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Autore: RukiLex    13/10/2010    5 recensioni
Ichigo Kurosaki è il capitano della H.M.S. Vincent, della Marina Reale Britannica.
Rukia Kuchiki è il comandante della Soul Warrior, una nave pirata. Ma chi sono veramente i pirati e quali segreti nascondono?
Un altro incontro casuale, un'altra storia del destino. IchiRuki.
[Traduzione di Elwerien]
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kuchiki Rukia, Kurosaki Ichigo
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Note della traduttrice
Salve a tutti! Sono Elwerien, la traduttrice della storia. L’autrice è RukiLex, e potete raggiungere il suo account su fanfiction.net attraverso il link che ho lasciato nella pagina autore.
Ho deciso di tradurre questa fanfiction perché merita davvero e desideravo che anche i fan italiani potessero conoscerla, quindi spero che sarete in tanti a leggere e a recensire! RukiLex è davvero bravissima e spero di essere all’altezza del suo lavoro. In originale la storia è già conclusa e ha 25 capitoli.
Buona lettura!




The Pirate Queen
Capitolo Uno: I due capitani





Le onde urtarono violentemente contro la prua della nave, scagliando acqua sopra il bompresso e sul ponte. Non lontano, un fulmine colpì l’oceano e la nave tremò a causa del tuono che ne seguì, spingendo l’equipaggio ad affannarsi per un riparo. Il capitano fece ruotare con decisione il timone, cercando di portare la nave fuori dalla parte più pericolosa della tempesta.

“Capitano, ci stanno raggiungendo”, urlò uno degli uomini dall’alto della vedetta sull’albero maestro, cercando di rimanere aggrappato alle corde per evitare di essere scagliato in mare.

“Maledizione”, imprecò il Capitano sottovoce, questa volta manovrando il timone con più forza, sperando che l’albero avrebbe sopportato la violenza della burrasca. Non avrebbero dovuto esporre così tanto velame ad un vento tanto ostinato, ma i cannoni della nave che li seguiva a breve distanza erano orientati nella loro direzione.

Ci fu un terrificante rumore scricchiolante ed un ugualmente rumoroso schianto, appena la cima dell’albero rovinò sul ponte, mancando per poco molti uomini dell’equipaggio.

“Dobbiamo lasciar cadere le controrande,” pensò, lottando ancora con il timone. “Se le lasciamo a bordo, non avrà importanza se ci catturano, perché affonderemo prima”.

Rukia gridò al primo assistente di lasciar cadere le vele, e la nave, che stava sbandando pericolosamente a tribordo, tornò di nuovo sotto controllo, e lei sentì la forza sul timone attenuarsi leggermente.

Il Primo Assistente, ora di nuovo al suo fianco, si afferrò ad uno dei parapetti del ponte quando la nave voltò bruscamente in direzione del porto, puntando decisa alla parte più violenta della bufera.

“Renji,” urlò Rukia, sovrastando il boato di un altro tuono, “dì all’equipaggio di tornare ai loro alloggi. Avrò bisogno del tuo aiuto se abbiamo intenzione di tirarla fuori da qui.”

Renji, i capelli rossi appiccicati al viso per via dell’acqua e del vento, annuì brevemente e disse, “Tornerò ad aiutarvi nel giro di pochi minuti, Capitano Kuchiki.” Lei fece un cenno d’assenso e si resse saldamente al timone, spingendo la nave più avanti, controvento, nell’occhio del ciclone.

Dieci minuti dopo, Renji tornò, dopo essersi assicurato che tutti gli uomini fossero al sicuro sottocoperta, e che le controrande fossero ben assicurate. “Posso vederli ora, lontano a poppa. Ancora poche iarde, e saremo nel raggio dei loro cannoni.”

“Non l’ho mai fatto in una tempesta così potente, Renji”, disse Rukia, guardando l’altro con preoccupazione. “Non so che effetto avrà sulla struttura della nave stessa.”

