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Autore: valecullen_thedevil93    11/10/2010    5 recensioni
questa è la mia prima storia su Raf e Sulfus e parte dal momento in cui termina il processo disciplinare per il sacrilegio, perciò non terrà conto di quello che è successo dopo nel cartone... "lo stage è ormai finito e Raf e Sulfus sono consapevoli che non si rivedranno mai più una volta tornati nelle loro rispettive città. Questo li spingerà a dichiararsi e a stare insieme gli ultimi giorni, anche con l'aiuto dei loro amici che li coprono, e si promettono che, nonostante le distanze, troveranno comunque il modo per vedersi. Ma qualcosa va storto; un'attacco a sorpresa di Reina scatenerà una violenta battaglia nella quale verrà sconfitta, ma prima di scomparire dirà qualcosa che spingerà Raf a prendere una decisione che cambierà per sempre il corso degli eventi. Ma prima di metterla in pratica succederà qualcosa fra lei e Sulfus, qualcosa di assolutamente magico e incredibile che porterà alla nascita di un piccolo, grande miracolo nella storia dei sempiterni." E' sia romantica che malinconica ma vi assicuro che se è una RafxSulfus quella che cercate, allora questa è la storia giusta.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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RAGAZZE ECCOMI QUI!!! NUOVO CHAPPY, NUOVA AVVENTURA!!! IN QUESTO POV TROVERETE UN SULFUS PARECCHIO ABBACCHIATO E IN PROCINTO DI LASCIARSI ANDARE ALLA DISPERAZIONE PERCIO' QUESTO SARA' UN CAPITOLO DISTRUTTIVO DAL PUNTO DI VISTA PSICOLOGICO... CI SARA' ANCHE UNA SORPRESA IN MEZZO AL CAPITOLO, UNA SCENA CHE HO INSERITO ALL'ULTIMO MINUTO E CHE SPERO VI PIACERA' XD E INFINE... FINALMENTE LA FANTOMATICA SHEILA APPARE!!! AHHHHHHHHHHHHH *VUOLE UCCIDERLA MA NON PUO', LE SERVE PER LA STORIA* XD VI ANTICIPO CHE LA ODIERETE A MORTE, PERCIO' AFFILATE I FORCONI... NON HO DETTO CHE LE FARO' LA VITA FACILE *GHIGNA MALIGNA COME POCHE VOLTE*
VI LASCIO AL CHAPPY RECENSIONI COME AL SOLITO IN FONDO!!! KISS A TUTTE^^

POV SULFUS
Tornammo a scuola sconfitti, esausti e distrutti. Erano sufficienti le nostre facce per far capire ai professori che non avevamo concluso niente. Non appena posai i miei piedi per terra, sentii qualcosa spezzarsi all’interno del mio petto; era il mio cuore che si stava frantumando in milioni di piccoli pezzi, impossibili, ormai, da rimettere insieme. E in quel momento, mi infuriai; con me stesso, perché non ero riuscito a fare quello che mi ero prefissato, ad adempiere a quello che era il mio obiettivo, e con Raf perché, nonostante tutto, il mio cuore sbriciolato continuava a battere per lei. Persino in quel momento, i milioni di minuscoli pezzi che avevano composto il mio cuore continuavano a pulsare d’amore per quella angel che, con poche e semplici parole, mi aveva distrutto la vita. Ero furioso perché non aveva avuto il coraggio di guardarmi negli occhi prima di partire, di dirmi in faccia quello che pensava, di spiegarmi di persona perché cavolo avesse preso una decisione del genere, dicendomela solo con una lettera.
Mi sentivo a pezzi, emotivamente e fisicamente; avevo corso e volato talmente tanto nelle ultime ore che, alla fine, stremato, ero caduto sull’asfalto senza più forza per rialzarmi, senza più la speranza per credere che ci fosse ancora una possibilità perché quello fosse solo un brutto sogno. Ma sapevo che non era così; il dolore che sentivo era troppo vivo, tropo reale per poter essere solo frutto della mia immaginazione. Tuttavia continuavo, di certo stupidamente, a sperare che Raf saltasse fuori all’improvviso da dietro un albero o un cespuglio, gridando qualcosa tipo “pesce d’Aprile”, anche se non era Aprile ma Giugno.
Mi diedi dello stupido da solo; ero veramente messo male se cominciavo a fare pensieri del genere. Alzai lo sguardo e incontrai gli occhi di Arkhan e delle Temptel; mi fissavano addolorati, Arkhan addirittura con le lacrime agli occhi, per farmi capire che mi erano vicini in un momento del genere.
Cominciai a tremare, gli occhi si offuscarono per le lacrime che cercavo in tutti i modi di non far scendere, il respiro accelerò fino a diventare un affanno insopportabile e il cuore sembrò voler uscire dal petto per la violenza con cui i suoi battiti si propagavano nel mio petto squarciato dal dolore. Capii che ero sul punto di crollare, che non avrei retto per molto sotto i loro sguardi. Il dolore che sentivo era troppo grande per poter essere tenuto dentro e, mischiato anche alla rabbia cieca che sentivo, chiedeva a gran voce di essere liberato, di trovare una qualsiasi valvola di sfogo per evitare di morire in agonia.
Fissai tutti gli altri; si erano accorti che ormai stavo per cedere e c’era chi mi fissava impaurito, memore di come avevo reagito quella mattina e spaventato dalla reazione che avrei potuto avere ora, e chi preoccupato per il grande dolore che si leggeva sul mio viso.
«E-ecco io… devo andare. scusate», dissi agli altri con voce rotta, voltandomi per non far vedere il mio viso rigato dalle lacrime, nonostante si capisse benissimo grazie al mio tono di voce saturo di pianto.
 Mi voltai e, senza aspettare risposte di alcun genere, mi fiondai verso la mia camera, l’unico luogo in cui sapevo sarei potuto essere me stesso senza vergognarmi. Quasi volai mentre correvo per arrivare alla stanza, cercando di trattenere le lacrime che premevano per uscire dai miei occhi. Cazzo, ero pur sempre un devil! Non volevo farmi vedere debole.
Ogni passo sembrava un’agonia che durava una vita intera, e il percorso che portava alla mia stanza non mi era mai sembrato così lungo. «solo un altro passo», mi ripetevo, «solo un altro passo e poi potrai fare quello che ti pare. Resisti solo altri pochi passi»; ma quei pochi passi mi sembravano lunghi un’infinità.
Finalmente raggiunsi l’incubatorio e, di conseguenza, la mia stanza. Aprii la porta con foga, entrai e me la richiusi dietro, dando dei giri di chiave per non far entrare nessuno. Avevo bisogno di stare da solo in quel momento.
Mi appoggiai con la schiena allo stipite, respirando affannosamente, cercando di buttare quanta più aria possibile in corpo, come se l’ossigeno avesse potuto lenire quel terribile dolore che sentivo dentro. Non resistevo più; le lacrime presero a scendere inarrestabili lungo le mie guance, impossibili in qualunque modo da fermare.
La rabbia e il dolore mi sopraffecero, facendomi perdere ogni freno inibitore e il controllo di me stesso. Preso da una voglia incontrollabile di sfogare in qualche modo tutto quello che sentivo dentro si me in quel momento, mi gettai furibondo su ogni cosa che si trovava nella stanza. Buttai le sedie all’aria, rovesciai i tavolini, sfasciai i comò di fianco ai letti, ribaltai tutto quello che si trovava sugli scaffali, sia libri che soprammobili, a volte rompendo qualcosa, sfasciai completamente il letto di Gas, stracciando il suo cuscino e spargendo le piume per la stanza. Insomma un vero e proprio sfacelo. Se qualcuno avesse visto lo stato della mia camera in quel momento, l’avrebbe sicuramente dichiarata zona disastrata.
Mi avviai furibondo anche verso il mio letto ma, prima di fare qualcosa di cui mi sarei sicuramente pentito, ritornai bruscamente in me, rendendomi conto della sciocchezza che stavo per fare. Come potevo distruggere quel letto? Come potevo sfasciare quel luogo che, anche se solo per una notte, era stato protagonista di un sogno, il più bel sogno che una persona potesse pensare, desiderare o sperare?
Sì, era stato un sogno; quello per cui mi ero illuso così stupidamente, era stato solo un fulgido e bellissimo sogno, un’utopia irrealizzabile. Come avevo potuto pensare che per me, un devil della peggior categoria, potesse esistere la felicità?
Caddi in ginocchio, il dolore che mi attanagliava il petto, un dolore talmente grande che non credevo potesse esistere. Affondai il viso tra le coltri del letto, stringendo il tessuto tra le mani con forza; riuscivo ancora a sentire il suo profumo intrappolato tra le lenzuola. Inspirai in profondità il suo profumo di fiori, in particolare di fresie e rose, riempiendomi fino allo sfinimento i polmoni. Una nuova fitta al petto mi ricordò che, molto probabilmente, non avrei più avuto occasione di respirare questa sublime fragranza per sempre. Le lacrime ripresero a scorrere inarrestabili lungo il mio viso e inspirai ancora più forte di prima. Mi mancava già terribilmente, e mi ero separato da lei solo da poche ore.
Mi alzai e salii direttamente sul letto, stendendomi a pancia in giù con il viso seppellito nel cuscino. Lì il suo odore era ancora più forte e mi riempiva la narici, stordendomi. Il suo profumo aveva sempre avuto quel potere; quando ero con lei mi dava sempre una sorta di annebbiamento e assuefazione che lasciavano spazio solo alla mia felicità e al mio desiderio di lei. In quei momento la desideravo così tanto che era difficile trattenermi dallo saltarle addosso, soprattutto quando vedevo la passione con cui ricambiava i miei baci infuocati e i miei assalti. E quando la scorsa sera l’avevo vista arrivare in camera mia, chiaramente intenzionata a lasciarsi andare alla passione e vestita solamente di quel provocante completino intimo in pizzo nero, non ci avevo visto più. Liberatomi da tutti i lacci che mi avevano tenuto legato fino a quel momento, non avevo pensato ad altro che a farla mia. E l’avevo fatto. Dio, se l’avevo fatto! Ed era stato veramente magico sapere che per lei ero stato il primo, esattamente come lei era stata la prima per me. Avevo aspettato e ne era valsa assolutamente la pena.; niente era stato più meraviglioso che perdere la verginità assieme.
Ma non sarebbe accaduto mai più; l’amara verità era che lei era sparita per sempre, e quelle sensazioni che mi avevano riempito l’anima non sarebbero mai più tornate. Che, volente o nolente, dovevo accettare il fatto che lei fosse sparita per sempre. Ma, mio dio, come accettarlo? Come potevo rassegnarmi alla sua perdita, se perdere lei significava perdere una metà di me stesso, la più importante?
Seppellii il viso nel cuscino e non mi feci remore; urlai, urlai soffocando il  mio dolore nel cuscino, cercano di sfogare, seppur in minima parte, l’amarezza e la rabbia che sentivo dentro e che mi stavano logorando.
Avevo bisogno di sfogarmi, ma con qualcosa che riguardasse il lavoro fisico, per tenere occupati corpo e mente. Mi alzai di scatto e, dopo aver aperto la porta, uscii dalla camera a passo di carica. Fuori, con mia sorpresa, trovai ad aspettarmi tutti i miei amici, sia angel che devil. Mi fissavano tutti preoccupati per quello che poteva essere successo dentro la camera. Io li degnai a malapena di uno sguardo e mi diressi fuori dall’incubatorio. Gli altri provarono a venirmi dietro ma con un flebile «non seguitemi», li convinsi a rimanere dov’erano.
