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Autore: manubibi    22/10/2010    0 recensioni
d'accordo, i Muse ai tempi della prima guerra mondiale è un'idea decisamente malsana! non so come mi sia venuta, comunque avverto subito che c'è dello slash XD comunque i commenti sono AMORE, come sempre xD
Genere: Introspettivo, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Christopher Wolstenholme, Dominic Howard, Matthew Bellamy
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Stava piangendo ininterrottamente da almeno mezz’ora, rannicchiato nella trincea ovest, vicina al confine con la Germania, nel buio della notte, fra i fumi dello scontro finito da poco. Tremava cercando di non farsi sentire, perché un uomo non mostra i suoi sentimenti: è da finocchi, Matthew.

-Cosa ti prende, Bellamy?-, grugnì Christopher in tono scocciato. –Non hai proprio imparato, eh?

Il ragazzo non rispose, continuò a mordersi le labbra per cacciare i singhiozzi, per non svegliare qualcun altro.

-Oh, beh, arrangiati…e a proposito, buon Natale-, borbottò in tono sarcastico l’laltro, per poi allontanarsi, spostando corpi morti e carcasse di topi con la testa fracassata, e dopo un po’ si riaddormentò altrove.

Già, bel Natale. 25 Dicembre 1914, Cristo era nato da un’altra parte, per quanto lo riguardava. Lì non c’era.

Quel pomeriggio era stato Matthew a vedere la Morte da vicino, troppo per non rimanere scioccato, e forse per non cambiare visione su quello che credeva fosse il suo mondo.

Un attimo prima Albert Winston gli sta elencando, con sommo orgoglio, tutti i motivi per cui l’Inghilterra è migliore di tutti gli altri paesi, uno sparo rimbomba e l’attimo dopo il ragazzo cade, tace con la bocca nel fango, rantola di dolore e si contorce nell’agonia fino alla morte, come un animale.

Pochi momenti l’avevano riempito di violenza, terrore, angoscia, tutto insieme mescolato, premuto dentro al cuore, stipato con forza sadica dalla mano del destino…aveva  l’impressione che Qualcuno avesse voluto mostrargli da vicino cos’è la morte, cosa provocava in chi stava vicino ad Albert, uno che conosceva – anche se poco – quando moriva.

Piangendo voleva liberarsi di quell’ansia, l’angoscia, quella…rabbia, amarezza, frustrazione, vertigine, paura. E poi? Ancora rabbia. Odio e disillusione. Verso suo padre? O anche più in là, alla Camera dei Lord, o al Re e alla Regina, tutti quelli che avevano approvato la guerra, la carneficina. Anzi, non solo per loro. Odio per i governi degli altri stati e quello stronzo serbo o bosniaco o quello che era. Se non avesse sparato…E poi sentì commiserazione per gli altri soldati. Forse anche loro si sentivano come lui, forse anche loro maledicevano la Storia per averli condotti a quel punto. Forse pensavano le stesse cose, e forse non erano così diversi. Ognuno di loro aveva la propria storia da raccontare, e tutte meritavano di essere ascoltate, o almeno valorizzate. Eppure…eppure a chi se ne stava comodo al caldo, a casa, a leggere i dispacci davanti ad un camino caldo e confortevole, delle loro condizioni non importava. Normale, non vivevano niente direttamente, non potevano fare altro che commentare paciosamente e senza apparente interesse gli ultimi sviluppi, lisciandosi la barba e ordinando “un altro sherry, cara”. Era una scena che aveva già visto. Suo padre usava speculare così, calcolare i profitti in base al lavoro degli altri, e fino a quel momento non aveva mai messo in dubbio che in qualche modo quello fosse l’ordine naturale delle cose. Che i ricchi in qualche modo si meritassero di scampare alle responsabilità, che l’evoluzione della specie si fosse svolta in quel modo perché non c’era un’altra possibilità, perché era…ecco, giusto, non come diceva Rousseau.

Si guardò intorno, e fra le lacrime scoprì che al contrario era tutto così orribilmente sbagliato, così illogico. Eppure era la realtà, se ne accorse in tempo, scansando il pericolo di ricadere nel bovarismo più illusorio. Non poteva sognare altro, poteva solo sperare di sopravvivere.

Smise di piangere dopo qualche altro minuto di angoscia, con le guance calde e la bocca tremante. Guardò le proprie mani sporche e puzzolenti come tutto il resto della trincea – l’odore era nauseabondo, ma finora non se n’era accorto, ci si era abituato – e tirò su col naso. Basta piangere, Matthew, da domani non piangerai più di paura, si disse.

