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Autore: Akrois    07/11/2010    4 recensioni
Era piuttosto buffo, insomma, anche strano se si voleva. Jugoslavia non si sarebbe mai aspettata di dover finire i suoi giorni a marcire in una tomba ridicola come una stanzetta grigia mezza sotterrata.
Persino quel bastardo di Russia quando aveva cessato la sua esistenza come Unione Sovietica (che nome affascinante per un porco simile) l’aveva cessata in un bel letto, con le sue sorelle a tenergli la mano. No, gli altri stati non erano lì,erano troppo occupati a festeggiare altrove.
Jugoslavia invece non aveva nessuno. Non aveva neanche una sorella a tenerle la mano, perché lei era nata da sola.
[prima classificata all’ “Hetalia OC Contest” indetto da Lalani]
[Oc!Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia/Repubblica Federale di Jugoslavia (Mirka Titovic Dragoslav)]
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Russia/Ivan Braginski
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un pugno di mosche.

 

 

Autore: Akrois.

Titolo della fic: Un pugno di mosche.

Tipologia della fic: One-short.

OC Scelto: Jugoslavia, partendo come Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia(Socijalistička Federativna Republika Jugoslavija) e terminando la storia come Repubblica Federale di Jugoslavia (Savezna Republika Jugoslavija) della quale non inserisco il link per pura pigrizia.

Personaggi principali: Jugoslavia (Mirka Titovic Dragoslav) , Russia (Ivan Braginsky)

Genere: Introspettivo. Akrois-style. Sì è un genere.

Avvertimenti: One-short, turpiloquio (?)

Raiting: Arancione.

Introduzione:

L’idea di base è: Russia è sopravvissuto alla caduta dell’Unione Sovietica perché lui oltre a rappresentare proprio l’unione rappresentava la Russia, che si potrebbe definire il paese principale e “paese madre” dell’Unione. Ma come potrebbe essere per la personificazione di un’altra Unione, come la Jugoslavia, che è stata creata praticamente a tavolino?

Quindi è venuta l’idea della “prigione” in cui Jugoslavia viene rinchiusa appena iniziano i conflitti.

A seguito è venuta anche l’idea dei “chili di carne”. Se Jugoslavia era nata dall’unione di diverse Nazioni mi è sembrato quasi scontato che andandosene queste Nazioni si portassero via un pezzo di lei.

Aggiungiamo un sereno link per approfondire le Guerre Jugoslave: Guerre Jugoslave.

Ah, non è stato preso in considerazione il periodo in cui l’Unione Statale di Serbia e Montenegro ha sostituito la Jugoslavia in quanto queste due sono state trattate come Nazioni – e quindi persone- a sé stanti, di conseguenza il periodo della Unione Statale di Serbia e Montenegro è stato considerato escluso dalla linea temporale della storia.

E poi…

Umm…

Basta.

Me ne vado a dormire ù.ù

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Un pugno di mosche.

 

 

 

Jugoslavia seduta in terra osservava le mosche volteggiarle attorno alla testa.

Di tanto in tanto allungava rapida la mano magra ed artigliava una di quelle mosche portandosela poi davanti al viso e studiandola meticolosamente.

Con cura e precisione, strappava via una ad una le piccole zampine pelose con le unghie lunghe, poggiandole ordinatamente sul pavimento.

Una volta strappate tutte le zampine passava alle ali.

Si portava sempre quelle piccole membrane trasparenti davanti agli occhi e le osservava a lungo, muovendole lentamente per vederle al meglio in ogni loro angolazione.

Poi buttava la mosca davanti a se, seguendola con lo sguardo mentre rimbalzava contro il muro.

Non riusciva a capire se stavano agonizzando o erano già morte e in fondo non le importava. Le mosche cessavano di essere interessanti quando strappava loro l’ultima aluccia.

Non le interessava un gran che neanche d’uccidere le mosche. Era colpa loro. Erano così stupide da volteggiarle attorno anche se aveva ucciso tante delle loro compagne.

Spesso le mosche cercavano di uscire dalla stanza e allora andavano a sbattere contro il vetro della finestrella. Jugoslavia rideva tanto guardandole sbattere ripetutamente contro la lastra trasparente.

Rideva molto meno però quando le mosche capivano che da dove erano entrate potevano anche uscire e allora si buttavano su quella piccola fessura che consentiva il ricambio dell’aria alla stanza.

