Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: AntheaMalec    09/10/2010    8 recensioni
Allison non ha mai compreso quanto il destino, a volte, può incominciare a farti girare la vita in un modo totalmente diverso. Allison non può sapere che durante un viaggio non programmato in aereo potrebbe incontrare l'amore della sua vita...o forse l'odio della sua vita?Perchè questo ragazzo è così strafottente, antipatico, superficiale, viziato da farsi odiare da chiunque...ma se ci metti un bel faccino e quell'incredibile dolcezza nascosta sotto strati di stronzaggine, allora puoi incominciare a dire che l'amore e la passione hanno già vinto su di te. Questa la storia di Allison Cooper e di come tutto può succedere.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo 1 Capitolo 1
Partenza




- Mamma ti chiamo, tranquilla. -
Lasciare la mia schifosa casa da ricchi per partire nel Michigan non era nei piani ma avrei giocato carte false pur di uscire da questa maledetta vita.
Da quando mia madre si è messa in testa che deve sposarsi la mia esistenza è diventata un vero e proprio inferno.
Non c'è quasi mai a casa e quando c'è è solo per urlare che ormai questa vita le fa schifo, le sta stretta.
Ha incominciato a bere, tanto per una che si è dichiarata astemia dall'età di diciannove anni.
Trovo bottiglie di Vodka anche tra i giocattoli della mia sorella più piccola, Scarlett.
Quando parlo con mia madre l'unica cosa che sa fare è continuare a chiedere scusa e scoppiare in un pianto isterico.
Alla fine si è trovata il suo cagnolino personale, Federich.
Un nome più insulso e banale non può esistere, come la sua disgustosa persona.
Federich è più vecchio di mia madre di circa trent'anni e pensare che mia madre ne ha quaranta.
Fidanzata per soldi e non per amore, come la superficiale che ormai è diventata.
Noi vivevamo a Forks, paese sconosciuto e quindi il mio posto preferito.
Tutti conoscenti e pochi pettegoli a cui raccontare vita e morte della gente intorno.
Quando poi mia madre mi ha annunciato che saremmo andati ad abitare in una delle numerose case di quel pazzo ho dovuto subìre in silenzio mentre lei continuava a ripetere che questa era l’esistenza che aveva sempre desiderato.
Due mesi che lo conosce e subito a vivere in un altro posto, cambiando tutta la mia vita.
Ho dovuto anche abbandonare la mia migliore amica Clair, promettendole di chiamarla appena possibile, ma sapendo che non sarebbe più stata la stessa cosa.
Il mio ragazzo, se così si può definire, Eric, ha accettato la cosa passivamente e forse è l'unica cosa buona che ha fatto mia madre portandomi via da quel posto.
Avevo capito già da tempo che non poteva funzionare tra Eric e me, ma non volevo ferire i suoi sentimenti.
Ora che ho capito che sentimenti verso di me non ne prova avrei la voglia di tirargli un bello schiaffo sulla sua guancia perennemente abbronzata.
Mia madre durante il viaggio mi continuava a ripetere che mi sarebbe piaciuto il New Hampshire, che tutte le mie amiche di Forks mi avrebbero invidiato se avessero saputo dove andavo a vivere.
Appena sono scesa dall'aereo già odiavo quel posto.
Gente profumata fino alla nausea ti freddava con occhiate sprezzanti dietro costosissimi occhiali firmati.
Una pattuglia della polizia era passata di lì per caso e fu allora che mi resi conto di quanto quella schifosa città mi avrebbe sconvolta.
Se anche la pattuglia viaggiava su una Lamborghini, davvero sarei diventata una snob, come tutte le ragazzine? Avrei tenuto la mia vita ben al riparo da tutta quella superficialità.
Quando poi Federich ci portò nella nostra nuova abitazione volevo solo prendere un altro volo e tornarmene nella mia casa isolata dal resto del mondo.
Grande quanto un castello, la mia dimora si ergeva in un luminoso giardino circondato da rose selvatiche.
Non poteva mancare la piscina, con idromassaggio a lato.
