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Autore: Hasea    22/10/2010    1 recensioni
Piccola AU scritta in occasione del contest "Try your Luck" di fanfiction del forum "Death&Strawberry, your Italia IchiRuki Shrine". FanFiction vincitrice.
Alcuni frammenti di vita normale, uniti per raccontare l'ultimo giorno da studenti dei personaggi, i timori che ne conseguono, e i piacevoli e nostalgici ricordi che rappresentano la vita "spensierata" da studenti prima dell'obbligatoria "crescita".
Ovviamente il pairing è IchigoxRukia. Ambientazione scolastica, rating safe.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kuchiki Rukia, Kurosaki Ichigo
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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“Voglio proteggere ciò che è importante per me. Ti dirò grazie con un sorriso, addio, abbi cura di te”

 

I still have to say "Thanks"



Le porte della scuola si spalancarono, lasciando una marea di studenti sciamare sulle scale e nel cortile.

Tutti gli studenti portavano la divisa impeccabile, e tutti stringevano fra le mani un cilindro nero, chi più indifferentemente, chi come se ne andasse della loro vita. Le facce erano in gran parte rilassate, altre euforiche. Una in particolare, sembrava funerea. Quella di una ragazza esile, piccola, con grandi occhi scuri, dalle sfumature bluastre. Un ciuffo di capelli neri le cadeva sugli occhi, mentre gli altri le incorniciavano il viso. Guardava l’oggetto che aveva in mano con aria triste, come se fosse una missiva nefasta che non poteva fare a meno di aprire.

-Yo, Rukia!-

-Kuchiki-san! Ti abbiamo trovato!-

Rukia si girò di scatto, cercando fra la folla che le scorreva attorno una familiare testa arancione, il modo migliore per trovare il proprietario della prima voce.

Infatti, dopo pochi secondi, il braccio di Ichigo sventolò sulle teste degli altri studenti, indicando il punto dove si trovavano. Rukia prese un profondo respiro, cominciando a sgomitare fra i corpi degli studenti, per farsi strada. Andare controcorrente rispetto al senso di marcia della massa di ragazzi in divisa fu più difficile del previsto, e ci mise un minuto buono a percorrere i venti metri che la separavano da Ichigo e gli altri. Alla fine riuscì a raggiungerli, Ichigo, Orihime e Ishida, sovrastati dall’imponete quanto quieta figura di Sado, che stava tranquillo a sentire le sciocchezze di Keigo, mentre Tatsuki sembrava decisa a malmenarlo e Mizuiro, come al solito, se ne infischiava.

Quando li raggiunse, con un’espressione molto diversa da prima, salutò allegramente, ricambiata immediatamente da Orihime.

-Kuchiki-san, Kuchiki-san! Finalmente abbiamo finito, faccio fatica a crederci!-

Perfino Rukia stentava a crederci, di essere riuscita a passare l’ultimo anno, specialmente contando che si era trasferita tre mesi dopo l’inizio delle lezioni. Passò lo sguardo su tutti i suoi amici, pensando quanto fosse stato incredibile riuscire a trovare persone simili in così poco tempo. Si soffermò a guardare Ichigo, che fissava apaticamente il nulla, la testa girata verso destra. Ma abbassò lo sguardo quando un colpo gli raggiunse l’avambraccio.

-Ahio, che diavolo fai? – Rukia non scoppiò a ridere, sebbene quello stolto avesse un’espressione magnifica.

-Stupido, almeno guarda in faccia chi hai chiamato!- Ichigo sbuffò, agitando poi la custodia del diploma con aria seccata. 

–Colpa tua che te ne sei andata per conto tuo.-



Non fece in tempo a rispondergli per le rime, che Keigo, con il suo solito euforismo interruppe tutti, blaterando qualcosa riguardo al festeggiare. L’apprensione di prima oscurò l’espressione di Rukia, al pensiero che in teoria, sarebbe dovuta tornare subito a casa. Per fortuna Keigo e Mizuiro avevano proposto di rivedersi la sera più tardi, per festeggiare degnamente senza divisa scolastica.

Il gruppetto s'incamminò quindi verso i cancelli, il flusso di persone in uscita ormai diminuito, ma il piazzale comunque gremito di studenti e genitori. Si separarono dopo appena duecento metri, sebbene rimasero fermi ad un bivio per parecchi minuti, decidendo il da farsi per la serata. Alla fine ognuno si diresse a casa propria. Rukia fu la prima ad andarsene, salutando frettolosamente gli amici. Suo fratello la stava probabilmente aspettando, e non poteva permettersi di fare troppo ritardo.



