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Autore: Eclair    14/10/2010    5 recensioni
Due occhi color grigio cenere, incorniciati da delle ciglia bianche da cui ancora gocciolava dell'acqua, rispondevano al suo sguardo dall'altra parte della superficie riflettente. Gli occhi di un appena dodicenne ancora immaturo in tutti gli aspetti, costretto dal suo stesso prodigioso genio a crescere troppo in fretta una vita senza sentimenti, ad affrontare responsabilità non adatte ad un ordinario ragazzino.
Genere: Introspettivo, Slice of life, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Mello, Near
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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«Do you understand me in english?»
«Yes I do.»

 
Il cielo imbruniva e la pioggia cadeva sempre più fitta sui fiabeschi tetti di Winchester, nella fredda Inghilterra. Appena fuori dalla città,
in un edificio piuttosto grande, ristrutturato completamente qualche anno dopo la seconda Guerra Mondiale, tutte le luci erano accese, a giudicare dalle auree dorate provenienti dalle finestre dalle volte in pietra che ricordavano tanto dei particolari d'architettura gotica. L'entrata al cortile era sbarrata da un grande cancello in ferro battuto, alla cui sinistra era inciso a chiare lettere nel marmo di una colonna "Wammy's House".


{ Excitate vos e somno, liberi mei
Cunae sunt non
Excitate vos e somno, liberi fatali
Somnus est non.


Passi regolari e forse un po' stanchi - non aveva mai amato i bambini - risuonavano in uno degli austeri e lunghi corridoi dell'edificio rivestiti in legno d'acero, attutiti dal robusto tappeto persiano. L'uomo - perchè ad un uomo appartenevano i passi - si fermò sul ciglio di una porta di legno dalla quale proveniva un rumoroso vociare, spingendo delicatamente all'interno il nuovo arrivato che, dopo qualche secondo di esitazione, si decise ad entrare. Non poteva avere che poco più di due anni, a giudicare dall'insicurezza con cui si reggeva sulle sue gambe mentre avanzava impassibile per la stanza, scrutando tutto con dei profondi occhi grigio cenere, in netto contrasto con la pelle lattea, che non lasciavano trapelare alcuna emozione, nonostante la tenera età. La vera particolarità di quel viso erano i capelli ribelli, completamente incolori. Non era spaventato o triste, come ci si aspetterebbe da un bambino così piccolo, era semplicemente estraneo a qualsiasi stimolo e manteneva quell'espressione indecifrabile, la stessa di quando l'uomo l'aveva trovato tra i cespugli e portato con sè.

Surgite,
Inventite
Veni hortum veritatis
Horti verna veritatis.


Non c'era stato modo di sapere chi l'avesse portato lì, se avesse o avesse avuto una famiglia e quale passato celasse quello sguardo vuoto. Solo un biglietto fu trovato, stretto fra le piccole dita, che recitava, in una calligrafia chiara e decisa che nulla aveva a che vedere con l'eleganza del corsivo: “24th August 1991, 05.37 a.m. Blood Group: B.” La probabile data e ora di nascita e un gruppo sanguigno, che qualcuno aveva ritenuto necessario fargli sapere. Quel bambino sembrava letteralmente spuntato dal nulla, e quando l'uomo che si chiamava Roger cercò di parlargli in diverse lingue lui diede cenno di comprendere l'inglese, ma sembrava che non avesse neppure un nome. Non dava segno di aver tanta voglia di parlare ma neppure oppose resistenza, si fece solo guidare docilmente. Venne spogliato dei suoi abiti bagnati e fu vestito di un semplice e piccolo pigiama bianco. Inutile dire come Roger fu incuriosito da quello strano piccolo fin da subito, ma era ancora da vedere se fosse adatto alla Wammy's House o sarebbe stato necessario contattare un normale orfanotrofio. Rinunciando all'approccio verbale che sembrava essere totalmente vano, decise di lasciarlo semplicemente fare quello che voleva assieme agli altri bambini della sua scuola, osservando attentamente ogni suo gesto che avesse un minimo di inusuale. Così quel bambino così bizzarro continuava ad avanzare impassibile nella stanza, la sua figura bianca in forte contrasto con il resto dei bambini, che continuavano le loro attività senza curarsi del nuovo arrivato, così abituati ai bambini che arrivavano per restare massimo un giorno prima di essere trasferiti. Continuò ad avanzare senza meta fino a quando i suoi occhi non videro qualcosa che li illuminò di una nuova luce: c'era un puzzle vicino alla finestra, probabilmente di un personaggio dei cartoni animati. Si sedette sul pavimento, iniziando ad avvicinare a sè i pezzi. Roger rimase parecchio sorpreso quando vide che il bambino non solo sapeva come funzionasse, ma aveva iniziato a girare ogni tassello al rovescio per poi iniziare a comporlo, forse con un po' di lentezza, dal lato completamente grigio del cartone, trovando il pezzo giusto solo osservandone la forma.

