Nda:
prima di iniziare la lettura vi informo che (l’ho già specificato nella
presentazione, ma nel caso vi fosse sfuggito lo ripeto) questa one-shot è
strettamente collegata agli avvenimenti narrati nell’AU 1998.
Verità nascoste
La neve aveva posato il suo manto candido
sull’intera città, e soffice continuava a scendere giù, confondendosi nella
chioma bionda di C18.
La ragazza aveva le guance arrossate e le
mani fredde, che non riusciva a scaldare nemmeno alitandoci sopra, tuttavia
continuava a farlo, per un seppur fugace, sollievo.
Mentre si malediceva per aver dimenticato i
guanti, una donna impellicciata le sedette affianco, anche lei lì per quel tram
ritardatario. La bionda rivolse uno sguardo apparentemente indifferente, poiché
in realtà, le era balenata in mente l’idea di derubarla del pesante soprabito e
accoccolarsi nel tepore di quel peloso abbraccio.
Per allontanare i cattivi pensieri, alzò la
testa al lampione già accesso, sembrava la pallida luna del vespro. Bastò quel
paragone a distrarla dal freddo, giacché le portò in mente il ricordo di
un'ormai lontana sera d'estate, e successivamente, grazie al normale
concatenarsi delle immagini, il fantasticare di ciò che sarebbe accaduto da lì
a pochi minuti.
Infatti, il tram che stava aspettando, il
numero sette per la precisione, l’avrebbe accompagnata in Via delle Isole per
la coincidenza con il numero quattro, infine, sarebbe arrivata in Via dei
Principi. Dove abitava Vegeta, il suo ragazzo.
Già, Vegeta… ultimamente era strano.
Constatò che fosse perché si vedevano poco, ma c’era sempre quel piccolo tarlo
in testa, le scavava buche in continuazione; grandi fosse scure sul fondo delle
quali soltanto un nome: Bulma Brief.
C18 si umettò le labbra, che si seccarono
subito a causa del clima polare.
Bulma Brief era quanto di più odioso potesse
esistere. La cosa peggiore era che alla fin fine non era nemmeno la solita
ragazzina scema che credeva.
La odiò sin dal principio: da quando le
bagnò la maglia con la birra. Quel piccolo incidente creò in C18 un rancore che
si sarebbe dissolto nel giro di mezz’ora, giusto il tempo di dimenticare
l’accaduto. Tuttavia, il destino volle alimentare quella ormai fioca fiamma,
facendo incontrare le due giovani allo stesso tavolo; intrecciando la loro
esistenza intorno allo stesso palo: Vegeta.
Che male c’era se il suo ragazzo passava i
pomeriggi a studiare con una compagna di classe? Dopotutto, sarebbe stato solo
il tempo di finire il progetto di scienze, poi, lui sarebbe tornato da lei e
Bulma… beh, Bulma sarebbe finalmente partita per quel cosiddetto paese.
Sbuffò, di nuovo, la bionda sulla panchina;
una nube di vapore le appannò il viso per un istante prima di congelarsi come
il resto del circondario.
Strofinò i palmi per l’ennesima volta, e li
nascose nelle tasche foderate di raso.
Tirò su il naso; lo tirò su ancora. Chiese
un fazzoletto alla signora, la quale rispose “mi dispiace ma non ne ho”.
Farfugliò tra sé un insulto alla donna in
questione: poco prima l’aveva vista cacciarne uno dalla borsetta di pelle nera,
adesso, invece, mentendo, glielo aveva negato. Che si fotta, allora!
Il tram arrivò alla fine di quel pensiero.
C18 si alzò dalla panchina, e, imprimendo il suo passaggio sulla neve, entrò
strafottente, spintonando la donna in pelliccia.
Timbrò il biglietto e lanciò una breve
occhiata alla corsia, alla ricerca di un posto appropriato. Ne trovò uno vicino
al finestrino; poggiò la fronte sul vetro nebuloso, si scompose un attimo per
passarci sopra la mano. Mentre faceva luce, alla ricerca del panorama
cittadino, sentiva in fronte una chiazza di gelo, dovuta al contatto con la
superficie che stava pulendo.
Riprese la posizione e ci restò fino a Via
delle Isole. Scese la scaletta metallica, strinse il bavero del cappottino
rosso al collo e, letteralmente, si gettò sotto la pensilina della fermata: non
voleva che qualcun altro riempisse lo spazio vuoto, lasciandola sotto la neve.
Fortunatamente il numero quattro non tardò
ad arrivare, anzi, a causa del ritardo del sette, ci fu da aspettare solo
alcuni minuti.
