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Autore: Laura Sparrow    27/10/2010    4 recensioni
Terzo capitolo della saga di Caribbean Tales - Una volta qualcuno li aveva definiti "una razza in via d'estinzione". Ora Will poteva solo sperare con tutte le sue forze che quel tale, quella volta, stesse sbagliando di grosso.Le acque dei Caraibi si fanno burrascose, qualcosa comincia a cambiare. Forse solo Jack, come Pirata Nobile, può sfidare le forze che ancora una volta si muovono contro di loro, e accettare un'alleanza vitale quanto pericolosa. Nel frattempo Laura comincia a capire il prezzo del titolo di "Capitano", mentre per Will la stessa parola comincia ad avere il sapore di qualcosa di inevitabile...
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 15
Bentornati a casa.



Non chiudevo occhio da un giorno intero. Avevo mangiato poco e di sfuggita, e nelle ultime ore avevo affrontato un tuffo da un galeone, una battaglia a colpi di cannone e un tentativo di stupro. E, sì, ero decisamente stanca. Ma c'era un'ultima cosa che dovevo fare.
Una volta che la Perla ebbe preso la sua rotta a buona velocità, nonostante l'ingombro del relitto che trainava, e anche la ciurma poté permettersi di rilassarsi visto che la nave filava così bene, io mi recai sul cassero e chiesi che Gibbs suonasse la campana dell'adunata.
La ciurma si radunò poco a poco sul ponte, altri pirati si sporsero a guardare appollaiati sulle sartie e sui pennoni: Jack in quel momento se ne stava seduto sulla murata a pochi passi dal cassero, e rimase lì a guardare quello che succedeva. Quando fui sicura di avere la piena attenzione della ciurma, cominciai.
- Una nave, anche un gioiello come la Perla Nera, non è niente senza la forza degli uomini che la conducono. - annunciai. - Posso dire che ognuno di voi ha dimostrato di che tempra è fatto, ed è per questo che io vi sono grata. Grazie. Grazie a voi che siete qui, grazie a quelli che sono sottocoperta in infermeria, grazie anche a coloro che sono morti su quell'isola. Devo chiedervi un ultimo sforzo per riportare questa nave a Tortuga, e là io e il capitano vedremo di fare avere ad ognuno di voi un buon numero di dobloni da spendere!-
Dalla ciurma si alzarono grida di approvazione, e fu un piacere vedere il sollievo sulle facce di tutti. Deglutii e mi preparai ad affrontare la parte più spinosa.
- L'ultima volta c'era stato qualche problema a bordo... non so se ve ne ricordate, forse la piccola questione di affrontare tre navi della marina in una volta potrebbe avere distratto un po' la maggior parte di noi. -
I pirati scoppiarono a ridere, e lo presi per un buon segno.
- Però la questione è stata sollevata solo pochi giorni fa, e non voglio ignorarla. Tutti voi avevate deciso che io sarei dovuta essere messa alla prova per confermare il mio titolo di capitano. Ora, capisco se vi è mancato il tempo di pensarci, ma voglio solo che sappiate che io sono ancora qui, pronta ad affrontarla. - feci una pausa. - Nel caso attraversare a piedi un'intera isola, scendere a patti coi nostri alleati traditori per convincerli a venirvi in soccorso, e fare esplodere un relitto con le mie stesse mani non fosse bastato. -
Ero stata così lapidaria che per qualche attimo li lasciai tutti quanti ammutoliti, poi un brusio nervoso cominciò a serpeggiare tra la folla fino a trasformarsi in un borbottio concitato. Arretrai di un passo, aspettando il loro verdetto: non speravo di averli convinti al primo colpo, ma almeno di averli fatti riflettere su quanto avevo fatto.
Una nota criniera bionda si fece improvvisamente strada in mezzo alla ciurma, e vidi Furey farsi avanti. Sembrava avere perso del tutto la sua irruenza e la voglia di litigare, perché semplicemente avanzò verso il cassero, mi guardò negli occhi, e fece un cenno di assenso col capo. - Per me basta. - disse. - So quello che ho visto, e mi è bastato. Ha dimostrato di essere un bravo capitano, e non c'è bisogno di altre prove. -
Stavo per concedermi un sorriso di vittoria quando Marty, il nano, che stava seduto sopra l'argano, ad un tratto si alzò in piedi e allargò le braccia chiedendo il silenzio. - Può essere bastato a lui, ma non al resto della ciurma. - disse, cogliendomi di sorpresa. - Mi dispiace, capitano, ma noi non abbiamo ancora avuto la nostra prova. Perciò ci appelliamo al codice, e chiediamo che la vostra carica sia messa ai voti. -
Giuro che in quel momento mi sentii morire. Era come se la mia ciurma, i miei uomini, tutti insieme mi avessero pugnalata alle spalle. Non bastava avere subito il tradimento di Rackham, o la violenza di Barbanera. Per loro ancora non avevo fatto abbastanza.
Mi sentii prendere da una tale collera e da un tale sconforto, che fui veramente tentata di dire loro che potevano impiccarsi, loro e il codice, e che come capitano avrei avuto tutto il diritto di mandarli al diavolo tutti quanti.
Ma non lo feci. Esitai solo per un poco, poi annuii mio malgrado, con un'alzata di spalle. - E va bene, allora. Mettetela ai voti. Siete liberi di scegliere come volete. -
Distolsi del tutto lo sguardo dalla ciurma per puntarlo su Jack: seduto sulla murata, con un ginocchio al petto e un piede penzoloni, mi stava fissando di rimando col suo perenne sorrisetto compiaciuto. Lo guardai negli occhi, stringendomi ancora una volta nelle spalle, sperando che capisse. Non avevo potuto fare niente per guadagnarmi la fiducia della ciurma. Però, anche se non fossi più stata capitano, nessuno avrebbe potuto impedirmi di stare sulla Perla, e di rimanere con lui. Era questo quello che importava.
- Chi vota perché Laura Evans mantenga il suo ruolo di capitano in seconda della Perla Nera?- domandò Marty a tutta la ciurma. Io rimasi a guardare: si alzò una mano, quella di Gibbs. Poi la alzò Faith, e al suo fianco Valerie -che era venuta a prendere un po' d'aria sul ponte- alzò il braccio sano. La alzarono Will ed Elizabeth. La alzò Ettore. La alzò Jack. La alzò Furey.
E poi, uno dopo l'altro, anche i pirati alzarono la mano, come rispondendo ad un segnale prestabilito: lo fecero tanto in fretta da lasciarmi a bocca aperta; tutti i pirati, l'intera ciurma alzò la mano. Non se ne astenne neppure uno.
