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Autore: BrokenApeiron    07/11/2010    3 recensioni
Ex giocatore di pallanuoto. Ex infermiere. Una gamba rotta stronca la carriera e la vita di Theodor Harvey, conosciuto come Golbez, lasciandogli come unica soddisfazione l'insegnamento dell'arte orientale del Feng Shui. Lì conosce Luneth, il solo bambino che segue il corso. Bambino che dimostra un'intelligenza e indipendenza incredibili. Golbez si lascia vincere dalla curiosità che prova per questo ragazzo, approfondendo la loro amiciza fino ad un punto di non ritorno.
Genere: Generale, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Nota dell'Autrice: Mia prima Long-Fic, spero di riuscire a trovarne una fine, quindi. A parte questo, i personaggi saranno presi un po' da tutti i FF, anche se in maggioranza solo i protagonisti o personaggi a loro vicini. Golbez e Cavalier Cipolla li ho conosciuti su FF Dissidia: come io li ho compresi saranno rappresentati nella fiction, quindi chiedo venia se qualche sfumatura caratteriale non è perfettamente in bolla. Ho in mente questa storia da giugno 2010, e l'ho sviluppata con l'aiuto della mia fida Storm, che più volte ha assunto il ruolo di Cipollino. Dal capitolo 3 in poi lei quindi sarà nei ringraziamenti perché è diventata quasi una storia a quattro mani. Oh, una cosa importante. Luneth nei primi capitoli ha 12 anni, ma andando avanti crescerà fino ai sedici. Questo per evitare rogne per il raiting giallo. Preveniamo, gente, preveniamo!
Comunicazioni di servizio terminate. Null'altro da dire, se non augurarvi buona lettura. =D

 

* Secondo la pratica del Feng Shui, porte e zone d'accesso ad ovest sono negativi, e si

dovrebbero riequilibrare con colori e scritte che ricordano l'est, la zona migliore per le entrate ed uscite.

 




Mi alzai dal tavolo, un mezzo sorriso appena accennato. “Bene, per oggi è tutto.”

La piccola folla si alzò con me, parlottando, mentre il mio ginocchio mi rallentava quel tanto da

essere sempre l'ultimo a uscire. Presi tra le mani i vari libri sulle forze energetiche e mi avviai

anche io verso la porta. Qualche passo dopo, strascicato anche troppo, mi aggrappai allo stipite,

facendomi forza sulla gamba sinistra per tirare su l'altra, girandomi per chiudere la porta.

“Aspetti! Ci sono ancora io!” Mi bloccai, aspettando che il proprietario della voce mi corresse

incontro e scivolasse tra la porta e me. Mi stupii non poco nel vedere un ragazzetto sui dodici anni,

un blocco per appunti sottobraccio, fermarsi dietro di me per aspettare che chiudessi. Lo

adocchiai incuriosito, poi chiusi a chiave la sala e mi girai a guardarlo.

“Lei sarebbe il nuovo arrivato? Eʼ parecchio giovane per interessarsi al Feng Shui.”

Lui mi guardò con aria saccente e si picchiettò una tempia nascosta dai capelli rossicci.

“Non bisogna mai badare alle apparenze. Anche se sono giovane, ho molti interessi.”

Guardai con un sorriso il viso del ragazzo farsi rosso e aprirsi in una serie di buffe espressioni,

punto sul vivo.

“Più che fortificare il corpo, come fanno tanti miei coetanei col calcio, credo sia molto meglio

ampliare la mente. L'astuzia, l'intelligenza fanno molto di più dei muscoli.”

Sbattei un poco le palpebre, spesso mi scambiavano per un pugile professionista, anche se non

ho mai messo piede su un ring.

“Per questo vengo ai suoi corsi, signore. Il Feng Shui mi sembra una cosa molto interessante.”

Tornai a guardarlo, e mi accorsi che dietro i capelli corti, aveva una lunga coda folta tenuta bassa

da un elastico rosso fuoco, che faceva un bel contrasto con il suo colore arancione cannella.

“Si è tinto i capelli?”

Lui mi guardò male. “Signore, cosa c'entrano i miei capelli con quello che sto dicendo?!” Disse con

il tipico cipiglio di quei bambini che chiedono attenzione assoluta alle loro parole, quasi fosse un

vangelo. Sorrisi.

“Chiedo venia. Eʼ che sono un bellissimo colore, davvero.” Lui mi guardò piegando appena la

testa.

“Non c'è bisogno che insista, signore, ci credo.”