Lungo la strada che portava alla clinica camminava una sola persona, con la divisa da studente delle superiori del quartiere e sgargianti capelli arancioni. Ichigo stirò le braccia, sbadigliò sonoramente, e cominciò a frugare nella tracolla in cerca delle chiavi. Non ne ebbe bisogno però, perché la porta si aprì da sola non appena fu abbastanza vicino.

-ICHIGOOOOOOOOOO!-

Ed ecco lì vecchio pazzo che usciva come una furia. Per essere atterrato due secondi dopo.

-Ciao pà.-

Ichigo passò tranquillamente sopra l’atterrato padre, per entrare in casa, e trovarsi davanti una Yuzu armata di mestolo ed impaziente di sapere come era andata, una Karin che chiedeva sarcasticamente se gli avessero davvero dato il diploma e… il vecchio che rialzatosi, entrava in cucina di volata. Che famiglia stancante.







Rukia raggiunse finalmente la sua camera, e la prima cosa che fece fu buttare la tracolla sulla scrivania e tuffarsi sul letto. Atterrò su un grosso coniglio di peluche, e finì con il rotolarci abbracciata, godendosi la morbidezza del materasso e facendo riposare le gambe dopo un’intera mattinata in piedi. Rimase per una mezz’ora così, cercando di auto convincersi ad alzarsi, farsi il bagno, e vestirsi per raggiungere gli amici. Era felicissima che il fratello le avesse permesso di uscire la sera, ma al tempo stesso trovava tutta la situazione scomoda. L’idea di aver concluso il liceo le metteva addosso una preoccupazione tremenda. Sapeva che ciò significava che presto, molto presto, ognuno dei suoi amici, e lei stessa, avrebbero preso la strada dell’università, poi quella della vita da “adulti”. Ognuno avrebbe seguito le sue passioni, i suoi sogni, o semplicemente la strada più veloce. E lei? Che cosa avrebbe fatto, seguito per inerzia i passi del fratello maggiore, suo unico parente, o trovato una nuova strada? Strinse più forte il coniglio, pensando poi a quello che aveva appreso appena tornata a casa.

–Chappy, mio caro Chappy, che faccio?-

Il coniglio non rispose, per fortuna. Sarebbe stato... strano? Basta sciocchezze, andiamo a farci un bel bagno.

Il peluche ruzzolò sui cuscini, mentre lei si dirigeva verso l’armadio per prendere gli abiti.







-Aaaah, e dopo di questo, ci vuole del gelato! Ne, Tatsuki-chan?-

Orihime sorrise all’amica, dopo aver appoggiato il tovagliolo. Era contenta che Tatsuki avesse accettato di venire a pranzo da lei.
Tatsuki lo era un po’ meno, visto gli accostamenti culinari improbabili che le aveva proposto l’amica. Non che glielo avrebbe mai detto. Per fortuna il gelato in vaschetta non poteva essere stravolto più di tanto. Mentre Orihime trotterellava verso il frigo, la ragazza dai capelli neri rimase a rimuginare qualche secondo, guardandola con il volto appoggiato alla mano, il gomito puntellato sul tavolo.

-Dimmi un po’, Hime… qualcosa non va?- 
L’amica la guardò con la sua aria svampita migliore, chiedendole cosa intendesse.

–Nulla, fa nulla- 
Non che ci fosse cascata. Ma probabilmente quello che crucciava Orihime era la stessa cosa che aveva pensato lei, e la stessa cosa che Tatsuki era certa di aver visto sul volto di Kuchiki, e su quello di Ichigo. Che con Orihime, facevano un trio di idioti che non volevano dire quello che pensavano veramente.

Sospirò, prendendo il cucchiaino che le porgeva l’amica. Ci volle qualche minuto di silenzio perché Orihime si decidesse a parlare.

