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Autore: samskeyti    21/10/2010    12 recensioni
Raccolta di episodi estratti da un passato troppo bello per essere dimenticato. "Take us back again."
Contiene:
Would you be my Valentine?; And you've killed my fear; Button of Love; Where I end and you begin and more...
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Dominic Howard, Matthew Bellamy
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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NDA: Ebbene sì, potete cantar vittoria. Sono impazzita x°D. Altrimenti come la chiamereste, se non pazza, una che decide di scrivere una dolcissima serie su Matt&Dom da piccini picciò? Vedete voi v.v
Comunque, non ho scopi di plagio né lucro. Tutto è frutto della mia fantasia.

Questa è la prima di una piccola serie.


È dedicata a tutte le mie amiche SPECIALI (loro sanno chi sono), in particolare a due che mi hanno dato l'idea senza volerlo! ILA <3 che amo troppo & la mia MARA <3

Ps: Per Special Needs, non temete. A breve il nuovo capitolo.
Cheers!
 

 

".Would you be my Valentine?"

Il giorno di San Valentino può essere vissuto come uno dei più belli e attesi dell'anno o come uno dei peggiori, uno di quelli che si spera passino in fretta per poi non ricordarsene più. Sicuramente costituisce la gioia di molti commercianti, che approfittano della voglia di regali per guadagnare, ma le persone, anzi, i ragazzi come trascorrono questa festività imposta?

Quel 14 Febbraio 1991, a Teignmouth, cadevano dal cielo perlato piccole scaglie di neve, simili a tante piume d'angelo fluttuanti nell'aria gelida. Il terreno sterile era congelato da qualche settimana ormai, e le piante morivano lentamente dentro i loro tronchi secchi. Pareva che l'inverno si stesse divertendo parecchio a sfiancare la natura indifesa della cittadina; ma, nonostante questo, il mondo non perdeva un barlume di speranza. Barlume certamente rinvigorito da un'occasione d'oro come quella di San Valentino, giorno che avrebbe riportato colore e passione anche nella nebbia e nel bianco freddo.
A scuola, c'era un via vai di sguardi complici; si vedeva chi aveva preferito il pomeriggio per scambiarsi i doni, e quindi si dava appuntamento, o chi invece li sfoggiava per i corridoi con orgoglio. Mazzi di rose, scatole di cioccolatini, biglietti e fiocchi: tutto passava dalla mano di un ragazzo a quella della sua ragazza, magari accompagnato da un veloce bacio.
Le ragazze più carine indossavano simpatici completi rossi nonostante la rigidità del clima; c'era una gara, fra di loro, a chi riceveva più regali. Ovviamente il prescelto sarebbe stato solo uno, ma la rivalità si sentiva davvero in modo spietato, non dava tregua.

Matthew Bellamy arrivò in ritardo come al solito; l'orologio segnava le otto passate da 10 minuti, quando bussò alla porta e, tutto affannato, si precipitò nell'aula. Indossava un giubbotto troppo largo per lui e di un orribile marrone invecchiato. I suoi scarponi erano fradici e i jeans riportavano gli schizzi di una corsa sfrenata fra le pozzanghere. Era inguardabile per la professoressa, che lo squadrò rassegnata, prima di concedergli il permesso di entrare. Si tolse il cappello di lana, probabilmente cimelio di famiglia, e una massa arruffata di ciuffi ebano saltò per aria elettrica. Il suo naso, non propriamente alla francese, era rosso più della gonna di ogni ragazza; le sue labbra, screpolate fino all'inverosimile, chiedevano pietà.
Il suo vicino di banco, l'impeccabile Dominc Howard, più grande di un anno, gli fece spazio sul tavolone che condividevano. Quella mattina indossava un bianchissimo cachemire girocollo e un paio di jeans neri stretti, buon modo per risaltare le sue forme quasi perfette di certo apprezzatissime dal pubblico femminile. I capelli biondi si arricciavano con grazia attorno al suo volto quasi femminile e le labbra vermiglie risaltavano oltremodo la sua bellezza, onestamente, incredibile.
Matthew si sfilò quell'arnese marrone e rimase con un maglione sformato dal colore indefinibile; attraverso la stoffa consumata si vedeva chiaramente quanto fosse magro e forse denutrito. Le maniche gli pendevano lunghe, impedendolo nei movimenti più elementari. Dopo pochi secondi se le arrotolò lungo gli avambracci, che si mostrarono sottili come bastoncini per lo shang-hai. Tirò fuori i suoi libri disordinati e pasticciati, quindi attese che la professoressa esponesse il programma della giornata. Non si ricordava neanche alla lontana che giorno fosse; per lui 14 Febbraio significava solo un altro giorno da vivere, fine.