- Non fate quella faccia, capitano!- fece Marty, scoppiando a ridere. - L'avete superata, la vostra prova. Dopo averci salvati, e dopo avere rischiato la vita facendo saltare quel relitto... ancora siete disposta a lasciare che la ciurma decida liberamente!-
Davanti alle risate e agli applausi della ciurma rimasi talmente attonita, che mi ci vollero diversi istanti prima di gettare le braccia al cielo e gridare: - Vi odio, branco di bastardi!-
- Grazie!- ulularono i pirati, in risposta. Marty, dall'alto dell'argano, agitò in aria il pugno. - Tre urrà per il capitano Laura Evans!-
- Capitano Laura Sparrow. - li corresse Jack, alzandosi da dove era seduto e salendo le scale del cassero di poppa per raggiungermi. - E' una donna sposata!-
Mentre la ciurma applaudiva, Jack mi prese tra le braccia e mi strinse contro di sé; io però lo fulminai con un'occhiata inquisitoria. - Chi è stato a dargli questa subdola idea?-
Jack si strinse vistosamente nelle spalle. - Nessuno. - rispose in tono sicuro, e prima che potessi indagare oltre, mi prese il viso fra le mani e mi baciò, facendomi passare del tutto la voglia di fare altre domande.
Sorrisi contro le sue labbra e, prima che potessi controllarmi, ad un tratto cominciai a ridere sul serio, spiazzata da come una questione che mi aveva fatta stare tanto in ansia si fosse infine risolta in modo così inaspettato. Jack allontanò appena il viso dal mio e mi guardò con aria interrogativa.
- Capitano... - feci, acciuffandolo per le treccine della barba e stampandogli un altro bacio sulle labbra. - Io mi sento piuttosto sollevata. Pertanto, mi arrogo il diritto di salutare voi e la ciurma e di andare a farmi qualche ora di sonno come si deve. So che ve la caverete egregiamente anche senza di me!-
E mantenni il mio proposito perfino più di quanto immaginassi, perché, dal momento in cui entrai in cabina e mi buttai sul letto, caddi addormentata di schianto e non mi risvegliai fino a quella sera.

*

- Questa... - Trentacolpi sollevò la pistola con studiata lentezza, accompagnando il gesto con un tono reverenziale. - ...è Kitty. Ah, piccola, maligna Kitty! La ricordo bene: è stata la prima con la quale ho sparato ad una donna. Oh, ma non ad una signora forte e coraggiosa come voi, miss... - aggiunse, rivolgendosi ad Elizabeth. Lei stava alle spalle di David e Michael, che da venti minuti buoni se ne rimanevano seduti sul ponte, muti ed immobili ad ascoltare i racconti del vecchio, strambo pirata. - Quella era una donna che non meritava rispetto né onore, una meretrice, un'ipocrita e una ladra. Fui gentile con lei: la colpii alle spalle e le concessi una morte rapida. Era più di quanto meritasse. -
Elizabeth diede un'occhiata a David, che sembrava paralizzato in un espressione di ammirato stupore, tutto orecchi per ascoltare. Si chiese se quei racconti di pistole e uccisioni a bruciapelo non fossero un po' troppo per lui... ma, tutto sommato, il piccolo aveva dimostrato di non essere uno che si lasciava impressionare facilmente.
- Adesso invece si passa alle cattive ragazze!- dichiarò Trentacolpi, sfoderando una pistola che era chiaramente in brutte condizioni: il calcio era tutto ammaccato. - Questa è Amelia. Apparteneva ad un bastardo cinese che con questa mi sparò addosso: ho ancora i segni di quella dannata pallottola. Allora cosa feci? Gliela strappai di mano e gliela sbattei in faccia fino a farlo fuori. Dopodiché, io e la pistola ci guardammo... ed io dissi: “Ti sei fatta perdonare, bellezza!”, e si aggiunse alla mia cintura. Ha spaccato molte altre zucche, da allora. -
Non aveva ancora riposto l'arma nella cintura, che già ne sollevava un'altra: ad Elizabeth sembravano pressapoco tutte uguali, mentre Trentacolpi le riconosceva una per una. - Ecco una a cui sono molto legato... Questa è stata la prima. Hah! La prima di una lunga serie! Babette, eccola qui! Ah, mi ricordo ancora quando la presi in mano la prima volta!- con sguardo quasi commosso ripose la pistola più piccola, quindi ne agguantò un'altra, grossa, massiccia e dall'aria letale. Era così imponente che Elizabeth si chiese come diavolo fosse possibile prendere la mira con quella: il calcio era enorme, pacchiano, decorato a forma di testa d'orso. - Denise, la preferita. Potente, precisa e mortale. Un gioiello unico... - fece scattare il cane, che emise uno scricchiolio sinistro. - ...insostituibile. -
La giovane donna sorrise fra sé; chissà, forse in tutto quel vecchio pazzo ce le aveva davvero trenta pistole, e forse avrebbe passato la giornata a raccontarne vita, morte e miracoli. Non che la cosa le dispiacesse. Di certo non dispiaceva a David e Michael, che pendevano dalle sue labbra. Una volta assicurata che suo figlio non si sarebbe mosso da lì ancora per un bel pezzo, Elizabeth lasciò il ponte per scendere sottocoperta a cercare Will: si diresse senza esitazione verso l'infermeria, certa di trovarlo laggiù.
Non si era sbagliata. Da alcune ore, ormai, là sotto era tornata la calma: buona parte dei feriti dormiva rannicchiata nelle loro amache, godendosi finalmente la calma. Faith stava passando a controllare quelli ancora svegli, portando loro l'acqua: vedendo entrare Elizabeth le rivolse un sorriso, poi, senza bisogno che ella lo chiedesse, fece un cenno col capo ad indicare l'angolo opposto della stanza.
Ogro era troppo grosso per stare in un'amaca, così la giovane aveva arrangiato per lui una cuccetta stendendo delle coperte sopra un materasso di sacchi di iuta arrotolati: il gigante si era lasciato medicare senza fiatare nemmeno una volta, e ora dormiva tranquillo, riverso su un fianco. Will era lì accanto, seduto su di un piccolo sgabello: era appoggiato alla parete con la schiena, e il capo tendeva a cadergli sul petto; sembrava pronto ad addormentarsi anche lui da un momento all'altro.
Elizabeth si avvicinò a lui, e gli posò dolcemente una mano sul collo; a quel contatto Will sembrò risvegliarsi all'improvviso, e sorrise riconoscendo la ragazza.
- Lui come sta?- domandò lei sottovoce, accennando col capo ad Ogro.
- Si riprenderà presto. - Will represse uno sbadiglio e si raddrizzò sullo sgabello. Elizabeth fece scivolare la mano dietro la sua nuca, si chinò su di lui e lo baciò, indugiando sulle sue labbra per un lungo istante. Quando si separarono, gli sorrise di nuovo e sussurrò: - Grazie. -
Il giovane inarcò un sopracciglio. - Per cosa?-
- Per quello che stai facendo... per esserti preso a cuore lui. Lo sapevo che, in verità, non sei mai cambiato. -
Stavolta fu Will a sorridere a lei. - Sono ancora il solito inseguitore di cause perse, è questo che vuoi dire?- la provocò, in tono scherzoso. Elizabeth non sembrò trovarlo divertente, e si imbronciò.