 

Dominic lo stava osservando attentamente da quando aveva sentito svegliandosi i primi singhiozzi, e si era chiesto cosa fosse successo. Nel buio riusciva a distinguere la sua figura minuta tremante, inginocchiata scompostamente, la fronte appoggiata al braccio e il braccio appoggiato al muro di fango e sassi. Non sapeva per quale motivo fosse così sconvolto, ma istintivamente provò un pizzico di tristezza. In fondo, chi lo diceva che anche i ricchi non soffrissero? E se Bellamy, pur essendo uno stronzo viziato, avesse avuto qualcosa di bello dentro di sé? Lui non lo poteva sapere, dopotutto. Lo osservava mostrare palesi segni di debolezza, e se da un lato gli sembrò solo un moccioso, dall’altro provò empatia, perché tutti stavano soffrendo e tutti si erano ridotti a macchine senza un’anima.

 In questo ruolo Christopher ci si ritrovava con sempre più comodità e sempre meno sforzo. Per lui i giorni scorrevano sempre più veloci e sempre meno memorabili, fino a passare giornate intere a sparare e bere solamente, senza scambiare una sola parola con nessuno. Si era trovato in quella situazione…beh, meglio evitare di morire, potendo farlo. E degli altri meglio fregarsene, lui non si sarebbe sicuramente sacrificato per qualcuno che non gli prestava la minima attenzione. Si era convinto del fatto che nella vita vincesse il più forte, ed era fermamente convinto di poterlo essere, che sarebbe tornato a casa illeso, o che magari gli avrebbero dato un’altra licenza a Troyes…
Oh, sì, quella era un'ottima ipotesi.
Prese il fucile e cominciò a lucidarlo.

 

 

 

Appena sveglio si accorse di avere fame, e guardandosi attorno scorse fra il fango, i detriti, pezzi di legno e carcasse di animali morti un sacco che doveva essere pieno di cibo. Con un ghigno soddisfatto lo prese, lo aprì impaziente e cominciò a pescare cibo a caso, ficcandosi in bocca grugnendo quanta più cibarie potesse, non importava se fosse buona o marcia. Gli bastava riempire la pancia, tutto qui.
Mangiando lanciava occhiate paranoiche tutto intorno, per essere sicuro che nessuno puntasse allo stesso cibo, come un topo vecchio e denutrito che divora gli avanzi del padrone di casa senza farsi vedere.
Finito il misero pranzo, si alzò dai liquami del suolo, fiutando qualcosa di insolito. Non l'odore di decomposizione o di merda e sangue mischiato a sudore, ma qualcos'altro, e chi sa cosa? Guardingo, percorse il corridoio in cui si trovava, si arrampicò sul bordo osservando da lontano la prima linea nemica.
Quanti crucchi ammazzerò oggi? canticchiò fra sé e sé, ghignando. Sapeva che godere nella morte altrui non era umano, ma dopotutto cos'era diventato? O meglio, cosa la vita l'aveva costretto a diventare? Esatto, gente, risposta esatta, quindi almeno era coerente. Essere cattivi dopotutto era una necessità, essere bestiali un obbligo. Aveva persino la stazza da cacciatore mortale, quindi perché reprimersi?
Vide una testa spuntare timidamente dal parapetto dell'altra trincea. Caricò la mitragliatrice e ghignando sparò.
Poi accese un sigaro, e si mise a pensare.
Era una fortuna che gli italiani avessero finalmente deciso di dare una mano, tanto indecisi fra appoggiare i cattivi e chi combatteva per il bene dei Popoli. Avevano stanziato quasi tutte le forze sull'Isonzo, a Sud, ma qualcuno era giunto anche al Fronte Occidentale portando un pò di sollievo agli animi già stanchi dei Francesi e degli Inglesi, con la loro inconfondibile goliardia. Inoltre c'era una voce più sussurrata che annunciata fra le file dell'esercito, per paura che potesse rivelarsi una terribile fandonia, solo un'altra propaganda.
Infatti la Russia era un luogo idilliaco. Lì i socialisti stavano davvero prendendo in mano la situazione, loro l'avrebbero fatta vedere ai maledetti ignoti che li mandavano al fronte. La Russia era enorme, ed una fonte di potenziale umano incredibilmente vasta. Qualcuno diceva anche "infinita". E, sempre stando alle indiscrezioni, lo Zar Nicola aveva mandato migliaia di soldati inondando di fredda risoluzione tutta Europa.
Grazie a Dio.
Sarebbero arrivati, e avrebbero spazzato via almeno gli Austriaci invasori. Via, come un soffio di vento. Li avrebbero puniti come l'Angelo della Morte mandato da Dio in persona a punirli delle loro iniquità. Schifosi tedeschi, schifosi Imperiali.
O perlomeno avrebbero dato un aiuto importante all'esercito stanziato da circa un anno sempre sulle stesse posizioni. I Russi avrebbero dato loro la possibilità di sferrare il fottuto attacco decisivo che cercavano, sfioravano gioiosi ad ogni assalto, salvo poi dover tornare al punto di prima, lasciando dietro di sé sempre una scia di cadaveri amici o familiari morti per nulla.
Lui non ci credeva. Aveva sentito queste dicerie, certo, ma anche che l'Impero Russo non se la passava bene, economicamente. Come poteva mandare a loro delle risorse umane essenziali se a malapena riuscivano a sfamarsi? E poi, da quando aveva sentito raccontare la prima volta la favoletta dell'esercito deus-ex-machina ne era passato di tempo. Dov'erano questi nuovi soldati? A Liverpool? Balle, lo sapeva.