Mi avviai lungo il corridoio ma, con la coda dell’occhio, li vidi inorridire di fronte al disastro che avevo combinato in stanza. Un po’ mi dispiaceva di aver distrutto la roba di Gas, perché se fosse capitato a me mi sarei incazzato come un iena, ma in quel momento era una sensazione talmente piccola che non mi sembrava neanche di averla. Perciò proseguii imperterrito verso la mia meta, ossia l’aula sfida. Forse non era il luogo adatto alla mia conservazione psicologica, considerato il fatto che era stato lì che io e Raf avevamo vissuto i nostri momenti più romantici, ma avevo bisogno di un luogo in cui sfogarmi e l’Aula sfida era di sicuro l’ideale.
Finalmente arrivai di fronte alla porta e, visualizzando prima nella mia mente il luogo in cui volevo andare, la aprì. All’istante mi apparve la palestra che avevo pensato, con la centro il tanto agognato sacco da boxe. Mi levai la maglia, restando a torso nudo, e, svuotata la mente, cominciai a prendere a pungi il sacco. Colpivo con rabbia e dolore e non mi curavo del fatto che, non avendo le mani protette, avrei potuto farmi seriamente male.
Quando il dolore fisico arrivò, lo accolsi con gioia e sollievo. Il dolore fisico non mi permetteva di pensare a quello mentale, faceva in modo che mi concentrassi solo sul presente e non su quei ricordi che, per quanto dolci, mi straziavano l’anima. Erano un simbolo di ciò che non avrei mai più potuto avere e ricordarli mi faceva solo stare ancora più male.
Colpivo il sacco con violenza, incurante del tempo che passava e del dolore che aumentava sempre di più a ogni colpo. Ben presto cominciò a dolere anche il mio corpo ed esultai; non chiedevo di meglio che ascoltare solo il mio corpo per esiliare e isolare la mia mente. Volevo diventare leggero, senza pensieri, una creatura fatta solo di carne e istinto, un essere dalla mentalità quasi animale e perciò impossibilitato a provare a provare un’agonia di tale entità. Volevo diventare un qualcosa senza possibilità di pensiero, per impedirmi di ricordare cose che avrebbero potuto distruggere la mia anima.
Non so per quanto tempo continuai; ormai le mia mani erano ricoperte di tagli e sangue e i muscoli mi facevano talmente male che probabilmente sarei caduta a terra senza forze entro breve. All’improvviso la porta dell’Aula sfida si aprì. Non mi curai di chi fosse entrato; per quel che mi riguardava poteva andarsene all’inferno, perciò continuai imperterrito la mia dolorosa attività.
Sentii il respiro di quel qualcuno arrestarsi bruscamente, quando all’improvviso gridò, «oh mio dio! Sulfus!». La voce che aveva parlato apparteneva all’ultima persona che mi sarei mai aspettato di vedere; Uriè.
All’istante sentii attorno ai miei polsi, che cercavano di fermare i miei pugni, «ti prego Sulfus fermati! Non risolvi niente così!»,mi disse con voce rotta, stringendo ancora di più la presa sulle mie mani sporche di sangue.
Non so per quale motivo ma, piano piano, quella smania che sentivo dentro di me di farmi male, di essere il più possibile masochista per evitare di pensare, si spense, facendomi ritornare in me. Mi accorsi, con orrore, che le lacrime avevano ripreso a scorrere sul mio viso. il dolore che sentivo in tutto il corpo era lancinante, ma era particolarmente atroce e concentrato sulle dita e sulle nocche.
Girai il viso incontrando i grandi occhi viola di Uriè che mi fissavano preoccupati. Distolsi immediatamente lo sguardo da lei; non volevo farmi vedere debole, soprattutto da una angel. E il mio gesto era un chiaro invito a lasciarmi in pace.
Ma Uriè mi sorprese; con estrema delicatezza, come se fosse stata un oggetto di cristallo fragilissimo che al minimo contatto si sarebbe potuta rompere, mi prese dolcemente una mano ferita e insanguinata fra le sue, incominciando ad esaminare i tagli che avevo e tastando per sentire se ci fossero eventuali fratture.
Rimasi sbalordito dal suo gesto, e la guardai con occhi spalancati; nessun angel era mai stato gentile con me a parte Raf. Con le sue amiche c’era di sicuro un profondo rapporto di rispetto e solidarietà, tipico delle persone che insieme hanno condiviso molto, ma arrivare a chiamare questo rapporto amicizia era già più difficile. Eppure il comportamento di Uriè, non solo adesso, ma anche nelle ore precedenti, denotava l’atteggiamento tipico di un’amica.
Lei fissò la mia mano e le sfuggì un singhiozzo, «per gli angeli Sulfus, ma che hai fatto? Vuoi per caso ucciderti in questo modo?», mi chiese impaurita e addolorata guardandomi negli occhi come pochi riuscivano a fare.
Abbassai lo sguardo ma lasciai la mia mano tra le sue. Le lacrime avevano smesso di scendere, ma i segni lucidi rimanevano comunque sulle mie guance e non volevo che lei li notasse.
All’inizio pensai di non risponderle ma poi mi resi conto che in un certo senso glielo dovevo. In fondo lei mi aveva aiutato, «volevo solo evitare di pensare», le dissi in un soffio. Lei mi guardò stupita; era raro, per non dire impossibile, vedere una angel e un devil scambiarsi confidenze, ancor più raro vedere una angel e un devil innamorati.
Singhiozzai in risposta a quel pensiero e sentii gli occhi riempirsi di nuovo di lacrime; con uno sforzo riuscii a ricacciarle indietro. «credevo che se mi fossi concentrato su altro avrei evitato di…», le dissi, ma non riuscii a finire. Il dolore era troppo e mi tagliava le parole in gola.
Le sue mani stinsero di più la mia e io incontrai di nuovo i suoi occhi, con un’ombra di dolcezza ora sul fondo di quelle iridi scavate dal dolore, «la sofferenza per il suo abbandono non scomparirà mai, Sulfus», mi disse sorridendomi, di un sorriso a metà tra il dolce e il malinconico, «farti del male non ti aiuterà a dimenticare. Puoi solo imparare a conviverci, e fare di questo dolore la tua forza. Non arrenderti Sulfus; usa il tuo dolore per trovare la forza di andare avanti. Non è tutto perduto; distretti di angeli e diavoli sono sparsi per tutto il mondo, sicuramente abbiamo una possibilità di ritrovarla».
La guardai negli occhi e vidi che brillavano di determinazione. La ritrovai anch’io di rimando ma, di fatto, non l’avevo mia persa; avevo sempre saputo che non mi sarei mai arreso e che, nonostante il dolore, avrei lottato finchè le forze me lo avessero consentito per riportarla da me. Il problema era che non avevo la più pallida idea di come fare; come potevo io, da solo, rintracciare una angel che non voleva farsi trovare e che poteva essere in qualsiasi parte del mondo in quel momento? Era impossibile.
Tolsi la mano da quelle di Uriè e, sfinito e a pezzi, mi sedetti sulla panca di fianco al sacco da boxe, prendendomi la testa tra le mani da cui il sangue colava ancora. Uriè mi si avvicinò con degli asciugamani e una bottiglietta d’acqua trovati sul tavolo li vicino e mi si sedette di fianco. Mi prese di nuovo la mano e con l’acqua lavò via il sangue secco che era fuoriuscito dalle ferite in modo che rimanesse solo quel poco che ormai si stava fermando. Le nocche e le dita erano completamente scorticate e bruciavano in maniera atroce, specialmente quando Uriè ci passava l’acqua sopra. Quando mi pulì tutte le ferite, mi avvolse le mani in due asciugamani per fermare il sangue.
Guardai Uriè mentre tentava di medicarmi le mani. Il suo comportamento mi stava gettando in confusione e non per il fatto che lei fosse una angel ma per il fatto che, tutto ad un tratto, sembrava essersi interessata a me come amico. Non capivo e così decisi di chiederglielo, «perché mi stai aiutando?», le domandai a bruciapelo fissandola direttamente negli occhi.
Lei sussultò ma le sue mani non si fermarono e continuarono la loro opera, «perché Raf ti ama Sulfus», mi disse spiazzandomi, « e io sono convinta che lei non ti vorrebbe vedere ridotto in questo stato. Non te lo permetterebbe. E poi non sei l’unico a soffrire Sulfus», ribattè e la sua voce si riempì di tristezza, «lei è la mia migliore amica. Siamo cresciute insieme, abbiamo riso e pianto insieme e insieme abbiamo affrontato questo stage. Sempre unite contro tutte le difficoltà, eravamo una la forza dell’altra. Lei è la sorella che non ho mia avuto e ora se ne è andata», continuò e la sua voce si fece spezzata per via delle lacrime e dei singhiozzi che le scuotevano il petto, «è come se avessi perso una parte di me, la più importante», concluse fissando il vuoto persa nei ricordi.
Capii che in realtà io e lei eravamo molto simili; avevamo entrambi perso una parte fondamentale della nostra vita, una parte che non avremmo ritrovato mai più. Questo faceva di noi due anime affini e che, forse, avrebbero potuto supportarsi a vicenda per superare le difficoltà.
Sorprendendo sia me stesso che Uriè, le presi una mano in segno di conforto, sporcandola leggermente di sangue, «sai cosa direbbe se Raf fosse qui?», le chiesi sorridendo leggermente per darci forza in quel momento così buio della nostra vita.
Lei ricambiò il mio pallido sorriso e, insieme, parlammo, «sorridi sempre alla vita perché è meravigliosa e, anche se un giorno il futuro ti sembrerà buio e senza speranza, sorridi, perché dopo la tempesta torna sempre il sereno». Sorridemmo insieme a quel ricordo; quella frase era il motto di Raf e ce l’aveva detta un sacco di volte, soprattutto quando le cose diventavano difficili e si mettevano male. Quella frase aveva sempre il potere di ridarci fiducia in noi stessi, forza e speranza per il futuro.
Poi Uriè tornò seria, «è per questo che non voglio che ti riduci così Sulfus», mi disse indicando le mie mani ferite e piene di sangue, «lei avrebbe voluto che tu reagissi e ho ripromesso a me stessa che non avrei ceduto alle avversità e che non avrei permesso neanche a te di farlo», continuò, lasciandomi sbigottito, «Raf è la mia amica più cara e glielo devo. Mi ha aiutata tante volte e ora sento di doverle restituire il favore. E poi devo ammettere che mi incuriosisci; mi hai fatto rivalutare sul tuo conto. Credevo che fossi il classico devil sbruffone e antipatico, ma poi ho visto che sei cambiato stando con Raf, sei diventato più dolce, come lo è ogni ragazzo innamorato. Non ti nascondo che all’inizio anch’io non vedevo di buon occhio la vostra storia, soprattutto perché avevo capito che Raf era seriamente innamorata di te e non volevo che soffrisse per colpa tua. Poi però vi ho osservati, soprattutto te, e ho capito che non la stavi prendendo in giro, che anche tu eri innamorato tanto quanto lei, e da allora ho incominciato a osservarti nella mia testa non più come il devil stronzo ma come il ragazzo innamorato. È stato così che ho scoperto dei lati nascosti di te che non credevo potessi avere e automaticamente ho rivalutato anche la mia idea di devil. Mi hai fatto capire che non siete tutti uguali ed è stato grazie a te che io e anche Dolce abbiamo iniziato ad avvicinarci a Kabalè e Cabiria, seguite a ruota da Miki e Gas. Siamo diventate quello che si dice esattamente amiche e non mi vergogno con nessuno, che sia angel o devil, di ammettere che ho degli amici devil. Perciò ora vorrei provare a essere amica anche con te, perché non puoi essere lasciato da solo in questo momento della tua vita e perché sono sicura di essere quella che capisce maggiormente il tuo dolore», concluse guardandomi negli occhi. Il suo discorso mi aveva lasciato a corto di parole, perché era stato un discorso fatto col cuore e io me ne ero reso conto.
