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Autore: HarryJo    02/11/2010    4 recensioni
Ricordalo, ricordalo Alessandro: leucemia.
Sono le parole che mi son ripetuto con maggiore frequenza negli ultimi giorni, guardandola.
Con quei capelli rossi al vento, o meglio, rossi e statici. A meno che un giorno qualcuno non porti un ventilatore nell'autobus, non li vedrò mai mentre librano nell'aria, purtroppo, ma sono pronto a scommetterci che sarebbero bellissimi.
Ogni tanto durante la notte mi concedo di sognarla. Non che sia tanto diverso dalla realtà: siamo sempre nello stesso autobus mattutino, sempre lei, in ogni suo dettaglio, compreso il palo, l'ipod e la macchina fotografica. Ed io che la osservo di lontano con una voce in testa che continua a scandire quelle stra maledette parole: "Ricordalo, ricordalo Alessandro: leucemia". Poi mi sveglio e ricomincia un'altra giornata, una in meno da segnare sul calendario.
Genere: Malinconico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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TI ODIO PERCHE' MI AMI.

 

Dedicato a Valentina, perché il tuo amore con Andrea

lo sento più vero di tutti gli altri, nonostante le peripezie.

Dedicato ad Andrea, perché hai reso felice la mia cara sorella

 nel momento più buio che attraversava.

 

 

 

1. Un tatuaggio marchiato a fuoco.

 

Buongiorno. Buongiorno. Buongiorno.

Vi state chiedendo chi sono? Non mi sorprende, se lo domandano in molti. Ogni persona che mi vede per strada, nell'autobus, nel treno, a scuola. Persino il mio compagno di banco si chiede chi sono. E non si tratta di filosofia, anche se quella non migliora.

Innanzitutto, sono un ragazzo. Diciotto anni e mezzo, capelli scuri, anzi, proprio neri, e occhi azzurri. Passo il tempo per conto mio, o meglio, non lo passo proprio il tempo. Io lo conto, in ogni suo secondo.

Credete sia una cosa strana? No, per me è perfettamente consona alla normalità dei miei giorni, alla monotonia della mia vita.

Certo, non dovrei lamentarmi, insomma, è colpa mia se scandisco i secondi con la lancetta rossa del mio orologio, ma forse anche questo fa parte di un progetto più grande che voi non riuscite a comprendere, a cogliere.

Se vi parlassi di morte? Mi prendereste per un ragazzo complessato pieno di problemi e chiamereste lo psicologo, vero? Insomma, diciamocelo, non è normale per uno della mia età. Però ora vi si illumina la lampadina sopra la testa come nei cartoni animati, vero? A ripensare alla mia mania di contare i secondi, intendo.

E se invece vi parlassi di felicità? Di quella finta, sia chiaro. Nessuno è felice. C'è chi è contento, certo, ma non felice. La felicità l'uomo ancora non l'ha mai sperimentata e non so se mai lo farà. Mettete giù la cornetta del telefono e fate i seri, per favore: tanto nessun manicomio mi vorrà mai ospitare.

In realtà, ho solo una parola per voi, quella parola che accompagna e rafforza il frastuono di ogni misero secondo. Quella parola che nessuno vorrebbe mai sentire propria, per paura, per tristezza, per terrore. Quella parola che invece io sento marchiata in ogni centimentro della mia pelle, a fuoco, nelle mie ossa; la leggo persino nel riflesso dei miei occhi quando mi guardo allo specchio.

Leucemia.

A me fa un po' ridere sinceramente come parola: insomma, quando si pronuncia "cancro" si percepisce quel suono aspro e cruento di una malattia che uccide; per "tumore" mi si sconvolgono le viscere, è una parola cupa, triste, come d'altronde la stessa patologia. Ma "leucemia"... E' quasi dolce.