La mamma stava per mettersi a saltare dalla contentezza...beata lei.
Io ero così amareggiata da andare direttamente in cerca della mia camera.
La frase che sentii sulle scale prima di chiudere la porta fu decisiva.
- Lasciala stare Federich, è una ragazza difficile, ha avuto problemi anche a Forks. -
Chiudendo la camera avevo deciso di partire la settimana successiva per le vacanze estive.
La mamma ha accettato di buon grado visto che avrà il tempo di godersi la sua villa e il suo Federich senza "Quella strana" tra i piedi.
Ora eccomi qui, di nuovo all'aeroporto per andare via da questa maledetta confusione.
Avevo letto bene del Michigan, il posto in cui sarei andata per le mie vacanze extra, carino, confortevole e non troppo fuori dal mondo per abituarmi a ciò che mi aspetta al mio ritorno.
Federich ha insistito per pagarmi il volo in prima classe e mia madre mi continuava a lanciare occhiate del tipo "Vedi che lui ti paga anche il biglietto aereo?" come se questo mi importasse.
Mi dispiace solo di lasciare Scarlett da sola con quei due.
Speriamo che quando ritornerò nel Concord non la troverò svenuta con una bottiglia di whisky nelle sue minuscole mani.
- Biglietto prego. -
Mi riprendo dai miei pensieri e guardo la hostess che mi rivolge un sorriso artificiale mentre allunga il braccio verso di me.
Le passo il biglietto e mi dirigo a salire sulle scale dell'aereo.
Prima classe, posto 70.
Perfetto, sono vicino al finestrino.
Vedo una testa bionda vicino alla mia poltrona.
Speriamo che non sia antipatico, cosa assai difficile visto gli elementi di quella zona.
Arrivo accanto al biondino che ha i piedi sul sedile davanti e ascolta la musica con gli occhi chiusi.
Avrà circa la mia età ed è davvero un bel ragazzo.
Nei canoni della bellezza, si intende.
Non è affatto il mio tipo perchè, ovviamente, io ho una mia teoria sul genere maschile.
Se è bello è stronzo, se è intelligente è brutto, se è bello ed intelligente è una persona di cui non conoscerò mai l'esistenza.
Non so come fare per fargli aprire gli occhi e chiedergli, gentilmente, di far sedere anche a me.
L'altoparlante annuncia che tra pochi minuti partiremo e quindi devo trovare il coraggio per dargli una leggera scrollata e fargli notare la mia presenza.
- Emh... -
Dico, sperando che mi possa sentire sopra il suono dell'auricolare.
Gli dò una leggera spinta sul braccio e lui dischiude gli occhi.
Occhi di un grigio affascinante, intrigante e...freddo.
Si toglie le cuffie e mi guarda con sufficienza.
- Vorrei un panino e della Coca Cola. -
Si rinfila le cuffie richiudendo gli occhi, come se non esistessi più.
Per chi mi ha preso, per l'hostess? Mi guardo i vestiti e noto che, no, non mi hanno cambiato i vestiti al check in.
Facendomi più coraggio gli sfilo una cuffia dall'orecchio e lui apre infastidito gli occhi.
- Che altro c'è? -
Con una calma che non credevo di avere gli rivolgo un sorriso cordiale.
- Non sono l'hostess, la mia poltrona è quella vicino alla tua. -
Dico con la voce più dolce possibile, per quanto la stizza me lo permettesse.
- Dovresti passare? Io non voglio nessuno vicino a me, vatti a trovare un altro posto. -
Si rimette la cuffia e ricade in coma profondo.
Pensa di zittirmi come se fossi un cagnolino obbediente? Non me ne frega nulla se lui non vuole avere a che fare con me, l'indifferenza è reciproca, ma quella è la mia poltrona e quindi io mi siederò lì.
Ostinatamente gli ritolgo le cuffie dalle orecchie.
- Non mi vuoi far passare? -
Dico con le mani sui fianchi, già pronta all'attacco.
- No, problemi? -
Dice, con sguardo di sfida.