-Sai, Tatsuki-chan… -
Lei non parlò, aspettando che finisse la frase.
–Come pensi che continueranno le cose?-
Tatsuki scosse la testa.
–Aspetta, non ti seguo. Intendi fra di noi… nel gruppo?-
Orihime annuì con aria mesta. 
–Voglio dire, adesso non saremo più nella stessa classe, non torneremo più a casa insieme, non pranzeremo più tutti sul tetto, non ci vedremo tutti i giorni…-
Tatsuki alzò la mano, o meglio il cucchiaino, e lo puntò verso l’amica.
–Frena, frena, frena. Non mi pare il caso di preoccuparsi tanto. Cambieremo un po’ la routine, tutto qui, insomma…- 
frammentò la frase, mentre prendeva un boccone di gelato, che si stava squagliando a ritmo preoccupante 
–Non agitarti. Magari avremo meno tempo libero, ma non è detto che ognuno se ne andrà per conto suo.-
Sapeva perfettamente cosa pensava l’amica. Anche lei era un poco affranta dall’idea di dover affrontare tanti cambiamenti in quella che per anni era stata la sua routine quotidiana. E poi, fra tanti, proprio quella testa dura d’Ichigo le doveva piacere. Orihime era tremenda a volte. La cosa che la rattristava era che l’idiota non sembrava minimamente ricambiare, anzi. Anche Orihime lo sapeva, sapeva che non aveva molte speranze, ora che il liceo era terminato meno che mai. Cos’altro avrebbe potuto dire?

–Tatsuki-chan, quando è che Kuchiki-san si è trasferita?-

Tatsuki, ancora impegnata a stringere i denti contro il cucchiaino, sgranò gli occhi, guardando con aria interrogativa la ragazza di fronte a lei. Orihime rise della sua espressione, e spiegò il perché della domanda.

-È da quando è arrivata Kuchiki-san, che noi abbiamo iniziato ad essere un vero gruppo. Ha fatto da collante come…- 
Tatsuki la fermò annuendo vigorosamente. Orihime aveva iniziato ad allungare una mano verso le mensole della cucina, e lei non ci teneva a sentire strani paragoni culinari. Effettivamente Orihime aveva ragione, l’arrivo della piccola ragazza aveva dato una bella scossa a tutti.

-Intorno alla fine del primo trimestre, no...?-









-Il mio nome è Rukia Kuchiki, e da oggi sarò vostra compagna di classe.-

Una figuretta piccola, fina e delicata, quella della nuova studentessa. Quelli che non vedevano bene la cattedra si sporgevano dai loro banchi per guardarla meglio. Gli studenti trasferiti erano rari da quelle parti, ancora di più se trasferitesi a stagione inoltrata.

-Bene Kuchiki, ora vai a sederti, lì c’è un posto libero.

La ragazza si sedette nel banco indicatole dalla professoressa, che aveva ripreso a fare battute strane, almeno per un’insegnate. Almeno, pensò Rukia, sembrava simpatica. Invece il suo vicino di banco, capelli arancioni e aria annoiata, molto meno. Fissava nell’altra direzione con aria annoiata, e al massimo dava un paio di occhiatacce ad uno studente più avanti, che sembrava conoscerlo piuttosto bene.

-Piacere di conoscerti, ti dispiacerebbe se dividiamo i libri? Io ancora non ne ho.-

Non si rivelò poi così antipatico, in fondo. Le diede il libro senza fare una piega, borbottando però qualcosa di indistinguibile. Non si presentò, non che ce ne fosse bisogno, visto che il nome era scritto a matita nella prima pagina del libro di testo. Kurosaki Ichigo. Che nome strano! Ma non batteva lo strano colore di capelli, poco, ma sicuro.








Rukia arrivò a passo spedito, con un minuto scarso di ritardo. Si erano messi d’accordo, davanti all’emporio di Urahara alle sei in punto. Erano le sei e due minuti, e davanti all’emporio c’era solo Ichigo, impegnato ad accarezzare il gatto del proprietario. Non si girò nemmeno quando lo raggiunse, ma si limitò a salutare continuando a dare le spalle. Aveva sempre fatto così, Rukia sapeva bene che era il suo modo di fare. Rimasero qualche altro minuto ad aspettare che arrivassero anche gli altri, finendo con il decidere di entrare, e cominciare a prendere la loro parte di vivande. Quando entrarono, il proprietario non si vedeva, ma li salutò la sua compagna. Di lei Rukia sapeva solo che si chiamava Yoruichi, e che era una bella donna dalla pelle scura, il corpo scolpito, un carattere d’acciaio e la lingua affilata. Sembrava invece che Yoruichi conoscesse lei, o meglio suo fratello. Infatti, dopo averli salutati, chiese maliziosamente a Rukia se avesse portato i suoi saluti al fratello. La ragazza ovviamente l’aveva fatto, tralasciando il fatto che Yoruichi lo avesse chiamato “Byakuya-boo”.

