4. Modello
Il
giorno seguente, Serena aveva l’aria di una
tossica in astinenza. Le sue dipendenze però erano due, e i
loro nomi
iniziavano entrambi per M.
-
E
piantala, mi sembri una maniaca appostata sotto casa della sua vittima!
-
Ma Uccia
io voglio sapere! Voglio vederli! Devo,
vederli!
Uccia
si
corresse mentalmente: era una
maniaca, ma appostata di fianco
alla
casa delle sue vittime.
-
Allora sai
cosa fai? La pianti di stressare e oggi pomeriggio come se niente fosse
vai da
loro fingendo di essere una amichevole vicina e non una malata
perversa, e con
la scusa mi lasci la casa per qualche ora.
-
E perché
ti serve la casa per qualche ora? – fece Serena sospettosa.
-
Dovrebbe
venire il tizio di ieri, sempre che non se ne sia dimenticato o mi
prendesse
per il culo. E se ti ho attorno in questo stato non riuscirò
mai a disegnare
decentemente.
-
Dì la
verità: non ce lo vuoi presentare!
Uccia
alzò
un sopracciglio. - È per il suo bene, non per
altro…
Alle 2 circa, i nervi di Uccia
cedettero definitivamente e lasciò che Serena andasse a
invadere il campo ai
ragazzi. Una ventina di minuti più tardi uscì in
cerca del ragazzo dagli occhi
azzurri. Decise che l’avrebbe aspettato davanti al bar, e
alle due e 31 esatte
lo vide sbucare da un vicolo dall’altra parte della strada.
-
Occhi-azzurri! – urlò per attirare la sua
attenzione. Più di una persona si
voltò a guardarla contrariata, ma il ragazzo non
l’aveva sentita. –
Occhi-azzurri! – ripeté saltellando sul posto e
agitando un braccio in aria.
Finalmente, lui girò la testa e si accorse di lei. Sorrise e
la salutò con la
mano, aspettando accanto alle strisce pedonali che scattasse il verde.
-
Guarda che
ci sarei venuto comunque da questa parte! – disse quando
riuscì a raggiungerla.
-
Volevo
evitare che non mi vedessi e te ne andassi a prendere un
caffè. – rispose Uccia
– Dai vieni, abito di là.
S’incamminò
con il ragazzo che le trotterellava dietro fischiettando.
-
Sei brava
a disegnare, vero? – chiese di punto in bianco –
Perché sarebbe un vero peccato
rovinarmi!
Lei
gli
rivolse un’occhiata che avrebbe potuto cuocere un uovo.
– Lo vedrai. –
fece una pausa – Comunque, te lo dico subito, non
posso permettermi di pagarti.
Lui
si
strinse nelle spalle. – Tranquilla, non mi aspettavo che lo
facessi. Sono qui
perché non ho di meglio da fare, non perché
speravo di guadagnarci qualcosa.
-
Bene.
-
Tra
l’altro, come ti chiami?
-
Lisa.
Chiamami Uccia.
-
Uccia?
Lei
alzò gli
occhi al cielo davanti alla sua espressione stupita, la stessa che
assumeva
chiunque quando sentiva il suo soprannome per la prima volta.
-
Sì, Uccia.
-
Io sono…
-
Occhi-azzurri.
-
No, mi chiamo...
-
Preferisco
occhi-azzurri.
-
Perché
“occhi-azzurri”?
-
Prova a
guardarti allo specchio, dovresti arrivarci. Ci siamo. –
infilò la chiave nella
toppa e spinse il portone – Terzo piano. Ed è
inutile che cerchi l’ascensore,
non c’è. – disse, e si lanciò
su per le scale. Per quanto fosse ginnica come un
bradipo con l’artrite, quando si trattava di rientrare in
casa diventava una
centometrista.
-
Benvenuto
nel mio mondo. – dichiarò aprendo la porta.
Il
ragazzo
entrò guardandosi intorno curioso, e passò
diversi secondi a girare la testa da
una parte all’altra, rischiando anche di inciampare nei gatti
che non appena
l’avevano visto avevano immediatamente cominciato a vagargli
tra le gambe.
-
Oddio, ma
quanti sono?
-
Cinque.
Quello che ti si sta arrampicando sulla gamba è Mail, il
nero smilzo è Cat
Casino, il nero molto meno smilzo Whiplasher Bernadotte, quello bianco
che stai
per pestare si chiama Nate e quella rossa che ti guarda da sopra
l’armadio è
Berenice e probabilmente proverà a ucciderti.
-
Cinque
gatti in un monolocale?
