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Autore: Lady_Firiel    11/10/2010    4 recensioni
Forse, alla fine, quella chicchera di caffeina e glucosio era solo un modo per rubare del tempo che sarebbe appartenuto di diritto al lui stesso leggermente più vecchio.
HeidEd sperimentale, consigli e critiche altamente graditi (forse necessari)
Buona lettura (spero)
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Alphons Heiderich, Edward Elric
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Coffee kiss on birthday morning
Konnichi wa, minna-san.
Dunque, questa fic è un ESPERIMENTO. Non ho mai scritto HeidEd, prima d'ora, e, se devo essere onesta, non sono neppure pienamente soddisfatta del risultato, avevo pensato di riuscire ad elaborare qualcosa di meglio, invece non c'è stato niente da fare. ^^
Mi riesce estramamente difficile descrivere la "vita di coppia" di questi due particolari personaggi, quindi mi farebbe sul serio molto piacere ricevere da voi consigli, critiche e quant'altro possa aiutarmi a migliorare. Non è detto che risulti inutile, un giorno potrei battere la testa e decidere di scrivere un'altra HeidEd, chi lo sa? Voi potete sempre sperarci... ;)
Scherzi a parte, spero che l'elaborazione di questa fic vi piaccia almeno un po'.
Avvertitemi in caso notaste somiglianze con altre fic (sì, sono estremamente paranoica, fateci l'abitudine), grazie ^^
Buona lettura (spero!), ci si "rivede" a fine fic ^^



Coffee kiss on birthday morning



Il caffè era solo un modo per rubare del tempo che sarebbe appartenuto di diritto al te stesso leggermente più vecchio.