"Perché sei in ritardo?" gli chiese sottovoce Dom, avvicinandosi, mentre la professoressa faceva l'appello.
"Perché non mi è suonata la sveglia" rispose Matt, coprendosi la bocca con una mano.
"Bellamy, presente, per mia bontà" borbottò l'insegnante, scorrendo con una penna l'elenco sul registro.
Matt chinò il capo con espressione triste. Le sue guance arrossate intenerirono Dom, anche se era abbastanza intenerito da tutto il resto per desiderare fortemente di fare qualcosa per il bene di quel ragazzo sfortunato.
"Matthew, stai tranquillo, oggi non interroga" lo rassicurò, dando una piccola spinta alla sedia per avvicinarsi ulteriormente al moro.
"No?"
"No, è San Valentino!"
Matt increspò la fronte perplesso. A mala pena sapeva cosa significasse quell'affermazione, perciò non capiva perché la prof dovesse graziarli per un motivo così banale.
"Quindi?" chiese, guardando finalmente Dom negli occhi.
"Quindi si fa festa" sussurrò quest'ultimo, reggendo con fatica il peso delle perle oceano che scintillavano tra le ciglia dell'amico.
"Howard, presente, caro lui" disse la professoressa, ammiccando all'alunno prediletto.
Le ragazze ebbero un moto contemporaneo d'ammirazione verso Dominic; inutile dire che tutti si chiedevano come mai parlasse, anzi, degnasse d'attenzione quello scricciolo di Bellamy.
"Festa?" Matt continuava a non capire.
Dom trattenne una risata. Forse era per quell'ingenuità da bambino che lo trovava... sì, adorabile.
"Sì, Matt, ce la puoi fare! È la festa degli innamorati, in parte degli amici, e la prof da sempre organizza qualcosa di divertente" disse, mentre sentiva che i suoi occhi si erano arenati su una delle tante spaccature delle labbra del moro. Avrebbe voluto metterci del burro-cacao, o un cerotto. Non sarebbe stato ancora più carino, Matthew, con un cerotto sulla bocca?
"Ah, va bene" si limitò a commentare lo scricciolo, tornando a guardare verso la cattedra.

Si sentiva a disagio, fortemente a disagio; non aveva nessuna ragazza con cui festeggiare e, probabilmente, nessun amico. Pensò con tristezza a quante giovani avrebbe dovuto accontentare Dom. Lui sì che era forte, bello, simpatico. Piaceva a qualunque persona si trovasse davanti, aveva un fascino innato, anche a prescindere dalla sua spiccata intelligenza.
Matt era convinto che Dom gli rivolgesse la parola solo per commiserazione. Era talmente un buon cuore che non avrebbe rifiutato a nessuno la sua preziosissima attenzione, quindi non la rinnegava neppure a quel nonnulla che era lui. Si sentiva così annientato, di fianco a quell'Adone; al di fuori della scuola ogni tanto si salutavano, era capitato pure che Howard lo invitasse a uscire. Però Bellamy aveva preferito rifiutare, non sentendosi né all'altezza né di suo gradimento.

