvicinò a lui, sorridendo. ≪
Mi chiamo Antonio Fernandez Carriedo...
Posso sapere il tuo nome, o sei un angel
sin alas caduto sulla terra?≫.
Lovino arrossì, voltandogli la schiena per arrampicarsi sull’albero a togliere
i trapezi. ≪
Chiamami come ti apre!≫.
Antonio rimase a guardarlo, per poi esclamare. ≪Li stia togliendo? Che peccato,
volevo vedere ancora!≫.
Lovino gli fece una linguaccia,
scendendo dall’albero con le corde. ≪Ci
si vede, bastardo!≫
esclamò, mentre tornava al campo. Lo spagnolo lo seguì, alzando le spalle. Il
ragazzo, quando se ne accorsa, si voltò, arrabbiato. ≪ Mi segui, anche? Ma cosa vuoi da
me?≫.
lo spagnolo sorrise. ≪
Ti ho detto, sono un viaggiatore, e al momento non ho una meta precisa. È solo
un caso che andiamo dalla stessa parte!≫.
Lovino stava per tirargli dietro un altro insulto, che apparve Feliciano,
stranamente senza tigre appresso, che abbracciò subito il nuovo arrivato. ≪ Benvenuto al Circo Bonnefoy! Io
sono Feliciano!≫.
Lo spagnolo ricambiò l’abbraccio allegro. ≪Ciao,
io sono Antonio!≫.
Presolo per mano, Feliciano portò il viaggiatore lungo tutto il campo,
facendogli conoscere tutti. Francis lo studiò interessato, per poi chiedergli
se voleva unirsi a loro. ≪Beh,
per ora non ho una meta precisa, farò un po’ di strada assieme a voi, se non vi
spiace... arrivati in città, cambierò percorso.≫. Francis lo accolse sorridendo. ≪Perfetto! Magari, potresti anche
assistere allo spettacolo che daremo in città! Saresti un ospite!≫. Antonio alzò le mani, offeso. ≪No, non accetto la carità. Se
vorrò vedere il vostro spettacolo, vi pagherò come fanno tutti gli altri.≫
E ovviamente, i due fratelli
Vargas si cuccarono il viaggiatore sul loro carro. Lovino sbuffava peggio di
una ciminiera, mentre Feliciano era così felice che si era anche dimenticato
che a stare sul carro gli veniva la nausea.
In breve tempo, raggiunsero la
città, e si accamparono in un campo vicino.
Durante i preparativi, tra cui
l’innalzamento del tendone, Lovino se en stava ben alla larga dal resto della
compagnia. Antonio aveva capito che c’era qualcosa che non andava nel ragazzo,
e lo seguiva, senza farsi notare. Ad un certo punto, fermo in una delle vicoli
della città, Lovino si fermò, voltandosi verso di lui. ≪Senti, io non capisco perché mi
segui. Smettila! Non voglio vederti, non voglio che tu mi segua, insomma! Non
mi piaci!≫.
Antonio ridacchiò, avvicinandosi al ragazzo. ≪ È un peccato, perché a me tu
piaci moltissimo.≫.
Lovino arrossì, sentendo le mani dello spagnolo appoggiarsi sulle spalle.
Distolse lo sguardo, cercando di divincolarsi, mentre si asciugava le lacrime
di rabbia. ≪Scommetto
che sei un maledetto a cui piacciono i bambini...≫. Antonio lo lasciò, sorpreso. ≪Cosa... oh... scusami!≫. lo abbracciò stretto,
cullandolo piano. ≪No...
non mi piaci in quel senso... No... mai, e dico davvero, mai contro la tua
volontà. Se tu non vuoi, non lo farò.≫.