Perciò abbozzai un sorriso, di più con lei ancora non riuscivo a fare, e annuii semplicemente. Lei mi sorrise a sua volta, però con un sorriso molto più aperto e sincero del mio. Sapevo che ci sarebbe voluto un po’ di tempo perché mi fidassi di lei, ma ero convinto di farcela perché se Raf l’aveva scelta come migliore amica, un motivo doveva sicuramente esserci.
Lei mi guardò le mani ancora avvolte negli asciugamani ormai rossi per via del sangue che avevano assorbito, «ora però è meglio portarti in infermeria. Le ferite sembrano essere gravi e hai comunque bisogno di riposo», mi disse guardandomi dolcemente.
Mi prese per mano e mi fece alzare ma, non appena fui in piedi, ricaddi in ginocchio. Avevo talmente male ai muscoli, per via della boxe e della corsa disperata della mattinata, che non riuscivo a reggermi in piedi. Uriè allora si chinò di fianco a me e passandomi un suo braccio intorno alla vita e un mio braccio attorno al suo collo e, sostenendomi, mi fece alzare e andare fuori dall’aula sfida.
Fuori trovai tutti quanti ad aspettarmi e, quando videro le condizioni in cui ero ridotto, trattennero tutti bruscamente il fiato. Kabalè, senza dire niente, capendo benissimo il mio stato d’animo, mi si avvicinò subito e mi sostenne dall’altro fianco esattamente come Uriè, visto che da sola faceva molta fatica a trascinarmi.
Insieme mi portarono in infermeria, mentre gli altri ci seguivano senza dire alcunché, consapevoli che in questa occasione le parole non sarebbero servite a niente. Appena entrammo nell’infermeria dei devil, il medico ci guardò con espressione scioccata, non tanto per le mie condizioni ma per il fatto che delle angel si erano introdotte in un reparto teoricamente riservato ai devil.
Infatti subito scoppiò, «e voi zuccherini caramellati che ci fate qui? Lo sapete che non qui non ci potete stare perciò prendete quel sederino piumato che vi ritrovate e portatelo fuori da qui!», sbraitò veramente incazzato, da vero devil.
Una volta anch’io avrei risposto così ma quelle adesso erano delle mie amiche; si, ora lo sapevo, erano mie amiche, e non doveva permettersi di trattarle così. Stavo per rispondergli a tono, ma qualcuno mi precedette. Miki avanzò furiosa verso di lui e capii che stava arrivando una delle sue proverbiali sfuriate; quando l’avevo avuto come avversaria, avevo imparato che quando si arrabbiava era peggio di un toro inferocito, perciò era meglio non provocarla. Sghignazzai e le lasciai l’onore di uccidere verbalmente il poverino che si trovava davanti a noi.
«senti un po’ tu, piccolo fuoco di paglia con le corna al posto del cervello», esordì lei veramente infuriata, lasciando di sasso il povero dottorino, che sbiancò alla vista di Miki così inferocita, «punto uno, vedi un po’ di non chiamarci mai più zuccherini caramellati altrimenti ti infilo lo stetoscopio che ti ritrovi intorno al collo dove dico io; punto due, non me ne frega niente se non posso stare qui, ora come ora posso concedermi il lusso di stare dove voglio; punto tre, Sulfus è un mio amico, perciò starò qui finchè lui non mi dirà di andarsene; e punto quattro, sbrigati a curarlo altrimenti ti stacco quella testa vuota che hai attaccata a quel sudicio collo», concluse mandando saette e lampi con gli occhi in direzione del malcapitato. C’era una cosa fondamentale da sapere sugli angel; era meglio non provocarli perché, quando si arrabbiavano sul serio, facevano paura persino a noi devil, il che era tutto dire. E Miki in quel momento era più spaventosa di tutti gli angel inferociti che avevo visto finora.
Il povero medico, alla vista di una furia simile, si fece piccolo, sbiancò e, balbettando delle flebili scuse, fece segno a Kabalè e Uriè di depositarmi sul lettino al centro dello studio. Loro ubbidorono e poi tornarono accanto a una soddisfatta Miki, che sghignazzava soddisfatta. Le mandai un debole sorriso di ringraziamento e lei mi fece l’occhiolino.
I professori erano arrivati giusto in tempo per vedere la sfuriata di Miki e ora Arkhan la guardava scioccato, mentre la Temptel sorpresa e soddisfatta, «sai Miki», esordì la prof guardandola ammirata, «se non avessi ali e aureola in testa, dopo quel discorso che hai fatto ti avrei presa sicuramente per una devil», le disse con un malcelato sorriso di compiacimento in volto.
Lei si voltò e le fece un sorriso a metà tra il beffardo e il divertito, «quando vengo attaccata rispondo e comunque non si faccia illusioni professoressa, rimango comunque una angel», le disse scoppiando a ridere, seguita da tutti.
Intanto il dottore mi stava visitando; dopo aver tastato le mani, fece delle lastre  con le quali si assicurò che non avessi ossa rotte, e infine mi fece delle fasciature alle nocche per proteggere le numerose escoriazioni. Infine mi chiese di alzarmi ma, non appena vide che faticavo persino a mettermi seduto sul lettino, mi disse di lasciar perdere.
Infine si voltò verso gli altri con la sua diagnosi pronta, «le mani sono molto escoriate, ci vorranno almeno due settimane prima che possa riprendere la piena mobilità delle dita, quindi dovrete stare attenti a non fargli fare sforzi altrimenti il periodo di degenza potrebbe aumentare. Per il fatto che non riesce a stare in piedi non c’è da preoccuparsi, è solo mortalmente stanco. Un po’ di riposo e nel giro di un paio di giorni tornerà attivo come prima», disse agli altri mentre io cominciavo a sentire la vista annebbiarsi e le orecchie ronzare.
Ben presto le voci intorno a me cominciarono a svanire e, lentamente, caddi in un profondo e lungo sonno ristoratore.
 
Mi svegliai completamente riposato dal lungo sonno che avevo fatto. Stavo veramente bene sotto le coperte; provavo quella classica sensazione che si ha quando, appena svegliato, ti senti in pace con te stesso e con il mondo, perfettamente incastrato fra le coperte e il materasso, un incastro che non risulta fastidioso, come la maggior parte delle volte in cui ti svegli, ma rilassante e perfetto.
Non sapevo cosa mi potesse far stare bene in un momento del genere. Sentivo però che dipendeva da quello che avevo sognato mentre dormivo; non ricordavo esattamente cosa fosse, rammentavo solo la luce intensa del sole, una spiaggia, le onde del mare e i capelli biondi del mio angelo davanti ai miei occhi. Sentivo che quel sogno mi aveva messo addosso un senso di pace e perfezione ineguagliabile, perché quel sogno mi aveva fatto vivere uno spezzone della mia vita futura, una vita che era andata perduta per sempre.
Sospirai e riaprii gli occhi, intristito da quel pensiero. Fissai la finestra di fianco al letto; i raggi rosati del sole nascente illuminavano dolcemente il vetro, creando dei riflessi tra il rosa e l’arancio, segno che dovevo aver dormito per il resto del pomeriggio e tutta la notte. Quei colori tenui che brillavano in delicati giochi di luce sul vetro me ne ricordarono altri simili ma più intensi, colori che avevo visto insieme a Raf nella nostra ultima giornata trascorsa insieme, quella giornata magica e perfetta nella sua interezza.
La malinconia, la tristezza e il dolore mi avvolsero di nuovo e io, per difendermi, per non dover crollare e soffrire di nuovo, mi isolai in un mondo fatto di me e di lei, dei nostri ricordi felici e dei nostri sogni sulla nostra vita. Mi immaginai me e Raf, finalmente senza paura e con l’approvazione di alte e basse sfere, amarci liberamente davanti a tutti i devil e gli angel del pianeta. Ci immaginai mentre facevamo un gita in campagna con la mia moto, lei seduta  dietro mentre io guidavo; sapevo che si sarebbe tenuta stretta forte a me per la paura di cadere, sapevo anche che quell’abbraccio mi avrebbe emozionato fino all’inverosimile e che io, per farle un dispetto, sarei andato ancora più forte ma senza esagerare, perché non volevo metterla in pericolo. Ci pensai seduti su un telo in riva a un laghetto in una radura immersa nel bosco mentre mangiavamo le prelibatezze preparate dalla mia ragazza; a volte ci saremmo scambiati un tenero bacio. Poi avremmo fatto il bagno e avremmo giocato a schizzarci, a tuffarci e a rincorrerci fino allo sfinimento e infine, esausti, saremmo caduti insieme sul telo e, presi dalla passione, avremmo fatto ancora una volta l’amore; una coronazione perfetta di una giornata altrettanto perfetta.
Poi altre immagini seguirono quelle nella mia mente, alcune che non pensavo neanche di poter desiderare ma che, inconsciamente, avevo sempre voluto. Vidi me e Raf seduti a un tavolo, in una cenetta romantica e al lume di candela, tenerci per mano e mangiare di gusto quelle meravigliose pietanze; a seguire vidi un imbarazzato me tirare fuori una scatola da dentro la tasca dei pantaloni, inginocchiarsi davanti a Raf e, mostrandole l’anello nascosto dentro la piccola scatolina, chiederle di sposarmi. Vidi il mio angelo saltarmi addosso con le lacrime agli occhi e tempestarmi di baci e sì mentre mi stringeva spasmodicamente a se. Era così che mi immaginavo la mia proposta di matrimonio, perché avevo sempre saputo che avrei voluto trascorrere la mia vita al fianco della ragazza che amavo.
Un altro flash; io e lei in luna di miele in qualche posto esotico, mentre dividevamo il nostro tempo tra fare l’amore e visitare le meraviglie del luogo che avremmo scelto come destinazione. Ancora, io e lei che sceglievamo la casa in cui vivere, sicuramente in campagna e sulla terra, perché era li che era nato il nostro amore e perché non ci sembrava giusto vivere in una delle nostre due città sapendo che l’altro non l’avrebbe sopportato.
E poi Raf che mi aspettava a casa con un mise provocante e, dopo aver fatto l’amore in maniera paradisiaca (che le basse sfere mi concedessero il termine), mi comunicava, con voce rotta dall’emozione, appoggiandomi una mano sul suo ventre, che era incinta. L’avrei stretta a me, felice come non lo ero mai stato, e le avrei sussurrato il mio amore all’orecchio. Poi delle immagini successive, Raf che si accarezzava il pancione seduta sul divano di casa, io che tenevo il capo appoggiato sul suo ventre, la prima ecografia e il parto, quando per la prima volta avrei tenuto tra le mani un fagottino dai capelli blu come i miei e luminosi occhi azzurri come quelli di Raf. E poi il piccolo che cresceva, noi tre insieme come una vera famiglia, il primo compleanno di nostra figlia e quando sarebbe partita per la Golden School a fare lo stage.
Anche se non l’avevo mai ammesso con me stesso, da quando avevo capito che Raf sarebbe stata la donna della mia vita, avevo sempre avuto dentro di me un specie di istinto paterno che mi avrebbe sicuramente portato a fare una famiglia con lei. Avrei tanto voluto avere una bambina, un piccolo fagottino da coccolare e accompagnare nella crescita per poi terrorizzare i suoi spasimanti quando fosse diventata più grande.
Dio solo sapeva quanto avrei voluto che anche una sola di quelle immagini si potesse avverare, quanto avrei voluto trascorrere il resto della mia vita con lei. Sorrisi dolcemente ripensando nuovamente alla figlia che avremmo potuto avere. Incredibile, un devil con l’istinto paterno a 17 lampi! Davvero stupefacente!
All’improvviso una secchiata di acqua gelida mi arrivò in piena faccia, svegliandomi da quella mia specie di stato di trans. Perso com’ero nei miei pensieri, quel gesto mi colse di sorpresa, talmente tanto che cacciai un urlo altissimo e ruzzolai sul pavimento, incastrato fra le lenzuola del lettino e battendo così il fondoschiena.