"Matt," bisbigliò ancora il biondino, "tu ce l'hai la ragazza?"
Il moro avrebbe voluto far finta di niente, ma, quando si girò per vedere se stesse davvero parlando con lui, venne catturato da quei due occhi verdi troppo perfetti per non rimanerne incantato.
"Matt, mi senti?"
Dom gli diede una piccola scossa, prendendolo per il polso e scuotendolo lentamente. Rimase molto stupito dalla leggerezza delle ossa del moretto; sapeva che era magrissimo, ma addirittura così inconsistente, non lo avrebbe mai detto. Si sentì grasso a confronto.
"No" rispose laconico Matt, sfilandosi dalla presa e indietreggiando un poco con la sedia. Ora cos'avrebbe fatto quell'Howard, avrebbe vantato le sue mille conquiste?
"Neanche io!" ammise il biondo, lasciandosi scappare un sorrisetto imbarazzato.
"Cosa?" domandò, quasi ad alta voce, il moro, troppo incredulo per non far ridere Dom.
"Sì, giuro. Ma non dirlo in giro, non vorrei che poi pensassero male o le ragazze mi soffocassero...facevano così prima che m'inventassi di essere fidanzato."
Matt alzò le sopracciglia; era davvero spiazzato. Uno come Dom che s'inventava bugie sulle ragazze? Forse la realtà non è quella che appare.
"Dominic, non pensavo" disse infine, sentendosi leggermente più sollevato.

La conversazione sarebbe andata avanti se la professoressa non avesse dato inizio al gioco. Consisteva nelle solite cretinerie che tanto emozionano i deboli di cuore: scambio di bigliettini segreti e derivati. Anzi tutto, si ricorreva l'allestimento di un maxi cartellone su cui appendere tanti bicchierini di plastica sopra cui segnare un numero; un biglietto con lo stesso numero sarebbe stato appeso su ogni giocatore, di modo che tutti potessero sapere il numero di tutti. Poi ognuno avrebbe scritto uno o più biglietti e li avrebbe infilati nei bicchieri interessati, mentre ovviamente nessuno guardava.
Una decina di minuti dopo ed era tutto pronto. Tutti impugnarono la penna e si lanciarono nella scrittura. Era divertente osservare l'impegno che ci mettevano. Chissà quali romanticherie avrebbero creato i ragazzi per le ragazze!
Matt non aveva neanche tirato fuori la penna. Non voleva scrivere niente a nessuno, quindi rimase immobile a fissare il muro. La professoressa lo guardò male, ma non lo costrinse a scrivere. Dom, invece, aveva preso un foglietto e stava pensando a qualcosa, vista l'espressione concentrata.

"Uff" sbuffò il moro, appoggiando sul tavolo. Avrebbe voluto dormire, ecco; che senso aveva stare fra tanti deliziosi innamorati, mentre si ha solo un gran sonno?
"Matt, che fai, non scrivi a nessuna?" gli chiese un compagno, invadente e maleducato a dir poco.
Matt arrossì e desiderò sprofondare. Scosse la testa sconsolato. Dom osservò la scena, ma non intervenne perché pensò che con gli stupidi non c'è da perder fiato. Riprese a comporre il messaggio.
Poco dopo, vennero imbucati di nascosto e l'insegnante diede il via al gioco. Tutti si fiondarono a controllare il proprio bicchierino; alcuni straboccavano, altri erano più leggeri, ma non ce n'era uno vuoto.
Matthew, totalmente disinteressato, chiese il permesso di uscire. La professoressa gli concesse quest'indulgenza e tornò ad occuparsi dei suoi piccoli adolescenti innamorati. Lui andò in giardino, così, senza giacca, a battere i denti seduto sotto un albero spoglio.

"Dom, quanti biglietti!" esclamò un compagno, dando un'occhiata sul banco del biondino.
Li aveva estratti dal bicchiere e li stava controllando uno ad uno; ma, facendo attenzione, si notava che non li leggeva. Apriva la carta, scorreva velocemente il testo e poi, deluso, li ripiegava e li rigettava nel mucchio. Evidentemente nessuno era stato scritto dalla persona che gli interessava. Si alzò scocciato. Tutte le ragazze sperarono che stesse per annunciare qualcosa, tuttavia il biondo le disilluse subito.
"Prof, possiamo passare al prossimo gioco?" chiese, voce atona.
"D'accordo, ciascuno al proprio posto!"