“Abbiamo un’altra scelta?” chiese Renji, che conosceva già la risposta.

“No”, replicò Rukia, la fronte corrugata. “A meno che non vogliamo correre il rischio di assaggiare i cannoni del nemico.” Renji annuì e appoggiò le mani sul timone, accanto a quelle del suo capitano.

“Dobbiamo solo spostarla di dieci miglia, più o meno”, disse Rukia, stringendo saldamente il timone e dirigendo la nave verso l’oscurità della bufera.

“Sissignora”, replicò Renji.

Chiusero gli occhi, concentrandosi sul legno del timone, sentendo il ponte sotto i loro piedi. Il timone cominciò a brillare di bianco, iniziando da dove le loro dita toccavano il legno, il brillio che si spargeva nel resto del timone e giù attraverso i loro piedi fino al ponte, su per gli alberi che rimanevano e giù per i fianchi della nave, finché questa non risplendette interamente di bianco nell’oscurità delle nuvole e della pioggia.



Ichigo guardò dalla prua della sua nave verso il vascello pirata che stavano inseguendo. Sbatté forte le palpebre, chiedendosi per un momento se non stesse avendo un’allucinazione. L’intera nave sembrava brillare di un bianco splendente contro le nere nubi della tempesta.

“Hisagi!” urlò al suo primo ufficiale, sopra il frastuono della bufera. “Dai un’occhiata qui”.

“Sissignore!” sbraitò l’uomo dai capelli scuri, che indossava ancora la giacca della sua uniforme nonostante il vento impetuoso e la pioggia.

“Cosa vedi?” chiese Ichigo, aggrottando appena la fronte.

“Il vascello pirata…”, disse Hisagi Shuuhei, facendo del suo meglio per mantenere la sua compostezza in presenza del suo ufficiale comandante. “Sta brillando, come le braci di un fuoco rovente. Pensate che i nostri cannoni l’abbiano colpito?”

“No”, replicò Ichigo, tirando un piccolo binocolo fuori dalla sua tasca e puntandolo sulla nave nemica. Guardando attraverso la lente, non riusciva a vedere nessun membro dell’equipaggio sul ponte. Non c’era nessuno, infatti, se non due figure indistinte, le cui mani sembravano poggiare sul timone della nave, guidandola.

Ci fu un lampo di quello che attraverso il vetro sembrò un fulmine, e per un momento Ichigo fu privato della vista, talmente splendente era stata la luce attraverso il binocolo. Lo lasciò cadere per terra e le lenti si frantumarono nell’impatto.

“Signore”, disse Shuuhei, “state bene?”

“Sì” bofonchiò Ichigo, sbattendo gli occhi nel tentativo di vedere. “La nave… dimmi – dov’è adesso?”

“Non ci crederete, signore”, disse Shuuhei, la voce leggermente tremante, “ma è svanita. Scomparsa”.

“Affondata, intendi?” chiese Ichigo, ora in grado di mettere a fuoco qualche ombra, ma niente di più.

“Non… non lo so, signore”, replicò l’altro uomo, confuse. “È semplicemente… svanita. Non l’ho vista affondare.”



“Renji”, gridò Rukia, correndo per il ponte. “Dove sei?”

“Sono qui, signore”, rispose il rosso, che sedeva sulla prua massaggiandosi la testa, e sanguinando da un taglio sulla fronte. “Sto bene.”

Lei tirò fuori un piccolo fazzoletto e lo promette contro la testa di Renji. “Non sembra troppo profondo, ma voglio che ti faccio visitare dal dottore. Potresti aver bisogno di un paio di punti.”

“Ha funzionato?” chiese Renji, alzandosi lentamente in piedi e guardandosi intorno. Il vento si era abbassato notevolmente, e i mari erano più calmi. La pioggia si era fermata.