- Allora non ti lamentare. -
Mi siedo a cavalcioni su di lui nel modo meno malizioso possibile e il suo sguardo passa dal disgusto alla malizia.
- E' da cinque minuti che mi conosci e già vuoi passare ad un diverso tipo di approccio? Mi dispiace, ma non mi piaci. -
Mi squadra da capo a piedi scuotendo la testa.
- Proprio no, per niente. Troppo brutta, troppo piatta, troppo orribile...rassegnati e cerca di non piangere. -
Mi tolgo dalla posizione in cui mi ero messa e mi siedo sul mio sedile, girandomi verso il finestrino.
Chi si crede di essere per trattare la gente in questo modo? Non credevo potessero esistere delle persone così superficiali ed egocentriche.
Vorrei tanto capire come ci possano essere fidanzamenti in questo posto se la persona più disciplinata è Scarlett, perchè ha due anni e non sa parlare.
Non voglio proprio immaginare come crescerà senza degli ideali corretti, senza quell'affetto normale che si dovrebbe dare ad una persona.
Tra poco incominceranno a vestirla Gucci, a comprarle giochi costosi, ad incollarla alla televisione pur di non sentirla lamentarsi.
Forse dovevo portarla in vacanza con me, in fondo non mi avrebbe dato problemi e mi avrebbe fatto piacere proteggerla dalle grinfie di mia madre.
- Allacciare le cinture di sicurezza, stiamo per decollare. -
Allaccio la cintura e vedo che Mister Simpatia mi guarda stranito con ancora l'auricolare nelle orecchie.
Se si aspetta che gli parlerò ancora dopo tutte le cattiverie che mi ha detto si sbaglia di grosso.
Che verme, ma non si vergogna? Solo perchè ha un bel faccino non significa che può fare quello che vuole.
Un hostess si avvicina al nostro sedile mentre osservo le nuvole ormai sotto di noi.
- Signorino Evans, vuole del caviale? -
Lui apre un occhio, abbastanza svogliato.
- No, vorrei un panino se questa merda di aereo ne avesse uno decente... -
Io sgrano gli occhi, oltremodo oltraggiata per la maleducazione usata per la poveretta.
Lei abbassa lo sguardo, visibilmente mortificata.
- Vedremo di provvedere subito, Signorino Evans. -
Lui sbuffa, come se tutta quella situazione fosse un peso suo e non  della poveretta che lavora come hostess su quell'aereo.
Si gira verso di me e nota la mia faccia sdegnata.
- Che c'è, Cosa? Sicuramente tu non sei così importante da poter mangiare del caviale. -
Ok, mi ero promessa di non parlargli più, ma una bella lezione questo ragazzo se la merita.
- Guarda che non c'è da ritenersi soddisfatti a trattare male una persona che fa questo lavoro per vivere e trova passeggeri come te, così maledettamente maleducati da non provare neanche il minimo senso di colpa dopo aver trattato così male una persona che ti ha chiesto gentilmente cosa volevi per pranzo. Ma non ti vergogni nemmeno un po’? -
Gli chiedo con sprezzo, riprendendo fiato dopo quel lungo monologo.
Lui mi guarda visibilmente divertito dalla mia sgridata.
- Non che io debba dare spiegazioni a te, Cosa, ma no, non mi fa né caldo né freddo trattare male la gente e nella vita ci sono persone che hanno così tanti soldi e quindi così tanto potere da fare ciò che più gli piace. Tipo me. Se invece tu, povera nullità, faresti ciò che ho fatto io, l'hostess ti denuncerebbe e tu andresti in tribunale. La vita funziona così e a me sta bene. -
Dice, portandosi le mani dietro la testa.
E' l'immagine del relax.
- Beato te che non hai né un cuore né una coscienza. Ah no, beato proprio niente! Perchè preferisco sentirmi debole e soffrire ma anche saper amare e provare rispetto per le persone, ricche o povere che siano, perchè i soldi non valgono tutto nella vita e uno spocchioso figlio di papà come te un giorno o l'altro finirà senza soldi e senza amici, perchè nessuno vorrà una persona meschina come amico, allora ti pentirai di avere avuto un carattere di merda anche con chi ti chiede gentilmente di spostare i piedi dal sedile perchè deve passare. -
Lui fa un ghigno.