- Non è questo che ho detto. Parlavo sul serio... è nella tua natura. -
- Che cosa?-
- Correre in soccorso di chi ti sta a cuore. - rispose lei semplicemente. - Sempre e comunque, a qualsiasi prezzo. -
Fra i due calò un attimo di silenzio vagamente imbarazzato, poi le labbra di Will si allargarono in un altro, determinato sorriso, e i suoi occhi si puntarono in quelli di Elizabeth. - Già. - rispose, in tono eloquente.
La giovane premette dolcemente la fronte contro la sua, poi i due si separarono. - Non fare troppo tardi stasera, capitano Turner. - gli disse, prima di allontanarsi verso la porta.
- Non tarderò, Re dei Pirati. - rispose lui, seguendola con lo sguardo mentre se ne andava.

*

Quando mi svegliai, la cabina era buia.
Mi rotolai pigramente fra le lenzuola, strofinandomi gli occhi: mi formicolavano braccia e gambe, e avevo la bocca impastata, ma ero finalmente riuscita a concedermi quello che non mi gustavo da troppo tempo; una lunga dormita. E doveva essere stata veramente lunga, perché tutta la cabina era immersa in una penombra grigiastra, e nessuna luce filtrava dalle vetrate per rischiararla. Il sole doveva essere appena tramontato.
Affondai di nuovo la faccia nel cuscino, chiedendomi se sarei riuscita a riaddormentarmi e tirare dritto fino al mattino dopo, mentre con un solo occhio aperto scrutavo pigramente la stanza: tutto sembrava ancora come l'avevo lasciato quella mattina; le candele spente, le mappe ammucchiate in un angolo del tavolo. In giro c'erano meno bottiglie vuote del solito, testimonianza del fatto che né io né Jack frequentavamo quella cabina da qualche giorno.
Rotolandomi sull'altro fianco, mi resi conto di avere ancora gli stivali ai piedi. Diavolo, ero completamente vestita: camicia, marsina, pantaloni, perfino la cintura; mi mancavano giusto armi e cappello, forse solo con quelle addosso sarei stata davvero incapace di dormire. Pigramente, mi sfilai gli stivali e li buttai a terra ai piedi del letto. Anche quello, però, non aveva molto senso: ormai non avevo più sonno, e di certo non sarei riuscita a riaddormentarmi per il resto della notte. Rimasi a poltrire fra le coperte, incerta sul da fare: se svegliarmi completamente e uscire sul ponte, o se sforzarmi di recuperare in una volta sola tutto il sonno perduto.
Ad un certo punto sentii dei passi pesanti avvicinarsi dalla stanza a fianco, e poco dopo la porta si aprì cigolando violentemente. Jack entrò, barcollando più del solito: nella penombra lo vidi farsi strada a grandi passi verso il letto, riuscendo anche ad urtare lo spigolo del tavolo mentre passava. Sussultò e lo sentii borbottare fra sé un paio di imprecazioni, ma passò oltre come se neanche gli importasse: con la stessa stanca noncuranza si tolse di dosso la giacca e il cinturone, e le buttò verso una sedia vicina... mancandola di poco, e mandando tutto ad ammucchiarsi sul pavimento. Non si prese la briga di raccoglierli; solo il cappello si curò di appenderlo allo schienale della sedia.
Mi stavo trattenendo per non ridere, anche se era un piacere starlo a guardare. Probabilmente doveva pensare che fossi ancora addormentata, -non la sarei rimasta a lungo comunque, con tutto il casino che aveva fatto entrando- perché si sedette sul letto preoccupandosi finalmente di fare un po' più piano, quindi si sdraiò accanto a me, incrociando le braccia dietro la testa. Chiuse gli occhi con un sospiro di sollievo: sembrava veramente distrutto.
Mi avvicinai e appoggiai la testa sulla sua spalla; sentendomi muovere, lui aprì gli occhi e si voltò verso di me.
- Sei sveglia?- bisbigliò.
- Sì... - sorrisi, aggrappata al suo braccio. - Ti ho lasciato solo al comando tutto il giorno, scusami. Che cosa è successo?-
Lui reclinò di nuovo il capo sul cuscino, e abbassò un braccio per avvolgermelo attorno alle spalle. - Figurati... non è stato un problema. - aveva chiuso di nuovo gli occhi, e parlava in lenti sussurri. - E' andato tutto bene, come previsto... La marea è perfetta e abbiamo il vento a favore. Saremo a Tortuga in men che non si dica... - si interruppe per sbadigliare, per poi affondare di nuovo nel cuscino.
Io mi rannicchiai contro di lui, premendo le labbra sulla sua guancia. Contavo di fare la brava e limitarmi a quello, ma poi cominciai a sentire l'odore della sua pelle; ero sicura che molte non l'avrebbero trovato così gradevole, ma io ci ero abituata. Anche lui sudava e odorava come tutti i cristiani, naturalmente, ma, diavolo, era il suo odore. E a me piaceva da morire.
Spostai la mano dalla sua spalla per appoggiargliela sul petto, e mi allungai a baciargli il collo; lui emise un vago mormorio di approvazione, senza aprire gli occhi. Continuai a baciarlo lentamente, scendendo sulla sua gola, per poi risalire e sfiorare le sue labbra con le mie. Lui mi mise la mano dietro la nuca, tirandomi a sé per un bacio, e lì restai a lungo, assaporandolo, godendomi la carezza gentile della sua bocca sulla mia.
Quando le nostre labbra si separarono io mi spostai, per potermi piegare più comodamente su di lui, e ricominciai a baciargli il collo; stavolta però scostai i lembi della sua camicia e scesi con più decisione sul suo petto, fino allo sterno. Lui improvvisamente ebbe un piccolo sussulto e mi prese per le spalle, fermandomi; un po' delusa, alzai gli occhi per incontrare il suo sguardo.
- Uhm... gioia? Davvero, non credevo di poterlo dire, ma... - mi fece, in tono dispiaciuto. - …il fatto è che sono veramente a pezzi, e non ho avuto la fortuna di dormire tutto il giorno... comprendi?-
Sospirai vistosamente, e lo ricambiai con la migliore espressione di disappunto che riuscissi a fare. - Mi deludete, capitano... -
Jack ridacchiò, mentre mi tirava di nuovo verso di sé. - Domani sera saremo a terra... e saprò farmi perdonare. -
- Chi ti dice che domani sera ne avrò ancora voglia?-
Stavolta lo feci ridere sul serio, e mi squadrò con un sorrisetto malizioso mentre riusciva a trascinarmi lunga distesa al suo fianco. - Diciamo semplicemente che ti conosco... comprendi?-
Tornai ad appoggiarmi a lui, e ci rimasi fino a che, poco dopo, il suo respiro si fece lento e regolare, e lui crollò profondamente addormentato. Allora mi alzai, sciogliendomi delicatamente da suo abbraccio e facendo una carezza al suo viso disteso: era finalmente tranquillo, quella sera. Sapeva che il peggio era passato, e che eravamo stati noi ad uscirne ancora una volta vincitori.
