Elanor ~ Quel che nel Libro
non c’ è
La bambina è già abbastanza grande per
arrampicarsi sulla schiena del papà curvo in giardino, chino sui suoi
adorati fiori che portano lo stesso nome di lei. La mamma le ha detto che vengono
da una terra lontana, che sono stati gli Elfi a regalarli al papà. Ma non
ha ancora deciso se crederle.
« Ella, quante volte ti ho detto
di non saltarmi addosso così? Potresti farti male! »
Il papà cerca di scrollarsela di
dosso, però ride, e la risata del papà è sempre bella da
sentire: lui è bello, bello e
buono; anche se lo chiamano Sindaco e gli chiedono di fare tante cose
difficili, lui continua sempre a sorridere come quando pota i cespugli e aiuta
tutti senza mai lamentarsi. Però qualche volta, quando pensa che nessuno
se ne accorga, i suoi occhi diventano tristi.
« Non mi hai ancora letto tutto
il Libro » risponde Elanor compita, « e
io voglio sapere come finisce. »
Ed ecco che accade di nuovo: gli occhi
ridenti del papà si oscurano, sono attraversati da un velo di tristezza
che Elanor non capisce ma che vorrebbe tanto poter
tirare giù. Sa che il Libro fa un po’ soffrire il papà, e
davvero, lei cerca di farglielo leggere il meno possibile, e qualche volta
chiede persino alla mamma di farlo al suo posto – ma la mamma non
racconta la storia nello stesso modo.
È il papà ad aver vissuto
quelle avventure, ed è il papà a farla sognare con le parole mute
della carta scritta e con quelle più vive dei suoi ricordi. I momenti in
cui la prende sulle ginocchia e le racconta la storia del signor Bilbo e del signor Frodo e di Sire Aragorn
e di tutti gli altri sono i più belli della giornata. Peccato che al
papà facciano male, dietro quella voce allegra che qualche volta, in
certi punti del racconto, si spezza – e allora lui prende un fazzolettone enorme e le dice che gli è entrato
qualcosa negli occhi, ma lei lo sa bene che sono solo lacrime.
Il papà è l’unico
adulto che le sia mai capitato di veder piangere, e forse anche per questo le
piace così tanto.
« Va bene, Ella, ma non adesso.
Devo finire alcune cose qui. »
Elanor resta ferma a guardarlo: il papà ha nascosto il viso
nel suo lavoro, e lei si chiede se fa così perché è
arrabbiato o perché è tanto triste da non riuscire più a
sorriderle. Ma poi, il papà si volta e la tranquillizza.
« Perché non vai a vedere
se la mamma ha finito di preparare il pranzo? Dille anzi che qui fuori
c’è un povero Hobbit accaldato che muore
di fame. Se sarà così gentile da concedergli un piatto di
stufato, lui le porterà in dono un cesto, ma che dico?, un carro intero di
rose. »
Allora Elanor
ride in risposta, e annuisce e corre via, sicura che il papà non la
deluderà neanche stavolta, e che questa sera siederà di nuovo con
lei e continuerà a leggerle quel Libro Rosso che il mese scorso ha
finito di scrivere.
Corre nel giardino, e non si accorge
che quel sorriso non riesce a mascherare la tristezza del papà, che
rimane solo tra i fiori a guardare lei ma a vedere con la mente qualcun altro
che se ne va.
Il
bambino osservava dispiaciuto la piantina rinsecchita. Gli erano sempre
piaciuti i fiori, e aveva sempre sofferto molto nel vederli sciupati; questo
poi sembrava irrimediabilmente vizzo. Era stato calpestato da uno dei maiali e
ora spandeva sul terreno petali smorti e foglie stropicciate. Cosa poteva fare
per salvarlo?