-
Sì, spero
tu non sia allergico.
-
Se lo
fossi probabilmente sarei già morto! – rise lui
staccandosi Mail dai jeans e
rimettendolo a terra.
-
Vuoi
qualcosa da bere?
-
Sì,
grazie.
-
Caffè, tè,
sidro di pera, birra?
-
Sidro di
pera?
Lei
gli
lanciò una lattina nera e verde – È la
mia droga in versione liquida. – buttò
giù un paio di sorsi e andò a recuperare sulla
scrivania delle matite e un
plico di fogli.
-
Beh, io
direi di iniziare prima che mi passi la voglia. Puoi toglierti la
maglia?
Lui
la
guardò a occhi sgranati. – Sapevo di fare un certo
effetto sulle donne, ma
proprio così…
Uccia
alzò
un sopracciglio. – Se devo disegnare l’omino della
Michelin faccio a meno di un
modello, e tu sei imbacuccato peggio di lui. Dai, levati la maglia,
prometto
che non proverò a stuprarti.
-
Mi sa che
devo dirti una cosa…
-
Tranquillo, la so già.
-
Sai già che cosa?
-
Hai i
polsi devastati e un’escoriazione sul collo, e io ho passato
divertenti sabati
sera a leggere dei più vari disturbi psichici. Te la togli o
no la maglia?
Uccia
si
divertiva sempre un mondo a prendere in giro Serena quando la vedeva
bloccarsi
e guardare estasiata un ragazzo, quindi poté solo
ringraziare che in quel
momento l’amica non ci fosse, perché se avesse
visto la sua faccia mentre
occhi-azzurri si spogliava avrebbe avuto di che vendicarsi per ogni
singola
volta.
-
Voilà. Ora
capisci perché non posso fare il modello per gente che
può permettersi di
pagarmi.
Uccia
si
soffermò un bel momento a godersi la vista di tutti i tagli,
i lividi e le
bruciature che ricoprivano il suo corpo pallido.
-
Non ho mai
pensato all’autolesionismo. – disse poi,
scuotendosi – È divertente?
Il
ragazzo
ci rifletté un attimo. – Non saprei. Non credo.
Non è che ci abbia mai pensato
molto nemmeno io, credo sia più una di quelle cose che fai e
basta. Davvero non
ti da fastidio?
-
No. Ho un
certo gusto per il macabro, e semmai la trovo una cosa maledettamente
affascinante. – si sedette sul letto e gli fece cenno di fare
lo stesso. – Non
mi serve che tu stia fermo, tanto sono solo schizzi.
Lui
comunque
si appoggiò con la schiena alla parete ricominciò
a scrutare l’appartamento.
-
Spero tu
abbia un compagno di stanza o qualcosa del genere, perché
non riesco a credere
che tu possa aver fatto tutto questo casino da sola.
-
Ci siamo
divise il lavoro, io e la mia coinquilina.
-
Che tipo
è?
-
Una
splendida persona, ma se vede come sei conciato mi muore
d’infarto.
Il
ragazzo
si lasciò sfuggire una risata forzata.
Chiacchierarono
di tutto e di niente, e un paio d’ore più tardi
c’era già pacchetto di fogli
coperti di segni a matita impilati su uno dei cuscini.
-
Non ti
annoi, tutto questo tempo a disegnare?
-
No.
-
Io in
compenso mi annoio a stare qua seduto.
-
Allora
alzati. Prendi da bere, fatti un giro per la stanza. Così ti
disegno in piedi.
Lui
si alzò
stiracchiandosi, il viso contratto da una smorfia di dolore per un
livido sulla
spalla. – Altro sidro?
-
Sì. – lo
guardò avanzare lentamente verso il frigo. – Come
mai niente ferite sulla
schiena?
-
Semplice:
non ci arrivo. – si servì anche di una mezza
tavoletta di cioccolato
abbandonata di fianco al piano cottura e cominciò a
camminare avanti e
indietro.
-
Sta fermo!
-
Hai detto
tu che potevo muovermi!
-
Sì, ma non
posso disegnarti faccia e culo contemporaneamente, quindi almeno resta
girato
dalla stessa parte!
Lui
si
strinse nelle spalle e si fermò a braccia conserte davanti
alla parete di
fianco alla porta – Santo cielo, ma quanta roba
c’è attaccata qui sopra?
-
Un po’.
Quando
erano
arrivate, appesi ai muri c’erano soltanto un paio di poster e
una bacheca di
sughero, ma nel giro di qualche mese la bacheca si era estesa a tutta
la
parete, poi all’intera stanza. Ora, tra poster, quadri, foto,
ritagli di
giornale, post-it e loro opere incomplete, non c’era
più un millimetro di
spazio.