Recuperai gli stivali, lasciai la cabina e uscii fuori sul ponte, trovando ad accogliermi la fredda brezza notturna: Jack aveva ragione quando aveva detto che il vento era a nostro favore; quella notte soffiava potente e impetuoso, facendo increspare l'acqua sotto di noi e gonfiando le vele. Avanzai lungo il ponte, sotto le ombre dei pirati ancora impegnati sulle sartie, mentre sentivo il vento che mi afferrava i capelli e me li sbatteva in faccia.
Ero felice di sentirlo. Ero felice di essere ancora tutta intera, e di trovarmi lì in quel momento per sentire l'aria fredda e umida sulla faccia, e l'odore salmastro del mare aperto.
Percorsi tutta la nave da prua a poppa, per poi fermarmi proprio accanto al bompresso e guardare giù, verso la polena che tendeva la sua colomba ad ali spiegate verso il mare aperto, come se volesse aprirci la strada. Posai una mano sul legno scuro della murata. - Hai visto? Sono tornata. - mormorai.
La donna di legno era fredda e immobile. Non che mi aspettassi qualche tipo di risposta, ma mi augurai che la Dama, dovunque fosse o sotto qualsiasi forma si celasse in quel momento, potesse sentirmi.
- Te l'ho detto che puoi fidarti di me. Non abbandonerò mai questa nave... e non abbandonerò mai lui. Lo sai che puoi fidarti di noi. -
Il mio sguardo si perse oltre la polena, verso la linea dell'orizzonte dove lo scintillio delle onde agitate si mescolava al brillio delle stelle. Non si vedeva più nemmeno un fazzoletto di terra tutt'attorno; ogni volta che tornavo a provare quella strana sensazione era come se fosse la prima, ma quella volta non fu spiacevole.
- E, finché ci proteggeremo a vicenda, noi saremo invincibili. -

*

Quella notte alzai lo sguardo alla luna, e rimasi in piedi finché non la vidi tramontare, e nel cielo si fece strada prima il chiarore rosato dell'alba, poi finalmente il sole.
Rimasi mentre questo si levava su un orizzonte senza nuvole, dopodiché andai a recuperare un po' di sonno quando si fermò alto sopra l'albero maestro, come un perfetto orologio puntato sul mezzogiorno. La navigazione fu rapida e tranquilla, e mi svegliai in tempo per vedere il sole concludere il suo giro giornaliero... e, quando tramontò, lo fece sopra la baia di Tortuga.
Per poco non gridai di gioia quando riconobbi l'isola davanti a noi: mi rendevo conto che era un po' strano, per non dire preoccupante, che ormai fosse quello l'unico posto -dopo la Perla- che considerassi veramente una casa... ma non importava. L'emozione che provai nel vedere le sue luci, i suoi rumori, le sue grida e la sua musica, la nostalgia e il sollievo che mi invasero quando la prua della nave si affacciò nella baia erano più reali che mai, e non avrei potuto negarli per nessuno motivo.
Lo stesso cielo sereno sotto il quale avevamo navigato, però, cominciò a riempirsi di nuvole appena entrammo nella baia, e avevamo appena fatto in tempo a calare l'ancora nel porto, che cominciò a tuonare e piovere forte.
Quasi l'intera ciurma era salita sul ponte per lo sbarco, e in pochi minuti ci ritrovammo tutti fradici fino alle ossa; Jack, che sembrava perfettamente a suo agio sotto l'acquazzone come sotto il sole cocente, attraversò in tutta calma il ponte seguito da Gibbs, confabulando. Li aspettai riparata sotto il cassero, osservandoli mentre parlavano e cogliendo qualche stralcio della loro conversazione quando arrivarono a portata di voce.
- ...Signor Gibbs, credo che sia il momento di aprire le casse di bordo e dare a ciascun uomo la sua parte, prima che li lasciamo liberi di scendere a terra. -
- Non sarà molto, signore, in verità speravo che avremmo messo le mani su qualcosa... di più, dopo tutto questo girovagare. -
- Lo so, ma a loro basterà. Per il momento. E poi andate al cantiere navale e cercate il capomastro... voglio che valuti il relitto e che ci dia un elenco di tutto quello che si può salvare e cosa invece è da rifare: chiglia, scafo, alberi, tutto. Chiedetegli il prezzo, ma non ditegli che concludiamo l'affare, non ancora. -
L'anziano pirata alzò gli occhi al cielo ed emise quello che fui quasi certa fosse un gemito di esasperazione. - Potrei ricordarvi, capitano, che siamo già indebitati fino al collo col capomastro?-
Jack liquidò la questione con un cenno delle mani. - Oh, troveremo senz'altro un accordo... dici che gli interessano ancora i prezzi di favore alla Red Rose?-
Gibbs sospirò vistosamente e si asciugò la faccia dalla pioggia battente, ma notai che sotto sotto tratteneva una risata. - Jack, stavolta non ce lo compreremo con qualche sconto al bordello. -
- Poco importa. - il capitano si strinse nelle spalle, distogliendo l'attenzione da Gibbs per portarla su di me e il resto della ciurma che aspettava, assiepata sotto gli alberi. - Orsù, abbiamo perso già abbastanza tempo!-
- Hai fretta?- gli domandai, alzando le braccia per accennare alla pioggia scrosciante e alla nave messa alla fonda in mezzo alle altre che beccheggiavano nell'acqua bassa del porto. - Dove vuoi che andiamo?-
Lui mi rivolse un sorriso smagliante, e per un attimo mi venne da paragonarlo in tutto e per tutto ad un grosso gatto bagnato sorridente.
- Ad affogare nel rum le nostre sordide anime di bucanieri, no?-
Così, di lì a pochi minuti, avevamo chiuso vento e acquazzone fuori dalla porta della Sposa Fedele.
Quella sera quasi tutta la nostra ciurma si radunò lì, così che l'osteria era gremita fino all'inverosimile; il chiacchiericcio e le risate tenevano lontano il fragore della tempesta, mentre avvenenti prostitute sghignazzavano appese al collo dei pirati che cantavano e tracannavano rum, seduti perfino sui tavoli.
- Levatevi di mezzo, che i vostri capitani hanno sete!- gridai allegramente, facendomi largo a gomitate fra la folla, formata per la maggior parte di uomini della mia ciurma, che si scostarono ridendo al mio passaggio. Stavo dando prova di equilibrismo portando ben quattro bottiglie, due in mano e le altre due sottobraccio, e Faith ed Ettore mi seguivano, ciascuno con altre tre bottiglie, e con numerosi boccali vuoti.