Ardente veritate

Urite mala mundi
Ardente veritate
Incendite tenebras mundi.


Mentre le piccole mani si muovevano sul quadrato di cartone, un bambino che giocava lì vicino alzò la testa bionda dalla sua attività per andare a posare gli occhi azzurrissimi sulla nuova figura della stanza. Non poteva avere che due anni in più della bianca figura, ma vi era qualcosa di straordinario nel suo modo di fissarlo con accigliato interesse, ammirando l'abilità del compagno che riusciva a fare una cosa così difficile. Osservava ogni movimento delle dita, ogni spostamento delle iridi sulle forme diverse dei numerosi tasselli, come se fosse il primo elemento che fosse mai riuscito ad attirare la sua più pura attenzione, e continuò a farlo fino a quando l'ultimo tassello non fu spinto nel solco combaciante, completando quel puzzle rovesciato. Roger non poteva davvero crederci, non aveva mai visto nulla di simile, sembrava che quel bambino non avesse bisogno di spiegazioni nè di metodi, capiva da solo il meccanismo, un vero talento naturale, e senza dubbio quel bambino sarebbe stato un nuovo alunno della Wammy's. La sua lettera sarebbe stata la N, il suo nome... Nate, Nate River. Aveva finito di reclutare, la prima parte del suo compito era stata completata dopo tanto tempo. Adesso I bambini erano ventisei come ventisei sono le lettere dell'alfabeto, la nuova generazione dello speciale istituto per bambini prodigio era al completo, e mentre loro giocavano, ancora piccoli e ignari di cosa li aspettava, il loro futuro veniva deciso e plasmato dalle loro stesse mani, dal loro stesso genio: serviva un degno erede di L.

Valete, liberi,
Diebus fatalibus.}






Fithos Lusec Wecos Vinosec
excitate vos e somno, liberi fatali.