La donna rise, mentre Rukia le raccontava la reazione, a metà fra lo gelido e il seccato, del fratello.

-Sempre così, mai una volta che saluti degnamente la sua senpai!-

Yoruichi continuò a ridere fragorosamente, non mancando poi di raccontare qualche episodio comico della vita scolastica di Byakuya.
Era incredibile crederci, ma era stata davvero la sua senpai al liceo, e sicuramente gli aveva reso la vita dura, Ichigo ne era sicuro. Ma non molto dispiaciuto. Aveva visto Byakuya Kuchiki solo una volta, e l’impressione che ne aveva tratto era stata quella di un tipo arrogante, snob, e fin troppo meticoloso per tutto quello che riguardasse norme e regole. Mentre Yoruichi raccontava a Rukia una gaffe in particolare del fratello ai tempi della scuola, qualcosa riguardante una lattina e un pennarello, erano arrivati anche Chado, Tatsuki e Orihime.

-Bene gente, a questo punto ognuno prende la propria parte di vivande, e i ritardatari si arrangino. Direi che è ragionevole, no?-

-NON sono in ritardo! Non per colpa mia almeno.-

Era arrivato anche Ishida, che era entrato di corsa nel negozio, col fiatone, sistemandosi gli occhiali come suo solito, seguito da Mizuiro e Keigo. Si erano incontrati a metà strada, e Keigo aveva perso tempo con qualche sciocchezza, Ichigo lo sapeva senza bisogno di chiedere.

-Ulalà, di nuovo a fare prove di coraggio? Conosco qualche altro posticino infestato se vi interessa~
-

Dal retro sbucò fuori il capello del proprietario, seguito dal suo stupido ventaglio. Il proprietario, Urahara, era un tipo strano, piuttosto teatrale, ecco come lo si poteva definire. Andava sempre in giro con i geta di legno e un cappello a strisce bianche e verdi, che gli copriva gli occhi e buona parte dei disordinati capelli chiari. Era un tipo assolutamente fuori di testa, non c’erano altri modi per descriverlo. Ichigo non lo trovava particolarmente simpatico, anzi, pensava fosse un tipo dannatamente irritante, ma era bravo in quello che faceva. Non solo l’emporio era fornito, cosa anomala per un negozietto così esiguo, ma Urahara sembrava in grado di trovar qualsiasi cosa i suoi clienti richiedessero. Informazioni comprese. Solo quattro mesi prima, era stato lui a dare l’inizio ad una marea di guai…





-Ichiiiiigooooooooo!-

Keigo fu colpito al volo da un oggetto non meglio identificato, ma a giudicare dal rumore, si doveva trattare di un’onigiri confezionato.

–Ichigo, non lanciare parti del mio pranzo!-

-Scusa Mizuiro, ma ci voleva…-

L’arrivo dell’amico significava la fine della pace. Fino a quel momento avevano pranzato tranquillamente, lui, Mizuiro e Chad. Sperando che si trattasse solo del solito modo di salutare di Keigo, Ichigo tornò a concentrarsi sul pranzo. Ma aveva poche speranze. Ci vollero parecchi minuti perché l’ultimo arrivato smettesse di fare la vittima, ma alla fine spiegò cosa l’aveva reso così euforico. A quanto pareva, per la settimana di vacanze che si prospettava da li a pochi giorni, non aveva trovato niente di meglio da fare se non inventarsi una stupida prova di coraggio.

–Cosa dovremmo fare Asano-san, andare in giro in un cimitero durante la notte? –
-Non usare il –saaaan! Mi fa sentire così escluso!-
-Certo Asano-san.-
-Ascoltami almeno!-

Non sarebbe finita così presto, pensò Ichigo esasperato.



-Dove?-

Tatsuki guardò perplessa il gruppetto, appena sceso dalla terrazza.
Che diavolo se ne uscivano così all’improvviso con questa storia della prova di coraggio? Lanciò un’occhiataccia ad Ichigo, che però guardava insistentemente fuori dalla finestra. Il suo modo di dire “mi dissocio”. La ragazza prese un profondo respiro, per poi tornare ad affrontare quell’idiota esagitato di Asano.

