L'angolo di Calcifer lo spirito del fuoco:
Era da tempo che all'autrice ronzava per la testa l'idea di questa fic,
specificatamente da quando ha letto un libro in cui erano racchiuse tutte le
versioni del mito della Bella e la Bestia perchè, lo ammette con un discreto
candore, lei il film Disney lo detesta. Ma tanto. Naturalmente all'inizio aveva
in mente un'idea tutta diversa, perchè lei ci prova pure ad essere sdolcinata,
ma poi il suo spirito cinico prende il sopravvento e allora salta fuori questa
roba che fa rimpiangere lo strappalacrime marca Disney.
Ma non facciamogliene una colpa, poverina.
Troviamole un fidanzato piuttosto.
NO MORE HAPPILY EVER AFTER…
Cominciò tutto qualche tempo dopo il nostro
matrimonio. Trascorsa l’euforia dei primi giorni, quel periodo di abbacinante perfezione di in cui nulla contava se non noi, l’esserci trovati, quando c’era
la certezza che ciò che avevamo sarebbe durato per sempre. Non direi che nella
nostra vita fosse subentrata la routine, non così presto. Piuttosto, l’idea di
passare l’eternità insieme con la promessa di vivere per sempre felice e
contenti ci aveva fatto rilassare e avevamo cominciato a crearci degli spazi
tutti nostri. Io amavo cavalcare, lei trovava piacere nella lettura. Io passavo
le ore a correre nei boschi, lei immersa nella tranquillità della biblioteca.
Accadde quasi impercettibilmente, all’inizio.
La voce mi si arrochiva appena e me ne avvedevo
solo se mi si chiedeva se avessi preso freddo; mi capitava di ritrovarmi coi
muscoli tesi in preda a un indolenzimento generale, questione di poche ore,
nulla di particolarmente insopportabile: finivo col bollare tutto come l’effetto
di uno sforzo eccessivo o di un periodo stressante. Mi ritrovavo a dovermi
radere dopo poche ore. Era raro che la mia consorte se ne avvedesse, ma non vi
avevo dato importanza. Anche a me del resto capitava di non accorgermi delle sue
piccole novità; se sfoggiava un nuovo vestito o un’acconciatura diversa; non
ricordavo il nome di un personaggio di un romanzo che l’aveva affascinata, e per
quanto mi sforzassi di trovare delle differenze, i suoi colombi nella voliera mi
parevano tutti uguali e non sarei mai riuscito a capire chi fosse “Cenere”,
“Lancetta” o il suo preferito, “Tazzina”.
Poi una notte mi svegliai di soprassalto,
rizzandomi a sedere in preda a un’ansia per la quale non riuscivo a trovare
alcuna spiegazione. C’era un che di primordiale e istintivo ad acuirmi i sensi.
Il cuore mi martellava furioso tra le costole. Non respiravo e faceva caldo,
terribilmente caldo, soffocavo. Non era ancora l’alba, il cielo aveva cominciato
appena a tingersi di quel grigio violaceo e metallico, sfocato appena da una
tenue foschia fumosa. Il respiro mi si spezzava in cupi ringhi rochi. Mi portai
la mano al collo, avvertendo qualcosa di diverso al tatto. Una sensazione
familiare. Non ancora avvezzo alla fitta penombra della stanza, abbassai lo
sguardo e non vidi di me che una grande massa scura e indistinta fondersi con le
coperte, e un corpo che non credevo sarebbe stato più il mio.
La mia sposa dormiva beatamente ignara.
Incantevole come sempre, stringendosi pudicamente al petto le coperte sul corpo
nudo, sognava con un sorriso appena accennato sulle labbra rosa e l’espressione
dolce, incorniciata da onde morbide di un castano che nel buio si incupiva
contro il pallore niveo del volto, raddolcita da una profonda beatitudine.
Al suo fianco un mostro.
Se c’era una cosa da cui Bella traeva il
massimo piacere queste erano le vaghe fantasticazioni cui la conducevano i libri
della biblioteca. Vi passava ore, seduta ai piedi della grande finestra che dava
sul roseto, con le vesti sciolte e i capelli tirati in su perché non le dessero
fastidio, mettendosi accanto due o tre volumi scelti a caso dagli scaffali che
avrebbe sfogliato a intermittenza fino a che non si fosse stancata gli occhi o
qualcuno non l’avesse chiamata per la cena (ma capitava che dovesse essere
avvisata due o tre volte per vederla scendere). Di romanzo in saggio e di saga
in trattato, divorava volume su volume con una curiosità febbrile di rara
natura.