Mi rialzai all’istante furioso, pronto a inveire in tutte le lingue del mondo contro chi mi avesse giocato un tiro mancino del genere, e incontrai gli sguardi preoccupati di Uriè e Kabalè, l’ultima con una brocca vuota in mano.
«ma siete impazzite?!», sbraitai infuriato, «ma si può sapere che cavolo mi avete una doccia all’acqua gelata? Cazzo, avrei potuto farmi seriamente cadendo dal lettino», urlai loro in faccia, che mi fissavano con uno sguardo a metà tra il dispiaciuto e l’incazzato.
Kabalè esplose per prima, «beh scusa tanto mister mi perdo nei miei pensieri», ribattè imbufalita come poche volte l’avevo vista, «l’ho fatto perché sembravi caduto in uno stato catatonico; avevi lo sguardo vacuo rivolto verso la finestra e poi ti avrò chiamato almeno dieci milioni di volte ma tu non mi hai mai risposto, neanche un uhm che mi dicesse che tu eri ancora qui con noi invece che perso per sempre da un’altra parte. Che dovevo fare secondo te? sembravi quasi entrato in coma!», mi attaccò, spiegandomi tutto per filo e per segno.
Mi sentii immediatamente in colpa; lei aveva solo voluto aiutarmi e io, da cretino, l’avevo subito aggredita. «scusa», le dissi poggiando una mano sulla sua spalla, «ero talmente perso nei miei pensieri che non ho nemmeno badato a te».
Lei mi sorrise e poi mi schioccò un’occhiatina divertita, «accidenti, un devil che chiede scusa. Dimmi che giorno è oggi, perché va assolutamente segnato sul calendario», mi disse per poi scoppiare a ridere fragorosamente, seguita a ruota da me e Uriè. In effetti era un evento più unico che raro che un devil chiedesse scusa; siamo per natura orgogliosi e per non ammettere che qualcuno all’infuori di noi ha ragione, ci trinceriamo dietro un silenzio che può durare anche mesi, durante i quali stiamo sempre sulle nostre e non rivolgiamo mai la parola al diretto interessato. Ma per me era diverso ormai; non solo sapevo che dovevo esserle riconoscente per tutto quello che non solo lei ma anche tutti gli altri cercavano di fare per me, ma sapevo anche che il mio amore per Raf mi aveva cambiato, rendendomi più buono. Una parola che un devil aberrava, ma che, di fatto, era quello che mi era accaduto.
Esaurito l’attacco convulso di riso, mi risedetti sul letto, ero ancora abbastanza debole e i muscoli erano ancora un po’ indolenziti, «come mai mi cercavate? A proposito, quanto ho dormito?», le chiesi, ancora un po’ spaesato dal salto temporale.
«hai dormito per tutto il giorno, Sulfus», mi rispose Uriè, «eri talmente esausto che appena hai toccato il cuscino ti sei addormentato come un ghiro. Sei andato avanti per diciotto ore. Adesso sono le sette di mattina», mi spiegò fissandomi comprensiva.
«comunque non era per questo che ti stavamo cercando», mi spiegò Kabalè con sguardo basso. Per la prima volta la vidi in difficoltà; cosa doveva dirmi di così difficile da metterla in imbarazzo? «ci sono due questioni molto importanti che dobbiamo risolvere; la prima riguarda la partenza per Zolfanello city e Angie town. Dobbiamo decidere o no se posticipare la partenza», mi spiegò con sguardo basso. In effetti quello era un problema; teoricamente saremmo dovuti tornare subito a Zolfanello ma, ora come ora, non avevo la più pallida idea di cosa fare. Se me ne fossi andato avrei automaticamente accettato che Raf se ne era andata per sempre dalla mia vita, e non sapevo se ero ancora pronto ad accettarlo.
«la seconda parte beh… ecco insomma…», cercò di dirmi in evidente difficoltà, torturandosi le mani e cercando di svicolare il mio sguardo.
Dopo un po’ di tempo che cercava di parlare senza ottenere niente, sbuffai spazientito, «insomma Kabalè, si può sapere che c’è? Dimmi quello che mi devi dire e falla finita», le dissi, innervosito dai suoi continui tentativi.
Kabalè lanciò con lo sguardo una disperata richiesta di aiuto ad Uriè, che prontamente decise di intervenire e salvarla dalla difficoltà di parlare, «la seconda questione riguarda la ricerca di Raf», mi disse guardandomi negli occhi, preoccupata dalla reazione che avrei potuto avere. A quelle parole, sentii l’ennesima fitta di dolore al petto. Mi portai la mano sul cuore, respirando affannosamente per cercare di calmare il battito impazzito. Loro mi fissarono preoccupate, ma io con lo sguardo la incitai a continuare, «beh hanno riaperto il centro ricerche dei sempiterni scomparsi e vogliono tutti porci delle domande su Raf, considerando che siamo le persone che la conoscono meglio. Il problema è che di certo non possiamo dire che tu e lei siete innamorati perciò volevamo parlarti per accordarci su come eludere le loro domande», mi disse addolorata.
Mi fissai le mani, nelle orecchie un fischio insopportabile. Come potevo mentire su di lei, su di noi? Come potevo fare finta di disprezzarla proprio ora che se ne era andata lasciandomi solo? Come potevo affrontare anche questa prova? Il mio cuore non era già stata dilaniato abbastanza anche senza dover affrontare questa ulteriore difficoltà? Evidentemente no. Il destino non era contento di tutta quella sofferenza che mi aveva inflitto e voleva continuare a infliggere colpi finchè non avessi implorato pietà.
Mi risollevai un po’ rendendomi conto che questo poteva aiutarci nella ricerca di Raf e che, se avessi recitato bene la mia parte, avrei potuto fornire informazioni e contemporaneamente, proteggere il nostro segreto. Risollevai lo sguardo verso di loro, determinato a cedere a qualunque mezzo pur di ritrovarla, «ditemi cosa dovrò dire e la dirò». Mi guardarono contente che finalmente stessi reagendo.
Passammo tutto il resto della mattinata a ripassare le varie teorie, in cui mi sarei dovuto fingere solo un compagno d’armi per Raf, esattamente come avrebbero fatto tutti gli altri, sia per non far capire il legame che univa me e Raf, sia per evitare che capissero anche il legame di amicizia fra tutti noi. Ci saremmo dimostrati indifferenti l’uno rispetto all’altro, perché ormai era impossibile insultarci, anche solo per finta.
Se ne andarono verso mezzogiorno, dicendomi che avremmo discusso la questione della partenza nel pomeriggio dopo l’interrogatorio delle forze speciali addette al settore della ricerca dei sempiterni scomparsi. Questo era un fatto strano nel mondo dei sempiterni; benchè fossimo immortali, ogni tanto un angel o un devil spariva nel nulla, non si sapeva per colpa di chi o per quale motivo, e così era nato un dipartimento volto al ritrovamento delle persone scomparse. Nessuno di loro però era mai stato ritrovato.
A mezzogiorno e mezza passò il dottore, che mi disse che ero libero di andare se volevo. Mi raccomandò però di non fare sforzi e di allenare, per quel che potevo, le dita alla mobilità, visto che ci sarebbe voluto un bel po’ prima che ritornassero alla normalità.
Finalmente libero, me ne andai da quel luogo che non sopportavo, e mi diressi in camera mia. Mi fermai esitante, ricordando il disastro che avevo combinato il giorno prima; mi chiese se Gas aveva messo a posto e se mi avrebbe voluto linciare, visto e considerato che avevo distrutto non solo la mia ma anche la sua roba.
Entrai esitante in camera; credevo di trovare ancora il casino che avevo combinato io ma, con mia sorpresa, trovai tutto pulito e in perfetto ordine. Perfino il letto, che avevo stracciato, ora era di nuovo integro e pulito. Perfino i soprammobili che avevo rotto erano di nuovo intatti. Sicuramente qualcuno aveva fatto un incantesimo che aveva riportato tutto quanto a come era prima che io distruggessi tutto.
Mi voltai e vidi Gas che mi fissava, in piedi di fianco al suo letto e con la valigia pronta per partire ai suoi piedi. A causa degli occhiali il suo sguardo era indecifrabile, ma sicuramente era incazzato con me per aver disastrato la camera. Mi avvicinai a lui cercando di assumere un’aria pentita, «ehi senti Gas io…», cominciai, ma lui mi sorprese, stringendomi in un abbraccio da orso da togliere il fiato.«Gas… non respiro, mollami», gli dissi boccheggiando, cercando di respirare.
Lui mi lasciò andare e mi diede una pazza sulla spalla, «non ti preoccupare di come avevi ridotto la stanza Sulfus. Avevi bisogno di sfogarti e questo era il metodo più rapido. Non te ne faccio una colpa, tanto più che è tornato tutto come era prima che ti dessi alla pazza gioia», mi disse scoppiando a ridere; come al solito Gas non si smentiva, ma era anche per questo che mi piaceva. Aveva la rara capacità di strapparti un sorriso anche nei momenti più difficili. Risposi al suo sorriso abbozzandone un altro, di più in quel momento non riuscivo a fare.
«vieni andiamo a pranzo», mi disse avviandosi fuori dalla porta per andare in sala mensa, «ah non dimenticarti di preparare la valigia. Presto si torna a casa», mi disse fermandosi un attimo sulla soglia per poi sparire inghiottito dal corridoio.
Io aggrottai le sopracciglia, che voleva dire che dovevo preparare la valigia perché presto saremmo tornati a casa? Non aveva senso; avremmo dovuto discuterne tutti insieme dopo gli interrogatori. E se avessero già deciso, senza chiedere la mia opinione? Scossi la testa in segno di diniego; non era da loro, sicuramente Gas voleva dire che lui voleva tornare a Zolfanello city, perché per quel che mi riguardava avrei preferito morire piuttosto che lasciare la terra senza aver prima ritrovato Raf.
Decisi perciò di non dare peso alle parole di Gas e mi avviai anch’io verso la mensa. Trovai tutti li ad aspettarmi, sia angel che devil. Tutti e sette ci sedemmo al tavolo con le nostre ordinazioni e cominciammo a parlare. Non furono chiacchiere piacevoli però; per tutto il tempo ripassammo cosa dovevamo dire agli interrogatori per evitare di tradirci, in modo che nessuno dicesse cose che entrassero in contraddizione con quello che avrebbe detto qualcun altro. Non sarebbe stato facile, ma avevamo una possibilità di riuscita se lavoravamo e pensavamo come una squadra.
Finito il pranzo stavamo per dirigerci nelle nostre stanze, quando un angel e un devil, entrambi vestiti in maniera austera e con cipiglio duro in viso, si avvicinarono a noi con passo militaresco intimandoci di fermarci. «siete voi gli amici e i compagni di Raffaella Serafini?», ci chiese l’angel, fissando noi devil con disgusto. Stesso dicasi per il devil, solo che fissava con disgusto le angel. Rimasi stupito nel sentire il nome completo di Raf; non mi aveva mai detto che il suo era solo un soprannome.
«si siamo noi», disse Uriè con una sicurezza che avrebbe fatto invidia a più abili dei bugiardi devil, «noi tre siamo le sue migliori amiche, mentre questi devil sono i nostri compagni di avventure», aggiunse con uno sguardo verso di noi carico di sufficienza. Tutti capimmo; la recita era appena iniziata. Perciò anche noi guardammo con lieve disgusto le angel, che, dal canto loro, cercavano di tenersi il più possibile alla larga da noi. Se qualcuno non ci avesse conosciuto bene, avrebbe sicuramente detto che se non ci odiavamo poco ci mancava, ma ad un occhio attento si sarebbero potuti notare i particolari discordanti con questa visione.
«bene seguiteci», disse il devil, voltandosi insieme al suo compagno ed inoltrandosi lungo il corridoio. Non avemmo altra scelta che seguirli.