Un dolce tatuaggio nella pelle che ti condanna per sempre, ma uno dopo un po' si arrende. Io, io mi sono arreso. Mi sono arreso a un'idea di una vita lunga quanto un soffio di vento, per quello conto: per sapere quanto rimane ancora di questo inferno. Inferno? Ma che dico? E' una pacchia! Ti trattano tutti bene, ti portano rispetto, ti aiutano, conoscendo la tua situazione. Chiudono un occhio e dicono solo cose carine. Una favola insomma, con la differenza che nelle favole le persone non sono mai sole, c'è sempre qualcuno accanto al protagonista, c'è sempre qualcuno persino accanto al cattivo, che non lo meriterebbe. C'è sempre qualcuno.

Io, invece, son separato dal resto del mondo con questa barriera quasi trasparente, gli altri hanno paura di guardarci attraverso, di affezionarsi quindi a me per davvero, come se temessero di vedermi sparire da un momento all'altro. Ed io non mi affeziono più a qualcuno dai tempi dell'asilo ormai.

Ma si fa l'abitudine anche a questo, con il tempo. A questa solitudine un po' forzata e un po' voluta. Sì, voluta: d'altronde se io mi fossi affezionato a qualcuno sul serio, non avrei mai accettato l'idea di dover finire.

In realtà qualcosa un po' mi prude. Cioè, c'è un immagine che ho impressa dentro di me, e non vorrei lasciarla. E' quella situazione che si presenta sempre puntualmente ogni qualvolta salgo in autobus alla mattina.

Categoricamente in piedi, appoggiata al secondo palo a sinistra, con una sola cuffia all'orecchio destro, che ascolta i lunghi racconti di quella che credo sia la sua migliore amica, c'è Lei. Con i capelli rossi, lisci, gli occhi castano chiari, lineamenti dolcissimi. Il suo nome non lo so, non so a che scuola vada, da dove venga, quanti anni abbia, quale sia la sua voce. Non conosco niente di lei, eppure ricordo il suo viso come se l'avessi dipinto in un quadro che porto sempre con me, cosa che non ho fatto ma a cui avevo fatto un pensierino seriamente.

Ecco, lei è l'unica persona che mi fa ancora provare qualcosa, un po' di nostalgia forse, una leggera brezza di tristezza all'idea di lasciare il mondo.

Si guarda sempre in torno, osserva le persone, e ogni tanto ha con sé una macchina fotografica con cui immortala dei ragazzi che a me appaiono sinceramente normali, al limite della normalità. Ma lei li osserva, quasi come se ne fosse innamorata, e lo vedo che ama quella sua macchina fotografica, che custodisce gelosamente.

Non mi ha mai osservato. Non mi ha mai fotografato.

E questo non so se considerarlo un bene o un male. Probabilmente non mi trova abbastanza interessante per la sua collezione di persone, non trova gusto nel mangiarmi con gli occhi. Ed ecco che scatta quell'impeto di invidia dentro di me, perché anch'io voglio provare ad essere qualcuno, anch'io la voglio ammaliare, anch'io voglio esser immortalato. Io la voglio.

Poi mi maledico, perché non posso essere così egoista da voler una persona, nella mia condizione. Ricordalo, ricordalo Alessandro: leucemia.

E così ricominciano i battiti lenti del mio cuore a contrastare quelli dei secondi, abbasso lo sguardo e non c'è più, è scesa alla fermata e si guarda attorno con la macchinetta fotografica in mano, pronta a cogliere al volo l'istante meraviglioso che non riesco a percepire.

Per un solo istante, come ogni giorno, ho come l'impressione che mi stia guardando con la coda dell'occhio, ma rimango sempre deluso quando vedo che invece sta semplicemente salutando la sua cara migliore amica che invece è ancora nell'autobus e scende tre fermate dopo.

Una volta, spinto dalla curiosità, mi ero avvicinato e avevo sbriciato la canzone che stava ascoltando sull'ipod. Ad averla solo a qualche centimetro da me era scattato qualcosa dentro, una specie di scarica elettrica da brividi, una specie di connessione. Avevo come la sensazione che si sarebbe girata, ma non l'ha fatto. Ed io ero rimasto a guardare il titolo della canzone sullo schermo, fino a stamparmelo bene nella mente.