La paura in un assalto era controproducente. E lui non ne aveva. Paura di morire? Puah.
Proprio in prima fila, correndo e urlando selvaggiamente, odorava ancora quell'odore strano, ma era troppo occupato a sparare a vista a chiunque per farci caso.
Vedeva solo macchie dello stesso colore sfrecciargli ai lati, macchie rosse e grigie di esplosioni, scie prodotte dai proiettili, ma quando l'odore si fece più forte perse ogni altra percezione.
Era minaccioso, l'istinto del pericolo lo avvisava a più riprese con continui rimescolamenti allo stomaco. Vide i suoi piedi. Legati ad una bomba.
Legati. Petrolio.
Troppotardi.
...No.
...PBOUM.

 

 

Esplose.

E successe tutto in pochi istanti.
Una luce accecante, polvere e pezzi metallici sfrecciarono dal punto di origine del bollore infernale che gli fece scoppiare tutta la gamba, lo sbalzarono all'indietro di qualche metro, ancora incapace di comprendere cos'era successo.
E poi, oh sì, poi arrivò l'onda alta di dolore. Inibì qualsiasi impulso, come se fosse costretto a rimanere fermo subendo quella tortura che non pensava nemmeno potesse esistere. Le ossa sbriciolate. L'insopportabile male lo fece urlare come non si era mai sentito fare in ventiquattro anni di vita, rantolare e strisciare implorando di farla finita, ti prego fammi morire se ci sei. Ti scongiuro. Pianse ruggendo come un animale colpito a tradimento, urlò e scivolò sempre più nell'oblio...con urla, spari, botti sempre più ovattati, il dolore sordo e i sensi gradualmente inibiti, si inabissò fino al buio.
In un attimo di coscienza, secoli o attimi dopo, vide solo il pulviscolo danzare assieme a quell'arto che ormai non poteva più sentire. I raggi di sole agonizzanti nel fumo filtrarono nel grigio e raggiunsero debolmente la sua vista sfocata. A terra strinse le dita fra l'erba. Udiva solo rumori lontanissimi, a chilometri di distanza, la testa pulsava. Pensò che era finita.
L'angoscia si impossessò di lui, e poi cadde, cadde, cadde.
Perse di nuovo i sensi lasciando sconfitto che la testa scivolasse a terra.


La battaglia di Verdun si era rivelata un totale fallimento, di proporzioni apocalittiche per uno spazio così ristretto, con così tanti corpi pressati vicini che si rischiava di colpire un alleato. Migliaia di morti in pochi giorni.
Dominic era stato lì, sempre nelle retrovie, rifiutando di salire di grado come gli sarebbe spettato per natura. In mezzo al fumo, le pallottole che riempivano l'aria quasi quanto la nebbia bianca che li avvolgeva. Fischi di bombe e successive esplosioni, boati assordanti e lui tremava di paura, urlando terrorizzato, gli occhi chiari e fragili spalancati, guizzanti da un punto all'altro, scattando istintivamente quando temeva che qualcuno gli stesse sparando; la mascella che scattava istericamente.
Urla di terrore nel caos, e gemiti morenti di chi era stato colpito. Ogni volta il cuore balzava nella cassa toracica.
Dietro quello che restava del muro portante di una casa trovò Matthew. Rannicchiato con la schiena contro il muro, aveva uno sguardo rabbioso negli occhi. Sembrava che fosse davvero deciso a combattere. Se non per la patria almeno per la sopravvivenza. Per poter almeno sperare di riuscire a difendersi o a proteggere qualcuno.
Almeno uno di loro. Sarebbe già stato tanto.

   
 
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