Dopo pochi minuti ci fermammo davanti alla seconda sala più protetta della scuola dopo la sala dei ritratti; la sala del tracciatore. Era infatti in quella sala che era custodito il macchinario che, sfruttando gli stessi poteri di Alte e Basse sfere, poteva rintracciare angel e devil. Evidentemente era li che lo squadrone aveva stabilito il suo quartier generale. I due appoggiarono contemporaneamente la mano sui battenti della porta e queste, all’istante, si aprirono. Anche questa sala doveva essere regolata da un meccanismo di difesa magico.
Stavamo per seguirli dentro ma ci bloccarono, «entrerete uno alla volta per essere sottoposti alle nostre domande. La prima sarà l’angel Dolce», ci dissero con sguardo glaciale. Mi stavo veramente preoccupando, perché quei due facevano veramente paura. Avevano uno sguardo vacuo che metteva i brividi.
Dolce, visibilmente spaventata, si avviò dietro di loro torturandosi le mani. Uriè e Miki le diedero un abbraccio di conforto e noi, visto che non potevamo avvicinarci, le rivolgemmo delle occhiate incoraggianti. Lei si tranquillizzò un po’ quando vide che eravamo tutti li a sostenerla e, più sicura, si avviò dietro ai due stoccafissi. Le porte si richiusero dietro di lei con un tonfo sordo come quello dei film horror. Sperai che non fosse un brutto presagio.
«brutti vigliacchi!», sbottai una volta tornati in mensa, dando un pugno a un tavolo. Erano proprio degli stronzi, loro e il loro dipartimento del cavolo.
Gli altri mi guardarono stupiti, «che ti prende Sulfus?», mi chiese Kabalè, che mi conosceva meglio di qualunque altro.
«c’è che sono dei fottutissimi bastardi! Non avete notato che, per iniziare, hanno preso il più debole di noi?», domandai loro in una domanda retorica. Tutti sbiancarono quando si resero conto che quello che avevo detto corrispondeva al vero, «si sono subito accorti che Dolce era la più agitata di tutti, perciò era anche la più debole psicologicamente. L’hanno presa per prima perché sanno che lei è quella con più possibilità di tradirsi. Sono degli stronzi perché non hanno avuto le palle per affrontare qualcuno in grado di tener loro testa!», sbraitai incazzato. Sapevo che l’avrebbero torturata per bene e questo mi faceva andare in bestia perché sapevo che Dolce era la più fragile emotivamente e, forse, non avrebbe retto. Se avesse ceduto sarebbe stata la fine per noi e per Raf, che avrebbero lasciato allo sbaraglio.
Non ci muovemmo dalla sala mensa per tutto il tempo dell’interrogatorio di Dolce. C’era chi stava seduto fissandosi le mani, come Gas, chi invece cercava di distrarsi con una partita a carte come Kabalè, Uriè e Cabiria. Io e Miki invece sembravamo degli animali in gabbia; camminavamo avanti e indietro per tutta la mensa, lanciando ogni tanto occhiate al corridoio, sperando di veder arrivare Dolce che ci dicesse che era tutto apposto. Quando i nostri occhi si incontravano, leggevo nei suoi la stessa rabbia che c’era nei miei, lo stesso senso di impotenza quando pensavamo che una delle nostre amiche era sotto torchio da quegli animali. Dolce non era propriamente l’angel con cui avevo legato di più, ma ero comunque preoccupato per lei; i sempiterni di quel dipartimento erano noti per la loro ferocia, perché puntavano sempre a cercare il colpevole delle sparizioni fra le persone più vicine alla vittima, convinti che, visto che non avevamo nemici, i colpevoli si nascondessero per forza tra quelli della nostra stessa specie, in primis fra le più strette conoscenze. Per questo i loro interrogatori erano estenuanti, cercavano di minare la psicologia del sospettato per far si che si tradisse da solo. Ovviamente noi non centravamo niente con la sparizione di Raf, lei se ne era andata di sua spontanea volontà, ma avevamo qualcosa di altrettanto importante da proteggere; la nostra amicizia e la mia relazione con lei.
Sentimmo dei passi e subito tutti ci voltammo; Dolce veniva verso di noi con passo malfermo e sguardo basso. Chi era seduto si alzò per raggiungerla, mentre io e Miki, già in piedi, eravamo già al suo fianco.
«Dolce, Dolce, tutto ok?», le chiese Miki scuotendola per le spalle, visto che lei si era fermata e non accennava a reagire. Alzò gli occhi. Mi impietrii; aveva lo sguardo vacuo e pieno di lacrime. All’improvviso vacillò e io, prontamente, l’afferrai prima che si schiantasse al suolo. Miki subito mi si affiancò e la sostenne dall’altro lato. La portammo a sedere e lei si accasciò tremante sulla sedia, scoppiando a piangere convulsamente. Uriè subito si sedette di fianco a lei e la strinse a se per confortarla. Una rabbia cieca mi invase; che cosa le avevano fatto per ridurla in quel terribile stato? Era atroce vederla in quello stato, lei che era sempre stata quella più allegra, solare e piena di vita.
«Dolce rispondimi», dissi scuotendola per le spalle, cercando di essere delicato, ma la rabbia in corpo era tanta, «che ti hanno fatto quei bastardi? Cosa è successo in quella stanza?», le chiesi, non sapendo se volevo saperlo o meno.
«quelle non sono delle persone sono delle bestie», disse singhiozzando sulla spalla di Uriè, che le accarezzava la testa, «mi hanno fatto tante di quelle domande che ho perso il conto. Mi hanno persino chiesto se avessi un motivo per voler uccidere Raf», continuò singhiozzando talmente tanto che temetti le potesse venire un infarto.
Mi rialzai e mi voltai dall’altra parte, i pugni serrati, per non far vedere il mio viso trasfigurato dall’ira. Come potevano essere così stronzi? «bastardi!!!», urlai, e rovesciai un tavolo della mensa, preda della rabbia più folle. Quelli sono mostri. Non persone.
Kabalè mi mise la mano sulla spalla, in una muta richiesta di controllo e comprensione. Respirai a fondo, premendomi le mani sulle tempie, e mi calmai. «chi è il prossimo che deve andare sotto torchio?», le chiesi.
Lei ci fissò ad uno ad uno e, infine, si fermò su Gas, «adesso tocca a Gas», disse con voce tremante. Il secondo più debole; ancora più vigliacchi.
Gas, visibilmente tremante, si apprestò ad andare, ma io lo presi per un braccio, «non farti intimorire Gas. Loro stanno prendendo per primi i più deboli per instillare la paura dentro di noi. Non ti far intimorire da loro», gli dissi guardandolo negli occhi per cercare di infondergli un po’ di coraggio che sicuramente gli mancava dopo aver parlato con Dolce.
Lui mi fissò, poi raddrizzò la schiena e mi sorrise più determinato. Finalmente incoraggiato, andò a passo di carica verso la stanza del tracciatore. Speravo che lui non si facesse intimorire da quella specie di amebe e che facesse capire loro che anche noi potevamo essere terribili se volevamo.
Restammo in mensa per tutto il tempo degli interrogatori. Dopo Gas, fu la volta di Miki, che tornò soddisfatta di se stessa. Conoscendola aveva fatto il diavolo a quattro e aveva fatto mangiare loro la sua polvere. Dopo Miki andò Cabiria che tornò leggermente più bianca ma che tutto sommato poteva ritenersi soddisfatta. Poi fu il turno di Uriè, che tornò furibonda, dicendoci che non solo l’avevano accusata di aver ucciso Raf, ma anche di aver nascosto il suo cadavere per evitare che lo rintracciassero. Gliene aveva dette talmente tante che, in quel momento, sospettai che avesse origini devil visto il ricco e fantasioso vocabolario a cui si era lasciata andare, un vocabolario che faceva invidia perfino al mio.
A seguire andò Kabalè che tornò con l’espressione sconvolta e arrabbiata; ci disse che l’avevano accusata di essere in combutta con Reina e che l’aveva aiutata a vendicarsi di Raf. Io ero sempre più furibondo; come si permettevano di insinuare simili sciocchezze? Erano un insulto non solo per me ma anche per le amiche di Raf, che la conoscevano da una vita. Sicuramente essere accusate di averla uccisa doveva essere stata per loro l’insulto peggiore.
Ormai mancavo solo io. Sapevo che mi avevano tenuto per ultimo perché ero il più determinato emotivamente, anche se non sapevano il motivo. Io si invece; avrei lottato con tutte le mie forze per proteggere il nostro amore da quegli avvoltoi.
Tutti si voltarono verso di me, preoccupati dalla piega che avevano preso gli eventi. Io li guardai tutti in volto uno per uno; avevano tutti fatto la loro parte, nessuno si era tradito e ora mancavo solo io. Nonostante la rabbia mi imposi di fare l’indifferente, esattamente come voleva il mio personaggio, e mi avvia verso una delle prove più difficili della mia vita.
 
Non seppi per quanto tempo rimasi li dentro a rispondere alle loro domande. Fatto sta che quando uscii ero a metà tra lo sconvolto e il soddisfatto. Sconvolto perché avevo finalmente capito cosa avesse turbato tanto gli altri; ti mettevano in una condizione di stress psicologico che faceva paura perfino ad un devil, figuriamoci cosa potevano aver provato le angel in una situazione del genere. Provai un’immensa pena per tutto quello che avevano dovuto sopportare li dentro.
Poi ero soddisfatto perché avevo superato me stesso; ero riuscito a rimanere totalmente impassibile ed a rispondere alle loro domande a trabocchetto senza tradirmi o rivelare dettagli compromettenti. Perfino quando avevano dato a Raf della sgualdrina ero riuscito a trattenermi, anche se era stato veramente difficile. L’unica cosa che era riuscita a fermarmi dall’ucciderli era stato pensare che se avessi reagito, avrei mandato tutto a puttane. Perciò, con un notevole sforzo che non era trasparito dai miei occhi, avevo fermato il mio immenso desiderio di spaccare a quelle specie di amebe la faccia.
Quando tornai in mensa non trovai nessuno ad aspettarmi. Mi accigliai; strano dove erano finiti? Avevano detto che mi avrebbero aspettato lì, dove erano andati a finire?
Pensai a tutti i posti possibili in cui potevano essere e decisi di provare in aula presidenza. Non potevano essere spariti tutti insieme, se lo avevano fatto dovevano essere per forza in un luogo comune.
Quando arrivai vicino all’aula presidenza, comincia a sentire delle voci. Preso da non so cosa, decisi di non entrare ma di fermarmi a origliare. Appoggiai un orecchio alla porta e mi preparai ad ascoltare la conversazione.
Sentii da subito che erano agitati, i toni di voce erano parecchio, «ma non possiamo farlo!», stava urlando in quel momento Kabalè, «se gli facessimo una cosa del genere ce l’avrebbe con noi a vita. E io gli darei ragione!», sbottò e sentii un palmo sbattere contro un tavolo. Doveva essere parecchio arrabbiata. Ma cosa più importante, di che stavano parlando?
«Kabalè», questa invece era la voce di Uriè, «sai meglio di me che è necessario. Volente o nolente lo dobbiamo portare via da qui. Se restasse potrebbe impazzire dal dolore», le disse con voce preoccupata ma allo stesso tempo autorevole.
«io sono d’accordo con Uriè», confermò Dolce. «anche io», ribattè Cabiria con voce meno sicura ma altrettanto risoluta.
«secondo me invece ci odierà a morte», disse Miki, schierandosi così dalla parte di Kabalè, «non possiamo obbligarlo ad andarsene se non vuole. Se vuole restare allora vuol dire che è in grado di gestire la situazione. Se lo portassimo via senza il suo consenso ce lo rinfaccerà per tutta la vita. È normale che non voglia staccarsi da questo luogo; per lui è troppo importante», concluse con un sospiro.
