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Autore: Prof    30/10/2010    3 recensioni
Quel mattino il cielo era grigio e grave.
Non c'erano nuvole, o screzi, o increspature, ad intaccarne l'aspetto liscio, distante, altero.
Era solo desolatamente grigio, niente di più, come se al mondo la notte appena passata avesse rubato tutti i colori, lasciandogli solo un mesto binomio di bianco e nero.

[Oc!Europa] [Ambientazione: Seconda Guerra Mondiale]
[Fanfic partecipante al Contest "Narrami o musa... le nove arti"]
Genere: Guerra, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, America/Alfred F. Jones, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Autore: Noin (Prof su EFP)
Titolo: Overlord
Fandom: Axis Powers Hetalia
Prima Musa: Melpomene
Genere: introspettivo, triste, guerra
Rating: arancione
Avvertimenti aggiuntivi: One-shot, presenza di un omicidio
Note:  fanfic partecipante al contest Narrami o Musa... le nove arti indetto da Wolvie91
Riassunto: “Mia moglie ha sempre desiderato vedere Parigi. Dice che deve essere una delle città più belle del Mondo.” Il suo sguardo si addolcì, perdendosi in ricordi lontani.
“Adesso non è più bella.”
“Immagino che non ci sia più niente di bello, in quest’epoca.”
Commento: un paio di note chiarificatrici.
Il pov è di Europa, un mio OC; Europa come entità c’è fin dal periodo dell’Antica Grecia, ma la sua crescita dal punto di vista fisico rimane bloccata almeno fino alla creazione del primo nucleo dell’odierna Unione Europea. Dunque fino alla seconda metà del Novecento, ha aspetto da bambina, e in parte comportamento, anche se mitigato da secoli di esperienze.
La fanfic è ambientata a cavallo del 1943-1944, nella Francia settentrionale, occupata dai tedeschi.
I vari segmenti non sono in ordine strettamente cronologico; il primo, il penultimo e l’ultimo si riferiscono nello specifico al D-Day, ovvero nel giorno in cui avvenne lo sbarco alleato in Normandia.
Il titolo “Overlord” è il nome dell’operazione che prevedeva lo sbarco in Normandia.
Le informazioni storiche sono state tratte dal saggio “La Seconda Guerra Mondiale – 1939/1945 – Una storia militare” di John Keegan.
Altre note a fine brano.




Overlord
Il giorno più lungo





Quel mattino il cielo era grigio e grave.
Non c'erano nuvole, o screzi, o increspature, ad intaccarne l'aspetto liscio, distante, altero.
Era solo desolatamente grigio, niente di più, come se al mondo la notte appena passata avesse rubato tutti i colori, lasciandogli solo un mesto binomio di bianco e nero.
Era grigio, e piatto, e immobile, e sembrava che volesse minacciare che alla fine, nonostante tutti gli sforzi, nonostante tutto il dolore e le grida e le lacrime e il sangue versato su ogni angolo della sua terra, nulla sarebbe cambiato.
Era grigio e severo nella sua staticità, e dall'alto stava lì a scrutare quelle povere anime che strisciavano fra i sassi e la polvere, forse avendone compassione, forse biasimandoli per la loro stupidità nel combattere un destino scritto a fuoco nel più intimo della loro natura, forse, semplicemente, fregandosene – in fondo, il Sole aveva continuato a sorgere, le nuvole ad andare e tornare, e quello stesso Cielo si travestiva di blu, di grigio, di celeste, di nero, come e quando gli pareva.
In fin dei conti, con tutta probabilità era troppo lontano per interessarsi più del dovuto a quella massa di piccoli esserini simili a formiche impazzite.
Era grigio, immobile e grave, e stava lì, minacciandola e ammonendola che non poteva cedere a quella sensazione fallace che le attanagliava lo stomaco, che tanto quel groppo alla gola e quel peso, che le schiacciava lo sterno fino a toglierle il poco fiato rimastole, non significavano assolutamente nulla; le ricordava, crudele, di non cedere a quel senso di ansia che le stritolava le viscere fino a farle provare dolore, perché non aveva senso, perché era inutile aspettare qualcosa, o qualcuno, perché era inutile anche solo costruirsi una mera illusione sulla base di fallaci sensazioni.
Europa, naso all'insù, strinse gli occhi.
Anche quel giorno, il cielo era grigio, e le diceva che, alla fine, nulla sarebbe cambiato.