“Sì”, replicò lei, sorridendo. “Grazie per il tuo aiuto. Non penso che avrei potuto farcela da sola.”

Renji fece un largo sorriso. “Felice di essere di qualche utilità, Capitano Kuchiki, signora. Vado a prendere gli uomini di sotto.”

“Io vado nei miei alloggi per capire dove ci troviamo,” rispose lei. “Mi aspetto che tu mi raggiunga una volta che avrai impartito agli uomini le loro istruzioni. Avremo bisogno di fare alcune riparazioni al più presto – siamo troppo lenti senza la vela di mezzana.”

“Sissignora”, disse Renji.

Il Capitano Kuchiki si voltò e si diresse verso le scale di poppa e gli alloggi del capitano, guardando con la fronte corrugata la vela di mezzana che giaceva in pezzi, come un grande albero abbattuto, sul ponte di prua. Alcuni degli uomini stavano salendo le stesse scale, e fecero rispettosamente un cenno col capo al loro capitano, che rispose col medesimo gesto. Su quella nave non si eseguiva il saluto militare –ordini del Capitano. Quello, diceva Rukia, era per le navi militari il cui obiettivo era quello di distruggerli. No, il Capitano della Soul Warrior non aveva bisogno di imporre una condotta militare, salvo per la lealtà del suo equipaggio.

Spingendo avanti le porte aperte, Rukia entrò negli alloggi scarsamente arredati e superò il grande complesso di finestre che si affacciavano sulla poppa della nave. Si tolse la stoffa bagnata che indossava come una sciarpa al posto del cappello, e la gettò sul pavimento di legno. Capelli neri lunghi fino alle spalle ricaddero liberamente, rilasciati dalla loro prigionia. Rimise in piedi qualche oggetto che era caduto sul pavimento fra le onde alte e quindi si sedette, con un sospiro, su una sedia imbottita accanto alla finestra.

“Signora!” disse Renji, entrando negli alloggi qualche minuto dopo.

“Grazie, Renji”, rispose Rukia. “Come stanno tutti?”

“Noguchi ha un braccio rotto. Il dottore lo sta medicando mentre parliamo. Per il resto, stanno tutti bene.”

“Meno male”, disse, alzandosi e dirigendosi verso un ampio tavolo coperto di mappe e carte nautiche. Afferrò l’angolo del tavolo, e Renji le afferrò il braccio per impedirle di cadere.

“Grazie”, disse. “Sto bene”.

“Siete esausta, signora”, disse Renji, ora più simile ad una mamma chioccia che al tenace primo assistente. “Avete bisogno di riposare. Questa notte, spostando la nave, avete fatto ben più lavoro di me”.

“Sono io il capitano qui, Renji. Li do io gli ordini.”

“Allora sono ufficialmente fuori servizio, signora” replicò Renji con un ghigno.

“Renji.”
“Con tutto il rispetto, signora, avete bisogno di riposo. Traccerò io la nostra rotta.”

“Bene, allora”, rise lei.

Renji sollevò alcune delle mappe e delle carte dal tavolo e le arrotolò, ficcandole nella sua cintura. “Vi farò portare dal cuoco qualcosa da mangiare, signora,” disse.

“Grazie, Renji”, rispose.

“Dormi bene, Rukia – voglio dire, Capitano”, disse lui, con un sorriso furbo.

“Non tentare troppo la tua fortuna, Renji,” rise l’altra, gli occhi viola che brillavano alla luce delle candele.



Ichigo si mise sull’attenti di fronte al Comandante Generale. La stanza, scura e dai pannelli in legno, faceva sembrare il più vecchio dei due uomini anche molto più intimidatorio, e Ichigo sapeva che quello che aveva da dire non avrebbe migliorato le cose. Fece un respiro profondo, preparandosi.

“A rapporto”, disse Yamamoto succintamente, appena fu di fronte alla sua scrivania.

“Abbiamo perso la nave pirata, signore”, disse.

