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Autore: crimsontriforce    02/11/2010    4 recensioni
L'immagine dell'onda resta nei suoi sogni. Lui si perde giorno dopo giorno, ma l'onda resta. Rimane solo un'immagine, quella di Zanarkand, di casa, ma l'onda resta. Lava via tutto e resta. Si annulla nella distruzione e non c'è angoscia, non c'è Sin, solo...
Genere: Dark, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Jecht
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Dieci anni fa, la stessa strada'
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Scritta con abile mossa suicida per il primo round del Tournament Contest di Fabi_Fabi, lilyblack e vogue91, purtroppo andato affanbagno per mancanza di partecipanti. Uffa! Peccatissimo! ç_ç Le giudicie però sono state delle vere signore nei confronti delle due storie arrivate a destinazione. Grazie ragazze.
I prompt che ho scelto sono quest'immagine e questo set di abbinamenti:
Nero (dolore)
Runa EHWAZ (il cavallo, presagio)
Elleboro (liberazione dall'angoscia)
Pietra di luna (sogno)

Il contest richiedeva di usare i significati di almeno due di essi, ma 'di già che ero lì' li ho usati tutti e quattro (c'è da dire che ho claimato facile, il fandom si presta a questo set), con anche il colore nero e qualcosa che assomiglia alla pietra di luna buttati dentro per buona misura.
Ciò premesso, non è il genere di cosa che uno scrive se vuole sperare di passare un turno. Ma assolutamente il genere di cosa che uno scrive per fangirlare Sin!

Noticina prima del nonsense: il Sin-POV è entrambi e nessuno, è il terreno mediano fra Jecht e Yu Yevon, ora più l'uno, ora più l'altro a seconda di chi comanda là dentro. E ho provato a trattare l'aspetto più onirico di Sin, quello del dungeon finale, più simile a quello di È stato uno sciocco secondo sole che non al raw!Jecht!Sin di No better plan. Capomafia!paterno!Yu Yevon invece mi manca ma vorrei rimediare. Qui dentro proprio non ci stava.
Ah, i sogni sono mutevoli per definizione e quindi “onda” è una metafora valida quando “scarrafone col monogramma” perché lo dico io. =|

Note ai termini specifici: qui! (in questo caso, solo “luci fatue” per “lunioli” e il sempreverde “evocazione” VS “invocazione”)











L'immagine dell'onda resta nei suoi sogni. Lui si perde giorno dopo giorno, ma l'onda resta. Rimane solo un'immagine, quella di Zanarkand, di casa, ma l'onda resta. Lava via tutto e resta. Si annulla nella distruzione e non c'è angoscia, non c'è Sin, solo...


Sulla cresta della distruzione


Sin is cursed.
Sin prays.
It curses its form, it prays for dissolution.
Sin sees dreams of its own destruction.
(Fayth of Valefor)





Sin grida. Sin prega. Sin non ricorda che non ha mai pregato, prima, e questo è l'inizio della sua fine.

Si rifugia fra gli anfratti del Gagazet, cercando la quiete sotto un banco di cumuli neri così che le nuvole sfiorano il suo corpo impossibile e riarso come una coperta di umidità e buio, acqua fresca sulla corazza ma niente ruggine, la corazza è eterna. Sin freme. È al riparo da ogni sguardo, nascosto dalla montagna sacra, fuorché da se stesso – 'se stesso' è troppi sguardi, troppi occhi e li sbarra tutti, si rigira, non riesce a sfuggirsi. Si scaglia contro una parete e secoli di sculture di ghiaccio si frantumano sotto lo schianto. Respira nuvole nere.

C'è un'onda, dentro di lui.

C'è un uomo, dentro di lui. L'onda lo sommerge e lo consuma, ma l'uomo cerca la luce: chiazze ormai rare nel cielo cupo di Sin, pietre preziose opalescenti incastonate nella sua carne lucida e malata che le cinge con nodi, fasci e filamenti. Sono ricordi. L'uomo deve combattere e non ha altre armi.
“Non mi avrai”, dice.
“Ti ho creato”, risponde l'onda.
Già gli mancano le risposte, al di fuori di un insulto comune che sputa senza troppa convinzione.

Una a una le luci si spengono, le pietre si offuscano, i ricordi si diluiscono. È l'onda: ricopre tutto di neri e blu malati e dei colori dei sogni più terribili. Sotto la sua acqua tutto si dissolve e tutto muta, vengono costruite fortezze: una città dei sogni morenti. Il cambiamento brucia, Sin affonda nel fianco della montagna ma non trova pace.
Stringe a sé gli affetti, ma quando anche solo una goccia si quell'acqua scura li contamina li sente disgregarsi lentamente in ossessioni: la casa vuota piena di attesa si trasforma nella casa dell'abbandono di una moglie e di un figlio che non si merita; le luci dello stadio presentano al pubblico un corpo sfatto dall'alcool.
È un lavoro di fino, ma l'onda è paziente. I suoi abissi nascondono le grida.

Sente, come in un'eco, che l'angoscia non è eterna e sente che la soluzione è lì, che balla sotto i suoi occhi ma non riesce a metterla a fuoco (occhi interni: sempre troppo pochi) ed è così stanco. Così stanco. Quando smette di combattere, il dolore che infiamma i suoi nervi – le idee di nervi – recede di una frazione: si scopre a pensare che ne è valsa la pena.
L'uomo gli sussurra la buona notte, come a un bambino che ha pianto troppo.

Sin era Jecht. Ora, Jecht è Sin. Verrà un'onda e cadrà la quiete.


*


Il tempo scorre anche in una stasi forzata. Anni.


*


C'è quiete, nel buio. Solo istinti – scatti, energia. Distruzione sconsolata.

L'onda persiste nei suoi sogni sommersi. Diventa mare aperto e freddo, come se fosse un ricordo tenuto stretto nel pugno quando il resto della sabbia è scivolato a terra da tempo. Diventa acqua salata nel naso o un pallone da afferrare e diventa la consapevolezza che una spiaggia illuminata da lanterne arancioni è persa per sempre dietro una coltre di luci fatue.
Quello che rimane dell'uomo è una figura sfumata al centro di un cielo nero, scossa da tremiti e ringhi. Forse i sogni sono suoi. Forse l'acqua lo ha eroso a tal punto che non ha altri ricordi oltre alla risacca. Forse non sa che la Città è perduta per i mortali al di fuori, ma che un litorale scoglioso di pensieri compatti corre da essa a Sin, ovunque nuoti, e da Sin a essa, mantenendola viva ed evocata e amata. È una riva dritta oltre la curva dell'orizzonte del mondo, un eterno tramonto rosato. È quello che Sin ha di più prezioso.
Forse, invece, lo sa troppo bene.
L'uomo spalanca gli occhi rossi e spettrali, s'inarca in un ghigno. Sin trema. L'immagine che lo investe non è un sogno: ha l'intensità di un avviso, di un presagio, una dichiarazione d'intenti. C'è una spiaggia illuminata da centinaia di lanterne, davanti a una foresta gialla di palazzi e vita. L'onda si ritorce e scalpita, s'ingrossa, galoppa lungo il filo dell'evocazione e frantuma le sue angosce sulla città indifesa, travolgendone ogni muro, ogni colonna, scomponendo il suo sogno perfetto, facendolo a pezzi fino a strappare i colori selvaggi di ogni sua luce fatua. Cala il buio nei freddi mari del Nord.

Jecht è Jecht. Cadrà un'onda e inizierà la fine.











   
 
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