Probabilmente non ha ascoltato neanche una parola di ciò che ho detto.
- Ti sei arrabbiata perchè ti ho detto che non sei il mio tipo? Che bambina...-
Come pensavo.
- Mi hai ascoltato? -
Gli chiedo stizzita.
- Un po', a metà romanzo mi sono scocciato e stavo pensando che quei capelli fanno veramente pena. Ci vai dal parrucchiere? -
Dio, non lo sopporto più.
- Vado al bagno. -
Annuncio e prima che lui, stupido, metta ancora i piedi davanti per non farmi passare, io svicolo verso il corridoio ed entro in bagno.
Ci mancava solo trovare un antipatico come compagno di viaggio! In fondo cosa poteva capitarmi in una città così odiosa? Tutto in questo posto odora di superficiale.
Niente sentimenti solo materia.
Mi pento di non essermi opposta a mia madre, di non aver pensato alla mia felicità prima della sua.
Cerco di controllarmi per non scoppiare in un pianto isterico e, quindi, irrefrenabile.
Mi sporgo oltre il lavandino per avvicinarmi allo specchio.
L'immagine che riflette può farmi assomigliare soltanto ad una malata mentale ormai in preda al fuori controllo.
I capelli, lisci e mori, mi arrivano a malapena alle spalle, gli occhi, anch'essi castani, hanno una fioca luce che rispecchia la stanchezza per tutto questo marciume.
Alta per una donna, un metro e settantacinque, magra ma non una modella, il viso spigoloso e piccolo, il naso grosso, la fronte alta.
Di certo non una bellezza americana.
Mi osservo i vestiti.
Una maglietta che mi ha regalato mia madre, quando, con mia totale sorpresa, mi ero ritrovato l'armadio vuoto e tutto il suo contenuto nell'immondizia.
E' una maglietta di un certo negozio di nome Abercrombie & Fitch che si trova a New York e a Milano.
Non che non mi piaccia, si intende ,non è affatto appariscente o striminzita.
E' blu, di cotone, con scritte le iniziali del centro.
E' la cosa più decente rimasta nel mio guardaroba, oltre ad un jeans che indosso ora.
Quindi, ricapitolando, niente bellezza da Veela, niente vestiti all'ultima moda e niente fascino che rapisce.
Solo una ragazza di Forks fuggita dal suo mondo per ritrovarsi, spaesata, in un pianeta alieno che non le piace per nulla.
Una lacrima sfugge dalle ciglia lunghe.
Che cosa fai, Allison? Da quando ti piangi addosso? Da quando la tua dignità viene calpestata senza rigore da gente squallida? Non dovrebbe neanche importartene di questo posto, di questo squallido paese di merda.
Scaccio via con stizza la lacrima, traditrice di tutto il turbamento che mi cresce dentro e che sta diventando insopportabile.
Ritorno alla mia poltrona e il tipo è ancora lì con il suo auricolare che ondeggia la testa, presumibilmente a ritmo di musica o si confermerebbero le mie teorie che questo posto è davvero popolato da pazzi drogati.
Ora, senza farmi troppo disturbo, gli strappo dalle orecchie quei dannati aggeggi e quasi ringhio quando mi rivolgo a lui.
- Fammi passare immediatamente o giuro che questa volta ti spacco questa faccia da schiaffi. -
Forse sono stata troppo brusca, ma non me ne preoccupo.
Non credo si offenderà per i miei modi maleducati.
Lui inarca un sopraciglio e ghigna.
- Tu che cosa vorresti fare? Che bellissima battuta. Te la sei scritta mentre piangevi lacrime amare nel bagno sperando in un mio momentaneo stato di dolcezza in cui entravo chiedendoti umilmente perdono per il mio comportamento disdicevole? -
Si sposta il ciuffo biondo dagli occhi tempesta pieni di sarcasmo.