–Dimmi, perché dovremmo unirci a voi in questa pagliacciata?-

-Perché se non ci sono le ragazze non c’è poi tanto gusto!- 

-I-DIO-TA.-



Alla fine diventarono il doppio. Lui, Keigo, Chad, Mizuiro, con l’aggiunta di Tatsuki, Orihime, la studentessa nuova, quella Rukia, e perfino il quattrocchi, Ishida, con il quale Ichigo aveva parlato sì e no una volta. E non ci teneva a farlo di nuovo. Era stato tirato dentro dall’amica di Tatsuki, Orihime, che lo conosceva un po’ meglio. Frequentavano il club di lavori domestici insieme. Sì, esatto. Cucito e via dicendo. Ichigo aveva fatto una fatica tremenda a non scoppiare a ridere. Rukia si era praticamente auto invitata, appena sentite le parole “casa infestata”. Non il cimitero, come facevano tutti i comuni studenti in cerca del brivido, ma un’accidenti di casa abbandonata praticamente al confine del quartiere. Era stato quello svitato dell’emporio ad indicarla ai suoi amici. Ichigo prese mentalmente nota di non presentare più gente strana a Keigo, era abbastanza fuori di suo così come era ora, non necessitava di ulteriori spinte.

Anche solo arrivare a quel posto era una scarpinata lunghissima, e durante il tragitto cominciò a calare il sole, e i lampioni lungo la strada ad accendersi. Ognuno con il suo passo, avevano formato una specie di fila indiana. Ichigo camminava strusciando le scarpe, annoiato, fino a rimanere in coda. Al suo fianco si ritrovò Rukia, che camminava tranquillamente.

-Toglimi una curiosità, come mai tanto entusiasmo per una sciocchezza simile?-

Rukia lo guardò per qualche secondo, ponderando la risposta. Nei due mesi che era stata nella classe, Ichigo aveva imparato che nonostante sembrasse innocua, era una piccola furia. Si erano messi a discutere sulle minime cose, e assurdamente, lei vinceva. Sempre. E picchiava bene quanto Tatsuki.

-Non ho mai fatto una cosa del genere! E poi ho sempre desiderato vedere una casa infestata!-

-Al massimo sono infestate dalle termiti-

-Parli come se vedessi i veri fantasmi.-

-Eh…-

-Stai dicendo che li vedi davvero?!-

Ichigo strinse i denti, guardando verso l’alto. In un’altra situazione avrebbe guardato in basso, ma lì c’era Rukia.

–Non l’ho detto!-

-Ma non lo hai negato, cretino! Sarebbe una cosa incredibile!-

-Non c’è niente di speciale.-

Scrollò le spalle. Era ridicolo, era la prima persona che ci credesse davvero. Tutti nella famiglia li vedevano, tranne il vecchio.

–È solo una seccatura, spesso, se si accorgono di essere visti ti si attaccano ed  è una cosa che dà solo problemi.-

Rukia rimase qualche secondo zitta, a fissarlo. Di solito lo fissavano come una cavia da laboratorio in questi casi, ma lei sembrava stesse pensando ad altro.

-Stai dicendo che dove stiamo andando non c’è nulla?-

-Ci sono passato davanti un paio di volte… mai visto nulla di strano.-


Un ghigno si allargò sul volto della ragazza. Gli pungolò un gomito nel fianco, guadagnandoci un’occhiataccia.

–Questo non vuol dire che dobbiamo dirlo agli altri, no?-

Fece un cenno con la testa verso Keigo, che camminava impettito in testa alla fila. Ichigo capì al volo, e sorrise, anzi sghignazzò a sua volta.

–Bhè, vogliono tanto i fantasmi…-








Keigo era l’unico che non aveva riso, mentre raccontavano al signor Urahara quello che era successo quella volta. Anzi, aveva ciondolato tutto il tempo con l’aria da martire, per poi interrompere ogni tanto con sceneggiate tragicomiche.

-Non c’era assolutamente bisogno di fare tanto!-

-Ma come, sembravi così gasato all’idea di entrare in una casa infestata…-

Rukia era ancora dietro che rideva, mentre tutti gli altri ghignavano all’indirizzo di Keigo. Tatsuki tirò una pacca sulla spalla di Ichigo. 