Per la prima volta in vita sua,
Lovino si sentì dipendente da qualcuno. Lui che aveva sempre fatto tutto da
solo, che aveva imparato a saltare dal trapezio a furia di cadute rovinose, con
il visetto sporco di terra e rabbia, asciugandosi malamente le lacrime e
riprovare, e che alla fine veniva scambiato per un angelo, tale era la sua
leggiadria a muoversi da quell’attrezzo, lui che aveva protetto il fratellino
dagli zingari, lui che doveva guardarsi anche dal nonno, per non cadere in una
qualche trappola... Lui, così forte all’apparenza... ma così debole e indifeso,
dentro.
Antonio lo tenne stretto a sé,
coccolandolo dolcemente, in piedi in quel vicolo... Gli passava la mano nei
morbidi capelli scuri, senza parlare, soltanto facendolo abituare al suo
respiro... inspirando il “profumo” del ragazzo. Selvatico, pungente... dolce...
totalmente diverso da quello del fratellino, che era puzza di gatto e basta.
Lovino aveva un qualcosa di attraente e... misterioso, che lo faceva
impazzire... l’angioletto... era soprattutto il suo corpo snello e delicato, ad
attirarlo.
Lovino, dopo i primi attimi, si
staccò da quell’abbraccio soffocante. ≪Torniamo
al campo.≫
mormorò.
Sarebbero rimasti tre giorni, per
fare spettacolo. Siccome Lovino non aveva nessun albero dove potersi allenare
da solo, dovette fare le sue piroette nel tendone insieme a tutti gli altri. E
la cosa lo scocciava, perché c’era sempre Feliciano con la sua tigre a farla
saltare su e giù per il cerchio. Poi si fermavano e si facevano le coccole. E
poi ricominciavano. Con tutta quella confusione, Lovino minacciò almeno una
volta di mancare la presa dal trapezio. La cosa non piacque al direttore, che
mandò via tutti per restare a parlare da solo con Lovino. ≪Tutto bene, mon petit?≫.
Lovino annuì, agitando una mano. ≪Allora,
allenati bene... domani sera voglio vederti fare il triplo senza rete.≫. Lovino annuì, passandosi del
borotalco sulle mani, per poi ricominciare. E l’angelo rinacque, come ogni
volta che si appendeva alle sue corde.
Quella sera, non riusciva a
dormire. Sentiva qualcosa dentro... di strano... Lo sentiva anche Feliciano,
che per una sera, non insistette per andare a dormire con Ivan. E forse, lo
sentì anche Antonio, perché si strinse forte forte al giovane trapezista, come
se avesse paura di perderlo. Lovino assaporò per la prima volta di essere caro
a qualcuno non solo per interesse... e gli fece male.
Il giorno dopo, gli allenamenti
furono più intensi che mai. Era sempre così, il mattino prima dello spettacolo.
Nessuno rideva, nessuno era gioviale. Perché, la buona riuscita dello
spettacolo derivava il loro stomaco pieno. Più di tutti, questo lo sapeva
Lovino. Gli mancavano pochi soldi, pochissimi, e avrebbe raggiunto una cifra
abbastanza alta per prendere un biglietto di una nave. E andare in America.
Avrebbe abbandonato Feliciano,
certo, ma anche una vita piena di incertezze, e di squallore. E il freddo, e il
buio, e l’ansia... e la fame.
Così, quando afferrò l’ultima
volta prima dello spettacolo l’asta di legno del trapezio, sapeva che sarebbe
stata l’ultima prova. Il suo ultimo spettacolo. Poi, presi i soldi, sarebbe
fuggito.
Non gli sfuggì lo sguardo di
Antonio, mentre si metteva l’abito scintillante che usava per lo spettacolo, e
gli andò di sorridere, una volta nella vita. ≪Ci vediamo dopo lo spettacolo, va
bene?≫.
Antonio lo fermò, per poi dargli un lungo bacio. ≪Lovino... io ti amo.≫.
Con quelle parole in testa, Lovino
lo scostò da sé. Con quelle parole in testa, salì sulla scaletta, guardandosi
intorno, fingendo di sorridere al pubblico. E lo vide. Seduto sugli spalti, tra
gli altri spettatori. Gli sorrideva.
