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Autore: parresia    06/11/2010    0 recensioni
La mia compagna di cella era una forte.
Era più vecchia di me a malapena di mezzo lustro, ma in saggezza ed audacia mi superava di anni luce.
Fanfiction partecipante all'iniziativa "2010: a year togheter", indetta dal Fanfiction Contest ~ { Collection of Starlight }
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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  La mia compagna di cella







 

La mia compagna di cella era una forte. Era più vecchia di me a malapena di mezzo lustro, ma in saggezza ed audacia mi superava di anni luce.
« Basta. » aveva detto un giorno, fissando i suoi occhi di pece ben in fondo ai miei. « Ne ho abbastanza. » aveva ruggito poi, in un sibilo risoluto, e si era alzata con dignitosa enfasi dalla sua branda, dimenando in aria un pugno che serrava al suo interno tutta l'indignazione e la collera che i giorni interminabili passati rinchiusa fra quelle quattro mura miserabili avevano fatto crescere rigogliose nel suo animo indocile. « Non sopporterò più i loro soprusi! » aveva ringhiato, col volto contratto per il disgusto che l'assaliva sempre, quando la sua mente indugiava attorno al pensiero dei nostri aguzzini, puntando senza alcun ritegno un affilatissimo indice verso la porta chiusa della nostra cella.
Non erano inconsueti questi suoi scatti d'ira, ché in lei erano forti il sentimento di giustizia e l'amore per la libertà, cose – entrambe – che riteneva essere state imperdonabilmente offese dalla nostra carcerazione, ma questa volta c'era qualcosa di diverso nel suo tono. Non era, il suo lamento, un estremo ed inutile tentativo di sfogare in qualche modo il furore che sentiva bruciarle il petto, non erano la frustrazione sterile e la sete di vendetta a parlare: le sue corde vocali vibravano misurate, ma decisissime ed il suo sguardo scintillava di lucida determinazione.
Compresi che avrebbe agito, con o senza di me, compresi che se avessi voluto salpare con la sua nave quello, e solo quello, era il momento giusto per saltare a bordo.
« Che cos'hai intenzione di fare? » chiesi dunque in un sussurro.
Lei ghignò compiaciuta, mentre con un gesto secco del mento indicava la finestra alle mie spalle, ed il suo volto illuminato di sguincio dagli ultimi raggi del sole morente mi parve la personificazione perfetta della follia.
« Ma come? » domandai titubante, valutando che l'altezza a cui ci trovavamo avrebbe reso piuttosto difficoltoso il sopravvivere ad un salto da una simile posizione.
« Come, come! » ruggì, mentre la mia ingenuità faceva fiorire sulle sue labbra di rosa un sorriso sprezzante. « Nell'unico modo possibile! » rivelò enigmatica e marziale come suo solito. Senza aggiungere altro, dopo aver, con estrema competenza, accostato un orecchio alla porta, per assicurasi che non ci fosse nessuno là fuori pronto ad irrompere per sventare il suo piano di fuga, percorse in due falcate decise la distanza che la separava dalla sua branda e col mio sguardo assetato e sospeso ben inchiodato addosso, strappò via il lenzuolo da sotto il materasso con un solo colpo secco .
« Su, che aspetti? » m'intimò severa. M'affrettai ad imitarla, mentre lenta e sinuosa prendeva forma in me la consapevolezza terribile di quale fossero le sue intuizioni. Mi premetti forte una mano sulla bocca per impedire allo sgomento vile che mi paralizzava di sgusciare fuori dalle mie labbra. « È pericoloso » non riuscii a trattenermi dal mormorare.
« Non lo nego. » ammise « Puoi sempre tirarti indietro. Forza, » proferì con una calma inquietante, perforandomi con i suoi occhi neri, nel fondo dei quali scintillava una sfida che lei era, dietro quell'apparente imperturbabilità, ansiosa di scoprire se avrei colto. « forza, corri a dare l'allarme. »
La tensione che era scesa ad avvolgere la nostra cella dopo che lei ebbe parlato pesava come un macigno e mi toglieva il fiato. Mossi, incapace di parlare, un passo nella sua direzione e con la testa china le allungai il mio lenzuolo.
Con un ghigno compiaciuto l'afferrò e lo annodò al suo, poi assicurò il tutto legando un'estremità di quella corda improvvisata a una maniglia dell'armadio. Senza alcuna fatica spalancò la finestra della cella e calò fuori la nostra ancora di salvezza. Sembrava che non avesse fatto altro per tutta la sua vita.
« Ci rivediamo sotto. » mi salutò con un cenno solenne « Da donne libere » aggiunse compiaciuta, giusto un secondo prima di iniziare la sua discesa verso il mondo.
L'imitai qualche attimo dopo, senza pensare. Mi calai giù per la corda con il cuore che mi scoppiava in petto, batteva con così tanta enfasi che credetti quasi volesse anche lui evadere dalla sua cella, nella mia gabbia toracica, per uscire fuori e godersi la libertà del cielo viola del tramonto.
« Corri! » mi gridò lei quando fummo tutte e due a terra, ed io corsi. Scavalcammo il cancello e continuammo a correre, a correre e a correre fino a quando, stremate, ci accasciammo contro un albero.

« Non mi sarei persa la festa di Tom per nulla al mondo. » ansimò la mia compagna di cella, raddrizzandosi a fatica e ricominciando ad avanzare, ora composta e vittoriosa.
« Mamma e papà si arrabbieranno tantissimo. » rantolai io, tentando di starle dietro.

 

 

CANTUCCIO MANZONIANO -

Dunque, in verità non ho molto da dire. È la prima cosa che pubblico su EFP da un saaaacco di tempo ed è un po' scema e anche un po' corta. Cioè, insomma, è decisamente da me xD
Non avevo idea in che sezione ficcarla, quindi alla fine ho fatto decidere allo scientificissimo metodo dell'ambarabaciccicoccò che, come tutti sanno, non sbaglia mai.
Poi, bé, la fanfiction partecipa all'iniziativa 2010: a year togheter, indetta dal Fanfiction Contest ~ { Collection of Starlight }, col prompt #41, "la mia compagna di cella" - non lo avreste mai detto, lo so XD
Mbò, non ho più nulla da dire. u-ù

Alla prossima, ggggiovini!

  
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