«cercate di ragionare», disse una voce profonda di uomo. Stupito, riconobbi il professor Arkhan, «se restasse qui il dolore lo distruggerebbe. Lui pensa di poterlo gestire ma non si rende ancora conto che non può. Non riuscirà mai a resistere se rimane qui», concluse. Ma di che diavolo stavano parlando? Anche se il contesto delle loro affermazioni, mi stava portando a pensare che l’oggetto delle loro discussioni fossi io.
«per una volta concordo con te, collega», continuò, con mia ulteriore sorpresa la voce della Temptel, «non è saggio farlo rimanere qui, gliela ricorderebbe troppo».
«quindi siamo tutti d’accordo?», chiese Uriè che, a quel punto, qualunque fosse la sua idea, aveva la vittoria in mano.
Tutti risposero di sì in coro. Sentii delle sedie spostarsi e capii che la loro seduta era finita. Mi incuriosii; cosa poteva esserci di così importante che non potevo venirne a conoscenza. Stavo per allontanarmi, per evitare che mi beccassero, quando udii una frase che mi lasciò completamente spiazzato, «quindi siamo d’accordo», disse Arkhan, «le angel rimarranno qui per coordinare le ricerche, mentre i devil torneranno a Zolfanello e porteranno Sulfus con loro. È la scelta più salutare per tutti», concluse.
Che cosa?! Come potevano credere che io sarei partito senza averla prima ritrovata? Non mi sarei mosso da lì per niente al mondo. «NON CI PENSATE NEANCHE!!!», urlai fuori di me, entrando come un toro inferocito in sala presidenza, «io non me ne vado da qui chiaro? Voi non potete obbligarmi ad andarmene!», urlai fuori di me dalla rabbia.
Tutti mi guardarono stupiti e spaventati perché il loro piano era andato in fumo, «Sulfus ti prego, cerca di ragionare», mi disse Uriè con aria supplichevole avvicinandosi a me, «restare qui non sarebbe salutare per te. questi luoghi ti ricorderebbero troppo Raf, dopotutto è in questo luogo che è iniziata ogni cosa. Se rimanessi qui verresti logorato dal dolore per la sua perdita e ti ridurresti a un fantasma. È questo che vuoi? Quando Raf tornerà, credi che vorrà trovare un zombie al suo ritorno? Io non credo», concluse, con l’aria di una so tutto io che mi fece andare ancor più fuori dai gangheri.
«ora non tirare in ballo Raf!», urlai, la sua ultima affermazione era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso, «non cercare di rivoltarmi contro i miei stessi pensieri! Non intendo muovermi dalla terra, e spero di essere stato chiaro!», sbraitai al limite della sopportazione, guardandoli in volto uno per uno.
Uriè si scambiò un’occhiata con Cabiria che non riuscii a interpretare, prima che la devil si avvicinasse a me con un’espressione di scuse in volto, «scusami Sulfus. Ma è per il tuo bene», mi disse guardandomi negli occhi. Capii all’istante cosa voleva fare, ma ormai era troppo tardi.
«Hypnosis», disse Cabiria fissandomi negli occhi. Cercai di resistere al suo potere, ma era impossibile. Il suo controllo sulla mia mente era ferreo. Perciò, impotente, non potei non assecondare gli ordini di Cabiria e partire quello stesso pomeriggio con loro per Zolfanello.
 
Una settimana dopo
Era ormai passata una settimana da quando ero tornato a Zolfanello city contro la mia volontà. E stavo sempre peggio ogni giorno che passava; la consapevolezza che le angel erano rimaste sulla terra a cercarla mi riempiva il cuore di amarezza e di rabbia. Avevo cercato più volte di sgattaiolare via fino alle porte interdimensionali di collegamento con la terra, ma c’era sempre qualcuno che mi controllava, e alla fine avevo rinunciato. Avevo ripreso a parlare con gli altri dopo i primi giorni di mutismo, consapevole che quello che avevano fatto, lo avevano fatto solo per aiutarmi.
Le mie giornate passavano monotone. Stavo sempre in casa, alternando tv e playstation, ingozzandomi di schifezze varie. Cercavo di affogare i miei dispiaceri nel cibo, ma sapevo che non era la soluzione giusta. Infatti ogni mattina, quando la città era deserta, andavo a correre al parco cittadino per tenermi in forma. Poi a casa sfruttavo la mini palestra che avevo in camera per fare allenamento senza dover uscire. Non ero ancora pronto per affrontare il mondo di fuori.
La prima sera di ritorno, avevamo scoperto che i nostri genitori avevano organizzato una festa per celebrare il nostro diploma. Ero stato costretto ad andarci, ma non mi ero divertito nemmeno un po’. Quando una devil ci aveva provato con me, avevo pensato di adottare la classica teoria del chiodo scaccia chiodo; così ci ero stato ma, quando aveva cercato di baciarmi, l’avevo respinta, disgustato sia da lei che da me stesso per aver anche solo pensato di tradirla. Dopo, me ne ero subito tornato a casa, infuriato come non mai.
C’era un altro motivo per cui non uscivo di casa. Quel poco che ero stato fuori, ero stato preda di battutine e frecciatine di tutti i devil della città per il sacrilegio mio e di Raf e, quando uno più audace degli altri aveva dato a Raf della zoccola angelica, non ci avevo visto più; gli ero saltato addosso e lo avevo massacrato di botte. Probabilmente avrei finito con l’ucciderlo se Gas, Cabiria e Kabalè non mi avessero trattenuto in tempo. In compenso, dopo una settimana, era ancora in prognosi riservata all’ospedale. Quindi io non uscivo di casa non perché avessi paura dei commenti degli altri devil, ma perché avevo paura di saltare addosso a qualcun altro se questo qualcun altro avesse fatto volare una parola di troppo.
In quel momento ero a casa, seduto di fianco al mobiletto del telefono, sperando e pregando che mi arrivasse una telefonata dalla angel che mi facesse sperare in qualcosa. Infatti le angel avevano promesso che, se avessero avuto notizie importanti, io sarei stato il primo a saperlo. E passavo anche giornate intere accanto al telefono, aspettando una telefonata che non arrivava mai.
Sentii un rumore di tacchi avvicinarsi e Kabalè mi posò una mano sulla spalla, «Sulfus», mi disse con voce triste e incerta; sapevo quanto stesse male a vedermi così, io che avevo sempre avuto la fama di peggior diavolo di Zolfanello city, «dovresti andare a riposarti un po’. È da stamattina che stai attaccato al telefono; sarai stanco vatti a riposare», mi pregò con voce rotta. Sapevo che i miei amici stavano male a vedermi ridotto così, ma proprio non riuscivo a reagire, perché semplicemente non ne avevo la forza.
Scossi la testa in segno di diniego, deciso più che mai a non muovermi di lì finchè quella telefonata non fosse arrivata, perché non volevo nemmeno prendere in considerazione l’ipotesi che non l’avrei mai ricevuta. Lei scosse la testa, esasperata, «andiamo Sulfus, non puoi continuare così. Devi reagire in qualche modo, non puoi smettere di vivere. Fallo anche per lei; voleva che tu andassi avanti, non privarla del suo ultimo desiderio», mi chiese supplichevole.
Quelle parole mi fecero più male di un ago conficcato nel cuore, «come posso dimenticare Kabalè? Come?!», urlai, scoppiando a piangere. Non avevo più versato una lacrima e ora il dolore di tutta la settimana premeva per uscire, «come mi potete chiedere di dimenticarla? Lei è la mia vita, non posso e non voglio scordarmi di lei. È stata lei che mi ha fatto assaporare la vera felicità e mi ha chiesto di dimenticare tutto quello che abbiamo passato insieme. Ma io non posso capisci? Non posso…», le dissi singhiozzando, prendendomi la testa tra le mani.
Kabalè teneramente mi abbracciò, facendomi posare il capo sul suo petto, «nessuno ti chiede di dimenticare Sulfus», mi disse con voce dolce, «ma devi imparare a convivere col tuo dolore, perché altrimenti non riuscirai mai a tirarti fuori dall’abisso nel quale sei precipitato».
Forse aveva ragione ma, in quel momento, non ne avevo la forza. Il dolore era ancora troppo vivo per permettermi di andare avanti e neanche io volevo ancora dimenticare tutto quello che era successo tra noi. Mi staccia lentamente da quell’abbraccio, «vado a farmi una doccia», le dissi mesto e lei mi sorrise.
Mi alzai un po’ malfermo sulle gambe, ero rimasto seduto per tutta la mattinata e per buona parte del pomeriggio, e ora avevo le gambe parecchio indolenzite. Mi avviai su per le scale, diretto al bagno privato di camera mia. Avevo decisamente bisogno di rilassarmi. Mi chiusi la porta alle spalle, mi spogliai e mi infilai sotto la doccia.
Ci rimasi per moltissimo tempo, sentendo il calore dell’acqua scivolare sul mio corpo, quel calore che mi ricordava tantissimo lei. Sospirai e, finalmente, dopo chissà quanto tempo, chiusi l’acqua. Presi l’asciugamano nero che avevo appoggiato li e me lo misi intorno alla vita, frizionandomi i capelli con un altro.
Stavo per uscire dal bagno per andare a vestirmi quando la porta si spalancò, facendo entrare una Kabalè tutta trafelata. Per poco non morii d’infarto e ringraziai il cielo che non fosse entrata dieci secondi prima, altrimenti mi avrebbe visto come mamma mi aveva fatto.
«Sulfus!», urlò lei, una luce vivida negli occhi e un sorriso a trentadue denti in faccia, un sorriso che non avevo più visto dopo la sua partenza, «hanno chiamato le angel! È comparsa la traccia angelica di Raf! Sono riuscite a rintracciarla!», urlò tutta contenta e io mi pietrificai. Che cosa?! L’avevano trovata? Allora io potevo…
Non finii nemmeno di formulare il pensiero che mi ero già fiondato in camera mia a vestirmi. Non avevo intenzione di perdere un secondo di più. Stavo per togliermi l’asciugamano dalla vita, quando Kabalè mi fermò, «ahhhhhh Sulfus che fai?! Fermo che sotto sei nudo!», urlò voltandosi all’istante verso la porta.
Arrossii di botto; preso dalla foga del momento mi ero dimenticato di quel piccolo particolare, «beh e allora esci!», sbottai spazientito. Non avevo intenzione di perdere del tempo.
Lei alzò gli occhi al cielo e si precipitò fuori, probabilmente per andare ad avvertire Cabiria e Gas. Io continuai quello che stavo facendo prima e in pochissimi secondi fui pronto. Mi fiondai fuori dalla mia camera e scesi le scale come un razzo, quasi scontrandomi con Kabalè che le stava salendo, «ah bene, sei pronto, gli altri sono già qui, andiamo», mi disse prendendomi per un braccio e trascinandomi fuori. In strada Cabiria, Gas e la professoressa Temptel ci aspettavano. Mi accigliai; che ci faceva la prof qui?
«prendete questo», ci disse allungandoci un foglio arrotolato su se stesso con un sigillo rosso, «è un diablogramma urgentissimo, un lasciapassare che vi consentirà di accedere direttamente alle porte senza dover aspettare il vostro turno. Passerete come gruppo prioritario di emergenza», ci spiegò. La ringraziai con lo sguardo; sapevo che i permessi erano difficili da ottenere ma lei era una delle poche persone che poteva emanarne uno e ce lo aveva dato. Non le sarei mai stato grato abbastanza.
Ci alzammo velocissimi in volo diretti alla piazza delle porte. «dove è stato ritrovato il segnale?», chiesi a Kabalè. Se volevamo andare sulla terra, dovevamo anche sapere la destinazione, altrimenti le porte non avrebbero potuto fare granchè.
«la traccia angelica di Raf è comparsa all’improvviso nel centro di Atene», mi disse lei, lasciandomi sbigottito. Che diavolo ci faceva Raf ad Atene? E soprattutto, come aveva fatto ad arrivarci?