“Persa? Come?”

“È scomparsa, signore”, rispose Ichigo, ben sapendo quanto le sue parole suonassero ridicole.

“Scomparsa? Capitano, non sono dell’umore giusto per scherzare.” Yamamoto sembrava ancora più imponente di quanto Ichigo ricordasse. Eppure, non indietreggiò.

“Sissignore. La nave è svanita.”

“È affondata, dunque,” disse Yamamoto, gli occhi ridotti a fessure.

“No, signore,” replicò Ichigo, risoluto. “Si è illuminata di un bianco incandescente, quindi è scomparsa.”

“Kurosaki” disse Yamamoto, duramente, “Ho letto il vostro rapporto. Chiaramente, la nave è stata colpita da un fulmine e per questo è affondata”.

“No, signore”, ripeté Ichigo, testardo. “So quello che ho visto. Anche il mio primo ufficiale può testimoniarlo. La nave pirata un minuto c’era, e l’altro minuto era scomparsa.”

Yamamoto si sedette alla scrivania con un sospiro, abbassando lo sguardo sul rapporto di Ichigo. Quindi, senza parlare, lo strappò a metà e lo gettò nel cestino accanto al tavolo.

“Signore?” disse Ichigo, preso alla sprovvista.

“Vi lascio a terra in permesso per il prossimo mese, Kurosaki”, disse il più anziano dei due uomini, il volto imperturbabile. “Voi e il vostro equipaggio. Durante questo periodo farò sì che la vostra nave venga riparata”.

“Ma signore,” disse Ichigo, un muscolo della sua guancia che si contraeva al montare della sua ira, “quel rapporto è accurato. So quello che…”

“Non parleremo più di questo, Kurosaki,” lo interruppe il Comandante Generale, e Ichigo avrebbe potuto dire che anche lui aveva raggiunto il limite della sua pazienza. “Intesi?”

Ichigo non disse nulla, ma continuò a stare sull’attenti.

“Intesi, Capitano?” ripeté Yamamoto, la minaccia di una richiesta di più disciplina sospesa nell’aria.

“Sissignore”, rispose Ichigo. Sapeva che non avrebbe ottenuto nulla, almeno non con quel poco di evidenza che aveva a supporto delle sue richieste. Aveva bisogno di più prove.

“Congedato”, disse Yamamoto, tornando a guardare giù alla scrivania.

Ichigo eseguì il saluto militare, quindi si voltò e uscì dalla stanza. Shuuhei lo stava aspettando fuori. Salutò Ichigo e si unì al suo capitano per uscire dall’edificio.

“Com’è andata, signore?” chiese Shuuhei.

“Come c’era da aspettarsi. Abbiamo un permesso a terra per un mese, e mi è stato detto di non riportare più a galla la cosa.” Ichigo era ancora livido.

“Signore?”

“Pensano che ci siamo bevuti il cervello, Hisagi,” disse Ichigo.

“Non capisco, signore”, replicò Hisagi.

“Lascia da parte il ‘signore’, Shuuhei,” disse Ichigo, accigliandosi. “Sei fuori servizio. Oltretutto, so che è ormai da qualche tempo che tieni gli occhi sulla mia nave. Puoi anche smettere di fingere.”

Shuuhei alzò un sopracciglio, poi rise. “È tutta colpa tua, Kurosaki. Sei stato tu a dirmi che avrei dovuto avere il mio comando”.

“Già, non è vero?” rifletté Ichigo, scuotendo la testa. “Bene, ti perdono tutto se offri tu il primo giro alla locanda.”

“Ora? Ma sono solo le due,” rise Shuuhei.

“Che differenza fa? Siamo fuori servizio per il prossimo mese. Possiamo anche iniziare adesso, invece che più tardi,” disse Ichigo con un ghigno, sbottonandosi la giacca dell’uniforme e sistemandola dentro la sua sacca.