In un angolo del locale stavano alcuni tavoli, parzialmente separati dal resto della turbolenta locanda da una sottile parete di legno: era lì che eravamo riusciti ad accaparrarci un posticino, dove ora ci aspettavano tutti gli altri. Il tavolo era piuttosto piccolo per tutti quanti, così lo avevamo circondato con tutte le sedie di cui eravamo riusciti ad impossessarci, e ora gli altri sedevano spalla contro spalla per tenerci i posti. Jack e Gibbs sedevano nell'angolo più interno, contro al muro, e dalla parte opposta c'erano Will ed Elizabeth, insieme a Valerie, la quale in realtà non avrebbe dovuto nemmeno trovarsi lì, viste le sue condizioni, ma aveva protestato così tanto che alla fine mi ero lasciata convincere a farla venire con noi. Ora, pure con il braccio fasciato e legato al collo, aveva tutta l'aria di trovarsi perfettamente a suo agio ed era tornata a scherzare e ridere forte come al solito, mentre Jonathan, seduto poco lontano da lei, le scoccava strane occhiate tra l'esasperato e il preoccupato. Credo fosse praticamente la prima volta che il giovane carpentiere si univa a noi, ma probabilmente quella sera si trovava lì solo per via di Valerie. C'era perfino Ogro, enorme sulla sua sedia troppo piccola per lui, che non aveva spiccicato una parola da quando William lo aveva portato a terra con sé, ma che guardava tutto con aria estremamente incuriosita.
David e Michael non si vedevano, ma solo perché il primo si era messo a gattonare sotto il tavolo, e il secondo stava cercando di seguirlo nel tentativo di catturarlo.
- Provviste fresche, ciurma!- annunciò Faith, depositando le proprie bottiglie sul tavolo. Un coro di approvazione accolse il nostro arrivo, e in breve i boccali vuoti cominciarono a girare di mano in mano, così come le bottiglie.
Mi stavo insinuando fra la sedia di Elizabeth e quella libera accanto a lei, quando ad un tratto David sbucò da sotto il tavolo con una gran risata, e volò dritto verso di me.
- Lauraaa!- cinguettò tutto contento, prima di spiccare un salto e aggrapparsi a me come una scimmia: lo acchiappai al volo appena in tempo, rischiando di buttare a terra lui e buona parte delle sedie; lui però non sembrò curarsene e continuò a ridere allegramente.
- Ciao, adorabile mostriciattolo. - me lo caricai in spalla, mentre mi avvolgeva le braccine attorno al collo. - Com'è che ce l'hai con me, stasera?-
Il bambino mi scoccò un'occhiata adorante, senza smettere di sorridere, poi agganciò le dita alla catenina del mio ciondolo e cominciò a giocarci senza curarsi più di nient'altro. Sospirai, rassegnandomi a rimanere in piedi mentre Faith ed Ettore invece si prendevano sedie e boccali.
- David, fa il bravo con lei!- fece Elizabeth al figlio, voltandosi verso di noi, poi mi rivolse un sorriso di scusa. - Sembra che tu gli piaccia, dopotutto. -
- Anche a me piace lui. Non è vero, piccolino?- gli pizzicai una guancia, e lui svelto lasciò andare la mia perla per nascondersi il viso con le mani, ridacchiando. Michael riemerse da sotto il tavolo, riarrampicandosi in qualche modo sulla sua sedia, e mi guardò in modo strano, scuotendo il capo. - Io non ti ricordavo così tenera, però. -
Gli rivolsi un sogghigno: il fatto che avessimo vissuto come fratello e sorella per diversi anni non voleva dire che fossi mai stata molto tenera con lui. Era una cosa a cui ci eravamo abituati entrambi, ma diciamo che non mi ero fatta la fama di essere tanto affettuosa con i bambini. Ettore si versò una generosa dose di rum, scrollando le spalle. - Istinto materno, immagino. -
Michael lo guardò come se fosse impazzito. - Ma chi, lei?-
- Piantatela!- protestai, prima di convincere gentilmente David a lasciarmi andare e barattare le mie braccia con quelle di sua madre. Depositato lui, mi voltai per vedere se sarei finalmente riuscita a sedermi: Jack diede un colpetto alla sedia vuota accanto alla sua, facendomi cenno di avvicinarmi. Gli scoccai un'occhiata riconoscente e mi sedetti, prendendo dal tavolo una delle bottiglie, già vuota per almeno un quarto. Gli altri erano tornati a riempire i loro boccali e a chiacchierare; io presi un lungo sorso direttamente dalla bottiglia, godendomi il calore bruciante che scendeva giù per la gola. Di qualsiasi cosa stessero parlando gli altri, Jack non sembrava trovarlo particolarmente interessante, e si avvicinò di più a me spingendo la sua sedia contro la mia. Appoggiò il mento sulla mia spalla e, coperto dalla confusione che ci circondava, bisbigliò: - Mickey è ingiusto con te. Sai essere così dolce, quando vuoi... -
Mi sfiorò la guancia con le labbra, e la sua mano mi carezzò il ginocchio. Abbassai la bottiglia, ora più che un tantino distratta dalla sua vicinanza.
- Non sono neanche tre ore che siamo qui, e già parlano tutti di noi, in città. - stava dicendo Ettore, chino sul tavolo, quasi con fare cospiratore. - Sono sicuro che c'è almeno un uomo della Perla in ogni locanda, bettola o bordello di Tortuga, e tutti non fanno che parlare di come abbiamo affondato quelle due navi. Entro domani saremo una specie di leggenda. -
- Meglio, no? Spero solo che tutti si ricordino di parlare molto male di Calico. - rise Valerie, scolandosi il suo rum.
- Non è poi tanto meglio, in verità. - replicò lui, abbassando la voce anche se non ce ne sarebbe stato effettivamente bisogno. - Mi ricordo quello che ci avete raccontato di Rackham, e aveva ragione: tira un'aria diversa qui a Tortuga. Non avete visto le strade?-
Jack mi diede un bacio sul collo, mentre mi avvolgeva un braccio attorno alla vita. Sarebbe anche potuto essere un gesto romantico, se con la stessa mano avesse cercato di agguantare la bottiglia che tenevo in grembo. Allontanai la bottiglia dalla sua portata. - In che senso?- chiesi, anche se sentire il fiato di Jack sul collo mi rendeva un po' difficile seguire la conversazione.
Ettore si strinse nelle spalle. - C'è meno gente in giro. Tutti quelli che vogliono ubriacarsi e fare cagnara come al solito sono qui dentro... e non è per la pioggia, scommetto. -
Vero: le strade di Tortuga erano famose per essere affollate di gente ubriaca e rissosa a qualsiasi ora, con qualsiasi tempo.
- Perché, allora?- gli domandò Faith.