–Avete fatto un gran lavoro a terrorizzare questo pagliaccio, sappiatelo.-









Alla fine uscirono dall’emporio, ognuno con la propria cena. Si diressero poi chiassosamente verso il parco, dove stesero un telo uscito fuori dalla borsa di qualcuno, sotto un grosso albero. Era strano godersi la pace, l’idea che da quel momento, almeno per un poco, sarebbero stati liberi da obblighi scolastici, dai ritmi delle lezioni, dall’incombenza dei compiti. La vita da “studenti” era finita. Era questo che pensava Rukia, seduta con la schiena contro l’albero, in silenzio. Ascoltò gli altri che parlavano, e le fu un poco di conforto sapere che non era l’unica ad avere le idee chiare. L’unica fermamente certa di quello che avrebbe fatto era Tatsuki, decisa ad intraprendere la strada dello sport a livello agonistico. Ichigo le aveva raccontato che era stata in grado di arrivare seconda ai nazionali con un braccio ingessato, non c’erano dubbi che non potesse seguire il suo sogno. Lei invece non sapeva nemmeno cosa sognasse. Era deprimente, così come l’idea di non avere nessun obbiettivo. Quello che la deprimeva ancora di più era il fatto che presto o tardi ognuno sarebbe sceso lungo la sua strada. E lei invece… 

Si girò ad osservare Ichigo, l’unico oltre a lei a stare in silenzio, per conto suo, un’espressione abbattuta sul volto. Non lo aveva mai visto con una faccia simile. Si staccò dall’albero per accostarsi a lui.

–Ichigo?-



Rimasero parecchio a parlare, solo loro due. Rukia tirò fuori tutto, la sua preoccupazione, il terrore di dover scegliere cosa fare senza sentirsi realmente pronta, l’angoscia, e ciò che le aveva detto quella mattina il fratello. Si sarebbero trasferiti di nuovo, si sperava questa volta in maniera definitiva. Aveva finalmente ottenuto l’ultima promozione, che però richiedeva che si trasferissero molto più all’interno del Giappone, nel cuore pulsante della capitale. Rukia disse quasi tutto guardando in basso, temendo che la sua espressione rivelasse più del dovuto. A causa dei continui trasferimenti non era mai riuscita a stringere vere amicizie, la prima volta che aveva trovato veramente qualcuno era lì, in quella scuola, in quel quartiere, con quelle persone. E ora, l’idea di dover rinunciare a vederle tutti i giorni, di non sapere dove sarebbero andati, di non poter semplicemente perdere tempo con loro, le stringeva il cuore.
Perché le cose dovevano cambiare, perché non potevano rimanere sempre le stesse, in quell’equilibrio che si era stabilito in pochi mesi, ma che era diventato saldo e stabile?

Era tanto presa dal fiume di parole che, ormai prive di ogni diga, avevano preso a scorrere, dopo giorni, mesi di reclusione nel suo cuore, che quando una mano le calò sulla spalla sobbalzò. Ichigo non aveva cambiato espressione, ne tanto meno la guardava in faccia, ma faceva sempre così, no? Quel suo atteggiamento, sempre lo stesso era confortante. Qualcosa che non sarebbe cambiato da lì a poco.

Da quel momento in poi fu Ichigo a parlare ininterrottamente. La prima cosa che disse, fu ricordarle il significato del suo nome. Rukia già lo sapeva, e lo guardò perplessa, non capendo dove voleva arrivare.


Ci volle molto tempo, anche dopo quella serata, perché Rukia capisse il senso di ciò che Ichigo le aveva detto. E altro tempo ancora perché potesse metterlo in pratica. Ma sapeva che era la cosa giusta, che il ragazzo le aveva dato il miglior consiglio possibile.



Trova qualcosa per cui valga la pena vivere, qualcosa da proteggere in ogni caso, in ogni evenienza, indifferentemente da cosa accada. Se è qualcosa –o qualcuno- che valga davvero tutto ciò, ne sarai felice, qualunque sia l’esito. O almeno, convinciti che sarà così, anche se presto o tardi finirà, tieni a mente cosa ne hai guadagnato, cosa hai imparato.



Ichigo aveva detto che avrebbe cercato di pensarla sempre così. Rukia decise che avrebbe fatto lo stesso.





~





Rukia si fece spazio fra la folla alla stazione, sgomitando disperatamente. In tre anni non era cresciuta minimamente! Era davvero scomodo essere così bassi!