Rimandai quelle domande a dopo, eravamo arrivati in piazza. Ci lanciammo davanti alla fila di devil che aspettavano il loro turno, scatenando le proteste piuttosto colorito della maggior parte di loro.
Mostrai subito al controllore delle porte il permesso speciale firmato dalla professoressa Temptel e subito lui scansò malamente dalla porte una devil che stava per effettuare il passaggio. Strepitò indignata ma poi si fece da parte, «destinazione?», ci chiese con professionalità.
«il centro di Atene», gli dissi, scalpitando per poter andare.
Lui subito smanettò con i controlli della porta e, all’istante, i battenti si spalancarono, irradiandosi di luce rosso sangue. Il controllore ci diede il via e subito ci gettammo dentro al varco tutti insieme. Fu come passare in un frullatore, esattamente come la prima volta.
Un flash e, bum, eccoci nel centro di Atene, dove delle persone correvano terrorizzate da una parte all’altra. Ma che stava succedendo? Notai che sembravano scappare da un punto preciso.
«ma che diavolo sta succedendo?», chiese Cabiria, svolazzando sulle teste dei terreni che correvano impazziti. Come per rispondere alla sua domanda, un enorme boato ci sorprese, facendo tremare tutta la terra. Ci guardammo stupiti, ma prima che potessimo avviarci verso la fonte del rumore, un flash di luce bianca ci colpì e le angel apparvero svolazzanti di fianco a noi.
«ragazzi!», urlarono in coro, sorridendo. Sorridemmo loro, felici di rivederle. Poi si voltarono e fecero scorrere lo sguardo sulla folla impazzita che scappava da non si sa cosa, «ma che accidenti sta succedendo?», chiese Miki, confusa quanto noi.
«non lo sappiamo, siamo arrivati adesso anche noi», le dissi, «ma poca abbiamo sentito un boato e…», non feci in tempo a finire che un secondo scoppio ci fece battere i denti. Era più vicino di prima.
«Sulfus», mi chiamò Uriè guardandomi negli occhi, «il tracciato dei poteri di Raf indicava che l’utilizzo dei suoi poteri era sicuramente a scopo bellico», mi disse guardandomi terrorizzata negli occhi. Gelai. Se Raf stava usando i suoi poteri per combattere allora voleva dire solo una cosa; che era in pericolo e che solo raggiungendo la fonte del rumore avremmo potuto arrivare a lei.
«andiamo!», urlai, e mi lanciai velocissimo verso la fonte di quei tremendi scoppi. Tutti e sette ci avviamo volando velocissimi e, quando fummo all’altezza giusta, cioè poco sopra i tetti dei palazzi, ci si presentò a nostri occhi uno spettacolo orribile; un’orda di almeno una dozzina di uomini stava attaccando una persona, che svolazzava in qua e in la cercando di difendersi. Subito ci avvicinammo e da vicino la situazione sembrava ancora più strana; quello era un esercito formato sia da angel che da devil. Sembravano addestrati perfettamente all’arte della guerra e capimmo che la persona che stavano attaccando non avrebbe retto per molto. Quasi svenimmo quando ci rendemmo conto che l’angel che stava combattendo era proprio Raf; un lungo taglio lungo lo zigomo e il corpo pieno di fuliggine facevano capire che non avrebbe retto per molto.
Strinsi i pugni e urlai il suo nome, «RAAAAAAAAAAAAAAAAF!!!». Lei subito si voltò, riconoscendo la mia voce. Mi fissò con occhi pieni di lacrime, occhi stupiti e segnati dal dolore. Vedevo dal suo sguardo quanto dolore le corrodesse l’anima. Non avevo bisogno di altre conferme; ora sapevo che lei soffriva quanto me per la nostra lontananza.
Troppo tardi mi resi conto però, di aver fatto un errore imperdonabile. Approfittando della sua distrazione, quello che sembrava il capo, un devil dalle ali e le corna nere, le scaglio addosso una palla di energia. «Raf, attenta!», urlai come un disperato, volando velocissimo verso di lei, cercando di arrivare in tempo.
Raf si voltò troppo tardi per proteggersi e la palla di energia la colpì in pieno. Uno forte boato e vidi Raf venire sballottata via, cadendo come un masso verso terra. Tutti ci precipitammo dietro di lei; si schiantò con violenza contro il muro di una casa abbattendolo. Ci infilammo nel varco aperto dallo scontro proprio mentre sentivamo l’esercito battere in ritirata, «andiamocene presto! Sono arrivati! Via, tutti via, ritirata!», urlarono per poi sparire in uno sbuffo di fumo.
Ci infilammo nel varco, il pavimento coperto di detriti. Mi guardai intorno disperato e la vidi; svenuta, semi coperta dalle macerie, un taglio profondo in testa e uno squarcio sul braccio.
«NO!», urlai, fiondandomi su di lei, scostando i pochi calcinacci che la ricoprivano e prendendola tra le braccia. «RAF NON MI LASCIARE, MI HAI CAPITO?! NON OSARE NEMMENO PROVARCI, NON ADESSO CHE TI HO RITROVATA!», urlai scuotendola come impazzito.
La speranza sembrò rinascere dentro di me quando aprì debolmente gli occhi per puntarli su di me, «Sulfus», sussurrò, la voce e gli occhi pieni di lacrime.
«si amore mio, sono qui, sono qui», le dissi, accarezzandole freneticamente il volto con una mano, «ora pensa solo a riposarti, ci sono io con te».
«fa male», sussurrò cercando di muoversi, senza successo. Mi accorsi con orrore che doveva avere parecchie ossa rotte. L’impatto era stato molto violento.
«shhhh tranquilla piccola, non sforzarti, ora ti porto subito in ospedale», le dissi, mentre lacrime di impotenza scendevano sul mio viso. mi sentivo inutile a vedere Raf soffrire e non poter fare niente per farla stare meglio.
Lei sorrise debole, un sorriso dolce e pieno d’amore, un sorriso solo per me, e all’improvviso, chiuse gli occhi. Il capo reclinò di lato e la mano che avevo preso nella mia scivolò sul terreno. Sentii il suo cuore balbettare, stava emettendo gli ultimi singhiozzi prima di spegnersi per sempre. Mi pietrificai sul posto. No, no, non adesso!!!
«NO, CAZZO RAF, NO!!!», urlai sentendo tutti gli altri singhiozzare alla vista di Raf morente, «NON PROVARE NEMMENO A LASCIARMI, CAPITO?! CONTINUA A COMBATTERE! NON SMETTERE DI COMBATTERE!!!», continuai, supplicandola di non lasciarmi da solo. Le lacrime scendevano senza fermarsi sul mio viso. Ma non c’era niente da fare; Raf si stava spegnendo fra le mie braccia e io non potevo fare niente per impedirlo.
Decisi che dovevo tentare il tutto per tutto. C’era ancora una possibilità per salvarla, una rimedio che aveva già funzionato una volta e che poteva funzionare ancora. Raccolsi tutte le forze in mio possesso e urlai, «RECOVER!!!», sparando l’energia guaritrice all’interno del corpo di Raf. Le scintille l’avvolsero, mentre sentivo gli altri trattenere il respiro per la scoperta di questo mio nuovo potere.
Sapevo che l’energia guaritrice prendeva forza dall’energia del soggetto che utilizzava quel potere. Perciò quando sentii le forze lentamente scemare non mi preoccupai, anche se mi stava togliendo più energia del previsto. Mi accigliai; era come se stessi emettendo energia per due persone anziché per una, e la cosa era assai strana. Relegai quei pensieri in fondo alla mia mente, non era certo quello il momento di pensarci.
Quando stavo per svenire, il flusso si interruppe. Fissai Raf con il cuore in gola; i tagli erano spariti, ma non decideva dei danni interni. Passarono alcuni interminabili istanti in cui l’ansia sembrò volermi uccidere ma poi, con lentezza, vidi gli occhi di Raf aprirsi. Si guardò intorno spaesata per poi soffermarsi su di me. I suoi occhi prima stupiti e poi dolci sembrarono ridarmi la vita, quella vita che avevo perso nell’ultima settimana.
Senza resistere oltre, la strinsi a me nella più soffocante delle prese, singhiozzando come un disperato sulla sua spalla. La paura, il dolore e l’angoscia uscirono fuori in quel pianto, ma fra quelle lacrime di dolore vi erano anche quelle di felicità, felicità perché finalmente era di nuovo con me, fra le mie braccia. Anche lei non si risparmiò e mi strinse a se con tutta la forza che aveva, facendo scorrere calde lacrime sulle sue guance.
Gli altri scoppiarono in urla di giubilio, saltellando felici per la stanza e abbracciandosi. Ma io non ci badai. Ero troppo concentrato a sentire le braccia di Raf intorno al mio collo, a odorare il suo profumo di fiori che mi entrava prepotente nelle narici, a gustare il piacere di sentire le sue labbra pronunciare il mio nome come una litania infinita. Dio, quanto mi era mancata!
Mi staccai da lei e le presi il volto tra le mani in una presa ferrea, appoggiando la mia fronte alla sua. Lei teneramente mi passò le mani sulle guance e sulle labbra, cancellando dolcemente i segni delle lacrime dal mio viso, lacrime che però continuavano a scendere. Non ce la feci più; in quel momento avevo anche un altro bisogno che volevo assolutamente soddisfare. Feci scontrare le nostre labbra in un bacio che sarebbe stato da dichiarare proibito; ci baciammo quasi con violenza tanta era la passione che ci dilaniava, stringendoci l’una all’altro come degli assetati, anche se in effetti era proprio così. Eravamo entrambi assetati di quelle labbra, che non si toccavano da troppo tempo.
La sua lingua trovò la mia e si intrecciarono in una danza che sembrava non avere mai fine. Il fuoco si divulgò per le mie membra, scacciando il gelo che le aveva dominate da quando lei mi aveva lasciato. Pura lussuria vagava nel mio corpo, pura voglia di stringerla a me, di sentire le sue labbra e il suo corpo sul mio, di sentirla mia ancora una volta.
Quando l’aria cominciò a mancare nei miei polmoni mi staccai da lei, che mi guardava negli occhi con la stessa luce che sapevo che animava i miei. Le mie mani non smettevano di accarezzare ogni parte del suo corpo, le mani, le braccia, il corpo, le gambe… volevo tutto di lei.
«perché?», sussurrai angosciato, «perché te ne sei andata?», le chiesi in un sussurro appena udibile da un orecchio umano.
Lei sussultò e i suoi occhi si fecero tristi, «io…», cominciò, mentre due lacrime si facevano strada sul suo volto. Cos’era di così terribile? Tutti gli altri si erano fatti intorno a noi per ascoltare la risposta di Raf. Lei mi fissò negli occhi e vi lessi dentro grande dolore, «scusami. Scusami tanto. Ti amo, non dimenticarlo mai», mi sussurrò, stringendo le mani sulla mia maglia.
Io la fissai interrogativa; che voleva dire. All’improvviso la vidi concentrarsi e capii cosa voleva fare. «no Raf!!!», urlai, troppo tardi però.
Raf disse, «Think fly!», e all’istante una nube di incoscienza ci avvolse come una nuvola, facendoci dimenticare il nostro incontro con lei.
 
Mi risvegliai bruscamente. Che ci facevo lì? Di fianco a me, i miei amici giacevano esanimi sul pavimento. Ma che diavolo era successo? Poi ricordai; la partenza per Atene, la battaglia, la figura di Raf che scappava senza che io potessi raggiungerla perché troppo impegnato a difendermi. Ricordavo solo un palla di energia che si abbatteva su di noi e sempre noi che volevamo a terra sfondando il muro. Poi un flash, un barlume talmente fioco che sembrava l’avessi sognato anziché vissuto realmente; rammentai che prima di svenire, avevo sentito le sue labbra posarsi sulle mie. Era accaduto davvero? O me lo ero solo immaginato? Probabilmente non avrei mai trovato la risposta.
