“It started out as a feeling / Which
then grew into a
hope / Which then turned into a quiet thought / Which then turned into
a quiet
word / And then that word grew louder and louder / 'Til it was a battle
cry / I'll
come back / When you call me / No need to say goodbye”
The Call, Regina
Spektor.
Era
forse la prima volta che Arthur andava in battaglia?
Lui
volgeva il suo sguardo oltre la finestra della
sua vecchia stanza, distante, con la mente immersa in complicate
strategie
belliche che Merlin non avrebbe mai capito. Indossava già
l’armatura, fiero, lo
stemma dei Pendragon che spiccava sul grigiore del metallo. Arthur era
così
diverso da come si comportava di solito in quei momenti, non vi era in
lui
traccia di dolcezza né sentimento, se non nel modo in cui si
prendeva cura del
suo regno, dei suoi soldati, del suo popolo. Era qualcosa che scattava
quando
Merlin cominciava a fargli indossare i vestiti per la guerra; il volto
del Re
diventava tirato, distaccato. Assomigliava tanto ad Uther allora.
No,
non era la prima volta.
Ma
era la prima volta che Merlin non lo avrebbe
seguito, non sarebbe stato al suo fianco. Non avrebbe adempiuto al suo
compito,
non sarebbe stato l’altra faccia della medaglia. Era stato
Arthur a deciderlo,
lui sarebbe dovuto rimanere al Castello, a difenderlo. “A
difendere un mucchio di pietra!” aveva risposto
lui, furioso. “A difendere mia
moglie e mio figlio”. La
sua vecchia amica, la serva di umili origini Gwen, giaceva nel letto
della
stanza del Re avvolta da fini coperte e circondata dalla
servitù. In grembo
portava l’erede tanto agognato da Arthur, il futuro Re di
Camelot.
Gli
occhi di Merlin si strinsero. Era inutile negare
quanto quella rinuncia, quella richiesta, gli pesasse più di
qualsiasi altra
azione avesse mai fatto nella sua miserevole vita. Forse non era
neanche sincero
con se stesso quando diceva che era solo perché andava
contro il suo Destino, il
loro Destino. Non era mai stato
sincero con se stesso da quando aveva conosciuto Arthur; quando aveva
provato
per lui ammirazione si era detto che era un principe borioso e viziato.
Quando
aveva provato per lui affetto si era detto che era solo un riflesso
dell’antipatia che provava realmente. Quando aveva sperato
che non sposasse
Gwen si era detto che non voleva vederlo soffrire. Quando si era reso
conto di
amarlo si era detto che era il Destino che parlava per lui e che stava
invecchiando.
Ritornò
a guardare la figura del suo Sovrano, del
suo Amico, del suo Signore e si ritrovò improvvisamente con
il desiderio di
dire qualcosa – forse Non farlo
– ma
la sua lingua era incollata al palato. Lo guardò
semplicemente come aveva
sempre fatto, con gli occhi preoccupati di chi non è in
grado di restare fermo
a guardare, che non era mai stato in grado di farlo.
Arthur
fissava un punto sconosciuto fuori dalla
finestra, la fronte poggiata alla fredda pietra. La stanza era calda,
il fuoco
era acceso e ne poteva sentire lo scoppiettio; ma fuori il grigiore del
mattino
sormontava gli alberi e i campi, e Camelot era così grigia e
bianca. Fuori il
vento sferzava violento, dentro le fiamme si muovevano sinuose. E sulla
schiena
non sentiva che gli occhi di Merlin, non vedeva che la sua espressione
sofferente, la sua bocca storta in quella smorfia che lui conosceva
così bene.
La stessa che sapeva di avere in quel momento.
Serrò
leggermente le dita, dicendosi che cercava
solo un po’ di calore. Tuttavia quando si voltò
verso di lui aveva entrambi i pugni
stretti, lungo i fianchi, e sapeva che
se avesse lasciato andare quella morsa avrebbe stretto Merlin fra le
sue
braccia senza riuscire a staccarsi mai più.
“Ti
prego di proteggere la mia famiglia”.
Merlin
lo guardò ferito. Lo era, non poteva negarlo
di fronte ad Arthur, aveva promesso di non mentirgli più. La
sensazione di
nausea all’altezza della bocca lo accompagnava come la Dama
della Morte seguiva
le sue future vittime. Non ricordava di aver mai dovuto sopportare
dolore più
grande del vedere Arthur allontanarsi senza di lui, senza lui al suo
fianco,
verso una guerra solitaria.
“Non
potrei fare altrimenti”.
Arthur
vide il suo volto abbassarsi mentre cercava
invano di nascondere quel luccichio negli occhi. Tutto il coraggio che
aveva racimolato
gli sembrò scivolasse lungo le sue braccia, fino alle dita,
cadendo come le
gocce di lacrime che sarebbero scivolate sulle guance pallide di
Merlin. La
stanza si fece così fredda che fu costretto a serrare
nuovamente i pugni, con
più forza che mai.
“Tornerò”.