*


Quando era iniziato il conflitto, qualcuno, qualche capo, aveva detto che sarebbe durato poco, una cosa veloce e indolore, quasi fare un'altra guerra fosse stato poco più di un giochetto.
Una frase del genere l'aveva sentita così tante volte nel corso di secoli e secoli, che ormai le scivolava addosso nella più totale indifferenza.
Quello che non avrebbe mai potuto immaginare, nemmeno dopo l'esperienza della Grande Guerra, è che, nel solo corso di tre anni, la sua terra avrebbe bevuto una quantità così immane di sangue e lacrime.
E lei, ancora una volta, era spettatrice inerme.

E Germania avanzava, conquistava, e invadeva le dimore degli altri.
Non sapeva che la sua scelta prima o poi l'avrebbe portato a pagare pesanti conseguenze.


*


Il generale tedesco diede schietto due o tre ordini nella sua lingua asciutta, e subito il soldato scattò fuori dalla stanza per trasmettere la comunicazione ricevuta.
Uscito il giovane milite, l’uomo, dopo un sonoro sospiro, si alzò e si avvicinò con passo pesante alla finestra, abbandonando alle sue spalle la scrivania colma di incartamenti.
Dall’ufficio che aveva occupato si poteva vedere la torre Eiffel. La scrutò a lungo, in silenzio. Gli occhi azzurri come il ghiaccio fissi per un lasso di tempo che sembrò infinito, la mascella serrata e una sottile linea dura al posto della bocca. L’intero volto era solcato da piccole rughe, più profonde lì dove era corrugata la fronte e ai lati della bocca.
In quell’attimo il generale sembrò l’archetipo del milite tedesco, l’intera sua figura impassibile e ferma come la roccia.
Poi, a sorpresa, portò due dita sulle tempie, massaggiandole e chiudendo gli occhi. Curvò la testa verso il basso, e sospirò ancora.
Quando rialzò il volto di nuovo al paesaggio parigino, i lineamenti si erano ammorbiditi, e una cupa ombra nostalgica era comparsa sul fondo dei suoi occhi di ghiaccio.
“È un bel posto, tutto sommato, la Francia.”
Lo disse come se fosse stata la conclusione di un lungo ragionamento, avvenuto tutto dentro la sua testa. Lasciò scorrere un paio di secondi, che dedicò all’osservazione di uomini e donne che si affrettavano per le vie parigine, senza far troppo caso ai soldati tedeschi che comparivano ad ogni incrocio. Poi sbatté le palpebre un paio di volte, in un tentativo di cancellare dalla retina ciò che aveva appena analizzato, e puntò lo sguardo sulla bambina che stava seduta in un angolo dello studio.
Non sapendo bene cosa rispondergli, o anche solo se quell’uomo stesse cercando una qualsivoglia risposta ad una domanda inespressa, Europa corrucciò la fronte, scrutandolo di rimando con gli occhioni blu.
Scivolarono altri attimi di silenzio, senza che l’uno o l’altra sapessero che dirsi.
Fu di nuovo l’uomo ad intraprendere la conversazione.
“Mia moglie ha sempre desiderato vedere Parigi. Dice che deve essere una delle città più belle del Mondo.” Il suo sguardo si addolcì, perdendosi in ricordi lontani.
“Adesso non è più bella.”
L’attenzione dell’uomo si riportò sulla bambina; poi un sorriso amaro si fece largo sul viso.
“Immagino che non ci sia più niente di bello, in quest’epoca.”
Europa ancora non seppe che rispondere; nell’incertezza, stette di nuovo zitta.
“Credi che quando tutto questo sarà finito, Parigi sarà di nuovo una delle città più belle del Mondo?”
Europa strinse i pugni e abbassò lo sguardo.
“In qualunque modo finisca, lo spero.” Rispose con un sussurro.
A quelle parole il generale le mostrò un lieve sorriso, quasi paterno, e, con le mani raccolte dietro la schiena, tornò a fissare oltre finestra, in su, verso il cielo.
“Quando tutto sarà finito, - disse più a se stesso che alla bambina – porterò mia moglie a vedere la torre Eiffel.”