Jugoslavia smetteva di ridere nel momento esatto in cui le mosche uscivano dalla finestra e allora si alzava in piedi, barcollando sulle gambe scheletriche e ferite, ed arrivava fino al muro. Batteva i pugni contro la parete, aprendo la bocca per grida disarticolate che poco avevano di umano.

Si lasciava cadere a terra in mezzo ai cadaveri delle mosche che aveva ucciso e poi arrancava fino alla sua copertina sudicia. Se la tirava sulle spalle e si raccoglieva le gambe al petto, pigolando qualcosa.

 

 

La prigione stanza di Jugoslavia puzzava da morire. Non era difficile capire da dove venisse quell’odore, anzi, quel miscuglio di odori che impestavano la stanza.

Poteva essere la montagnola di piatti sporchi e ci cibo in via di putrefazione che era stata ammucchiata nell’angolo a destra della stanza e sembrava spostarsi sempre di più verso di lei, come se dotata di una propria volontà di avvicinarsi a lei.

O magari quella sorta di buco nero deputato a servizio igienico dalla quale venivano esalazioni definibili come mefitiche. O potevano essere anche le infiltrazioni d’acqua che disegnavano sui muri lunghe strisce di fango e sangue.

Oppure era lei stessa a puzzare di morte e putrefazione.

Era piuttosto buffo, insomma, anche strano se si voleva. Jugoslavia non si sarebbe mai aspettata di dover finire i suoi giorni a marcire in una tomba ridicola come una stanzetta grigia mezza sotterrata.

Persino quel bastardo di Russia quando aveva cessato la sua esistenza come Unione Sovietica (che nome affascinante per un porco simile) l’aveva cessata in un bel letto, con le sue sorelle a tenergli la mano. No, gli altri stati non erano lì,erano troppo occupati a festeggiare altrove.

Jugoslavia invece non aveva nessuno. Non aveva neanche una sorella a tenerle la mano, perché lei era nata da sola. Quei pazzi l’avevano creata, illudendosi che sarebbe bastato avere lei per appianare le loro divergenze e restare uniti e chiaramente ora erano troppo impegnati a massacrarla per venire a tenerle la mano.

Massa di idioti.

E lei non aveva neanche, come Russia, una Nazione propria a cui aggrapparsi. Lei non sarebbe rinata come Paese, sarebbe morta e basta.

Non capiva se stava diventando pazza oppure no, ma che stava morendo lo capiva benissimo.

L’idea della morte vagava nella sua mente come un furetto impazzito che si dilettava a mordicchiava il suo cervello.

“Dilettava”. Oddio, stava impazzendo sul serio.

 

 

 

Era qualche mese che nessuno le portava da mangiare. Sapeva benissimo che non era la mancanza di cibo a renderla così magra, ma faticava a convincersene.

Il cibo non era così importante per una Nazione come lei. Insomma, per lei non era necessario mangiare, poiché il suo stato fisico era legato alla sua situazione di Nazione.

Però le mancava il cibo. Le mancava il sapore di cetrioli e yoghurt nella bocca, la consistenza della carne, il profumo di vaniglia dei dolci. Le mancava molto anche prepararlo.

Sentire la mano con il coltello affondare in una mela per tagliarla pezzetti e poggiarla con calma religiosa su una torta, chiudere un arrosto con lo spago, adornare un triste pesce cotto con i pomodori intagliati a fiorellini (quelli che a Bosnia piacevano tanto) e le carotine julienne (che invece piacevano tanto a Serbia).

Da un po’ aveva smesso di essere schizzinosa e rosicchiava persino i resti di cibo della montagnola(l’aveva chiamata Monte Putrefazione) semplicemente per la soddisfazione di avere qualcosa in bocca.

 

 

 

Sentì i suoi passi a distanza. Poteva immaginarsi gli stivali che battevano sul pavimento grigio con una semplicità sconvolgente.

La sua mano batté sulla porta e la sua voce entrò nella stanza causandole un mezzo conato di vomito.

- Jugoslavia, sei qui?

Tossì ripetutamente, gracchiando poi una sorta di risposta – No, sono caduta nelle fogne.- disse. Non si aspettava che la sua voce funzionasse così bene. Non si aspettava proprio di riuscire ancora a parlare, in realtà.

- Oh.- la voce si prese una lunga pausa – Come ci si sta?