Seduto a gambe larghe davanti a quel tesoro perduto,
tirò su col naso e si sforzò di non piangere. Gli altri bambini,
a scuola, dicevano che piangere era una cosa da femminucce. Be’, e
allora? In fin dei conti anche i fiori erano una cosa da femminucce, giusto? Ma
a lui piacevano lo stesso e non tollerava che lo si prendesse in giro su
questo. Non che fosse mai accaduto, ma avrebbero fatto meglio a sapere che il
piccolo Samvise Gamgee non
aveva vergogna di dispiacersi di un fiore appassito.
Ma malgrado quelle convinzioni continuò a
stropicciarsi forte gli occhi con le nocche per impedire alle lacrime di
spuntare agli angoli, e fu solo quando abbassò le mani che si accorse
delle gambe di qualcuno che si era appena accosciato di fronte a lui. Sussultò
e alzò gli occhi.
Era un Hobbit giovane, molto
più giovane del suo Gaffiere, e anche del
signor Bilbo Baggins che
stava su a Casa Baggins – e che tutti dicevano
che fosse un tipo strano ma che a lui stava tanto simpatico perché
parlava sempre degli Elfi. Teneva in mano un piccolo secchio e lo stava usando
per innaffiare il fiore spezzato, anche se lui non gli aveva chiesto di farlo.
Il bambino lo guardò incuriosito, e l’Hobbit
gli sorrise e gli tese il secchiello.
« Vuoi farlo tu? »
Samvise esitò per un attimo. Il Gaffiere
gli aveva sempre detto di non accettare niente dagli sconosciuti; ma questo era
diverso, no? Questo sconosciuto gli stava solo dando un po’ d’acqua con cui
annaffiare un fiore. Non poteva esserci nulla di male. Era gentile, anzi.
Accettò timidamente il secchio e seguitò ad
imbevere la piantina assetata. Lo sconosciuto lo osservò mentre lo
faceva, e questo lo fece sentire un po’ a disagio, e il senso di calore al
viso gli fece capire di essere arrossito: era sempre così quando
qualcuno lo guardava mentre si prendeva cura dei fiori.
« Come ti chiami? »
Abbassò il secchio e alzò lo sguardo. Lo
soppesò per un attimo, chiedendosi se rispondergli potesse essere male
come se avesse accettato da lui un biscotto. Decise di no: gli occhi
dell’Hobbit erano puliti e buoni, e poi gli
piaceva il modo in cui gli sorrideva.
« Samvise Gamgee. »
« È un piacere conoscerti, Samvise
Gamgee. Io sono Frodo Baggins.
»
A questo punto Samvise perse ogni
traccia di sospetto. « Volete dire che siete un congiunto del signor Bilbo, signore? »
« Proprio lui. Sono appena venuto a vivere a Casa Baggins. In effetti sei il primo con cui parlo, qui a Hobbiville. » L’Hobbit
si voltò a guardare un punto accanto a sé, notò un
cespuglio spoglio e passò lentamente una mano su un rametto. «
Ecco, direi che questo è quello che ci vuole. »
Lo spezzò di colpo, e Sam saltò su a
protestare indignato.
« Che cosa fate? »
Ma poi vide che quel signor Frodo Baggins
strappava anche una striscia dalla propria camicia, e che con quella legava il
rametto infisso nella terra al fiore calpestato, in modo che lo sostenesse un
po’ più diritto. Samvise rimase a
guardare l’intero rito a bocca aperta.
« Ecco fatto. Se continui a dargli regolarmente acqua,
potrebbe rinvigorirsi. In ogni caso è meglio che reciderlo, non credi?
» L’Hobbit sorrise allo sconcerto di Samvise, e poi si alzò in piedi. « Bene, devo
andare. È stato davvero un piacere conoscerti, Sam. Vieni a trovarmi
qualche volta! »
E si allontanò così, verso Casa Baggins, lasciando il bambino ad assaporare il suono di
quel nomignolo con cui non l’aveva mai chiamato nessuno.
‘Sam’. Sì, gli piaceva ‘Sam’. Gli piaceva Frodo Baggins.
Sam abbassò ancora lo sguardo sul fiore così
rabberciato e sorrise ancora. Poi corse a procurarsi dell’altra acqua con
il secchiello che gli aveva lasciato il signor Frodo.