Aprì gli occhi, mettendo a fuoco il soffitto di legno della camera illuminato dalla luce che entrava dalla grande finestra in vetro della stanza. Scese, un gradino dopo l'altro, la scaletta del letto a castello che divideva con il suo compagno di stanza, Justyn, che ancora dormiva, ma nonostante fosse già sicuro che avrebbe fatto tardi anche stavolta lui non si sarebbe curato di svegliarlo, non per cattiveria ma semplicemente non gli interessava. Per la precisione si limitavano ad ignorarsi a vicenda, e nonostante fosse praticamente indifferente nei suoi confronti sperava che il giorno in cui avrebbe compiuto tredici anni arrivasse presto, l'età in cui tutti alla Wammy's House ricevevano una stanza singola. Già perfettamente lucido si avviò verso il bagno, dove aprì l'acqua fredda riempendosene il cavo delle mani per poi lavarsi il viso. Rialzando la testa, si imbattè nel suo riflesso allo specchio, nonostante di solito cercava incosciamente di evitarlo. Due occhi color grigio cenere, incorniciati da delle ciglia bianche da cui ancora gocciolava dell'acqua, rispondevano al suo sguardo dall'altra parte della superficie riflettente. Gli occhi di un appena dodicenne ancora immaturo in tutti gli aspetti, costretto dal suo stesso prodigioso genio a crescere troppo in fretta una vita senza sentimenti, ad affrontare responsabilità non adatte ad un ordinario ragazzino. Dodici anni passati senza aver mai conosciuto una vera infanzia, l'amore di un genitore o la gioia dell'amicizia. Ma a lui tutto questo non pesava, non gli era mai pesato: non voleva dei genitori, nè degli amici, e le occhiate talvolta invidiose, talvolta di scherno e derisione degli altri orfani non scalfivano il vetro - il ghiaccio - della campana che la sua stessa intelligenza aveva delimitato attorno a lui. Il lettore sarà persuaso che questo rifiuto derivasse dal non aver potuto mai avere quelle cose, ma sarà sorpreso dallo scoprire che questa teoria non è esatta. In effetti il rifiuto neppure sfiorava la mente del ragazzo che sentiva di non dovere niente a nessuno se non a se stesso, che era sereno nella sua solitudine e nelle sue impeccabili percentuali, non gli importava di tutto il resto né ne sentiva la necessità, nel modo più disinteressato possibile, lui stava bene. Neppure l'ultimo dei suoi pensieri era mai stato rivolto a fantasticare su coloro, sull'uomo e la donna che lo avevano generato, forse per errore, semplicemente perchè non erano degni di avere l'accesso alla sua attenzione, a far parte del suo mondo a cui non faceva parte neanche il suo orfanotrofio o il suo compagno di stanza, a cui non facevano parte neanche quei libri da cui studiava davvero così poco nè i suoi infantili passatempi, meri freddi strumenti con cui sfogare il suo genio. Il suo mondo dove solo lui e le sue operazioni matematiche si distinguevano dal buio - dal vuoto - di tutto il resto, insieme a quella L stampata chiaramente nel bianco del quale mai sarebbe saturata la necessità di comporla e scomporla compulsivamente, quella L era la prima cosa che ricordasse e che fosse stata sempre presente, costantemente, nella sua breve vita, che adorava nella maniera più totale, nonostante non fosse altro che un grafema che non poteva in nessun modo collegare ad un volto o ad un timbro vocale. Ma... qualcos'altro affiorava. Qualcos'altro diventava nitido, accanto alla nera L: due occhi azzurri come il cielo, uno sguardo bruciante. Una fiamma che non si esauriva mai, alimentata dall'odio, dalla rivalità, dall'ambizione. Degli occhi spesso puntati su di lui che puntualmente fingeva di ignorare. Gli occhi di Mello. Il motivo per cui anche quella mattina era sgusciato fuori dal suo letto, lui lo sapeva, era risentire quegli occhi vivi su di lui. Voleva il suo odio più puro e violento, voleva sentirsi vivo come solo quello sguardo era mai riuscito a farlo sentire. Le bianche dita delle mani salirono fino al colletto del pigiama, scendendo velocemente su ogni bottone che incontrava sulla sua via, liberandolo con un gesto dalla sua asola, fino a quando la camicia cadde al suolo con un fruscìo. Così Near osservava la sua immagine riflessa nello specchio che faceva ancora fatica a riconoscere come sua, sorprendendosi intimamente di essere come così consimile agli altri, con due occhi, una bocca e un naso per respirare.



Wake from your sleep, my children,
Your childhood years are gone.
Wake from your sleep, children of Fate,
Your rest is gone.
Arise, discover the garden of Truth
The garden of spring's Truth.
With fiery truth
Burn the evils of this world.
With fiery truth
Light the darkness of the world.
Be strong, farewell, children,
On the days of Fate. }


















Salve a tutti! Scusate per l'assenza tombale dell'ultimo periodo, purtroppo sto dovendo studiare come un'ossessa e con mio sommo dispiacere non ho più tempo per scrivere T_T Near è un personaggio che adoro con tutto il mio essere e ho sentito il bisogno fisico di scrivere qualcosa su di lui. Questa one shot in realtà era più lunga e comprendeva un sottocapitolo riguardante Mello, ma dato che non riesco a continuarlo per ora pubblico questa parte, chissà che non continuerò l'altra! Il fulcro di questa storia purtroppo si è perso e sembra un "patchwork" perchè l'ho scritta a poco a poco anche a settimane di distanza, ispirata da tante cose diverse ogni volta. Però boh, voi prendetela come viene e fatemi sapere se vi ha trasmesso qualcosa, o se si capisce un minimo...  ^.^'
 Vorrei ringraziare tutte le persone meravigliose che continuano a leggere le mie storie, non me lo merito, davvero!

A presto, vostra Arrenuccya.
  
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