Matt aveva le labbra bluastre e la pelle diafana del volto ricoperta da un sottile strato di brina; i capelli si erano induriti in piccole ciocche ghiacciate alla punta e i piedi potevano benissimo essere sull'orlo del congelamento. Non riusciva nemmeno più a tremare. Era solo un bimbo incurvatosi prematuramente, con le ginocchia tirate al petto e gli occhi sbarrati come quelli delle bambole di pezza.
Udì in lontananza le grida dei ragazzi che uscivano dalla scuola. Probabilmente era l'ora di pranzo, anche se del sole non c'era traccia, oltre che una palla grigia e malaticcia dietro strati spessi di nuvole.
Dominic si sentiva male. Aveva un nodo alla gola che, se si fosse sciolto, lo avrebbe ridotto in lacrime e strilli. Perché? Perché aveva perso Matthew.
Dopo un susseguirsi stupidissimo di giochetti a base di cioccolato e fiori, era uscito disperato alla ricerca del moretto. Lo aveva cercato ovunque, ovunque il suo cuore impazzito gli suggerisse di andare. Alla fine era suonata la campana ed era costretto ad uscire, quando...

"Matthew!" gridò con tutto il fiato che aveva, scorgendo un puntino nero su una distesa immacolata di neve.
Corse al massimo della velocità, inciampando ripetutamente nelle lastre di ghiaccio sotto la coltre morbida, e poi si rialzò, sempre puntando dritto a quel ragazzo rannicchiato.
"Matthew!" urlò ancora, una volta che fu a due passi dal moro.
Matt ebbe appena la forza di alzare il capo, mentre pezzettini di ghiaccio gli scricchiolavano addosso rompendosi. Dom non perse un secondo. Si gettò a terra, si tolse la giacca imbottita e la chiuse immediatamente attorno all'amico. Poi abbracciò quel batuffolo e gli sfregò velocemente le mani sulla schiena, così da sviluppare calore. Pregò mentalmente che non fosse troppo tardi e il freddo avesse lasciato segni irreversibili sul ragazzo; la fortuna era dalla loro parte e, dopo un paio di minuti, la temperatura di Matt ricominciò a salire.
"Grazie" sussurrò rauco il moro, mentre l'altro continuava a scaldarlo con tutto il corpo.
"Cosa ci fai qui?" chiese affannato Dom, troppo sopraffatto dalla paura di essere arrivato in ritardo per non far vibrare la voce d'ansia.
"N-niente" rispose Matt, cercando di alzarsi.
Quell'abbraccio lo inibiva. Si conoscevano a mala pena e giusto perché erano compagni di banco, perciò tutta quell'intimità improvvisata era disorientante. Dom allentò la stretta, percependo l'imbarazzo dell'altro. Tuttavia gli lasciò il giubbotto, serviva molto più a lui. Matt, pian piano, riscaldato dalla lana pura e dalle piume nell'imbottitura, tornò ad acquistare colore.
"Vado a casa, ti riporto il giubbotto domani" disse, incamminandosi verso la strada.
Dom rimase ammutolito a guardare la sua figura allontanarsi, molto buffa perché le gambe erano due sottilissime matite che spuntavano da quella palla gonfia creata dal giubbotto così che alla fine somigliava ad un kiwi australiano.
Si stava quasi per dimenticare di una cosa fondamentale. Se ne ricordò all'ultimo e si lanciò un'altra volta ad inseguire il moro, già imbucatosi fra le vie cittadine.
"Matt!" gridò, una volta avvistatolo.
Matt lo sentì e si fermò ad aspettarlo. Pensò che rivolesse la giacca, avrebbe avuto ragione.
"Matt, mi sono scordato di dirti che alla fine sei uscito e non hai più controllato il tuo bicchierino" disse tutt'ad un fiato, destando molto stupore nell'altro.
"Sì, quindi? Pensi che me ne importi qualcosa?" fu la replica secca di Matt, il quale sinceramente desiderava solo andarsene a dormire in un letto caldo.
"Beh, magari qualcuno ti ha scritto..."
"Non credo. E anche se fosse, non m'importa di nessuno."
Dom, davanti ad un muro così incrollabile, poté solo annuire e levare il disturbo. Lo salutò con un sorriso di circostanza e girò al primo angolo, anche se non era quello giusto. Voleva non vederlo più, tanto che senso avrebbe avuto affezionarsi ad una persona così gelida, così solitaria e menefreghista?

