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Autore: _hurricane    06/11/2010    2 recensioni
Freckles, un fiore nel deserto sei per me.
Freckles, una stella a notte fonda sei per me.
Freckles, uno scoglio in mare aperto sei per me!

[spoiler del manga, cap.28]
La permanenza di Ciel e Sebastian al Noah's Ark Circus sarà più lunga del previsto, perchè Ciel si concederà un privilegio dal quale non potrà più tornare indietro: il privilegio di amare.
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ciel Phantomhive, Doll
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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4. Risveglio

 

Quella notte il tempo si fermò, e lo spazio intorno a noi svanì. Come quando per la prima volta mi era apparso Sebastian, ebbi la sensazione di non essere più su questa terra, e soprattutto capii che da quel momento in poi non si tornava più indietro. Niente di ciò che avrei potuto dire o fare avrebbe cambiato il corso degli eventi; io e Freckles saremmo stati legati per sempre, e se per qualsiasi altro innamorato questa idea doveva essere meravigliosa, io la vedevo come una condanna. Non per me ovviamente; la mia condanna era ben più grave. Ma mi preoccupava molto il pensiero di ciò che avrebbe fatto Freckles una volta che io me ne sarei dovuto andare, e mi preoccupava ancora di più la domanda ‘Ne sarò capace?’. Più che una risposta, quello che riuscivo a trovare dentro di me era una giustificazione: ‘certo che lo sarò, perché ho dei doveri nei confronti della Regina e del buon nome dei Phantomhive. E devo vendicare i miei genitori.’ Ma se fosse dipeso da me, da me soltanto, probabilmente non me ne sarei andato mai più da quel circo. Mi sentivo dilaniato tra il senso di colpa per questo assurdo pensiero, e il senso di colpa per la condanna che avevo inflitto a Freckles, legandola a me come in un groviglio di fittissime spine. Spine che ci avrebbero ferito entrambi, al minimo tentativo di allontanarci l’uno dall’altra. L’unico modo per non farci del male sarebbe stato rimanere lì su quel prato per tutta la vita, nel nostro perfetto e dannato groviglio dei suoi petali e delle mie spine. Ma la notte, che ci aveva abilmente avvolto e nascosto come un lenzuolo di stelle, pian piano svanì; le prime luci dell’alba mi ricordarono che non ero in Paradiso, e che sicuramente quello era stato l’unico scorcio di Paradiso che mi era stato concesso. ‘Almeno all’Inferno avrò qualcosa da ricordare con il sorriso sulle labbra’, pensavo malinconico mentre osservavo il sole sorgere sopra le colline. Freckles dormiva ancora, a pancia in giù sull’erba umida e piena di brina del mattino. Ogni tanto voltavo lo sguardo per vedere se accennava a svegliarsi, ma più che altro rabbrividiva di freddo, girandosi e rigirandosi per trovare un po’ di calore chissà dove. Presi la mia camicia, che si trovava a pochi centimetri da me, gettata a casaccio come il resto dei vestiti. Un flash di un secondo mi attraversò la mente, nel ricordare quei momenti. Coprii Freckles dalle spalle fino alla vita, poi mi infilai i pantaloni e mi rimisi a sedere sull’erba, a gambe incrociate. Ad ogni minimo rumore proveniente dalle fronde degli alberi scattavo, terrorizzato all’idea che Sebastian facesse irruzione da un momento all’altro nel mio angolo di Paradiso, per portarmi via, risolvere il caso, e poi, un giorno lontano, trascinarmi nel suo Inferno. Non rimpiangevo il contratto: sarei morto molto tempo prima, se non l’avessi fatto. Eppure, qualche volta arrivavo a pensare che magari quelle persone così spietate, perverse e abominevoli si sarebbero fermate, che non avrebbero avuto il coraggio di uccidermi, e che forse non sarebbe stato necessario legarmi a Sebastian per l’eternità. Io stesso sapevo che non era affatto vero, e che quel senso di sadico compiacimento che avevo provato quando li avevo visti morire davanti ai miei occhi era ancora dentro di me. Chissà cosa avrebbe pensato Freckles di una persona così. Piena di odio e rancore, a volte violenta e meschina pur di raggiungere i suoi obiettivi. Freckles si era innamorata di una bugia, o mi avrebbe amato comunque? Non potevo fare a meno di chiedermelo, ma era una domanda che lei non avrebbe udito mai.