Gli altri, con sonori gemiti, si tirarono su, «ma che è successo?», chiesero Kabalè e Uriè in coro, frastornate tanto quanto me.
«di nuovo», singhiozzai distrutto, cadendo in ginocchio tra i calcinacci, «se ne è andata di nuovo!», urlai, sbattendo un pugno per terra. Un dolore lancinante mi fece ricordare che le mie nocche non erano ancora del tutto guarite, prima di sprofondare nel buio dell’incoscienza.
 
Due mesi dopo
Eravamo tornati a Zolfanello con la coda tra le gambe. Ancora una volta le angel erano rimaste sulla terra, mentre noi eravamo tornati indietro. Avevo ripreso ad allenarmi in casa e ad aspettare una telefonata che, dopo altri due mesi, non era ancora arrivata.
Stavo ormai perdendo le speranze. E cosa più importante, rischiavo di impazzire; stare sempre chiuso in casa mi stava facendo diventare matto, dovevo trovare qualcosa da fare se volevo evitare di spaccare qualcosa. Ormai potevo farlo, le nocche erano completamente guarite.
Stavo per raggiungere il limite quando, come una manna dal cielo, arrivò la soluzione a tutti i miei problemi. O almeno della maggior parte. Sia a me che a Cabiria, Kabalè e Gas arrivò una lettera dalla Golden School, nella quale i professori ci chiedevano di tornare sulla terra come aiuto insegnanti, visto che la scuola stava per ricominciare. La nostra fama era cresciuta moltissimo dopo lo scontro con Reina, averci come insegnanti avrebbe dato un ottimo esempio agli allievi, per non parlare del fatto che saremmo potuti essere loro molto utili; avevamo sviluppato ottime arti di combattimento, molto di più dei normali stagisti e, oltretutto, essendo neo diplomati, avevamo ancora la mentalità giusta per interagire con i nuovi studenti e dar loro ottimi consigli.
Il problema era se io ero pronto ad affrontare i miei demoni e tornare in quel luogo in cui tutto era cominciato. Sapevo già la risposta; non aspettavo altro che farlo.
 
Partimmo tutti insieme il pomeriggio dello stesso giorno. Ci saremmo incontrati con le angel, anche loro lì per il nostro stesso motivo, e poi avremmo dovuto raggiungere i professori e i nuovi stagisti in aula sfida. Salimmo tutti sull’auto sfera, sotto gli sguardi orgogliosi di tutta Zolfanello city e, finalmente, partimmo per raggiungere la scuola. Mi faceva uno strano effetto fare quel percorso non più da stagista ma da insegnante.
Il caos nell’autosfera era insopportabile per la mia povera testa, perciò infilai nelle orecchie l’ipod, chiusi gli occhi e reclinai la testa all’indietro.
All’improvviso mi sentii scuotere la spalla e sobbalzai. Vidi Kabalè che mi guardava divertita, «forza dormiglione, siamo arrivati», mi disse, intimandomi di scendere. Capii di aver dormito per tutto il viaggio. Che figura! E l’ipod si era pure scaricato. Accidenti che bell’inizio anno, proprio da sballo.
La scostai in malo modo, presi la mia borsa da viaggio e scesi dall’auto sfera. Subito l’aria frizzante della terra mi colpii le narici riportandomi indietro nel tempo. Quando ero arrivato per la prima volta da semplice stagista, elettrizzato per l’imminente stage e pieno di aspettative per il futuro. La prima volta che avevo visto… lei.
Scossi la testa, bruscamente impedendomi di pensarci. Gli altri mi raggiunsero e ammirammo davanti a noi uno spettacolo che credavamo di non poter vedere mai più: la Golden School. Sorridemmo insieme, felici di essere tornati.
«i ricordi rapiscono, vero?», ci disse una voce che conoscevamo bene. Ci voltammo e vedemmo Uriè, Dolce e Miki ferme a pochi passi da noi, i loro trolley in mano. Anche se Dolce ne aveva due più la borsa a tracolla. Erano tornate ad Angie town un mese dopo che il dipartimento aveva sospeso le ricerche di Raf.
«ciao ragazze!», urlarono, Kabalè e Cabiria, correndo verso le angel. Si abbracciarono tutte e cinque in un intreccio affettuoso.
«ehi zuccherini alati!», urlò Gas correndo ad abbracciarle tutte e cinque insieme, stritolandole nel suo abbraccio da orso.
«Gas, mettici subito giù!», urlavano insieme, mezze arrabbiate e mezze divertite. Andai in loro soccorso, aiutandole a liberarsi. Quando furono a terra, assistemmo alla scena più comica del mondo; Miki che rincorreva Gas colpendola in testa con la sua stessa borsa da viaggio, intimandogli di non provare mai più a chiamarli zuccherini alati. Era da tempo che non mi sentivo così bene. Era proprio vero che l’affetto era la miglior cura.
Ci avviammo verso l’aula sfida, lasciando le borse in corridoio davanti alla porta. Bussammo e sentimmo le voci agitate degli studenti zittirsi subito.
«devono essere arrivati», disse la Temptel, «venite pure vi stavamo aspettando», ci urlò da dentro, e noi spalancammo la porta, entrando in aula sfida.
Davanti a noi i professori ci fissavano con affetto, mentre una quarantina di stagisti, venti devil e venti angel, ci fissavano senza fiato. Ci portammo di fianco ai prof. Vedevo già alcune devil sbavarmi dietro. Non che avessi intenzione di dar loro corda.
«bene ragazzi», iniziò il professor Arkhan, «credo che tutti voi sappiate chi sono i sette sempiterni davanti a voi», e tutti annuirono svelti alle sue parole. Lui fece un breve sorriso e continuò, «come sapete si sono diplomati lo stage precedente come i migliori allievi mai avuti alla Golden School, hanno solo due anni più di voi, e sono stati loro  a salvare il nostro mondo. Viste le loro enormi competenze, sia in ambito accademico, sia in ambito extra scolastico, e le loro enormi conoscenze tecniche e umanistiche, saranno loro che, oltre a me e alla professoressa Temptel, vi accompagneranno durante il vostro stage», concluse, lasciando gli stagisti sbigottiti.
Come era prevedibile si scatenò un putiferio mentre gli stagisti esultavano per la loro fortuna di avere come loro tutor dei personaggi del genere. Esaurito l’entusiasmo generale, i professori mandarono gli stagisti nelle loro stanze, e poi ci dissero che noi avremmo avuto le stesse che avevamo usato durante lo stage. Stavamo andando a prendere le valigie rimaste in corridoio per andare a disfarle, quando notai una delle stagiste guardarmi con insistenza; era una devil dagli occhi color ghiaccio, i lunghi capelli color mogano, un corpo da sballo e ali e corna blu notte. Mi fissava con insistenza, senza provare alcun briciolo di vergogna. Mi sentii nudo di fronte a quello sguardo profondo, che sembrava scrutarmi l’anima.
All’improvviso la sua amica la chiamò, dicendole che era ora di andare, togliendomi di dosso quello sguardo indagatore altamente indesiderato. La vidi avviarsi dietro alla sua amica, un nome che mi perforava la mente, non per interesse ma per inquietudine. Sheila.

KIKKA97/CLOE97: CIAO AMORE MIO!!! ESSI GRANDE ONORE, SEI LA PRIMA XD VIVA LA KIKKA XD GRAZIE MI FA MOLTO PIACERE CHE APPREZZI LE MIE IDEE, A VOLTE NON SO NEANCHE IO COME MI VENGONO XD ORA COME VEDI QUESTO CHAPPY E' PARECCHIO TRISTE, MA NON TI PREOCCUPARE, ARRIVERANNO TEMPI MIGLIORI... FORSE XD KISS ^^
THEBLACKANGEL/MARTY_ANGEL97: ODDIO ANCHE QUI O_O AIUTOOOOOOOOOOOOOO!!! SCHERZO, TI LOVVO TROPPO TESO XDXDXD MOLTO CONTENTA CHE TI SIA PIACIUTO E COME VEDI HO MANTENUTO LA PROMESSA... HO POSTATO IN GIORNATA ANCHE SE AVRO' I POLPASTRELLI FUORI USO PER UN BEL PO' XD OVVIO CHE NON VI ABBANDONO, QUESTA E' LA STORIA A CUI TENGO DI PIU' XD FORSE ADESSO I TEMPI SARANNO PIU' LUNGHI PERCHE' HO PIU' ORE DA FARE A SCUOLA TUTTI I GIORNI E SONO PIENA DI COMPITI DA FARE T^T SIGH CHE VITACCIA!!! CIAO KISS ^^
GIRL95DEVIL: CIAO TESO COME STAI? PUNTO UNO SCUSA SE NON HO RECENSITO MA HO VISTO SOLO ADESSO CHE AVEVI AGGIORNATO PROMETTO DI RIMEDIARE AL PIU' PRESTO... COMUNQUE NON SO DIRTI SE RAF HA PRESO LA DECISIONE GIUSTA O MENO, QUELLO CHE POSSO DIRTI E' CHE UCCIDERE UN NEUTRO NON E' FACILE COME SEMBRA... TRANQUILLA NON SMETTO DI POSTARE FOSSI MATTA, ANCHE SE ADESSO LA SCUOLA MI PRENDE UN CASINO DI TEMPO... QUESTA SETTIMANA HO UNA VERIFICA OGNI GIORNO T_T ODDIO SE TI FACCIO SALTARE TUTTE LE VOLTE CHE AGGIORNO FINIRAI PER FARE UN BUCO SUL PAVIMENTO XD E NON CRITICARE!!! è.é LEGGI LE FAN FICTION SU TWILIGHT E CAPISCI DA DOVE PRENDO SPUNTO PER LE SCENE SCONCE XD AHAHAH NO TRANQUILLA RAF E' DAVVERO DI LIVELLO 5, MA LA SUDDETTA FRUGOLETTA C'E' O NON C'E'? XD INDIZIO NEL CAPITOLO XD EH LO SO DEVO AMMETTERE CHE IN QUELLA PARTE HO DATO IL MEGLIO DI ME STESSA XD *SONO MODESTA EH?* BEH L'INCUBO ERA UN RIFLESSO DELLE SUE PAURE... MA NON E' DETTO CHE LA PARTE BELLA NON NASCONDA UN FONDO DI VERITA' XDXDXD PER SHEILA... CI HAI AZZECCATO PURTROPPO (TI ASSICURO, NON PIACE NEANCHE A ME >_<) MA MI SERVE PER LA STORIA... PERCHE' SARA' LEI A RIMETTERE, ANCHE SE INDIRETTAMENTE, INSIEME RAF E SULFUS... POI LA UCCIDO XDXDXD FACEBOOK TI HO GIA' AGGIUNTA CONTROLLA.... CIAO CIAO KISS^^
THE_WEREWOLFGIRL_97: TESO CIAO!!! FELICE DI SENTIRTI... DOMANDA SUL FORUM NON CI SEI PIU'? NON TI SEI PIU' CONNESSA T_T COMUNQUE FELICE DI SAPERE CHE TI PIACCIA, ANCHE PER IL SOGNO E' IL MIGLIORE XD ANCHE SE LA FINE E' TRISTE... E Sì ANCHE QUELLE PARTI SONO TRISTI, MA CHE CI VUOI FARE, SIAMO IN PIENA CRISI... NON POSSO FARE UN PERIODO DI CRISI ALLEGRO NO? XD FELICE CHE TI PIACCIA ANCHE LA PARTE SU TYCO E SAI, MI DISPIACE AVERLI FATTI CREPARE, MA MI SERVIVA PER LA STORIA... SCUSATE >_< ECCOTI SERVITA CON IL CHAPPY!!! CIAO ^^
   
 
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