*


“Tu non sei normale.”
Il soldato tedesco, poco più che un ragazzino, si accorse troppo tardi della rudezza con cui aveva pronunciato una frase che nell’intento doveva essere ingenuamente ovvia.
“Cioè, volevo dire… - balbettò, cercando di assumere un’espressione conciliante - …che non sei come me... come noi…”
Europa lo squadrò, incerta se arrabbiarsi, offendersi o cercare un chiarimento.
“Vuoi dire che non sono umana?”
Il giovane tedesco incespicò nelle sue stesse parole.
“Ecco, io… Sei diversa. Insomma, sei come Ludwig!”
“Hai conosciuto Germania?”
 Gli occhi del soldato si illuminarono di pura gioia.
“Allora è vero che esistete! Siete Nazioni in carne e ossa!” E come per rendere più vera quell’affermazione, le andò a punzecchiare la guancia con il dito, provocando l’irritazione dell’interessata.
“Piantala! – sbuffò la bimba strofinandosi la parte lesa. – Piuttosto dimmi come sta Germania!”
Il sorriso genuino del soldato si affievolì, fino a diventare il fantasma di se stesso.
“Direi, tenendo conto della situazione che stiamo vivendo, non malaccio.” Tentò di rafforzare il senso della frase con una sorta di smorfia allegra; il risultato fu abbastanza grottesco.
Dunque rimase in silenzio, assorto nei suoi pensieri, fino a quando non raccolse abbastanza coraggio per pronunciare una domanda che doveva girargli in testa almeno dall’incontro con Germania.
“Secondo te, le Nazioni possono essere buone o cattive?”
Europa tornò a scrutarlo perplessa; questa volta non c’era traccia di nessun sorriso, o tentativo di sorriso, sul volto del soldato.
“Non ci sono Nazioni buone o cattive. – rispose, il tono tra il pacato e il rassegnato – E neppure uomini buoni o cattivi. Ci sono solo azioni buone o sbagliate. E un’azione sbagliata comporta una giusta pena.”
Il ragazzo annuì debolmente, mentre masticava nella testa la sentenza che gli era stata data.
“E tu, quale Nazione sei?”
La bambina chiuse gli occhi, e sospirò. Quando li riaprì, disse solo:
“Non so se sono una vera Nazione; però, tanto tempo fa, mi hanno dato il nome di Europa.”


*


La notte faceva paura.
Calavano le tenebre, e calava su di lei il terrore. Il terrore di rimanere troppo a lungo da sola, il terrore di non farcela, di chiudere gli occhi e non risvegliarsi mai più. Il terrore di sparire, di morire, senza che nessuno, nemmeno lei stessa, se ne accorgesse.
La notte faceva paura e male, perché ogni dolore si amplificava nel silenzio e nel buio fitto, perché il fianco sinistro le doleva in modo orribile, e le ferite sanguinavano, e il fragore di migliaia di bombe le scoppiava nelle testa, nelle orecchie.
La notte le faceva paura e male, perché sentiva tutta la sua terra piangere disperata. E lei non ci poteva fare nulla, se non pregare e aspettare il sorgere di un nuovo giorno.


*


Non c’era né giusto né sbagliato.
La giustizia sarebbe stata dalla parte della vittoria.
La vittoria sarebbe stata dalla parte di chi aveva più forza.
Antica Grecia era una bugiarda, lei insieme ai suoi miti fasulli.
Non sarebbe apparso nessun deus ex machina a salvare la situazione.
E allora l’unica cosa da fare era aggrapparsi disperatamente alla vita.


*


Già a partire dall’inizio di quell’anno, qualcosa cominciava a muoversi fra le truppe tedesche di stanza nella Francia settentrionale.
Gli ordini arrivavano giorno dopo giorno sempre più numerosi da Berlino, spesso contraddittori, spesso l’uno il contrario dell’altro, intimando spostamenti di carri e divisioni lungo tutta la costa francese del nord.
Nuovi generali furono inviati dai campi da combattimento dell’Africa, segno che qualcosa stava per avvenire.


*


E d’improvviso, mentre ancora scrutava il Cielo con occhi pieni di rassegnazione, una folata di vento le scompigliò i capelli riccioluti.
Un tuono, in lontananza, per quanto fosse appena udibile, ebbe il potere di farla sobbalzare. Il vento gelido di nuovo le sferzò il viso; veniva dal nord.
E lì, sull’orizzonte, il Cielo, sebbene fosse mattino, diventava sempre più cupo.
Il senso di ansia tornò a torcerle dolorosamente le viscere, fin quasi a toglierle il fiato.