Dal canto mio non ero un appassionato, e
neanche mio padre. Fu lui a farla costruire, convinto che avrebbe fatto una
buona impressione sugli ospiti. Prima di Bella, non avrei mai pensato che i
libri si potessero amare con tale abbandono. La carta stampata, quell’odore
dolciastro d’inchiostro e cellulosa produceva in lei intense emozioni e vi si
abbandonava come a un amante.
Accadde col tempo che perdersi in fantasie
avventurose divenne un modo per allontanarsi da una realtà troppo scialba. Bella
amava l’avventura, la magia e il mistero. Li inseguiva nei sogni e nei romanzi
come faceva da bambina al villaggio, quando immaginava cosa ci fosse al di là
dell’orizzonte. Non è che non mi amasse, ma il principe ai suoi occhi era meno
interessante della Bestia.
Non accadeva che mi trasformassi per lunghi
periodi e questo mi era di qualche consolazione. Bella al contrario sembrava
trovare l’intera faccenda incredibilmente divertente. Le mie trasformazioni mi
obbligavano a tenermi lontano dalle questioni di palazzo e dai miei impegni di
rappresentanza in quanto sovrano, il che per lei si traduceva in una vacanza: le
sembrava assurdo che io volessi passare il tempo che trascorrevo in quelle
sembianze chiuso al buio della mia stanza a rimuginare tra me e me e afferratomi
per le zampe mi costringeva a seguirla di malavoglia fuori. Si faceva caricare
in groppa nei giardini e mi convinceva a scarrozzarla in giro a tutta velocità,
mi saliva sulle spalle per raggiungere i rami più alti degli alberi da frutta;
raccoglieva mazzi di fiori per poi fissarmeli al pelo a mo’ di orpelli
decorativi. Se pioveva saltavamo nelle pozzanghere e lei mi derideva
bonariamente per come riuscivo a sporcarmi peggio di un randagio, per poi
ripulirmi canticchiando. Poteva spazzolarmi per ore e se eravamo a letto e
faceva freddo mi stringeva forte beandosi del calore del mio pelo, felice.
Poi alla fine tornavo umano.
Lei ricominciava a perdersi in fantasie.
Io tornavo alle preoccupazioni di un regno da
governare.
Era un allontanarsi e riprendersi senza tregua,
lontano dal finale da favola che mi ero aspettato.
- Credo che la fata ci abbia fatto un bello
scherzo.
Lo aveva detto una sera Bella con la consueta
pratica serafica serenità di spirito: inginocchiata con grazia sul grande
tappeto davanti al camino, mi teneva l’enorme testa sulle gambe e mi carezzava
il pelo senza mostrare alcun segno d’insofferenza benché il mio peso non dovesse
essere cosa da poco. Io, che in quella calda penombra mi ero mezzo appisolato,
avevo schiuso pigramente un occhio con fare interrogativo. Non avevo capito.
Lei mi aveva sorriso con dolcezza.
- Non si può amare ed essere amati per sempre,
con la stessa intensità del primo istante, la fata lo sapeva bene. Per questo ti
trasformi. – aggiunse, per poi tornare a fissare il fuoco con aria beata,
godendosi il tepore della fiamma che le imporporava le gote come dopo una corsa
sulla neve. Non era un’accusa o una lamentela, solo la quieta constatazione di
un fatto che mi trovava concorde. – Perché non è facile tenere in piedi un
rapporto, e forse è per questo che le favole finiscono sempre prima del
fantomatico “per sempre felici e contenti”. Forse, semplicemente, non esiste.
Oppure è proprio quello che abbiamo noi.
Intrecciai le zampe al petto con un ringhio
meditabondo.
- Tu però ne sembri felice.
- Lo sono.
Sul momento non seppi come reagire a quelle
parole. Bella, vedendomi smarrito, rise mostrando una fila di denti perfetti e
bianchissimi e socchiudendo un po’ gli occhi, un’espressione che le dava sempre
un’aria da bambina. - Vedi, quando ti ho conosciuto avrei fatto qualsiasi cosa
per te. Sarei morta per te e tu avresti fatto altrettanto senza battere ciglio.
Eravamo una cosa sola e adesso siamo due individui. – Si fermò un attimo, a
contemplarmi con aria critica e un certo disappunto il viso che nel frattempo,
chissà quando durante il suo discorso, era tornato umano. - Non trovi anche tu
che sia spaventoso annullare se stessi in favore di qualcun altro, anche se lo si fa per amore?
Aggrottai la fronte con disappunto.
- Ho più paura che un giorno tu possa smettere
definitivamente di amarmi.
- Potrebbe anche accadere, ma non oggi. –
Sussurrò con aria misteriosa prima di chinarsi su di me per sfiorare le mie
labbra in un bacio tenerissimo. – Aspettiamo e vediamo che succede. Del resto
“per sempre” è un periodo così lungo…
No more Happily ever after
FINE