Forse fu quel giorno che decise che sarebbe diventato un
giardiniere.
Il Sindaco di Hobbiville dà
un ultimo sguardo affettuoso agli elanor di Dama Galadriel e si
alza, voltando lo sguardo verso un punto diverso del giardino, lo stesso di
quel giorno di tanti anni fa.
Là dove c’era un fiore
morto ora si stende una fila intera di zinnie colorate e vivaci, che
necessitano di poche cure e che fioriscono ogni anno di più, come a
ricordargli che un rametto e un pezzo di stoffa strappati da una mano amica non
sono mai un male e possono fare molto.
La voce allegra di Ella riecheggia
dentro casa: questa sera le leggerà ancora qualche pagina del Libro
Rosso, giusto per farla addormentare serena; ma adesso vuole essere un
po’ egoista, e le immagini che quella storia gli evoca vuole tenerle un
po’ per sé, soltanto per sé. Soprattutto quelle che nel
Libro non ci sono.
Si avvicina a quei fiori con passi
appesantiti dal tempo trascorso e da un dolore mai spento, e quando li
raggiunge si siede in terra a gambe larghe, come un bambino in contemplazione.
Proprio come l’ha trovato lui
quel giorno di tanti anni fa.
« Avevate ragione » mormora
come a se stesso, ma rivolto agli occhi azzurri che ancora riesce a vedere
davanti ai suoi. « Avevate ragione come sempre. Diceste che dopo Ella
sarebbero arrivati il piccolo Frodo e la piccola Rosa, che non sarei stato
solo: e invero è stato così. Ma su una cosa vi siete sbagliato
anche voi. » Abbandona il viso contro i fiori, ne inspira a fondo il
profumo, e sorride triste. « Mi sento ancora
diviso in due. E mi mancate, padron Frodo. »
Il vento scuote dolcemente le zinnie,
che adesso, sfiorandogli appena le guance, sembrano voler asciugare quelle
lacrime che ora scorrono libere sul viso ancora bambino di Sam Gamgee.
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Sono dell’idea che, quando un’opera
è sacra, tentare di scriverci sopra una fanfic
può essere un omicidio e un suicidio. Un omicidio nei confronti dell’opera
originale, un suicidio perché – parlo per me naturalmente –
non ci si può neppure sognare di scrivere qualcosa che non minimizzi
totalmente quei personaggi che ci si sforza tanto di rappresentare.
Insomma, in sintesi questa è la
mia prima fic sul mondo tolkeniano,
e non è escluso che sia l’ultima, perché Il Signore degli Anelli è un
mostro sacro che oso toccare il meno possibile. Ma la verità è
che io amo Samvise Gamgee,
e che non potevo non scrivere nulla
su di lui, ecco. Sul suo rapporto incredibile con Frodo e sulla sua vita
lontana da lui dopo l’epilogo della missione. Sul suo essere padre e
Sindaco e amico che ancora ricorda, sempre.
Questa shot
nasce da un rapido calcolo secondo il quale, se Frodo è arrivato a Casa Baggins all’età di ventun
anni, allora Sam all’epoca ne aveva circa nove. Me lo sono immaginato a
rivivere il suo primo incontro con il ‘padrone’ grazie alla
presenza della sua primogenita Elanor, e da lì
il resto.
Non ho idea se sia stato Frodo a
chiamare per primo Samvise ‘Sam’, e molto
probabilmente non è così; come quasi sicuramente Sam non chiamava
suo padre ‘Gaffiere’ anche da bambino. Ma
mi andava di scriverlo, punto. È stata una scrittura molto impulsiva
questa. xD
Piccola nota esplicativa:
simbolicamente parlando, la zinnia è il fiore della nostalgia e del
ricordo degli amici. Le zinnie rosa, in particolare, testimoniano affetto
duraturo.
Ringrazio chiunque stia leggendo queste
righe <3 God bless you all.
Aya ~