Pairing: Anna/Antonio;
Seconda persona: Antonio.
Bianco
Era
il colore che
sembrava avere il suo vestito dalla distanza a cui ti trovavi.
Forse
era un po’ più
scuro, o magari la tonalità rimbalzava dal rosato
all’azzurro per via delle
luci delle candele che si rinfrangeva sulle vetrate colorate.
Qualunque
fosse
stata la sfumatura assunta da quella veste, avrebbe donato ai suoi
occhi quel
riflesso colorato che non era più loro innato, almeno da
quando le avevi
distrutto il sogno di essere felice.
Con
quale diritto ti
saresti presentato a interrompere le futili chiacchiere tra Anna e le
sofisticate nobildonne altere che sventolavano i ventagli seguendo un
procedimento fisico che a te sfuggiva?
Non
di certo con il
pretesto di far loro notare come l’ipocrisia regnasse tra le
pieghe di quelle
gonne infiocchettate di lusso, ma nemmeno con l’intenzione
menzognera di
permeare tra i loro discorsi.
Saresti
rimasto
appoggiato in quell’angolo di muro finché gli
ospiti non avessero lasciato la
sala: sarebbe stato l’unico modo non esibizionista per farti
notare dalla sola
donna che ti interessava.
Ora
che si era
voltata su un fianco, il bianco lasciava notare una scia di brillantini
luccicanti
di giallino.
Ma
sicuramente il
colore di quel vestito non era nemmeno il giallo.
Per
poter definire
con meticolosità le sfumature del capolavoro di sartoria che
indossava la
contessa Ristori, non sarebbe bastata un’occhiata di sfuggita
dal fondo della
sala, ma nemmeno uno studio approfondito alla luce di quelle candele,
che
avrebbero rischiato di alterare la vera natura delle stoffe.
Era
altresì
impossibile negare che l’accostamento della collana dalle
pietruzze bianche
brillanti e i nastrini candidi che dai capelli disegnavano la linea
delle
spalle la rendessero la più attraente nella sua
diversità dalle altre donne:
troppo truccate, ingioiellate e dall’aria di conscia
altezzosità.
Al
contempo la tua
presenza nel salotto dei Ristori era discutibile.
Fabrizio
ti aveva
avvertito di questa sorta di rimpatriata tra i vecchi amici dei due
fratelli,
ma non ti aveva formalmente invitato, perciò, oltre al
timore di incrociare uno
sguardo femminile sconvolto o piacevolmente sorpreso, eri angosciato
dall’idea
di essere scacciato con l’accusa di intrusione.
Eppure
quel
pizzicore al cuore e il formicolio ai muscoli delle gambe rendevano la
tua
permanenza in quel luogo proibito una fonte di accattivante rischio.
L’unione
di un uomo
dalla superiorità congenita al gruppetto di signore
capeggiate da Anna non passò
inosservato ai tuoi occhi: aveva salutato con un leggero inchino le
quattro donne
e ora teneva la mano della contessa su cui aveva posato le labbra
velate di un
sorriso, lo stesso che apparve sul viso compiaciuto della Ristori.
Non
avesti la
possibilità di studiare la sua espressione per trovare i
segni del fastidio,
perché quando il suo capo si sollevò dal viso del
nobile, si appoggiò su di te,
lentamente, fermando il tempo in quel preciso momento.
Donne
e uomini
attraversavano la sala a braccetto, nobili annoiati parlottavano
fittamente, le
candele trasmettevano il loro sfiancamento nel posare la luce su tutti
quei
volti, ma a te non importava se qualcuno si fosse accorto del vostro
scambio di
sguardi, tantomeno dell’espressione paralizzata che avevate
entrambi.
Il
contatto svanì
altrettanto velocemente quando le compagne vivaci di Anna la
presentarono in
modo più compiuto all’uomo, che non nascondeva
affatto il proprio interesse
verso la sua fisicità sagomata dal corpetto.
Ti
chiedesti come
fosse plausibile essere gelosi di uno sconosciuto; la risposta che la
tua mente
stava elaborando non era necessaria a mandare l’impulso ai
tuoi muscoli, che si
erano già avviati da soli verso l’uscita.
Se
mai Anna fosse
tornata a guardare nella tua direzione, non avrebbe visto altro che un
muro
spoglio e non propriamente candido.
L’unico
dettaglio
che avresti rimpianto sarebbe stato il colore di quel vestito: non
avresti mai
saputo di che sfumatura fosse il bianco, né come sarebbe
stato accarezzare il
suo corpo da sopra la rigida stoffa. Per quello ti accontentavi dei
ricordi
perduti nel tempo, sempre meno vividi e legati al reale.
“Potevate
rimanere,
non stavate recando alcun disturbo.”
Sarebbe
stata solo
quella la condizione necessaria e sufficiente per essere allontanati
dal
salotto?
Ti
voltasti piano,
giusto per non illudere la contessa del tuo desiderio infinito di
vederla da
vicino.
“Perdonate
la mia
uscita di scena, ma non reputavo adatto a me l’ambiente che
si era creato.”
E
lo sapeva
benissimo, che detestavi gli incontri in pubblico.
“Perché
avete
lasciato il vostro nuovo ospite? Tornate nel salone, vi staranno
aspettando.”
“No,
preferisco
lasciarli sparlare da soli del mio casato. In mia presenza sarebbe
stato molto
più complicato.”
Aveva
parlato con
allegra rassegnazione, come se conoscesse a memoria le abitudini, le
chiacchiere e le facce degli aristocratici.
“Mi
spiace.”
Sorrise,
scuotendo
il capo. “Non avrei mai pensato di trovarvi in
un’occasione simile.”
Ora
che il discorso
ricadeva su di te, i tempi morti di cui avevi disponibilità
sarebbero stati
impiegati a formulare frasi coerenti e non arroganti, perciò
l’analisi del suo
abito doveva essere rimandata.
“Vostro
fratello me
ne ha parlato.”
L’affermazione
non
era per niente esauriente, ma potevi sfruttare i suoi occhi curiosi su
di te
per centrare i tuoi sullo stretto corpetto che indossava.
“Ma
non immaginavo-”
Una
sua mano si posò
tra collo e bordo dell’abito giocando nervosamente con la
collana. O aveva
notato il tuo sguardo attento su di lei e fingeva di sistemarsi il
gioiello per
coprirsi l’incavo del seno, o era semplicemente agitazione.
“…
di trovare tutta
questa gente.”
Una
folata di vento
forte aprì d’improvviso una finestra del corridoio
lasciando svolazzare la
tenda e riempiendo il silenzio di fischi fastidiosi.
Un
fiotto di luce
chiara investì il corpo di Anna che respirava forte per lo
spavento,
illuminando in tutte le sue sfaccettature l’oggetto del tuo
studio.
Le
sfumature di stoffa
immerse nel bianco luccicavano finalmente del loro vero colore: erano
verdi,
come la speranza ora ripagata di ritrovare nei suoi occhi lo stesso
strato di
pianto quiescente che li ricopriva quand’era felice.