- Questo è il punto: ho visto molti meno bevitori per strada, ma anche meno risse. -
- E con questo?-
- Meno risse. Più sparatorie. -
Dopo quell'affermazione calò uno strano silenzio sul nostro tavolo; perfino Jack smise di cercare di rubarmi la bottiglia e si voltò a guardare Ettore con aria vagamente turbata. Neanche a dirlo, al di sopra del baccano risuonarono improvvisamente due spari: troppo lontani per essere all'interno della locanda, ma abbastanza vicini per provenire dalla strada accanto. Sobbalzammo tutti, tranne Ogro, che aveva finito da solo la sua prima bottiglia e aveva attaccato la seconda.
- Quello che succede o non succede a Tortuga non è mai stato un nostro problema, comprendi?- Jack si decise a rompere il silenzio, per poi allungare a tradimento la mano e afferrare la mia bottiglia. Io la tirai dalla mia parte. Lui la tirò dalla sua. La situazione stava diventando piuttosto ridicola, specie considerando il fatto che eravamo ancora “romanticamente” abbracciati.
- Molla. - protestai.
- Molla tu. -
- Sì, ma qui sta succedendo qualcosa di strano. - continuò Ettore, ignorando il nostro tira e molla. - Diavolo, io qui ci sono nato e cresciuto; la vedo la differenza. Valerie, anche tu sei nata qui. Che cosa ne dici? Sparatorie per le strade, la maggior parte della gente chiusa nelle locande... cosa ti fa venire in mente?-
Lei aggrottò le sopracciglia, facendosi molto più seria. - Regolamenti di conti tra bande? Di nuovo? Era un po' che non succedevano cose del genere... mi sembra strano. -
- Che intendete dire?- chiese Elizabeth, incuriosita.
- Ettore ha ragione. - continuò la ragazza, rivolgendosi a lei. - Sono sempre stata abituata a Tortuga: sono sempre esistite bande, gilde, congregazioni che nascevano per un motivo o per l'altro... e che, ovviamente, finivano sempre per combattere l'una contro l'altra per litigarsi il territorio, o la gente da rapinare. Era abbastanza normale. Però queste bande non sono mai state pericolose, almeno non che io ricordi. Di solito non erano niente di più che ladruncoli che si mettevano insieme, credendo che in gruppo avrebbero combinato chissà che cosa. - ridacchiò, scuotendo la chioma scura. - Di solito bastava il primo gruppo di pirati appena sbarcati e di cattivo umore per fargli il culo!-
- Ah!- Gibbs annuì con foga, improvvisamente più allegro. - Gli spogliatori di ubriachi! Mi ricordo che li chiamavano così. Di solito arrivavano nelle locande, in otto o in dieci: prendevano di mira i più sbronzi che trovavano, per poi trascinarli fuori e derubarli di tutto quello che avevano. Era diventata una pratica così diffusa, che in una sola locanda potevi trovarti nello stesso momento anche due o tre bande di Spogliatori, ed era un guaio. Quei poveracci arrivavano a litigare direttamente sul corpo dello sbronzo di turno, per decidere chi aveva il diritto di portarselo via e derubarlo!-
- Me ne sono capitati diversi alla locanda, quando ancora lavoravo lì. - commentò Valerie con un sogghigno.
- Ebbero vita breve. - Gibbs annuì. - Non erano che cagasotto, in verità; erano ladruncoli che cercavano di fare soldi in modo rapido e facile, e non avevano un briciolo di fegato... -
- E tu hai ricevuto le loro attenzioni due o tre volte, se non ricordo male. - concluse Jack, sogghignando. Gibbs gli lanciò un'occhiata offesa.
- Be', in ogni caso quelli erano i tempi dove i cadaveri di quei bastardelli si ammucchiavano ai lati delle strade. Si credevano tanto importanti, con le loro piccole bande e i loro nomi, che arrivarono a giocare alla guerra gli uni contro gli altri. Fu una baraonda. Non potevi uscire in strada senza incappare in qualche banda che si sparava addosso. Qualche volta ammazzavano per sbaglio anche qualche pirata, e poi finivano fatti a pezzi dalla ciurma inferocita, per ripicca. No, decisamente non durarono a lungo. -
Annuii, mentre mi tornavano in mente stralci dei nostri primi incontri con Calico. - Rackham non aveva detto un nome? Era stato lui a dirci che le cose a Tortuga stavano cambiando... chi altri aveva nominato?- ricordavo la conversazione avuta col capitano, ricordavo anche che ci aveva parlato di cambiamenti, bande, e di qualcuno che stava architettando tutto questo... ma non riuscivo a ricordarmi il nome.
- Sal-qualcosa. - borbottò Jack, scrollando vistosamente le spalle. - Molla. -
- Molla tu. -
- Che ho fatto di male per farmi proibire il rum?!-
- Ti proibisco il rum della mia bottiglia, ne abbiamo quante ne vuoi sul tavolo. -
- Ma io voglio questa... - sibilò con un sorrisetto, premendo le labbra contro il mio orecchio.
- E cosa mi dai in cambio?-
Il suo sorriso si allargò. - Possiamo parlarne. -
- Silehard!- saltò su Will ad un tratto. Quando tutti ci voltammo a guardarlo come se fosse impazzito, si decise a spiegarsi meglio. - ...Era questo il nome che aveva menzionato Rackham. Credo. Silehard. Ma non so quanto sia veramente importante, per noi. -
Jack fece un cenno vago col capo. - Per il momento non me ne importa neanche un po'... comprendi?- riuscì a sfilarmi dalle mani la bottiglia e se la portò alle labbra, trionfante, per berne un lungo sorso. Io sospirai, e ne approfittai per liberarmi dall'abbraccio.
- Tienitela. Io vado a prendere una boccata d'aria. -
Guadagnare l'uscita fu perfino più difficile di quanto lo era stato arrivare al bancone: c'era già un gran numero di uomini e donne completamente sbronzi, e la piccola orchestra di fisarmoniche e violini che suonava imperterrita in un angolo dell'osteria aveva sollevato l'umore generale, così che non potevi fare un passo senza scontrarti con qualche avventore che beveva, rideva, sbraitava o ballava. Mi trovai la strada sbarrata da due donne in abiti succinti, dal viso pesantemente truccato e coi corpetti dai colori vivaci che mostravano molto più del dovuto. Sembravano entrambe ubriache fradice, e mi guardarono ridacchiando e sgranando scioccamente gli occhi mentre mi avvicinavo. In quel momento, alle spalle delle due arrivò nientemeno che Trentacolpi: ad entrambe circondò la vita con le braccia, e col suo perenne ghigno stampato in faccia esclamò: - Felice incontro, signore!-
Mentre il terzetto si perdeva in mezzo alla folla, mi divertii a domandarmi se almeno per l'occasione sarebbe stato disposto a togliersi di dosso le sue amate pistole. Decisi che non volevo scoprirlo.
Salii la scala che portava al piano di sopra -scansando alcuni pirati crollati privi di sensi sui suddetti scalini- e finalmente raggiunsi la porta: quando la aprii, mi sentii investire da una ventata d'aria fredda, e fu un sollievo.