- Benissimo!- chiocciò Jugoslavia con un trillo della voce – Faccio castelli di merda e scendo a patti con i coccodrilli albini per portarli a passeggio come borsette!

- Immagino sia divertente, eh?

- Spassosissimo!

Jugoslavia si lasciò cadere a terra, stirando le labbra screpolate in un ghigno nerastro con più buchi che denti – Cosa vuoi da me, merdina? Immagino che tu non sia sceso nel profondo dell’inferno solo per fare quattro chiacchiere con la morta!- disse ridendo girandosi sulla pancia e poggiando poi il viso sulle mani, osservando la porta blindata.

Russia, dall’altra parte sorride – Solo chiacchierare. Insomma, è raro che una Nazione muoia.

- Oh, sì, immagino che lo spettacolo debba essere esaltante! Entra un po’ merdina così posso farti vedere com’è una nazione che muore dilaniata da dentro! Questo si che è uno spettacolo edificante!- disse ridendo di nuovo.

Persino Russia sentì i peli della nuca rizzarsi al sentire quella risata latrante e sgraziata – Non posso entrare.- disse poggiando una mano sulla porta – Nessuno mi ha dato la chiave.

- Oh. Guarda dentro lo stomaco di qualche pesce nell’Atlantico, magari la trovi. Credo che Bosnia l’abbia buttata da quelle parti.

- Però sono davvero curioso. Come’è una nazione che muore? Descriviti.

Jugoslavia si morse leggermente un labbro – Ricordi com’ero prima? Tipo tutta rosa, nera e rossa?

- Sì.

- Ecco, partiamo da lì. Allora, elimina i riccioli neri e sostituiscili con una testa pelata. Anzi, metti qualche capello qua e là. Fatto?

- Sì.

- Bene. Allora poi togli la pelle rosa e metticene una giallognola con sfumature verdine e bluastre.

- Fatto.

- Sì. Ecco, poi… ah, le labbra rosse. Eliminale. Elimina proprio le labbra. Elimina la gambe morbide, il seno, il viso rotondo. Elimina l’abito blu e le scarpe bianche.

Russia guardò la porta– Sei molto brutta.- disse. Jugoslavia rise – E non mi hai ancora vista dal vivo!

- Come ci si sente a morire?

- Lo dovresti sapere, merdina. Sei morto prima di me o ricordo male?

- Ho dimenticato.

- Oh, che cosa brutta.- si tirò a sedere, poggiando le mani sulle caviglie– Ma di che ti lamenti, merdina? Pagherei tutto quello che ho per dimenticare come mi sento adesso!- disse puntando il dito contro la porta. Russia si accovacciò, immaginandosi più o meno all’altezza di Jugoslavia.

Davanti a lui però immaginava la Jugoslavia bella , quella con i riccioli neri raccolti da una molletta e l’abito blu a pieghette. Gli piaceva di più immaginarla così.

- Come ti senti?

Jugoslavia si guardò le mani, notando che poteva benissimo tenersi entrambe la caviglie in una sola mano –Male.- sbottò – Malissimo. Ti rendi conto di quello che sto provando, Russia? Mi stanno distruggendo. Mi distruggono in nome del nulla.

- Loro si odiano. Perché non dovrebbero combattere?

- Allora non dovevano crearmi!- sbraitò Jugoslavia sbattendo il pugno a terra – Loro stanno lì a litigare su chi ha la croce più figa e io intanto crepo lentamente! La gente crepa! Gli animali crepano! In nome di che? In nome di sto’ dannatissimo cazzo!

- Non ti ricordavo così volgare.- disse Russia sorridendo.

- I soldati che mi portavano il cibo i primi tempi erano molto volgari. M’hanno insegnato tante paroline, oltre a ciucciare cazzi.

- Da quanto non mangi?

- Ah non saprei. Sei mesi? Cinque? Non ricordo e non m’importa. Posso vivere senza cibo.

- Puoi?

- Anche tu puoi.- Jugoslavia incrociò le gambe, grattandosi dietro un orecchio con l’unghia giallastra – Noi non abbiamo bisogno di cibo. È una delle cose che ho capito stando qua all’inferno.

- Cos’hai capito?