Arrivò in Via dei Principi alle otto in
punto; nascose l’orologio sotto la manica e attraversò la strada, al di là
della quale si trovava il pesante portone del palazzo di Vegeta.
-Chi è?-
-Io, apri-
Attese lo scatto di apertura e si addentrò
nell’ingresso, che odorava di muffa più del solito.
Lanciò un’occhiata circospetta alla statua
del dio Nettuno, che salutava ogni ospite puntando minaccioso il proprio arpione.
La ragazza si chiese se non sentisse freddo,
nudo com’era. Scosse la testa per la sciocchezza del pensiero e salì le scale,
aiutandosi con il passamano.
Il campanello trillò due volte, prima che il
ragazzo si decidesse ad aprire.
-Era, ora! Che stavi facendo?-, gli chiese.
-Nulla, dammi il tempo di arrivare alla
porta-, si giustificò, impassibile.
-Sei da solo?-
Sporse la testa oltre l’uscio.
-No, c’è una festa-
-Spiritoso- promulgò, varcando,
definitivamente, la soglia.
Si spogliò distrattamente, lasciando il
soprabito sul divano, come faceva di solito.
-Fuori fa un freddo cane-
Vegeta non le rispose, semplicemente la
raggiunse, sedendo sul bracciolo. Accese la tivù, giusto per avere la scusa di
non guardare la ragazza.
La sera prima aveva dormito da Bulma; aveva
passato un’intera notte sulle coperte della “nemica” di C18. E adesso non
sapeva come dirglielo. Meglio, non sapeva se dirlo o no, ma non poteva tacere
un avvenimento di tale portata: essersi addormentato senza neanche
accorgersene, nel letto di una quasi sconosciuta, con la mente sgombra da qualsiasi
pensiero che l’avrebbe portato a desistere dal farlo.
I fatti erano quelli che erano: avevano
dormito insieme. Certo, l’aveva anche vista nuda (quasi nuda, per l'esattezza),
tuttavia era cosa di poco conto, dal suo punto di vista, rispetto all’aver
passato la notte con lei. Stava tutto in quel “non essersene accorto”.
Possibile che si fosse trovato così a suo agio da chiudere gli occhi in una
stanza in cui aveva messo piede per la prima volta solo quella sera?
Solitamente detestava anche dividere il
sonno con altri: c’erano voluti mesi per abituarsi alla presenza di C18 tra le
sue lenzuola! Non che disprezzasse la sua compagnia, ma trovava sempre qualcosa
che lo tormentasse, come il rumore del suo respiro, i suoi capelli sul viso. D’accordo,
forse era un tipo esagerato, ma aveva sempre creduto che il sonno fosse
qualcosa di intimo, la culla di sogni che avrebbero aleggiato sopra la sua
testa, indisturbati. Gli stessi sogni cui nolente si sarebbe abbandonato,
ignaro della realtà che avrebbe preso forma nella sua camera da letto: sarebbe
potuto succedere di tutto, mentre dormiva!
Continuava a esagerare, supponendo strani
avvenimenti che lo avrebbero colto nel sonno diviso con qualcun altro.
E se quel qualcun altro si fosse svegliato,
e gli avesse fatto qualche torto, magari rovinando le proprie cose? Ecco,
questa ipotesi non poteva assolutamente essere presa in considerazione, per due
semplici motivi: primo, il “qualcun altro” in questione, altri non era che la
sua ragazza (lanciò ad essa un’occhiata furtiva) e non avrebbe avuto nessun
interesse a rovinare le sue cose, né era maniaca al punto da fargli alcun che
approfittando del suo stato di incoscienza; secondo, la sera fatidica non aveva
dormito a casa propria, ma da Bulma! Quindi, a rigor di logica, quest’ultima
avrebbe dovuto essere in pensiero per i propri fumetti, non lui!
La verità era una soltanto, pura e semplice
come la neve in strada: Vegeta aveva il sonno leggero e mai, prima di quella
sera, aveva dormito tanto profondamente e tanto beatamente. C’era quindi, da
capire perché.
Nemmeno dopo un’intera notte passata in
intimità con C18, gli era accaduta una cosa simile; anzi, più volte, si era
sorpreso in agitazione, proprio a causa della sua presenza.
Alla fine, cercando una giustificazione a
una verità abissata nel suo petto, si disse che era perchè con C18 sentiva il
bisogno di fare altro, anziché dormire!
Ghignò, spingendo la bionda tra i cuscini
del divano; la baciò con passione, cercando il suo seno acerbo. Tuttavia,
s'illudeva soltanto: quella verità poteva nasconderla, magari non riconoscerla
ancora, ma era pur sempre lì, rintanata nel suo petto e presto o tardi sarebbe
emersa da quegli abissi di vane giustificazioni.
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