Fuori stava piovendo ancora più forte di prima, così feci solo un paio di passi fuori dalla locanda, tenendomi al riparo del tettuccio che sporgeva al di sopra della porta. Richiusi il battente alle mie spalle, tagliando fuori il chiacchiericcio, le urla e la musica della locanda; di colpo restammo soltanto io e lo scroscio incessante della pioggia.
Proprio accanto all'ingresso, ad un passo da me, c'era un busto di legno addossato al muro esterno della locanda. Lo scrutai, forse con più attenzione di quanto avessi mai fatto prima di allora: sul piedistallo era inciso il nome della locanda, La Sposa Fedele; la statua raffigurava il busto di una giovane donna sorridente, in abito da sposa, con le mani giunte a reggere un bouquet. Due pesanti manette le bloccavano i polsi.
La porta alle mie spalle cigolò piano; lì per lì non me ne accorsi neanche, finché non sentii una mano posarmisi sulla spalla, e la voce di Jack.
- Non aspettare che lanci il bouquet, sembra piuttosto pesante da prendere al volo. -
Trattenni una risatina, voltandomi verso di lui. - Che fai qui?-
Il capitano si strinse nelle spalle e mi si accostò, appoggiando il gomito contro la parete accanto a noi. - Te ne sei andata così di fretta, e mi chiedevo che cosa ti stesse ronzando per la testa questa volta. -
- Sicuro... e il pensiero che magari volessi semplicemente prendere una boccata d'aria, come ti avevo detto, non ti ha nemmeno sfiorato, vero?-
Jack ridacchiò fra sé. - O è così... o hai trovato una buona scusa per farci restare soli. - fece due passi verso di me, spingendomi gentilmente con la schiena contro il muro. Gli sorrisi, stando al gioco; lui sollevò una mano a carezzarmi i capelli, quindi si chinò su di me per premere la guancia contro la mia.
- Mi manchi. - bisbigliò. - Non abbiamo avuto neanche un minuto per noi da... uhm... da quando abbiamo messo su Khael Roa, più o meno. -
Mi appoggiai a lui, circondandogli le spalle con un braccio. - E quando lo abbiamo avuto, tu eri “troppo stanco”. - scherzai. Lo sentii ridacchiare ancora, piano, vicino al mio orecchio.
- Colpa mia, lo ammetto. - mi tenne un po' più stretta, premendoci entrambi contro la parete, poi parlò di nuovo e sentii chiaramente una nota di preoccupazione nella sua voce. - Ascoltami, sei sicura che vada tutto bene? Perché se sei... diciamo... turbata, ecco, per quello che è successo, o... per Barbanera... -
In quel momento capii cosa lo preoccupava, e mi staccai un poco da lui per guardarlo negli occhi ed interromperlo. - No. - gli risposi, ed il mio tono e la mia espressione sembrarono prove sufficienti a dimostrargli che non stavo mentendo. - Barbanera avrà anche tentato di farmi del male, ma non ci è riuscito. Ha avuto quello che si meritava, e io sto bene, te lo assicuro. -
Lui non disse niente, però arricciò un angolo della bocca in uno di quei suoi mezzi sorrisi che avevo imparato a conoscere, e vidi la preoccupazione lasciare poco a poco il suo volto. Non avevo dimenticato la rabbia gelida con la quale si era scagliato contro Teach, quando lo aveva sorpreso ad aggredirmi: per quanto fossi stata felice di vederlo arrivare in quel momento, sapevo che aveva avuto paura almeno quanto me. Non ne avevamo più parlato; io per prima non avevo più voluto parlarne, eppure il rischio di quello che mi sarebbe potuto succedere continuava ad aleggiare tra di noi come un'ombra oscura.
Ma non era successo: questa era l'unica cosa che contava. La mia rabbia e il mio orgoglio si erano ribellate alla paura, e dentro di me avevo deciso che non avrei mai lasciato che si ripetesse una cosa del genere, e che mai più avrei temuto un uomo per quello che poteva farmi. Se qualcun altro ci avesse provato, gli avrei fatto saltare la testa. Ero pronta a farlo con Barbanera, quando si era trattato di salvare la vita di Jack: ora ero certa che non avrei esitato a farlo con qualunque altro balordo che avrebbe mai tentato di farmi del male.
- Però non era questo a cui stavo pensando. - continuai. - Insomma, pensavo a Rackham... lo so che è un vigliacco e ci ha abbandonati, e non glielo perdonerò mai. Però, la prima volta che lo abbiamo incontrato... lui e i suoi non erano poi tanto diversi da noi. Lui, Anne Bonny, Mary Read, tutti quanti, avevano davvero la stoffa per essere dei grandi pirati. Forse non si è reso conto di avere avuto una delle idee migliori degli ultimi tempi, a chiederci di formare un'alleanza: peccato che lui per primo non ci credesse davvero. -
Jack mi guardò, inarcando un sopracciglio. - Quindi, secondo te, l'alleanza sarebbe stata una scelta vincente?-
- L'alleanza è stata un'idea vincente. - lo corressi. - Jack, abbiamo affondato due navi. Ne avremmo affondate tre, se fossimo rimasti insieme. Sarebbe stata una delle più spettacolari vittorie degli ultimi tempi!Sai, forse... forse è questo che dovremmo fare noi, che dovrebbero fare tutti. Non riunirsi in bande per pugnalarsi alle spalle, ma collaborare. -
Lui scrollò le spalle. - Capisco cosa vuoi dire, tesoro. Ma devi capire che non è che siamo un'isoletta felice. -
- Lo so. Ma siamo tutti pirati, e questo dovrebbe bastare ad accomunarci. O almeno... - sorrisi. - ...dovrebbe accomunare i gentiluomini di fortuna. Io so già che non sarò mai un capitano spietato come Teach, né un traditore come Rackham. E questo mi basterà. -
Per qualche momento Jack rimase a fissarmi ad occhi sgranati come se stesse contemplando chissà quale fenomeno stupefacente, poi sfoderò uno dei suoi migliori sorrisi e fece un passo indietro, a mani alzate. - I miei rispetti! Qui il mio lavoro è finito, oserei dire. -
Alzai il mento con una certa fierezza, poi presi Jack per il bavero della giacca e lo riportai vicino a me. - Tu dici? Capitano o no, tu non avrai mai finito con me, te lo posso assicurare. -
- Meno male. - bisbigliò lui, chinandosi verso il mio viso. - Sono proprio imperdonabile. Non ti ho reso la vita molto facile negli ultimi tempi, uh? Ti ho fatto passare per un “quasi ammutinamento”di massa, mandata a vagare per un'isola selvaggia, buttata in mezzo a due battaglie navali e affrontare due dei peggiori avanzi di galera dei Caraibi... - scoccò un'occhiata alla statua della sposa incatenata al nostro fianco. - Non il massimo per una luna di miele, diciamo. -