Matt riprese la strada interrotta, però un dubbio cominciò a formularsi dentro di lui. Non poteva essere casuale quella domanda di Dom; perché chiedergli di controllare il bicchiere, se non per suggerirgli che se non lo avesse fatto si sarebbe perso qualcosa? Magari era tutto un artificio, ma Dom non sembrava il tipo da architettare diavolerie alle spalle delle persone...soprattutto di una persona a cui aveva imprestato il giubbotto. Matt arrivò alla conclusione che c'era una motivazione dietro le azioni di Dominic, quindi fece dietro-front e tornò a scuola. Probabilmente l'avrebbe trovata chiusa, ma non era la prima volta che si intrufolava da una finestra lasciata aperta per cambiare l'aria. Era così che si era procurato alcune delle cicatrici che riportava il suo corpo.

Entrò nell'aula, pescò dal cassetto della prof il cartellone e cercò di ricordarsi il suo numero per rintracciare il suo bicchiere. Eccolo, numero tredici. Infilò una mano e grande sorpresa gli si dipinse sul volto, quando le punte delle dita toccarono un pezzetto di carta.
"Ma cosa..." commentò, tirandolo fuori.
Era a quadretti e ripiegato quattro volte con cura. Pensò ad uno scherzo, ma si abbandonò alla curiosità di scoprire di chi fosse.
-Matthew, ho pensato e ripensato a come chiedertelo, ma arrivo sempre a decidere che la semplicità sia la cosa migliore. Quindi, ne approfitto di questa stupida occasione per domandarti: ti andrebbe di venire a giocare da me? Sono il numero uno.-
Immediatamente spostò lo sguardo sul bicchiere numero uno e gli bastò un dettaglio per capire a chi appartenesse: era stato talmente tante volte toccato per infilarci i biglietti che era spiegazzato e ammaccato da tutte le parti. Inoltre, la professoressa, alla distribuzione dei numeri, aveva detto:
"E il numero uno spetta a...Howard! D'altronde, lo sei in tutti sensi, caro Dominic!"
Un moto di gioia improvvisa agitò le fondamenta dell'animo di Matt. Quello...quello significava che finalmente aveva un amico! E che amico! Il migliore, il più simpatico e forte, il numero Uno! Fece un saltello involontario e si sentì onorato di indossare il suo giubbotto. Sorrise timidamente da solo, mentre pensava alla prossima azione. Avrebbe potuto aspettare il giorno dopo per ringraziarlo dell'invito e accettarlo, oppure avrebbe potuto procurarsi il suo numero di casa, oppure poteva direttamente andare a casa sua...ad aiutarlo nella decisione fu una bidella, la quale passò per pulire la classe e disse al giovane:
"Ragazzo, se sei compagno di Howard, mi faresti un favore, riconsegnandogli questi giornaletti che ha prestato a mia figlia settimana scorsa?"
Ora aveva anche una scusa. E l'indirizzo era scritto sul registro di classe, lì annualmente si registravano numeri telefonici e indirizzi. Afferrò i giornaletti e si rimise in viaggio.


Dom sedeva annoiato dietro la scrivania di camera sua. Oziava da più di mezz'ora, guardando fuori dalla finestra il suo giardino privato. Avrebbe desiderato un compagno di gioco, ma per un motivo a lui ignoto si sentiva troppo solitario per chiamare qualcuno, anche il suo amico di sempre Chris. Stava per scendere a prepararsi una cioccolata, quando vide entrare dal cancello un ragazzino dall'aria impaurita. Mise a fuoco la vista e ne ebbe la certezza. Scese di corsa le scale e in un batter d'occhio aprì alla porta, ancora prima che Matt potesse suonare il campanello.