Non la conoscevo, così appena arrivato a casa l'avevo scaricata subito e mi ero messo ad ascoltarla; non era proprio il mio genere, ma mi piaceva.

Persino adesso, che lei se n'è andata, prendo il mio vecchissimo mp3 e l'ascolto.

When I look at you, s'intitola.

E non ho mai trovato testo più veritiero, di questo ne sono convinto.

Di nuovo scuoto la testa, e guardo fuori dal finestrino: un'altra fermata e posso scendere finalmente, e dirigermi a quel liceo odioso che frequento da quattro anni e mezzo. Oggi è il 20 dicembre, e finalmente ci saranno le vacanze di Natale tra qualche giorno. Non ne potevo più di questa scuola continua, non mi piace, non m'interessa, non la voglio. Ho un tempo di due mesi circa e persino studiare ciò che mi piace di meno, devo. Ma che bello.

Entro in classe, appoggio la cartella sul banco, mi tolgo il giubbotto che puntualmente appendo alla sedia, e già da questo si nota un bel distacco: tutte le altre giacche sono sugli attaccapanni in fondo all'aula, invece la mia no.

Entrano i miei compagni e accennano appena ad un saluto, mentre io ormai sono talmente abituato a starmene per conto mio che so benissimo come rimediare: apro la cartella e tiro fuori "Windgirls", il libro che sto leggendo. Parla di anoressia, parla di una storia triste, e a me piacciono, le storie tristi, mi fanno sentire a casa.

Ora, non pensate che io sia l'antipatico o l'escluso della classe, non è così. Mi vogliono tutti bene, solo che non abbiamo un rapporto stretto come sarebbe giusto fosse. Non abbiamo voluto averlo, c'è stato questo tacito accordo dopo i miei primi rifiuti di uscite e quant'altro per colpa delle chemioterapie e degli interventi vari. In classe si scherza, si ride, fuori mi lasciano stare a contare i secondi.

Loro lo sanno.

Lo vedono, lo percepiscono, che me ne sto andando. E lo sento anche nel tono in cui mi rivolgono la parola, quasi avessero paura di ferirmi, di dirmi qualcosa che mi faccia star male. Non capiscono che così peggiorano, che in questo modo mi sento un animale da zoo. Come se potessero sul serio pensare che mi piaccia tutto questo.

Questa solitudine un po' forzata e un po' voluta.

Così passano le ore, tra le interrogazioni, tra le domande del mio compagno di banco Francesco che non capisce nulla di matematica, tra le risate con il professore di latino.

E come ogni giorno, quando suona la campanella, Francesco si gira verso di me e mi chiede: "Chi sei?", come se fosse davvero convinto che io gli risponda.

Non ho mai risposto, perciò se vi chiedete ancora chi sono, sappiate che lo state facendo inutilmente, non ho intenzione di spiegarvi qualcosa che non so nemmeno io.

Chi sono? Vi basti sapere che sono Alessandro, che ho un'ossessione per quella ragazza dai capelli rossi e gli occhi castani e che ho un tatuaggio marchiato a fuoco nella pelle che porta il dolce nome di leucemia.

 

 

 

 

{ Spazio Harry_Jo.

La scrivo per lei, Valentina, mia sorella più grande, e Andrea, un amico (o qualcosa di più?) che ha una grave malattia.

Nonostante questo, la storia è puramente inventata.

Fatemi sapere che cosa ne pensate, vi prego, davvero è importante. E’ importantissima. Vi chiedo un minuto della vostra vita per recensire, perché voglio che sia una cosa speciale, che venga bene: sarà un regalo per entrambi, se viene abbastanza bene, sperando che lui non svanisca troppo presto.

Vostra

Harry_Jo

   
 
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