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Autore: Tersy    22/10/2010    1 recensioni
Erano rimasti molti misteri da svelare. Il nemico peggiore non era ancora arrivato. Ed era invisibile.
Mai sfidare il Destino.[...]Dove abbiamo sbagliato per essere stati puniti in questo modo? Abbiamo combattutto per il Bene, difendendo i più deboli, affrancando dal proprio dolore i malvagi. Abbiamo ridato la speranza ai cinici, scaldato i cuori più indifferenti. Abbiamo creduto nell'Amore, nella Giustizia e nella Pace. Umani che salvano altri umani. Insicure del nostro valore, ma coraggiose nelle nostre paure. Pronte a tutto, ma non a questo.
Perché questa tortura, perché questo massacro, perché questa distruzione?

(Storia totalmente riscritta nello stile narrativo e più vicina al manga. Per ogni capitolo, un narratore diverso. Enjoy!)
Genere: Drammatico, Guerra, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Dopo la fine
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Capitolo III (parte prima)
Una dolce assuefazione


Mai cibarsi del Destino.

È un pozzo senza fondo, una zuppa annacquata di nascosto. Ad ogni cucchiaiata ti convinci di approssimarti alla fine del pasto, ma non sei che al principio. Lui lo sa e ci gode. Ti guarda, il Fato, e fa: “Vuoi un altro mestolo di minestra?”. Tu annuisci, tuo malgrado, perché quel brodo è quanto di più semplice e leggero tu possa mai assaggiare. Te ne ingozzi fino a scoppiare e solo a cena terminata, quando è troppo tardi per cambiare ordinazione, ti rendi conto di non aver mangiato affatto.

Infilo la chiave nella toppa e la ruoto in senso orario. La saracinesca si solleva stanca e sento il ronzio dell'ingranaggio vecchio e mai oliato. Accendo l'insegna e lo Sweet Submissions può dirsi aperto al pubblico.

Ho perlustrato la città per cercare il luogo adatto dove insediarmi. E il corpo adatto. Questa donna ha fatto davvero poca resistenza e la mia anima è penetrata dentro lei, scorrendo quasi con naturalezza. Guardandomi allo specchio, non riesco a stranirmi, a commentare l'immagine riflessa. Un caschetto di capelli castani contorna un viso lievemente paffuto, macchiato da due occhi nocciola. I seni abbondanti e i fianchi larghi, tutto in 165 centimetri di altezza. Il mio primo corpo è polvere di polvere e ovunque sia sparsa non fa acquolina a nessuno. Non ho nessun ricordo di esso, delle mie forme, dei miei capelli, dei miei colori. A dire il vero, ho pochissima memoria anche del resto: a Ukronos non solo il tempo non esiste, ma non è possibile pensarlo. Tutto si illanguidisce fino a estinguersi in silenzio.

Ho delle visioni, raramente, e mi persuado sempre più di averle rubate ad altri dannati. La proiezione è la stessa, tutte le volte, una bobina che gira a vuoto su uno schermo sporco e confuso.

Sono in una casa umile, uno stretto corridoio conduce a una piccola stanza da letto. Si sente un odore acre di medicine, di aghi, di flebo. Un grappolo di gente è lì ammassata e circonda il letto, con lo sguardo mesto, vinto. La luce interna rasenta le tenebre. Qualcuno mi chiama, non sono in grado di distinguere quel nome, ma so che si sta riferendo a me. Mi avvicino al centro della stanza, sorpassando e infiltrandomi tra le persone. Giungo al capezzale. Un uomo, un dottore suppongo, pizzica il tubo di una flebo per controllare che lo stillicidio sia nella giusta frequenza. La stessa voce prende a sussurrarmi qualcosa. È la ragazza che giace sfinita e pallida tra le lenzuola.

«Non commettere i miei stessi errori.»

Bella frase, se sapessi a cosa si riferisce.


«Ma mi sta ascoltando?»

Vibro il capo per tornare a questo mondo stupido. Una signora anziana mi fissa dall'altro lato del bancone con due guantiere di pasticcini, una in una mano e una nell'altra.

«Sì, stava dicendo che... » tentenno, non l'ho minimamente ascoltata. Non sapevo nemmeno fosse entrata in negozio.

Quella rotea le pupille, come a provare pietà per la mia distrazione facile.

«Le chiedevo quale fra questi è più adatto per una festa di compleanno per bambini. I dango1 o i kompeito2

Inutile dire che non ne abbia la più pallida idea. Sembrano entrambi invitanti, ma non so nemmeno quali siano gli ingredienti. Mi invento qualcosa lì per lì.

«I kompeito sono più leggeri e colorati. » il che è solo una constatazione di fatto e non un consiglio. All'anziana, però, sembra sufficiente, paga e se ne va.

La giornata in pasticceria scorre nel modo più tranquillo e noioso possibile. Ho davvero tanto cercato questo: i clienti passeggeri e sordi, incartare, stipare denaro in cassa, poltrire al di là del bancone? È questo che volevo? È per questo che ho siglato un patto di omicidio?

Una pallina rosa di dango è l'unica rimasta in tutta una guantiera. La prendo con indice e pollice con estrema lentezza. La osserva a stretto contatto col naso, rigirandola varie volte tra le dita. L'avvicino alla bocca. Tiro un morso e aspetto che il boccone si sciolga sulla lingua.
Non so bene come, ma so che questo preciso gesto è l'inizio della mia perdizione e pur dimenticato da secoli, mantiene intatta la sua travolgente morbosità. Inghiotto in un sol morso il restante pasticcino e sento le dita appiccicose. Le lecco una ad una. Che errore! Cerco altri dango con cui saziarmi in un tremendo supplizio di voracità.

«Signorina, si sente bene? »

Sono riversa sul banco, le braccia lunghe che sfiorano il capo. Il ventre preme contro il bordo del tavolo. Vorrei distruggermi lo stomaco a furia di colpi, vorrei che lo spigolo appuntito del bancone lo lacerasse e potessi strapparmelo via. Chi conosce i morsi della fame può capire cosa sto provando. Non smetteranno, non smetteranno. Mi brucerà sempre dentro l'insoddisfazione e le mie carni si contorneranno senza ritegno. Sarò per sempre affamata. Batto con forza i pugni sul tavolo e ho una terribile voglia di piangere. Sento qualcuno biascicare che chiamerà un'ambulanza, ma non me ne curo e resto abbandonata a me stessa.

«Che forza la sua cintura, signora! »

Un moccioso mi sta di fronte e indica col suo dito tozzo e paffuto la mia cintola. Abbasso lo sguardo, senza capire a cosa si stia riferendo. Impallidisco. Il talismano che porto all'altezza del bacino, una mela rosa stilizzata, improvvisamente abbaglia con la sua luce intermittente. È il portentoso amuleto che ci ha donato la Signora. E so anche cosa mi sta segnalando: è qui, è qui vicino. La preda da consegnare esangue, come stabilito.

Lo scacciapensieri tintinna alla porta e dalla fessura che si allarga all'incedere del nuovo cliente, la vedo. Una ragazzina con la divisa scolastica, dai lunghi odango biondi. Mi rimetto eretta e ritrovo contegno e apparente serenità, sorridendole come a chiunque altro. Si è presentata ella stessa dal suo carnefice. Non ha molta voglia di vivere. Forse ne ho più io, che sono già morta.
Vuole morire di una dolce assuefazione.

Edu
peccatrice di Gola

Note
[1] i dango:(Qui)
[2] i kompeito:(Qui)
   
 
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