Terry Pratchett

Per Alfons Heiderich era impensabile uscire di casa senza aver bevuto una tazza di caffè.
Il caffè tedesco, come quello di buona parte del mondo, faceva seriamente schifo, lungo e annacquato com’era; tuttavia, anni di assunzione obbligata –perché o quello o niente- lo avevano avvezzo a quel sapore, diventato oramai un piacevole e quasi immancabile compagno.
E poi, doveva ammetterlo, aveva un ché di adorabile quell’aroma che invadeva l’appartamento di primo mattino, quando ancora non era perfettamente sveglio e percepiva tutto in modo ovattato: sembrava quasi di vivere in una dimensione differente da quella del resto del mondo; forse, nei mondi dove il gorgogliare della caffettiera riecheggiava contro vecchie pareti il cui intonaco iniziava a dar cenni di cedimento, dove il parquet della cucina era mezzo tarlato e scricchiolava ad ogni passo e, se si camminava a piedi scalzi, si rischiava di infilzarsi una scheggia nella pianta del piede, esisteva una felicità meno effimera di quella terrestre.
Ma potenziali applicazioni della cosiddetta teoria del Multiverso alle fratture spazio-temporali dell’universo non erano qualcosa cui si avrebbe dovuto pensare in uno stato di semi-incoscienza come quello di un laureando in astrofisica alle sette e trenta del mattino.
Alfons sbadigliò, trascinandosi stancamente lungo il corridoio che, fortunatamente, non cigolava sinistramente –solo perché il pavimento era coperto da uno strato di linoleum dal colore indefinibile-. Quando entrò in cucina, la prima cosa che notò –dopo la farina che ricopriva buona parte delle superfici della stanza- fu un ragazzo non troppo alto ma con delle spalle robuste e ben dritte, i capelli color del grano raccolti in una coda di cavallo, che cuoceva qualcosa con la sua padella sui suoi fornelli.
Dapprima sbatté le palpebre un paio di volte, pensando di essere ancora assopito e di stare sognando; poi si tirò uno schiaffò sulla guancia e quando gli sfuggì un sonoro «Ahi!» per il dolore, realizzò di essere sveglio e di star assistendo a quello che un comune credente potrebbe azzardasi a definire miracolo: Edward Elric stava cucinando.
Se poi quel che avrebbe servito in tavola di lì a poco sarebbe stato commestibile… Beh, questo era un altro paio di maniche.
Il biondo in questione si voltò a guardarlo, sorridendo col gaudio di un bambino in un giorno di vacanza quando scopre che verrà accompagnato al parco giochi due isolati più in là dalla mamma.
«Buongiorno» cianciò, allegro, fischiettando Lili Marlene.
«’Giorno…» biasciò, a metà tra l’assonnato e l’incredulo.
«Dormito bene?»
«Direi di sì…» rispose, cauto, sedendosi con circospezione e senza perdere di vista il suo coinquilino –nonché fidanzato-.
Ed continuava imperterrito a cinguettare il suo motivetto –Heide ci aveva messo almeno un paio di settimane per insegnarglielo tutto-, saltellando da una parte all’altra come Cappuccetto Rosso attraverso il bosco; sembrava preda di un qualche delirio da “mogliettina perfetta”. E, Alfons doveva essere onesto, la cosa lo spaventava non poco.
L’odore di bruciato che sentì poco dopo, prima di scorgere una colonna di fumo innalzarsi dal forno, lo terrorizzò ancora di più.
«Ed, il forno!» strillò, alzandosi di scatto ed aprendolo, tossendo mentre con una mano cercava, invano, di scacciare la coltre scura che, oramai, aveva invaso la cucina.
«Apro la finestra!» si offrì Elric.
«Che accidenti cercavi di fare, affumicarmi la cucina? Diamine, Ed, già questa casa sta in piedi per miracolo, se le dai il colpo di grazia possiamo andare a vivere tutt’e due sotto a un ponte!»
«Scusa, scusa! Che ingratitudine, cercavo solo di preparati la colazione…» si giustificò, con un’aria da cucciolo innocente falsa come una moneta da venticinque Pfennig.
«Hai battuto la testa, per caso? No, perché se è così smetterò di pensare all’eventualità di un tuo bipolarismo…»
«Ah ah ah, spiritoso… Da quando sei un esperto di psicologia?»
«Mi sono informato, sai? All’inizio pensavo che, chissà, se avessi avuto uno sbalzo umorale peggiore degli altri avresti potuto soffocarmi nel sonno. Non era proprio il modo che mi ero immaginato per lasciare questo mondo, non so se mi spiego…»
Ed gli pizzicò una guancia pallida, ghignando.
«Quindi eri sicuro che fossi una specie di psicopatico!»
«Sì, ma visto che mi piacevi così tanto e che io sembravo piacerti più o meno altrettanto, mi son detto “se non rischio di morire, beh, perché no?”»  ammise, con un candido ed ingenuo sorriso. Elric riuscì a leggere la sincerità, l’aspettativa e il terrore di una delusione, di un rifiuto categorico, in quei suoi occhi azzurri, e la sua smorfia semi-sadica mutò in una più comprensiva, mentre le dita che stringevano ancora la pelle si rilassarono, stendendosi con dolcezza sullo zigomo ora rosato dall’imbarazzo.
«No, puoi stare tranquillo, non sono uno psicopatico e non soffro di alcun disturbo mentale riconosciuto come tale. Sono solo fottutamente lunatico, ecco tutto…»
«Ah, beh. Ma quello lo sapevo già»
Edward gli schioccò un sonoro bacio sulla guancia, per poi soffiargli nell’orecchio:
«Buon compleanno»
Heide lo fissò con gli occhi sbarrati.
«Eh?»
«Al, mi prendi in giro? Non dirmi che ti sei scordato che oggi è il tuo compleanno!»
Alfons sbatté le palpebre un paio di volte, pensando, poi gettò un’occhiata al calendario: effettivamente, il suo ragazzo aveva ragione: era proprio il suo compleanno.
«Grazie, io… Sì, me n’ero scordato. Ehi, aspetta un attimo! Allora era per questo che…» e lasciò la frase in sospeso, additandolo, accusatorio, e suscitandone l’ilarità.
«Certo che sì, che cosa credevi! Pensavi forse che avessi una specie di “sindrome della moglie perfetta”?» lo schernì, ridendo fragorosamente.
«Mpf. Beh… sì»
Avrebbero potuto continuare a ridere e a prendersi in giro a vita, se il pendolo dell’ingresso non avesse ricordato loro che erano già le otto, che Heide sarebbe dovuto uscire entro un quarto d’ora ed era ancora in pigiama –e non aveva preso il caffè-.
Corse in camera a recuperare i vestiti, poi in bagno a lavarsi.
Quando tornò in cucina, trovò la sua tazza al suo posto, accanto ad un krapfen alla crema; Ed leggeva il giornale, girando stancamente il cucchiaino nella propria chicchera.
Consumarono la loro colazione in una quiete assoluta, intervallata dal suono delle pagine voltate e dallo scontrarsi delle posate contro la ceramica.
Quando fu l’ora di uscire, Alfons prese la giacca e aprì la porta, Ed dietro di lui che, stranamente, gli augurava buona giornata e si informava sui suoi orari odierni.
«Sarò a casa nel tardo pomeriggio, quindi non preoccuparti per la cena, ci penso io»
«E se andassimo a cena fuori? Sai, per festeggiare il suo compleanno…»
Il ragazzo dagli occhi cerulei sorrise.
«Se vuoi…»
«No, se tu vuoi. Dopotutto è il tuo compleanno, cazzo…»
«Ok, ok. Allora stasera si esce» rise.
«D’accordo, ma sappi una cosa: se vuoi che mi vesta da pinguino, ti costerà caro. Molto caro…» ghignò, malizioso.
Heiderich scosse la testa con comica esasperazione, annuendo.
«Va bene, ci sta»
Fu allora che, in uno slancio improvviso –ed inusuale- d’affetto, Edward gli gettò le braccia al collo e lo baciò diritto sulle labbra.
Non era certo la prima volta che lo facevano –diamine, stavano assieme da un anno e mezzo!-, ma Al non aveva mai baciato nessuno che sapesse così tanto di caffè.
E quando le labbra di Ed si schiusero, permettendo alle loro lingue di incontrarsi ed intrecciarsi, ebbe per la prima volta la sensazione che il caffè, alla fine, non fosse così necessario, per svegliarsi.
Forse, alla fine, quella chicchera di caffeina e glucosio era solo un modo per rubare del tempo che sarebbe appartenuto di diritto al lui stesso leggermente più vecchio.
In quel momento, Alfons Hederich realizzò che se il suo ragazzo lo avesse baciato in quel modo, familiare e passionale al contempo, ogni mattina prima di uscire… Beh, avrebbe anche potuto fare a meno del suo caffè.
Forse.



E rieccomi! Allora, è stata così terribile? Vi è rimasta un po' di voglia di vivere? Oh cielo, spero proprio di sì ^^'
Come ho già detto, non mi convince del tutto, questa fic, per cui fatemi sapere che ne pensate.
Dierei che è tutto, non c'è molto da aggiungere. Ah, sì, ho inserito l'avvertimento "What if..." unicamente perché è ambientata dopo gli anni cinquanta ed Alfons è ancora vivo. Nulla di particolare.
Non credo ci sia altro.
Grazie a tutti e alla prossima (qualunque essa sia)

I personaggi non mi appartengono e nel mio fruire di essi non vi è alcuno scopo di lucro.

Lady_Firiel
   
 
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