Se fosse serio o meno non ne avevo idea, ma mi misi a ridere di cuore. Quando ebbi finito, lanciandogli uno sguardo in tralice, me ne uscii improvvisamente con l'ultima domanda che mi sarei mai aspettata di fargli: - Jack?-
- Sì?-
- ...Perché ci siamo sposati?-
Se la mia domanda lo sorprese, non lo diede minimamente a vedere. - Perché volevamo farlo. - rispose con semplicità. - E, al momento, non ne sono pentito, anche se so di non essere stato fino ad ora quello che si dice un buon marito. - mi prese il viso fra le mani, tornando serio. - Ci tengo a farti sapere che mi dispiace. -
- Oh, andiamo!- quasi risi di nuovo. - Per che cosa? Perché a volte, anche con la ciurma, ho dovuto sbrigarmela da sola? Sono il capitano in seconda. Perché non abbiamo avuto il tempo di dormire insieme? Non è niente. C'erano cose più importanti da fare, e tu lo sai benissimo come lo so io. - gli carezzai la guancia a mia volta. - Quando ti ho sposato, non ho detto che avrei messo i lucchetti alla porta. Non lo farò nemmeno adesso. -
Finalmente lo vidi tornare a sorridere sul serio, e mi accarezzò il viso con dolcezza. - Forse avremmo dovuto aggiungere qualche clausola, quando ci siamo sposati. Ti ricordi quello che dicevo sul matrimonio?-
- Che ti sembrava una scommessa a chi avrebbe smesso per primo di amare l'altro?-
- Già. - assentì lui, in tono inequivocabile. Alzai gli occhi al cielo, per poi fissarlo severamente. - E allora? E' una scommessa che temi di perdere, capitano?-
- No. - ad un tratto Jack sciolse l'abbraccio per prendermi per le spalle: c'era qualcosa di strano in quella stretta, qualcosa di urgente e di riluttante al tempo stesso. - Ma so che il nostro non sarà mai un matrimonio convenzionale. Noi non saremo mai come la famigliola Turner felicemente riunita, comprendi? Io non sono così. E nemmeno tu. -
Cominciavo a capire che cosa volesse dire: in effetti, non si poteva dire che il nostro rapporto fosse stato privo di scontri a fuoco... i quali -non potevo dimenticare- erano quasi riusciti a separarci del tutto. Eravamo sposati, certo, ma questo non cambiava noi: non cambiava me, e di certo non cambiava lui. Per noi il matrimonio non era stato il suggello, il coronamento di una lunga e felice storia d'amore. Era stato l'inizio. Era stata la prova inconfutabile della fiducia che avevamo l'uno nell'altra, per quanto azzardata. La prova di cui io avevo bisogno, all'epoca. Una scommessa, sicuro... ma una scommessa che sentivo di stare vincendo. E non ci avrei rinunciato per niente al mondo.
- Lo so, e mi va bene così. - risposi, caparbia.
- Ascolta. - insistette lui, agitandomi l'indice davanti alla faccia. - Quello che sto dicendo è che non riuscirò ad esserci sempre: alcune volte dovrai ancora cavartela da sola, e dovrò farlo anch'io. A volte dovrò occuparmi di altre cose; hai visto anche tu, ci capiterà ancora di stare separati per un po'. Siamo pirati, e siamo anche sposati... però le cose non si escludono a vicenda. -
- Insomma, mi stai chiedendo il permesso di abbandonare il tetto coniugale. - scherzai. Lui ridacchiò e si strinse nelle spalle. - Lo farò io e lo farai tu, se ne avremo bisogno. E' inevitabile, lo sai... non possiamo aspettarci di riuscire a stare “sempre” insieme. Ma questo non cambia le cose, comprendi?- accentuò un poco la stretta, e puntò gli occhi nei miei. - Perché, dovunque vada e qualunque cosa faccia, hai la mia parola: io ritorno. E non perché sono obbligato a farlo. Ritorno da te perché lo voglio, e hai la mia parola che lo farò sempre. E quando hai bisogno... per qualsiasi cosa... dimmelo. -
Seguì un lungo silenzio, colmato solo dal rumore della pioggia, che non avrei saputo se definire intenso o imbarazzato, per via del modo in cui ce ne restammo letteralmente immobili a fissarci negli occhi; quindi finimmo per abbassare lo sguardo quasi all'unisono.
- Se fosse uno degli Articoli, lo firmerei. - commentai, infine. - Jack... lo stesso vale per me. Io non smetterò mai di fidarmi di te. Mai. E mi aspetto che tu faccia lo stesso con me. -
Gli vidi brillare tra le labbra i denti d'oro, mentre avvicinava il viso al mio. - L'ho sempre fatto. -
- Bene. - sussurrai. - Ma non sperare in “altre” libertà extraconiugali, perché quelle non te le concederò mai. -
- Ma che peccato... - mormorò, prima di tirarmi contro di sé e baciarmi con improvviso calore. Avevo appena ricambiato il bacio con altrettanta foga che lui si tirò lentamente indietro, strappandomi un mugolio di protesta. Quando riaprii gli occhi, vidi che mi stava fissando con un sorrisetto inequivocabile: gli brillavano gli occhi. - Non dovevo farmi perdonare qualcosa?-




Note dell'autrice:
Ma porca miseria.
Lo dico perché sono a tanto così -tanto così!- a concludere il capitolo finale, e come al solito mi faccio fregare dal panico da ultimo paragrafo. Ma ce la farò. Aspettare a pubblicare questo capitolo solo quando avessi completato quello finale era un inutile masochismo.
Gente! Inizio subito rispondendo a Mally:
1)Condivido la tua gioia per la scelta dei caratteri ingranditi! Io scrivo comodamente con quelli piccoli, ma so che tanti lettori sono affaticati dalla lettura sullo schermo. Tanto meglio, quindi! Sono anche molto lieta di darti una notizia: ebbene sì, Caribbean Tales nasce come saga; ergo, ti posso dire che sono previsti ancora parecchi episodi. Perciò, tu gongolerai come davanti ad un cornetto alla nutella, ed io mi guadagnerò il privilegio di una lettrice come te. ^^
2) Mi hai dato un buon suggerimento, anche se non so se potrò accontentare in pieno le tue richieste. Mi piace curiosare nella mente del mio adorato capitano, anche se la cosa non è affatto semplice. Probabilmente ci saranno ancora piccoli suoi flash in prima persona, come mi sono divertita ad inserire qua e là nelle mie storie. Vedremo.
3)Non posso crederci! Qualcuno ama Trentacolpi più di me!
Agli aficionados, Fannysparrow, duedicoppe, citrosil, come sempre grazie di cuore per i vostri commenti. In quanto a sorprese e colpi di scena... spero proprio di essere ancora in grado di prepararvene a dovere qualcuno!
Wind the sails!
  
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