Mezz’ora dopo, erano seduti in un piccolo pub sul porto, a bere whiskey irlandese e a guardare le navi attraccate. Il locale era abbastanza rispettabile, a differenza di molti altri in quella zona. Ma a quell’ora del giorno le entrate di tutti i locali erano sbarrate, e loro avevano prenotato delle stanze sopra al pub per trascorrervi alcuni giorni, quindi sembrava un posto abbastanza buono per rilassarsi.

Fuori servizio, i due uomini erano abbastanza in confidenza, dal momento che condividevano l’alcool e talvolta pure le donne, quando c’era l’espediente per farlo. Era stato così fin da quando avevano frequentato insieme l’accademia marittima, anni fa. Quando Ichigo era stato promosso al grado di capitano, due anni prima, aveva specificatamente richiesto che Shuuhei lo seguisse come suo primo ufficiale. Ichigo non si era mai dovuto pentire della scelta e, infatti, in ben più di un’occasione aveva dovuto la sua vita alla mente pronta e al sangue freddo del suo primo ufficiale. Ichigo sapeva che era solo questione di tempo prima che Shuuhei ottenesse quella promozione in cui aveva tanto sperato, ma per ora, Ichigo era grato del fatto che non ci fossero navi disponibili e che Shuuhei fosse ancora assegnato alla H.M.S. Vincent.

Il pub era quasi vuoto, salvo per loro due e un uomo dai capelli rossi con dei tatuaggi impressionanti, che sedeva al bancone bevendo scotch whiskey –un marinaio anche lui, a giudicare dal suo aspetto, e molto probabilmente di una di quelle navi che trasportavano passeggeri e provviste verso gli Stati Uniti. Ora leggermente brillo, Ichigo si diresse con noncuranza verso il bancone e si sedette proprio accanto all’uomo, ignorando le proteste di Shuuhei – conosceva fin troppo bene la tendenza del suo capitano a causare problemi quando era fuori servizio.

“Posso unirmi a te?” chiese Ichigo, sedendosi sullo sgabello accanto al rosso senza aspettare la risposta.

L’uomo lo ignorò e prese invece a far roteare lo scotch nel suo bicchiere.

“Vieni da una di quelle navi attraccate qui, non è vero?” chiese Ichigo.

“Non ti riguarda”, replicò freddamente il rosso.

“Hai qualcosa da nascondere, quindi?” continuò a punzecchiarlo Ichigo, prendendo una sorsata dalla bottiglia che si era portato dietro al bancone.

“Non mi piacciono i cani della marina, e basta”, disse il rosso, bevendo il resto dello scotch.

“Perché? Hai paura di noi?” chiese Ichigo, ancora arrabbiato per la sua discussione con Yamamoto e in preda alla voglia di uno scontro.

“No di certo,” replicò l’altro, mettendo giù il suo bicchiere e girandosi a guardare Ichigo. “Potrei massacrarti prima ancora che tu ti renda conto di che cosa ti ha colpito”.

Ichigo si alzò, ora con un ghigno. Anche il rosso si alzò, e i due uomini rimasero fermi, faccia a faccia, gli sguardi pieni di trepidazione.

“Ichigo”, disse Shuuhei, con un sospiro. “È un po’ troppo presto per distruggere questo posto. Perché non vi occupate di questo fuori?”

“Bene”, rise Ichigo, dirigendosi verso la porta che conduceva al molo. “Ti va di unirti a me per un po’ d’aria fresca?”. L’uomo dai capelli rossi sorrise e seguì Ichigo verso la porta.

“Renji”. Una donna minuta, che indossava un abito e un mantello da viaggio, si intromise fra i due uomini.

“Stavo proprio per andarmi a divertire un po’ con questo cane della marina” disse Renji, con uno sguardo pieno di disappunto.

“Dovresti essere la mia scorta,” disse la donna, seccamente. “Risparmiati le risse per quando io non sono intorno, d’accordo?”