"Matt!" lo salutò, visibilmente rallegrato da quella visita.
Matt balbettò qualcosa di incomprensibile, poi riuscì a fare ordine e, schiarendosi la voce, disse:
"Ecco, questi sono i tuoi giornalini e... beh, ho letto."
Dom prese i giornali e li lanciò distrattamente sul divano alle sue spalle, poi tornò a concentrarsi su Matt.
"Che cosa?"
"Ho letto il messaggio nel bich-...fa niente, ci vediamo" aveva perso coraggio ancor prima di averlo!
Fece per andarsene, ma Dom lo fermò per una spalla.
"Accetti?" chiese, trattenendo il sorriso di chi sa già la risposta che sta per ottenere.
"Se ti va..."
"Ma certo! Entra pure, entra!" e gli aprì la porta, così da farlo penetrare in quella villetta dall'aspetto delizioso.
Subito notò il buon gusto dell'arredamento e il profumo di pane fatto in casa che c'era nell'aria riscaldata da un caminetto scoppiettante nella sala. Ebbe una piacevole sensazione di familiarità. Gli restituì il giubbotto, non senza arrossire, e la sua attenzione venne catturata da un oggetto appoggiato al muro.
"Questa è una chitarra!" esclamò, avvicinandosi all'acustica di marca.
"Sì, ti piace?" domandò Dom, carezzandone la paletta.
"Molto. Sono appassionato di musica, nonostante per ora suoni solo il piano. Vorrei formare una band, io alla chitarra però..." e si abbassò per osservarne meglio le fattezze.
"Anche io ascolto molta musica, in particolare il rock! Sai cosa? Vorrei suonare la batteria, se i miei genitori me la comprano."
Matt sfiorò con l'indice le corde in ordine, Mi, La, Re, Sol, Si, Mi e poi ancora Mi, Si, Sol, Re, La, Mi, ascoltandone il suono appena percettibile. Era il suo strumento, lo sentiva nel cuore.
"Batteria? Perfetto, ci manca solo un bassista!" disse, ridendo dell'assurdità appena detta.
Dom invece si fece serio.
"Giusto, mi informerò a riguardo..." disse, valutando mentalmente le reali possibilità di attuare un piano del genere.
Matt era incredulo. Non gli erano mai successe tante cose belle nello stesso giorno. Trovare un amico, una band, una chitarra...cosa desiderava ancora?
"Senti...stavo per farmi una cioccolata. Ti va?" chiese il biondo, indicando la cucina.
Matt annuì vigorosamente. Dom fu felice della risposta, così avrebbe soddisfatto la voglia di nutrire quell'esserino sghembo.

"E chi è lui?" domandò la signora Howard, mentre mescolava il latte nella pentola appena dopo averci versato il cioccolato in polvere.
"Curiosità lecita, mamma" commentò Dom, osservando divertito Matt che arrossiva, presumendosi invadente.
"S-s-ssarei Meff-iu!" balbettò, testuali parole.
"Scusa caro, non ho capito bene" rispose la donna, strizzando gli occhi come per mettere più a fuoco quel ragazzino minuto e spaventato.
"Matthew James Bellamy!" disse infine, velocissimo, quasi le parole scottassero in bocca.
"Piacere, Matthew! Hai un nome in comune col mio Dominic" disse la signora, sorridendo al figlio.
"James è molto diffuso in Inghilterra" replicò Dom, anche se doveva ammettere a se stesso che questo particolare gli era sfuggito.
"Bene, ragazzi, vado ad aiutare tua sorella col bagno...qui è pronto" e, detto questo, uscì dalla stanza.
Matt si sentì meglio; la grande prova era passata, quella donna affascinante pareva averlo nelle sue grazie.
Dom versò la cioccolata bollente in due tazze e poi mise le tazze su un vassoio. Aggiunse due cucchiaini e fece segno a Matt con la testa di seguirlo.
"Dove andiamo?" chiese l'ospite.
"In camera mia, no?"



