Prologo
Il sole scendeva lentamente, bagnando il
corpo riverso del giovane di una luce calda e sanguigna, che ben si sposava con
la pozza di sangue scuro e rosso che pian piano si allargava sotto di lui.
Erano ombre fosche quelle che gli occhi socchiusi riuscivano a vedere
oltre la patina di dolore.
La sua mente era leggera leggera, come una di quelle piume che volteggiano
nell'aria, dondolando placidamente fino a che non si adagiano silenziosamente a
terra; il dolore ormai era lontano, come un'eco sbiadita di una vita
precedente.
E nell'astrattezza del momento, si chiese se fosse giunto il momento di
lasciare la scena con dignità.
La tentazione di lasciarsi andare era
così forte, quasi quanto la piacevole sensazione di calore che lo avvolgeva
come una coperta e lo attirava con una falsa promessa di serenità verso un
mondo evanescente fatto di ombre, come la falena, abbagliata, che si avvicina
alla fiamma per poi esserne bruciata.
"Arthur" chiamò, la sua voce tanto bassa da risultare un
sussurro incolore.
Il tempo sembrava scorrere lentamente
mentre spendeva quegli ultimi minuti della sua 'gloriosa' vita al fianco di
Arthur; mentre vedeva gli ultimi granelli di sabbia nella clessidra cadere in
un vana attesa di un amore mai corrisposto e a cui non avrebbe potuto nemmeno
dire addio.
Se solo avesse potuto vederlo…si sarebbe
accontentato del suo profilo lontano, sarebbe bastato per sussurrare un ti amo
che per troppo tempo aveva taciuto.
Improvvisamente un'ombra calò sul suo
volto; cercò di spalancare gli occhi più che poteva e riconobbe lo scintillio
di quegli occhi chiari, che avrebbe tanto voluto solo per sè,
come colui a cui appartenevano.
Vide le sue labbra che si schiudevano e si deformavano, stirandosi e
contraendosi, ma nessun suono giungeva al suo udito.
Era così strano vedere Arthur a corto di
parole; lui, il principe ereditario di Camelot,
capace di uccidere decine di nemici senza incertezze, ma allo stesso tempo
preoccupato per il suo popolo più che per la sua stessa vita, dolce e premuroso
verso Gwen, orgoglioso, borioso, leale, giusto.
"Ti amo" gli disse, mentre la mano del ragazzo gli si posava
sulla guancia a pulire un rivolo di sangue raggrumato.
Arthur spalancò leggermente gli occhi e,
dopo un attimo di smarrimento, si stiracchiò sulle sue labbra spaccate un
sorriso appena accennato, mesto e colmo di una tristezza infinita, mentre la
mano spostava una ciocca di capelli scuri dalla fronte sudata del mago.
"Riposa ora" si chinò su di lui, invitandolo a chiudere gli
occhi stanchi, solcati da occhiaie che sul volto cinereo spiccavano come
preludio di morte.
"Perdonatemi"mormorò Merlin
con un sorriso dolce, permettendo finalmente al suo corpo stanco e martoriato
di distendersi, rassicurato dalla presenza di Arthur e dalle dita che erano
intrecciate alle sue.
Il calore di Arthur lo cullò e il sapore di morte che gli invadeva la
bocca parve quasi avvolgente in quella mescolanza di ombre e luci che lo
guidava alla fine.
Già, la fine; non si era mai chiesto
cosa avrebbe avuto in serbo per lui quel destino che si divertiva così tanto a
giocare con lui, nel bene e nel male.
Un modo così misero e giusto di lasciare la vita non compariva neanche
lontanamente nella sua chilometrica lista di opzioni, avere a fianco Arthur
andava oltre ogni folle desiderio.
Abbassò lentamente le palpebre, quando
le labbra di Arthur si posarono leggere sulla sua fronte; e a quel punto un
rimorso tanto profondo da togliergli il fiato si impossessò di lui.
Se ne avesse avuto la forza si sarebbe abbandonato alle lacrime, ma la
stanchezza ed il corpo ormai svuotato non gli permisero di abbandonarsi al
rammarico, alla gioia, alla frustrazione che si attorcigliavano in un marasma
emotivo fatto di fili sottili ed inestricabili.
Si aggrappò con tutti i rimasugli di
forza che aveva alla vita, che si rivelava però troppo scivolosa per fornire un
valido appiglio.
Dilaniato da contrasti pregò affinché
la solitudine della morte non gli portasse via quelle ultime immagini di
Arthur, se doveva essere dannato che almeno gli facessero ricordare il calore
del peccato.
Ci fu un tonfo sordo e poi, il nulla.
Quando riaprì gli occhi il dolore era scomparso; non più sangue, terra
o Arthur, solo un odore acre a riempirgli le narici.
Odore di carne in putrefazione.
I
commenti li metto io per sta volta sperando che la mia socia perdoni la
tracotanza.
Che dire…questo prologo è nato da un idea su msn, un modo come un altro per passare il tempo. Fra un
discorso e l’altro buttavamo giù una frase e questo è il misero risultato.
Dato
che nasce dall’ispirazione del momento nessuna delle due ha la più pallida idea
di come proseguirà, anzi, dato che l’ultima frase è mia, la mia dolce metà
credo non sappia neanche cosa mi stia passando per la testa.
Ci
tengo a precisare che questo capitolo, come il resto della storia, ha origine
dalle menti di Dike e di Nike, nessuna parola è
scritta in solitudine, tutto nasce dalla fantasia e dalla bravura (o meno) di
entrambe.
Ringrazio
chiunque voglia lasciare un commentino, vedremo di rispondere.
Ora
non vi annoio e vi lascio, in attesa del seguito.
Un
bacio Dike…