- Oh, si capiscono così tante cose quando si naufraga verso la morte! Ho capito che non ho bisogno di mangiare né di cagare, ad esempio. Oppure che l’inferno non esiste. Ho capito che Dio è inutile. E questa si che è stata una rivelazione! Insomma, merdina, ho sempre creduto che Dio esistesse, sai, che potesse salvarmi e proteggermi e aiutarmi e stronzate simili- Jugoslavia guardò l’unghia sporca prima di pulirla sulla copertina – e invece sono bugie!- terminò ridendo.

Russia non rispose, poggiando una mano alla porta – Tu credi che il Dio di Serbia e quello di Croazia siano tanto diversi? È lo stesso Dio, è sempre lui, sempre lo stesso bastardo! Capisci? Si uccidono in nome di uno stupido odio razziale e di uno stupido Dio che non sarà mai il peggiore ne il migliore perché è sempre lo stesso!- una lacrima salata scivolò sulla sua guancia, irritando la pelle piagata. – Loro si uccidono a vicenda e uccidono loro stessi, perché se non puoi fare violenza su chi ti sta attorno la fai a te stesso! Insomma, capisci la stupidità di quei due? Anzi, la capisci la stupidità di tutti?

Russia poggiò la fronte contro la porta – Tu sei pazza. - disse sorridendo – Tu sei impazzita del tutto.

- Oh, sì!- esclamò ridendo. Le lacrime facevano male – Sì, sono impazzita! M impazziresti anche tu se ti strappassero un chilo di carne per ogni Stato che chiede di abbandonarti.

- Deve essere doloroso.

- Fa a dir poco impazzire ♥- chiocciò Jugoslavia ghignando – Ricordo ancora il pezzo di carne che si portò via Bosnia quando se ne andò con la sua cara Erzegovina. Due chili di ciccia vollero. Davvero, sembrava una storia dell’orrore o qualcosa di simile. Vedessi quanto sangue!

Russia socchiuse gli occhi – Anche quello doveva essere uno spettacolo interessante.

- Da morire.

 

 

 

 

 

 

Jugoslavia poggiò la schiena alla porta fissando assorta la finestrella. Non si ricordava chi aveva creato quella cella ma di certo era stato davvero crudele a fare quell’unica finestrella così vicina al soffitto.

- Sei tornato.

- Sì.

- Non era una domanda, merdina.

Russia sorrise poggiando la schiena contro la porta a sua volta – Tu sei cattiva con me. Non ti ho fatto nulla.

- Sei vivo. Ecco cosa mi hai fatto.- sbottò Jugoslavia cercando di sistemare la benda che le fasciava il fianco.

- Se ne sono andati tutti. - disse Russia con un sorriso tranquillo – Ora non c’è più nessuno.

- Già. Si sono portati via l’ultimo chilo di carne.

La ferita colava sangue e pus e faceva male da morire. Ma non avrebbe fatto male ancora a lungo.

- E ora me ne posso andare. Sei contento? Non ti sei perso lo spettacolo.

- Felicissimo.

Ci fu un po’ di silenzio, interrotto solo dal quieto cinguettare da e là di qualche passerotto.

Era buffo sentirli fin là sotto.

- Dovevo essere grande e forte. - disse Jugoslavia alzandosi piano, puntellandosi col braccio sulla porta – E invece finisco così. Che tristezza.

Russia poggiò la testa sulla porta, fissandola come se potesse vedervi attraverso.

– Dovevo essere uguale a te. - disse Jugoslavia muovendo qualche passo incerto - Invece lascio al mondo una brutta bandiera e un pugno di mosche morte.

- Ottima eredità. A Cina piacciono le mosche. Le mette nella minestra.

- Buon per lui.

Jugoslavia guardò la finestrella e alzò il braccio verso quella luce bianca e splendente.

Cadde a terra sorridendo, senza riuscire ad arrivare alla luce.

 

 

 

 

Russia uscì dall’edificio interrato con gli occhi socchiusi, ritrovandosi immerso in una luce accecante.

Una ragazza gli camminò accanto, l’abito lungo blu a pieghette che le volteggiava attorno alle gambe e i capelli neri al vento. La vide correre verso la luce e poi voltarsi verso di lui.

Jugoslavia si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e alzò una mano sorridendo. Disse anche qualcosa, ma non riuscì a capire cosa e corse nella luce, sparendo.

Sarebbe sicuramente stato più felice se quella fosse stata davvero Mirka e non un –seppur delizioso- parto della sua immaginazione.

 

 

   
 
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