La cameretta di Dom era, come ci si potrebbe immaginare, bellissima. Moderna, ordinata, organizzata: Matt la guardava con occhi sgranati.
"Caspita," commentò, guardando uno scaffale di libri, "hai tutta la collezione dei miei giornaletti preferiti!"
"Te li presto, se vuoi."
"Sì, ma tu non li leggi?"
"Alcuni li so a memoria, altri non mi piacciono, li lascio lì per collezionismo."
Matt lo invidiò molto; aveva una casa perfetta, una mamma perfetta e lui era perfetto. Che confronto schiacciante con la sua madre pazza, la sua casa fatiscente e insomma, quello sgorbio di corpo che possedeva.
Dom si sedette sul suo letto a castello, ovviamente l'ultimo grido di letti per bambini.
"Sali?" chiese all'amico, mentre mescolava la propria cioccolata fumante.
"S-sì" bisbigliò Matt, nonostante non si ritenesse ancora abbastanza in intimità con Dom per sedersi sul suo letto.
Una volta accomodati, sorseggiarono silenziosi la dolce bevanda. Matt non la smetteva di osservare; aveva notato alcuni vinili molto preziosi, di band che anche lui ascoltava, e anche dei vestiti semplicemente favolosi.
"Posso chiederti una cosa?" domandò Dom, guardandolo con aria interrogativa.
"Dimmi."
"Tu mi incuriosisci moltissimo, sei diverso da tutti gli altri...perché sei così...insomma, così strano?"
A Matt andò di traverso la cioccolata. Per poco non la sputò sul candido copriletto sotto di lui. Non sapeva cosa rispondere; era una domanda cattiva, secondo i suoi parametri.
"Per strano non intendo qualcosa di negativo, anzi..." precisò Dom, vedendolo molto indeciso.
"Beh, sono fatto così. Un po' lunatico e solitario, ecco tutto" spiegò con semplicità Matt, e immerse il volto nella tazza pur di non incontrare lo sguardo dell'amico.
"D'accordo."

Dopo quest'iniziale lentezza, i due si trovarono molto bene. Passarono due ore a giocare con le più svariate cose; Matt decideva e Dom lo accontentava, divertendosi un mondo per l'imprevedibilità del compagno, capace di avere sbalzi d'umore da ragazza mestruata oppure di pronunciare tutto l'alfabeto al contrario nel minor tempo possibile.
Si accorsero che ormai era sera perché nella stanza si era fatto buio e ci vedevano a mala pena. Ma non tutte le cose si vedono con gli occhi...
Infatti Matt vide una scatolina fosforescente sul comodino di Dom. Era rossa e a forma di cuore.
C'era scritto sopra:
-Solo due amanti, solo due regole: chiudi gli occhi e segui il cuore-

La prese e chiese:
"Cos'è?"
"Oh, sarebbe una cosa per San Valentino" spiegò Dom, mentre, seduti l'uno di fronte all'altro a gambe incrociate per terra, guardavano insieme l'oggettino luminoso.
"Cioè?"
"Da quanto ti interessa San Valentino?" ironizzò il biondo, chiudendo fra le sue mani quelle di Matt, per prendere la scatolina.
"Scusa tanto, era pura indagine investigativa!"
Anche se c'era buio, riuscirono a guardarsi e a scoppiare a ridere. Quella era buona!
"No, in verità l'ho comprata giorni fa, nonostante non avessi un San Valentino. Andrebbe aperta con il tuo Valentino e poi dentro c'è o una collanina o un braccialetto da condividere..." disse Dom, abbassando la voce senza accorgersene.
Matt avvertì il calore delle mani dell'amico sulle sue e non fu spiacevole. Anzi, provava una nuova e particolare sensazione; era come se avesse dell'elettricità in corpo, accentrata fra il cuore e lo stomaco.
"Ah" osservò, non trovando null'altro da aggiungere.

"Matt" sussurrò Dom, pochi secondi dopo.
La sua voce rassicurante colpì con dolcezza i timpani di Matt; l'alito ancora profumato di cioccolato s'infiltrò per le sue narici delicatamente.
"Dom?" bisbigliò in risposta, avvicinando il capo come per farsi dire un segreto.
Il biondo gli scostò un ciuffo di capelli; il soffio del suo respiro caldo fece rabbrividire la carne del lobo di Matt. Non sapeva neanche cosa significasse bene tutta quell'agitazione, quella stranezza, quell'insicurezza.
Ci mise qualche anno per capire che si trattava solo di amore.

 

 

"Matt, vorresti essere il mio San Valentino?"








 

(Qui sono cresciutelli!)
  
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