- Povera ingenua! Questo, cara, non si chiama New Hampshire.-
Avvicina il sup viso al mio.
- Questo è l'inferno. -
Mi soffia sulle labbra prima di riprendersi con stizza i suoi auricolari ed abbassare le gambe per farmi passare.
Lo vedo sorridere mentre mi siedo come un automa sulla mia poltrona imbottita e osservo le nuvole rischiarate dalla luce del sole pomeridiano.
Ha davvero ragione, questo stronzo.
Questo è l'inferno e lui, lui seduto sulla poltrona 69, ne è la prova.
Qua non importa se la gente prova dei sentimenti perchè devi pensare prima a te stessa e poi, dopo, in un futuro non meglio identificato, pensare agli altri.
Qui, se non hai carattere ti schiacciano senza nessuna remora.
E' come stare in una giungla, il più debole viene ammazzato dal più forte.
Sto andando via da questo posto, non ritornerò più.
Mi farò spedire le mie cose da mia madre spiegandole che questo non è il posto che fa per me, ma sarebbe come accettare la sconfitta e non è assolutamente ciò che farò.
Mai arrendersi.
Me l'hanno insegnato quando i miei compagni mi rubavano la merenda.
Me l'hanno insegnato quando piangevo per la mia prima cotta.
L'ho capito ora, che non accetterò la sconfitta ma combatterò per vincere.
- Tizia. -
Mi giro verso la voce.
Chi poteva essere se non colui che mi stava stressando l'anima da quando ero saluta sul quell'aereo?
- Ho un nome. -
Dico irritata.
- Che a me non interessa. -
Quant'è odioso questo ragazzo? Lui mi porge una mano che ritrae velocemente prima che io possa afferrare che cosa volesse fare.
- Io sono Andrew Evans. -
E' un'occhiata ammiccante quella che mi ha appena lanciato? Sbatto le palpebre velocemente per scacciare quello sguardo decisamente troppo penetrante dalla mia testa.
- Allison Cooper. -
Dico, riprendendomi dal momentaneo e davvero osceno smarrimento.
Vedo affiorare un sorrisetto sul suo viso.
- Non ti preoccupare, faccio a tutte questo effetto. -
Non starà parlando del mio piccolissimo sbandamento dovuto ai suoi occhi davvero troppo grigi, giusto?
- Di che cosa staresti parlando? -
Dico, noncurante, cercando di mostrare un'aria il più naturale possibile.
 - Del fatto che ti eri persa nei miei occhi color del ghiaccio. -
Dice, facendo il saputo.
Faccio una risatina che sa tanto di isteria.
- I-io cosa? Non diciamo sciocchezze per carità! -
Devo cercare di cambiare discorso.
- Mi scusi. -
Chiamo l' hostess che sta passando ora.
- Potrei avere un po' di acqua gasata? -
Ti prego hostess, fammi un discorso lungo tutto il viaggio dicendomi che sono una perfetta insolente a chiedere dell'acqua, oltretutto frizzante, quando ci sono bambini che muoiono di sete in Africa e sgridandomi anche per il fatto che ho speso un bel gruzzoletto di soldi in soffici poltrone della prima classe quando potevo andare in seconda classe e dare il rimanente alle associazioni per stalking o per gli animali lasciati in autostrada.
Speranze vane.
Tutto ciò che mi rispose fu un cortese:
- Certo, arriva subito. -
Mentre scompariva verso la seconda classe.
Torno a guardare il tizio odioso che mi fissa con un espressione sbalordita.
- Non starai cercando di sviare il discorso, Cooper! -
Merda! Mostro la miglior faccia interdetta che riesco a creare.
- Quale discorso, scusa? -
- Il discorso sul fatto che io sia davvero troppo bello e che, di conseguenza, tu sei rimasta affascinata da me. E' normale! Non sai quante ragazze pagherebbero per una mia sola carezza. -
Dice, tutto contento e orgoglioso.
- E dimmi, ti sembra una cosa bella questa? Il modo in cui tratti le ragazze è davvero da maleducati e ingrati. Tu non sai quante ragazze saranno finite a piangere dalle loro amiche per le tue stupide cattiverie. Sei così...così... -
Agito le mani in aria furiosa.