–Permesso, scusi, permesso!-

Quando aveva notato quella persona in mezzo alla folla era rimasta quasi un minuto a rimuginarci su, confusa. Non era sicura che fosse lui. Ma l’entusiasmo per quell’incontro casuale aveva preso il sopravvento, così Rukia aveva finito con il correre in mezzo alla folla.

Alla fine, non riuscendo ad avanzare più di così, si alzò sulla punta dei piedi, prendendo fiato e pregando di non fare una figuraccia. Ma un simile colore di capelli era inconfondibile.

-ICHIGOOOO!-

La persona con i capelli arancioni si girò di scatto, e sembrò non vederla finché lei non agitò il braccio, sovrastando a malapena le teste della gente intorno a lei. Alla fine fu Ichigo a raggiungerla. Era proprio lui, solo qualche centimetro più alto e con un po’ di occhiaie, e i capelli un poco più lunghi. Quando finalmente la vide, sorrise con aria sorpresa, come se non credesse davvero di vederla lì.






Quello che si dissero in seguito, in gran parte si perse nel caos della stazione, nel rumore di voci che si sovrastavano una sull’altra, della gente che correva e dei treni che partivano ed arrivavano sferragliando. Era incredibile, per Rukia, ascoltare dopo tanto tempo, e ancora di più sapere quello che Ichigo aveva fatto. Un anno intero all’estero, e fra tante università, proprio lingue e letteratura straniera. Il suo amico sembrava deciso a diventare professore, e stranamente lei lo vedeva perfettamente in quel ruolo.

Scoppiò a ridere, all’idea che proprio Ichigo, sempre visto come una “mela marcia” unicamente per il colore dei capelli, tra l’altro naturale, diventasse un professore. 

–Credo proprio che sarai il tipo di professore che gli studenti stimeranno, decisamente!-

Ichigo non fece in tempo a risponderle, che un annuncio delle prossime partenze lo distrasse.

–Il treno! ‘ccidenti, rischio di perderlo!- 

Si cacciò la mano in tasca, estraendo frettolosamente una penna e frugando in cerca di un foglietto. Nel giro di pochi secondi scribacchiò qualcosa, per poi metterle il foglietto in mano.

-Il numero!- urlò, mentre cominciava a correre verso il binario, il borsone in spalla e Rukia che lo seguiva.

-Il mio vecchio cellulare ha fatto una brutta fine due anni fa, e ho perso tutti in numeri, ecco perché non sono riuscito a contattare più nessuno!-

Raggiunsero il binario, Rukia completamente senza fiato. Lui si girò e le diede un colpetto sulla testa prima di salire sul treno.

–Fatti sentire, anche Tatsuki e gli altri ne saranno contenti.-

Senza più una briciola d’aria nei polmoni Rukia annuì, un sorriso stanco, ma felice sul volto. Ichigo saltò sul vagone, per poi girarsi e urlare sul fragore delle porte che si chiudevano.

–Voglio sapere che hai fatto in tutto questo tempo!-

Il sorriso di Rukia si allargò ancora, mentre salutava e guardava il treno partire. Non aveva fatto poi molto in quei tre anni, ma aveva capito molte cose.

Si sentiva un poco inferiore, lei che aveva deciso di andare ad un’accademia privata d’arte. Non aveva dovuto lavorare duramente quanto lui per ottenere qualcosa.

Ma sapeva quello che voleva proteggere, e sapeva che sarebbe andato tutto bene, ora ne aveva la prova. Strinse il bigliettino che aveva in mano, come se temesse che le sfuggisse fra le dita. Anche quello era un piccolo frammento del puzzle che aveva composto in tutto quel tempo, a fatica e con pause lunghissime, ma senza mai perdere la speranza. Mentre il treno spariva completamente dalla sua vista, solo una cartaccia svolazzante e il rombo lontano a provarne il passaggio in quella stazione, Rukia pensò che aveva fatto bene a non dire “Sayonara”.

Perché il rumore del treno era troppo forte, e la sua voce non l’avrebbe mai superato, e soprattutto, perché quello non era affatto un addio. Infilò con cura il biglietto nel portafoglio, per poi tornare a camminare verso la sua destinazione originaria. C’erano molte persone che doveva ringraziare, ed era ora di iniziare a farlo.

  
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