Renji scrollò le spalle e guardò Ichigo. “Scusa, amico”, disse. “Sarà per un’altra volta, forse”.

La donna si girò e guardò Ichigo. “Ci conosciamo?” chiese, cercando di ricordare dove l’avesse già visto.

“Non penso” disse lui, anche se si pentì immediatamente delle sue parole. Era davvero affascinante, quella donna minuta dai capelli neri e gli occhi viola. Eppure, si disse di Ichigo, sicuramente era di quelle che ti procurano ben più guai di quanto ne valgano –lui preferiva donne un po’ più malleabili, più deboli. Questa era forte, lo sapeva dal modo in cui si poneva, da come gli aveva parlato. “Decisamente troppo problematica”, pensò.

“Sono Rukia Kuchiki”, disse lei, porgendogli la mano. Non era sicuro se si aspettasse che lui la baciasse o gliela stringesse, ma tentò con la più formale e la meno gradevole delle due possibilità. Lei gli strinse la mano con forza. “Questo è il mio compagno, Renji Abarai.”

“Ichigo Kurosaki”, replicò lui, chinandosi leggermente. “Il mio amico e collega, Shuuhei Hisagi,” aggiunse, accennando al tavolo dove Hisagi sedeva, guardando la scena con interesse. Hisagi si alzò e si diresse verso Rukia, prendendole la mano e portandosela alle labbra. Lei sorrise a Shuuhei, e Ichigo si diede mentalmente dello stupido per non aver fatto lo stesso.

“Cosa vi porta a Londra?” chiese Shuuhei, irradiando fascino da tutti i pori.

“Mio fratello ed io abbiamo una compagnia di navigazione con base a Londra”, rispose Rukia, chiaramente in sintonia con Shuuhei. “Sono tornata da Boston da pochi giorni.”

“Vorreste unirvi a noi per cena?” le domandò lui, lasciando andare solo in quel momento la mano di Rukia.

“Mi dispiace” rispose l’altra, “ma ho già dato la mia parola a mio fratello che avrei cenato con lui, stasera. Ma forse voi e il vostro amico” –indicò Ichigo- “vorrete unirvi a noi a casa nostra, vicino a Piccadilly Circus.”

“Ne saremmo lieti”, replicò Shuuhei, senza aspettare la risposta di Ichigo.

Diede a Shuuhei un biglietto da visita che recava il nome di ‘Kuchiki Enterprises’. “Ceniamo alle sette in punto, Shuuhei Hisagi. Conto di vedervi entrambi questa sera.”

E con questo, si voltò e si diresse fuori dal pub. Renji lanciò un paio di monete sul bancone, e si affrettò a seguirla. Una volta fuori, sul molo, non dissero nulla finché non furono a qualche isolato di distanza dal pub.

“Pensi che sia una buona idea, Rukia, invitarli a cena? Sai chi sono, non è vero?” disse Renji, alla fine.

“Marina Reale”, replicò lei. “Sì, lo so.”

“E la cosa non ti turba?” chiese Renji, incredulo.

“Per nulla”, rispose, facendosi strada verso gli uffici Kuchiki. “In effetti, è proprio per questo che sono curiosa di conoscerli meglio.”

Renji scosse la testa. “Hai già incontrato molti altri uomini della marina, prima di loro,” disse. “Questi sono così tanto più affascinanti degli altri?”

“No,” replicò lei. “Ma hai mai volute saperne di più sulle navi che ci inseguono, Renji?”

“Presumo di sì”, rispose lui, scrollando le spalle.

“Be’, io sì”, disse l’altra, sorridendo maliziosa. “Vedi, Primo Assistente Abarai, abbiamo appena incontrato il Capitano Kurosaki e il Primo Ufficiale Hisagi dell’H.M.S. Vincent – la nave che ci ha quasi affondati, tre mesi fa.”
  
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