Sentire il mio ‘nome’ dalla voce insonnolita di Freckles azzerò tutti i miei ragionamenti. Ancora con gli occhi chiusi, forse nel bel mezzo di un sogno, bisbigliava: “Smile… Prometti che non… che non mi lascerai mai. Prometti… Smile.. Prom..” e altre parole prive di senso. Serrai i pugni e i denti per la rabbia: promettere una cosa del genere sarebbe stata la mia ennesima bugia. Se me lo avesse detto da sveglia, chissà che cosa le avrei risposto… forse avrei mentito, pur di vederla sorridere. Quel che è certo è che non avrei mentito a me stesso: Freckles, nel mio cuore, non l’avrei lasciata mai. Perché Freckles era la vita che avrei voluto vivere, era tutto ciò che avrei voluto essere. Smile, che era forse la parte migliore di Ciel Phantomhive, si era innamorato di lei. “Smile…”. Stavolta la voce era ferma, convinta di ciò che stava dicendo. Freckles si era svegliata, i capelli arruffati, con fili d’erba e terriccio sparsi qua e là, il trucco di scena ormai inesistente o sbavato sulle guance e sugli angoli degli occhi. Ma per me restava comunque una visione, una piccola ninfa dei boschi infreddolita. Probabilmente lei si accorse che la stavo fissando, e continuò: “Lo so che faccio paura, però non ti sembra poco carino guardarmi in quel modo?!” Lentamente si mise a sedere, le braccia conserte in segno di disapprovazione. La donna indomabile di quella notte in fondo era solo una bambina con qualche filo d’erba tra i capelli e la mia camicia sulla schiena. Sorrisi divertito, e risposi: “Che stupida che sei.” Poi, vedendo che continuava a guardarmi con il broncio e le braccia incrociate, le dissi: “Vieni qui.” Pur ostinandosi a non concedermi un sorriso, mi accontentò. La feci accoccolare tra le mie braccia, per riscaldarla ancora di più in quella fresca mattina d’autunno. “Smile, promettimi che non mi lascerai mai.” La frase che avevo tanto desiderato di non sentire, la promessa che avrei potuto mantenere soltanto con il mio cuore, alla fine Freckles l’aveva pronunciata per davvero. Col vantaggio di non doverla guardare negli occhi, visto che anche lei come me stava osservando il sole e i suoi colori, mentii. “Te lo prometto, Freckles. Tu sarai sempre nel mio cuore.” Sicuramente Freckles non intese quello che in realtà intendevo io; più che mentire, le lasciai credere ciò che voleva credere. Ciò che anche io avrei tanto voluto credere.