Anche senza le ali, anche senza
quelle appendici piumate, era un angelo che volteggiava nel blu della notte con
solo una luce a guidare il suo cammino. Si fermò sulla sua piattaforma a
ringraziare il pubblico, quando la voce potente del direttore del circo lo fece
ridestare. ≪Signore
e signori, oggi, per la prima volta nella sua giovane vita, il nostro “Angelo”
Lovino vargas si cimenterà in una prova inaudita. Il triplo salto mortale senza
rete!≫.
Lovino respirò piano. L’aveva fatto miliardi di volte. Sapeva che doveva farlo.
Era la sua sera, il suo pubblico, il suo trapezio... e la notte, e l’aria. Le
cose che amava di più al mondo. “Ti amo”.
Scosse una volta la testa, per
cacciare via quelle parole senza senso. Ok, era pronto. Fece un cenno al
direttore, che annunciò. ≪Togliete
la rete!≫.
Tre minuti dopo, Lovino si lanciò
con il trapezio. Lo lasciò, e il mondo cominciò a girare. Non poteva farlo ad
occhi chiusi, o gli sarebbe venuta la nausea. Un giro, sabbia, tenda, ospiti
e... lui... secondo giro, terra, tende, ospiti e... sempre lui, che lo
guardava... terzo giro, sabbia, tenda, ospiti e lui che sorrideva. Lovino fece
un mesto sorriso, e, per la prima volta che faceva il triplo salto mortale
senza rete, mancò la presa.
A volte non servono le lacrime di
una persona, a farti capire quanto soffre. Basta solo il suo sguardo.
Antonio mise una mano sulla
spalla di Feliciano, che guardava la pira fiammeggiante con gli occhi asciutti,
passando distrattamente la mano sul pelo di Ivan. Il suo giovane corpo tremava
leggermente. ≪Lovino
amava volare...≫
confessò, con la vocina flebile. ≪Fino
all’ultimo, ho pensato che avrebbe volato da solo verso il trapezio... che ce
l’avrebbe fatta. Volava sempre... era più uccello che uomo...≫. la voce gli si spezzò, mentre
lasciava Ivan, assicurato con un guinzaglio, e abbracciava Antonio. ≪Perché è morto? Perché mio
fratello è morto?≫.
Antonio non rispose. Sapeva soltanto che, forse, se non gli avesse detto quella
cosa, forse adesso Lovino sarebbe stato ancora vivo... Brontolone, solitario...
ma vivo...
Alzò lo sguardo verso il cielo,
scrutando uno stormo volare via verso i paesi caldi. E sorrise. Di sicuro,
Lovino adesso aveva messo le ali, e il trapezista aveva cominciato a volare.
WAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAHHHHHHHHHH
Volevo troppo scrivere una cosa
del genere! Troppo troppo! Porca miseria, sto piangendo come una fontana... che
cattiva che sono‼! Li faccio sempre morire‼! Ok... Note di fine fic! La storia
mi è venuta in mente guardando un cartone del quale non farò il nome. È
ambientata più o meno in un diciannovesimo secolo immaginario, in un luogo tra
la Germania e la Cecoslovacchia, lì in giro, tra boschi e città, tutto in
colore grigio fumo. Lovino è più grande di Feli, devono avere sui 17 Lovino e
15 Feliciano. Il nonno non ho voluto approfondire, ma tecnicamente è nonno
Roma... praticamente, un aiutante del direttore... Siccome la RussIta la voglio
mettere ovunque, Ivan è una tigre siberiana, figo! Non ho voluto farmi mettere
su nulla... non so un cacchio e non lo voglio sapere. Spero davvero che vi sia
piaciuta, e, per favore! Non leggete e basta. Lasciate un commento. Anche
solo... boh... il vostro nome! Che vi ringrazio uno ad uno di aver dedicato il
vostro tempo ad una fic! Ad una mia fic! Alla prossima!