Il
mago socchiuse appena gli occhi, sentendo le
ciglia scure bagnarsi. Poi rialzò il capo, cercando di
trattenere il fiato
nella speranza che ciò gli impedisse di scoppiare a
piangere. Il suo corpo lo
tradì, e una lacrima gli scese lungo lo zigomo, fino alle
labbra. Il suo corpo
non sarebbe mai stato in grado di nascondere quello che provava verso
l’altro,
non di fronte ad Arthur, forse solo a sé stesso.
“Lo
so”.
Il
Re sentì il suo stomaco rivoltarsi, e le labbra
farsi talmente secche da non riuscire a muoverle. Gli parve di non
respirare.
Mosse piano un passo in avanti, sperando di riuscire a pensare ad altro
appena
oltrepassata la soglia della porta. La spada cigolò in
maniera sinistra,
seguendo le movenze della sua gamba. Accelerò e si rese
conto di avere gli
occhi chiusi. Accelerò e si rese conto che il suo cuore non
batteva.
“State
attento”.
Si
voltò sorpreso, udendo la voce di Merlin. La voce
perfettamente ferma di Merlin – perfino sarcastica, e quel
suo piccolo sorriso
irriverente dipinto sulle labbra. Attorno agli occhi blu
però scivolavano
ancora piccole lacrime, ed erano gonfi e rossi. Era il suo modo per
dirgli di
non incasinare le cose, di non comportarsi da asino come suo solito.
Avrebbe
voluto dirgli: Una volta mi avresti
sorpassato e mi avresti detto che senza di te
sarei morto miseramente. Lo avrebbe guardato ridendo e si
sarebbero avviati
in battaglia insieme, come un duo inseparabile. E i suoi occhi blu
avrebbero
brillato come stelle, riflessi nei suoi. Ma sapeva cosa stava facendo
Merlin:
si stava sacrificando, si stava facendo da parte. Stava dicendo: Non hai più bisogno di pensare a me, non
preoccuparti. E lo faceva con le lacrime agli occhi e il
cuore tra le mani.
“Tornerò”.
Lo
ripeté, questa volta sollevando vagamente le
sopracciglia, come a dire: Non può
essere
altrimenti, tranquillo. Stava cercando di consolarlo, e
difatti negli occhi
del mago si fece larga la consapevolezza che quella era probabilmente
la
verità. Ora non piangeva più, ma i suoi occhi
rimanevano così tristi. Arthur
sentì il groppo alla gola farsi insopportabile, e le mani
ora con i palmi
aperti, seppur rigidi. Anche lui aveva il suo cuore in mano.
Merlin
ribadì con uno sguardo il suo precedente
monito. State attento.
Il
Re lo guardò e sorrise. Sorrise come avrebbe
voluto che il suo consigliere facesse per lui ogni istante della sua
vita. Io non mi sto facendo da parte. Abbassò
la testa di lato, mentre una smorfia di rabbia gli colorava il viso.
Lui non si
sarebbe mai fatto da parte, vero? Lui avrebbe sempre voluto Merlin al
suo
fianco, nonostante tutto.
“Lo
sarò”.
La
sua voce era uscita sofferente. Sollevò lo
sguardo, solo per incrociarlo ancora una volta con il mago, un ultima
volta.
Quegli occhi… Si
voltò e uscì dalla
porta, non riuscendo neanche a chiuderla alle sue spalle. Percorse il
corridoio
con passo austero e orgoglioso, come un Re avrebbe dovuto fare. Quando
svoltò l’angolo,
tuttavia, lasciò che la sua mano si poggiasse alla parete,
sorreggendolo. Oltrepassare
quella porta era stato come sentire una spada affondargli nello
stomaco. Un
colpo senz’altro mortale.
NdA:
Perché direte, perché questo masochismo?
È
insito nel mio DNA, credo. E pensare che stavo cercando di andare
avanti con un’altra
ff che ho in lavorazione, molto gioiosa, felice, a “lieto
fine”, quando
gironzolando per i miei fanmix Arthur/Merlin che dopo aver scaricato
non avevo
ancora ascoltato sono capitata su questa canzone: “The
Call” di Regina Spektor.
E lì l’ispirazione è venuta senza
neanche chiamarla. Se la ascoltate, potreste
sentire che è leggermente familiare, e in effetti
è la canzone finale de “Le
Cronache di Narnia: Il Principe Caspian”, quando i
protagonisti lasciano
Narnia. Comunque… riguardo questa storia. Non ho messo fra
gli avvertimenti OOC
perché in pratica è un telefilm a parte a mio
parere, quindi non ero certa se
inserire quell’opzione… mi scuso se qualcuno li
ritiene OOC e quindi non
avrebbe voluto leggere questa storia. Poi… L’ho
riscritta due volte, perché alla
fine Arthur mi usciva sempre un po’ insensibile, spero ora si
intravedano un po’
i suoi sentimenti (che comunque restano un punto abbastanza oscuro
dell’intera
storia… è voluto). E infine, ovviamente,
ringrazio in anticipo chiunque leggerà
o commenterà o inserirà in qualche categoria del
suo profilo questa storia. Li
prendo tutti come complimenti, sul serio. Spero di avervi rubato
qualche
lacrimuccia. Oh,
la storia non è betata. Non ho mai fatto
betare le mie storie in effetti, spero non ci siano molti errori
(soprattutto
coi tempi verbali).