Quella fu l’ultima volta che le mentii, perché non ne ebbi più l’occasione. Mentre accarezzavo i suoi capelli con la mia guancia, mi accorsi che al rosso tenue del sole che sorgeva se ne era aggiunto un altro, più intenso. Il colore della dannazione, che un giorno o l’altro mi avrebbe inghiottito, brillava negli occhi di Sebastian, nascosti tra gli alberi a destra della radura, ma inconfondibili per me. Per me, che ero abituato a parlargli fissandolo in quegli occhi d’abisso. A volte facevo fatica a farlo, ma parlargli con lo sguardo basso avrebbe significato mostrargli la mia debolezza, e se c’era una cosa che odiavo era proprio quella. In quel momento, mi resi conto che tutti quei tentativi di mostrarmi forte erano stati inutili, perché avevo appena mostrato a Sebastian la più grande debolezza della razza umana: gli avevo mostrato che sapevo amare, accarezzare i capelli di una donna al mattino, e guardare l’alba insieme a lei come un idiota che vive nel mondo delle favole. In confronto a quella vergogna, il rosso senza fine dei suoi occhi mi sembrò niente. Senza farmi notare da Freckles, che mi indicava rapita le nuvole tinte di rosa, mi soffermai con più attenzione sul punto in cui avevo visto gli occhi di Sebastian: ora tra le fronde brillava anche il bianco del suo ghigno beffardo. “Freckles, perché non torni alla tenda?” le dissi all’improvviso. “Forse ti stanno cercando, in fondo a quest’ora molti saranno già svegli.” “E tu non vieni?” mi rispose, voltandosi verso di me. Mi correggo, quella fu l’ultima volta che le mentii. “Si, arrivo tra poco. Tanto io non devo esibirmi, non si preoccuperanno della mia assenza. Resto ancora un po’ qui a guardare il sole, va bene?” Guardarla in viso mentre le dicevo quelle parole, era sicuramente molto più difficile che guardare Sebastian, immaginando ogni giorno la fine che avrei fatto per mano sua. “Va bene, ti aspetto sulla brandina allora!” mi disse maliziosa. Si infilò la mia camicia e la abbottonò; poi raccolse da terra la gonna che faceva parte del suo costume, e se la mise. Si avvicinò nuovamente a me, mi prese il viso tra le mani e mi baciò. Cercai di non pensare al fatto che Sebastian ci stesse osservando: dovevo assaporare quell’ultimo momento di felicità, profumo e perfezione, perché ero certo del fatto che Sebastian era venuto per portarmi via. Il mio cuore stava per scoppiare, mentre lottava con il mio cervello per impedirgli di controllare le mie azioni. Continuava a ripetere “Prendi Freckles e scappa via”, ma il mio cervello rispondeva “Via? Non c’è posto al mondo che Sebastian non possa raggiungere, e non c’è posto al mondo in cui io potrò essere felice, al di fuori di questo circo.” La bolla di sapone che aveva protetto me e Freckles da tutto il resto, alla fine era scoppiata. Perciò cercai di ascoltare al di sopra delle voci dentro di me: i nostri respiri, il suono quasi impercettibile del vento tra i nostri capelli, e il suono forte, caldo e inconfondibile dei battiti dei nostri cuori, lo stesso che avevo sentito quella notte. Quando Freckles staccò le sue labbra dalle mie, mi sorrise come non aveva mai fatto prima. La odiai per questo; in un certo senso sembrava volermi punire per quello a cui stavo per rinunciare. La guardai allontanarsi come una goffa ballerina, la mia camicia sopra la gonna rosa a pieghe, in una mano le sue scarpe e nell’altra l’ammasso di fiori che componeva il suo costume. La guardai allontanarsi, mentre il mio cuore la implorava di restare e il mio cervello mi implorava di darci un taglio. Non appena la figura minuta di Freckles scomparve tra gli alberi, dalla parte opposta della radura sentii un fruscio. Non mi meravigliai affatto nel trovare Sebastian praticamente ad un centimetro da me, che mi guardava dall’alto in basso, in procinto di parlare. Scaricai la mia frustrazione in poche parole, fredde e lapidarie. “Non dire una parola. Non sei tenuto a giudicare quello che faccio; ti avevo dato un ordine preciso, perciò limitati a dirmi cosa hai scoperto, e nient’altro. CHIARO?” Il ghigno di Sebastian ovviamente non svanì, anzi si fece ancora più accentuato. Evidentemente non aveva bisogno di farmi chissà quale ramanzina, come avevo ipotizzato: gli era bastato scoprire che ero umano anch’io, come tutti gli altri. Mi chiesi istintivamente se questo avrebbe reso la mia anima più o meno speciale, ai suoi avidi occhi. Si limitò a rispondere, con un tono piatto e regolare: “Ma certo, signorino. Ho fatto ciò che mi aveva chiesto: sono stato all’araldica, e ho trovato il nome che corrisponde al simbolo su quella lettera. Appartiene al barone Kelvin, e ho anche trovato il suo indirizzo. Ci fermeremo per un giorno o due alla tenuta, per darle una sistemata…” a quel punto mi squadrò dalla testa ai piedi, con un’aria mista tra il divertimento e il disprezzo. La sua solita aria da demone perfetto, che osserva gli umani affliggersi e distruggersi per inutili passioni. “Continua” sentenziai, sempre guardando dritto verso il sole. “…poi faremo ciò che desidera. Proporrei di andare di persona da questo barone, se lei è d’accordo.” Avevo già sentito quel nome, ma non avevo voglia di fare ragionamenti in quel momento. Feci un impercettibile cenno di assenso, sicuro che Sebastian lo avrebbe notato, come sempre. Mi lasciai prendere il braccio, e chiusi gli occhi per non dover più guardare quel ghigno, che non faceva altro che ricordarmi quanto ero stato stupido. Ero di nuovo il ‘signorino’, il bambino viziato che si faceva prendere in braccio, vestire e consigliare dal suo perfetto maggiordomo. Solo con Freckles avevo potuto essere un vero uomo. Il cuore adesso sembrava non esserci più; forse mi era davvero uscito dal petto. Io che avevo sempre pensato di non averlo, un cuore, mi ritrovai a rimpiangere quel battito accelerato e irregolare che la vista di Freckles mi provocava ogni volta. Mentre Sebastian correva, o volava (la cosa non mi interessava affatto), sentii il freddo penetrare fin dentro le mie ossa. Avevo addosso solo i pantaloni, è vero, ma non era per quello. Il freddo si concentrò a poco a poco al centro del mio petto, dove fino a pochi minuti prima c’era il mio cuore.

   
 
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