*


Una scarica di mitragliatrice, un verso strozzato e il suono sordo di un corpo che cadeva a terra, esanime.
Il generale tedesco stava lì, gli occhi azzurri spalancati che la fissavano senza veramente vederla, la guancia nella polvere e il corpo riverso sullo stretto sentiero di campagna. Il tronco era bucherellato da sei, sette colpi che avevano lasciato profondi buchi, dai quali, con una lentezza glaciale, sgorgava sangue.
Europa stette immobile, a fissare quell’uomo caduto, a fissare un altro uomo che cadeva nell’ennesima battaglia, e chissà se aveva avuto il tempo di accorgersi di cosa gli stava accadendo, o se semplicemente la vita gli era sfuggita con troppa velocità.
Deglutì, impietrita nel fissare quello spettacolo di morte.
Tutto intorno a lei era confusione: la divisione tedesca con cui viaggiava era stata attaccata durante uno spostamento che l’avrebbe dovuta portare ancora più a settentrione. C’erano state urla, grida in diverse lingue, spari. Infine più nulla. Silenzio.
Non si accorse di essere rimasta - ancora - miracolosamente illesa, fin quando due forti mani la presero da dietro, sollevandola da terra.
Quando fu voltata di malagrazia, si ritrovò davanti agli occhi la presenza ingombrante di America, munito di quella finta maschera sorridente che non si stancava mai di portare; o che forse non si accorgeva di indossare.
E quando quelle braccia troppo forti la catturarono in un abbraccio senza possibilità di repliche, percepì con una chiarezza cinica il dolore acuirsi e pervadergli lo stomaco, schiacciandolo, comprimendolo senza pietà.
E quando le sorrise con quell’aria soddisfatta di chi non aveva ancora capito dove diavolo si trovava, fra tutti i pensieri che presero a vorticarle impazziti nella testa, fra il pianto copioso e disperato e nascosto nella divisa sporca dell’altro, fra tutte le parole che le uscivano di bocca come un torrente in piena, biascicò anche di, per favore, fare finire tutto.


    
***   




Note aggiuntive
-    L’operazione Overlord fu in parte ostacolata dal cattivo tempo, tanto che dovette essere rimandata all’alba del 6 giugno 1944 invece che tenersi il 4 giugno.
-    La Francia settentrionale fu occupata dai tedeschi con relativa facilità, e fino al 1943 si poteva considerare una zona “tranquilla” rispetto anche al fronte tedesco orientale.
-    Europa e America hanno già avuto modo di conoscersi in passato.
-    Non vorrei dare l’idea che America sia una sorta di “salvatore” di Europa; volevo solo mettere l’accento su quanto sia stato rilevante l’intervento americano per determinare una svolta nel conflitto.
-    Il D-day fu anticipato da una forte operazione di spionaggio e controspionaggio tra esercito tedesco ed  esercito alleato. Semplificando molto, i tedeschi si aspettavano un attacco nel nord della Francia, ma non riuscirono a saperne il punto esatto. Fu così che, invece di concentrare le forze, in particolare i carri, in un unico punto, dovettero sparpagliarle lungo i punti che essi ritenevano più probabili per un eventuale sbarco nemico.
-    Durante lo sbarco furono usate anche truppe di paracadutisti; capitò, però, che non tutti i piloti fossero addestrati sufficientemente per permettere l’atterraggio dei paracadutisti entro una determinata area. Fu così che gruppi di soldati americani si ritrovarono a venti, trenta chilometri dalla meta prestabilita, causando scompiglio nelle retroguardie tedesche. Difatti, diversi ufficiali furono uccisi da questi gruppi di paracadutisti americani che si erano persi nell’entroterra francese. E questo spiega la comparsa improvvisa di America.  

Edit:
・    "Il generale tedesco diede schietto due o tre ordini nella sua lingua asciutta, e subito il soldato scattò fuori dalla stanza per trasmettere la comunicazione ricevuta.”
       Dopo un interessante conversazione con mio padre, sappiate che questa frase è “militarmente” inesatta; il generale, ufficiale maggiore, non dà ordini al semplice soldato, ma a comandante di truppa. Ora, visto che pochi sono avvezzi alle gerarchie militari, direi che si può tranquillamente fare finta di nulla. >_>


   
 
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