- Bellissimo? Splendido? Meraviglioso? Affascinante? Eccitante? Irrimediabilmente sensuale? -
Dice compiaciuto.
- Stronzo, tu sei proprio uno stronzo egocentrico. Io odio le persone come te. Come odio tutto di questo posto. -
Sussurro ritornando a fissare il finestrino.
- Odio questo maledetto paese e mi sono data mille volte della stupida per aver accettato la proposta di mia madre di venire ad abitare qui con il suo Federich. Mia sorella verrà cresciuta tra borse di Luois Vuitton e pantaloni di Dolce & Gabbana. Ma dietro tutta questa ricchezza mi spieghi cosa c'è di bello e di vero? Non c'è amore, non c'è la voglia di divertirsi. E' soltanto un misero posto dove vivere. Ed il bello... -
Dico con un sorriso triste.
- E' che le persone farebbero carte false per venire qui. Per essere fotografate a Hampton Beach con un giocatore di football. Io potrò anche sembrarti strana, ma non sogno tutto questo, non l'ho mai sognato e non credo che lo sognerò mai. Nel mio futuro mi immagino in una casa, su un divano abbracciata al ragazzo che amo per scelta mia e non perchè è bello e famoso. Mi piacerebbe vivere in un paesino dove ognuno si faccia la propria vita e che se esci fuori di casa in tuta e felpa non ti guardano come se avessi una malattia contagiosa. Vorrei una mamma che fosse fiera di me e una sorella con la testa sulle spalle. Ma non posso. I-io non posso avere tutto. -
La mia voce mi ha tradito.
Perchè anche se lui non poteva guardarmi in viso, dove avrebbe notato i miei occhi troppo lucidi, la mia voce, invece, si era incrinata pericolosamente.
- Da dove vieni? -
La sua voce mi fa sobbalzare.
Mi sono dimenticata che stavo parlando con lui.
Questo è stato uno sfogo personale e non sarebbe cambiato niente se al posto suo ci fosse stata una qualunque altra persona.
Principalmente questo discorso era diretto a me.
- Da Forks. -
- Ne ho sentito parlare. Davvero un postaccio -
Scrollo le spalle.
E' l'unica cosa che mi sento in grado di fare, sono priva di ogni energia.
Svuotata.
- Non è un posto così brutto. -
Sussurro.
Ripenso alla cameriera che mi conosceva da quando ero piccolina e che ancora mi dava la caramella al lampone appena entravo.
Al mio vicino di casa, Raimond, che annaffiava il suo giardino ogni giorno e di come sua moglie si lamentasse che amava più i suoi fiori che lei.
Di come, spiandoli dalla finestra la sera, li vedesse abbracciati vicino al tavolo.
Di come avessi pianto tutte le volte che li vedevo perchè anche io avevo sempre sognato una vita così, piena di amore e di emozioni.
- Descrivemela. -
Mi giro verso di lui, incurante delle lacrime che ancora scendevano sulle mie guance.
- Sempre se ti va. -
Cerca di far ritornare la sua maschera da strafottente, ma vedo che l'ha colpito almeno un po' ciò che ho detto.
- La prima cosa da precisare è che Forks non è il New Hampshir.e. -
Dico, rilassandomi sul sedile mentre la hostess mi serve l'acqua.
- Forks è più una cittadina dove ognuno si fa gli affari propri. La definirei una grande casa accogliente. Oltre al fatto che piove quasi ogni giorno! -
Dico ridendo, ricordandomi dei pochi spiragli di luce che ho visto in quella cittadina.
- Mia madre è una tipa...strana. Del tipo un giorno ti vuole bene l'altro ti dà della asociale. E' una donna che non sopporto, è tutto quello che non vorrei mai essere ma che amo. In fondo è mia madre e come farei a non volerle bene? -
Gli regalo un piccolo sorriso quando un forte scossone mi fa entrare nel panico più totale
.

   
 
Leggi le 8 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: AntheaMalec