The soundtrack was the Beat
La
notte umida teneva compagnia a quelle anime che non riposavano.
Le
strade di pietra erano desolate, solo la nebbia notturna le
percorreva rendendo tutto gelido. Una figura scura camminava
svogliata in mezzo alla via.
L'ombra
sottile si stava avvicinando ad un locale con l'insegna ronzante, che
recitava “Deeply Nowhere”.
Osservò
l'entrata brevemente, prima che un brivido lo scuotesse, e gli facesse
comprendere che se non voleva crepare di freddo, avrebbe fatto meglio
ad entrare.
Il
locale era illuminato da alcune scadenti luci colorate di rosso.
Colorate a mano, forse, visti i grumi di quella che poteva essere
tempera su alcune zone delle lampadine.
Il
bancone del bar era ampio, e la vetrina a specchio nella quale erano
riposti i liquori rifletteva l'illuminazione del palco imbottito, che
percorreva il locale fino a trovarsi davanti ai tavolinetti neri.
Poco
più a destra del bancone, spiccavano delle tende violette con vicino
il cartello “privèe”.
Non
ci volle molto per capire che era un locale di un certo tipo.
Con
ancora le mani in tasca, il nuovo arrivato si diresse con calma verso
un tavolino. Si tolse la giacca in pelle, e la ripose con accuratezza
sulla spalliera della sedia; si abbandonò pesantemente seduto, si
passò una mano fra i capelli biondi e si prese ancora un attimo per
guardarsi intorno.
C'erano
due persone, uno dei quali era il barista. Niente si muoveva, e il
giovane si perse ad osservare gli erogatori di fumo all'inizio del
palco che stavano mettendosi in funzione.
Il
locale si riempì velocemente di visi che lanciavano occhiate
depravate a qualsiasi cosa, semovente e non. Apparsero anche delle
cameriere in abiti succinti e dei camerieri senza camicia: alcuni
indicavano i posti migliori tenendo conto degli intenti e delle
preferenze dei clienti, altri prendevano le ordinazioni a quelli che
già si erano messi comodi.
Non
passò molto tempo, e le luci si spensero di colpo, concentrando
l'attenzione su quel palco illuminato.
Una
musica lenta si diffuse gradevolmente nell'atmosfera del locale,
accompagnando i movimenti di qualcuno sulla pedana: una donna si stava
volgarmente spogliando. Il ragazzo la osservava quasi
disinteressato, attendendo che quello spettacolo così poco elegante
trovasse la sua conclusione.
Dopo
di lei, sul palco comparve una ragazza. E che
ragazza.
I
suoi lineamenti erano forti, ma allo stesso tempo delicati. I suoi
occhi si spostavano fra il pubblico, a tratti vi si poteva leggere
tristezza per quel lavoro, a tratti una malizia gustosa,
bisognosa solo di una bocca ben disposta. Il suo fisico era
semplicemente bello, nonostante non avesse le tipiche curve
abbondanti che ci si aspetta di vedere in una situazione come quella.
Scese
dal palco ancora vestita, ondeggiando con i fianchi fra il pubblico,
che altro non desiderava d'allungare le mani su quel corpo.
Il
biondo la fissava con desiderio, il suo sguardo era eloquente, e gli
stava ordinando
di
andare da lui. Lei, rossa di capelli, si rese conto di questo – era
il suo lavoro – e si sedette sul tavolino appartenente al ragazzo.
Gli
si spogliò davanti, tirando la bocca del suo cliente alla sua con un
guanto che si era appena sfilata con i denti.
Uno
degli altri clienti, fuori di sé dal desiderio, si alzò e prese a
reclamare l'attenzione della ballerina con forza.
«Come
ti chiami, tu?» azzardò colui che stava ricevendo quello
spettacolo.
L'altro
rispose con numerose offese, alternate a viziosi ansimi.
«Chiarissimo.
Io mi chiamo Mihael, e lei, almeno adesso, è la mia
donna.» La ballerina guardò perplessa Mihael, e l'altro –
probabilmente già ubriaco, visto il puzzo che lo accompagnava –
rise scompostamente, e assestò un cazzotto allo stomaco del ragazzo.
Egli
accusò il colpo, e approfittando dell'instabilità del suo
aggressore, lo rese innocuo con una ginocchiata ben assestata fra le
gambe.
I
baristi iniziarono a rumoreggiare, e gli altri osservavano il
biondino spaventati e scioccati. Lui, si rivolse alla donna,
chiedendo il suo nome.
«Mail»
disse lei, con un tono accattivante «e non sono una ragazza. Fa solo
parte del personaggio.»
«Nessun
problema» lo apostrofò lui «il tuo spettacolo finisce qui.»
chiarì, indicando con uno sguardo, che di innocente non aveva nemmeno
il ricordo, le stanze appartate.
Mail
sospirò, mentre il sapore nauseante del déjà vu si diramava nella
sua bocca. Mihael, dal canto suo, era il cliente, avrebbe deciso lui
cosa fare.
Fece
adagiare il ragazzo sul divanetto in stoffa rossa, e gli chiese
cortesemente di chiudere gli occhi. Il rosso sorrise, e lo fece.
Glielo avevano chiesto molti clienti, conosceva la situazione.
Una
fitta s'impossessò della mente e dello stomaco del ballerino, che
aprì gli occhi di colpo, sbigottito.
Dal
suo ventre si ergeva un coltello, infilato fino al manico.
Mihael
sorrise, baciò le labbra rosse di Mail.
Stava morendo esattamente nell'unico posto in cui non avrebbe voluto
farlo. Un coltello gli stava portando via la vita come tante altre
aguzze oscenità gli avevano portato via l'innocenza.
Furono
le lacrime di rabbia ad accompagnarlo verso i suoi ultimi attimi di
vita, senza avere il tempo per chiedere perdono per ogni suo vizio.
Mihael si defilò velocemente, sussurrando il ritmo della canzone sulle quali note aveva conosciuto la passione.