Uccia
fece
ancora un paio di schizzi del ragazzo, poi ripose la matita dietro
l’orecchio.
Lo
chiamò e
gli porse i fogli – Eccoti qua. Che ne pensi?
Lui
nascose
una certa ammirazione dietro un distratto – Non male.
-
Beh, per
quanto mi riguarda basta così, ho il tuo faccino da tutte le
angolazioni.
-
Levo le
tende allora.
-
Ma no,
resta se vuoi: ti presento i vicini.
Lui
si
rinfilò in fretta la maglia. – Perché
no.
Meno
di un
minuto più tardi, stavano entrando senza bussare
nell’appartamento dei ragazzi,
che di giorno lasciavano d’abitudine la porta aperta.
-
Salve. –
salutò Uccia. I tre però erano troppo concentrati
sul ragazzo che la seguiva.
-
Bene, lei
– annunciò la ragazza a occhi-azzurri –
è Serena, la mia coinquilina. È una
scrittrice specializzata in scopate galattiche tra uomini, quindi sta
attento
perché in una delle sue storie ci finirai di fisso, ma
dall’esserle simpatico o
antipatico dipenderà quale posizione occuperai nella cosa.
Serena
arrossì fino alla punta dei capelli già rossi, ma
non negò. Lui rise.
-
E loro
sono Mihael il cupo e Matt il logorroico, i nostri amati vicini gay.
Signori,
lui è occhi-azzurri, un ottimo modello.
-
Veramente ho anche un nome umano, ma lei non vuole accettarlo.
Comunque, molto piacere!
-
Vi sedete
con noi? – chiese Matt.
-
Assolutamente. – annuì Uccia – Sono in
piedi da quasi 3 minuti, comincio a
essere stanca.
Restarono
da loro fino alle sette passate, poi
ebbero la delicatezza di levare le tende. Occhi-azzurri, che si era
rivelato in
grado di partecipare entusiasticamente a qualunque discussione (era
riuscito
persino ad appassionarsi senza scandalizzarsi al racconto dettagliato
di una
fanfiction made in Serena), uscendo salutò tutti
abbracciandoli calorosamente.
Fin troppo calorosamente per i gusti di Mihael, che quando lo vide
attaccato a
Matt gli rivolse un’occhiata che, se gli sguardi avessero
potuto uccidere, gli
avrebbe lasciato davvero poco tempo per fare testamento.
Serena
rientrò nell’appartamento che non vedeva dalle due
di quel pomeriggio, Uccia si
offrì di andare fino al McDonald a rimediare qualcosa per la
cena,
approfittandone per fare un pezzo di strada con occhi-azzurri.
Si
salutarono alle strisce pedonali.
-
Allora,
quando torno? – chiese lui.
-
Vuoi
tornare?
-
Certo,
almeno a vedere come sono inchiostrato e colorato! E poi sono simpatici
i tuoi
vicini.
-
Beh,
allora per quanto mi riguarda puoi venire quando vuoi, noi siamo sempre
in
casa.
-
In
qualunque momento?
-
Beh, possibilmente
a orari umani, a meno che tu non voglia farti
male…
Lui
rise. –
D’accordo…allora passerò uno di questi
giorni. – scattò il verde.
-
A presto,
occhi-azzurri.
Il
ragazzo
stava per attraversare ma si bloccò.
-
Senti,
perché non mi puoi chiamare col mio vero nome?
-
Per lo
stesso motivo per cui chiamano me Uccia.
-
E cioè?
- Non c’è nessun buon motivo.
* * * * * * *
innanzitutto rispondiamo a una vecchia domanda che era saltata fuori nelle prime recensioni: noi due scriviamo insieme. Solo così riusciamo a raggiungere picchi di demenzialità tanto elevati XD
Ebbene sì. Le granate anali ESISTONO DAVVERO. Viste con questi occhi, fra i vibratori a forma di pugno e i pali per la lap dance o_ò.
(E Serena aggiunge che la prossima volta inviterà tutti quanti ad ascoltare i vicini con uno stetoscopio. -___- Con che gente devo avere a che fare..... Uccia)
Grazie! : D Ti vogliamo tanto bene anche noi, le tue recensioni alzano sempre il morale in questa cupa valle (letteralmente) di lacrime XD
Ma siete tutte delle maniache perverse come la mia sociaaa?! XD Uccia.
(PS.
Serena esulta e vi abbraccia tutte)