Mi riscossi e ripresi a guardarlo in volto.

“Ah... sì.”

Ci fu qualche secondo di imbarazzante silenzio, poi più veloce del lampo il ragazzino mi porse la

mano. “Luneth, piacere.” Io gli presi la piccola manina, facilmente contenibile nella mia. “Golbez.

Piacere, Luneth. Quel cappello con lo sbuffo a cipolla lo mette spesso?”

Lui finì di sistemarsi i capelli sotto quel gigantesco copricapo e strinse impercettibilmente la mano

con cui aveva stretto la mia. “Non le piace?”

“No, va bene. Eʼ particolare, molto carino. Solo, un po'... inusuale.” Lui sorrise e mi indicò una

macchinetta.

“Prende un caffè?”

Quando arrivai a casa, la gamba doleva più del solito. Allʼingresso non trovai neppure una lettera.

Le lezioni successive si svolsero normalmente, i miei alunni, se così posso chiamarli, vista lʼetà

media sui trent'anni, presero con entusiasmo una lezione pratica di riconoscimento delle zone

energiche della saletta. Luneth scrisse su un foglio di carta riciclata con un pennarello rosso 'Est -

Nascita Fuoco' e lo attaccò vicino alla porta, che dava ad ovest.*

A fine lezione Luneth mi invitava sempre a prendere un caffè, avevo familiarizzato con questo

ragazzino, potrei osare dire che era nata un'amicizia. Questa volta mi portò ad una tisaneria nella

zona, che osservava tutte le regole del Feng Shuei, con mia grande sorpresa. Luneth dimostrò

essere di casa, lasciando la cappello rosso con lo sbuffo a cipolla su un tavolo e servendomi

personalmente la mia bevanda calda.

“Golbez!” Iniziò subito con un gran sorriso. Io sollevai lo sguardo dalla mia tazza, guardandolo in

quei grandi occhioni verdi.

“Perché ti vesti sempre di colori scuri ultimamente?” Io rimasi in silenzio, non sapendo cosa

rispondere.

“Sono quattro lezioni che non indossi altro che il blu scuro e il nero. Sembri in lutto.”

Si sporse verso di me, scrutandomi l'animo.

“Parlami dei tuoi problemi.”

Lo guardai sbattendo gli occhi. “Cosa?”

“Mio padre è un rinomato psicologo. Sai, ogni tanto lo ascolto mentre lavora, nascosto dietro la

tromba delle scale. Parlare dei propri crucci agli altri fa bene.”

Mi ritrovai a sorridere appena, scuotendo piano la testa. “La fate un po' semplice, Cavalier Cipolla.

Non sono cose che possono risolversi così... solo parlandone.” Lui gonfiò le guanciotte e si mise in

posizione di combattimento, posa che gli valse il soprannome di Cavalier Cipolla.

“Dai, Golbez. Sono sicuro che qualcosa potrebbe cambiare. Come dicono le dottrine orientali, è la

mente che crea problemi, ingigantendo cose da nonnulla.”

“Luneth, ci sono cose che non si possono cambiare solamente parlandone...”

“Golbez, lascia che ti aiuti...”

“Preferirei di no.”

“Golbez!”

Troppo tardi mi accorsi di aver alzato velocemente una mano, grande quanto la testa del

ragazzino, quasi a volerne bloccare la parlata. Lui si bloccò, spaventato, come se gli stesse per

arrivare uno schiaffo neanche minimamente contemplato. Mi affrettai ad abbassare la mano,

guardandolo assumere un'aria ferita.

Mi inumidii la bocca, guardandolo mesto.

“Non vuoi essere aiutato. Mi spiace.” Disse triste, un velo di rabbia che gli copriva la voce.

Strinsi il manico della tazza, così piccola anch'essa tra le mie mani...

“No, mi scusi, Luneth. Ho smarrito il controllo.”

Lui mi guardò implorante. “Per favore... Golbez, dimmi cosa ti tormenta.”

Chiusi gli occhi mentre mi alzavo in piedi, lasciando sul tavolo qualche moneta da due euro. “Sono

un debole.” Dissi a malincuore guardando la forma rotonda e ruvida del denaro. “Su, ti accompagno a casa.”

Lui fece un piccolissimo sorriso e tornò a guardare le piume bianche del suo cappello. “No, grazie,

resto ancora un po' qui.”

Io ero già sulla porta, a guardare la strada. Tirai fuori il biglietto con scritto l'orario del parchimetro.

Avevo una buona mezz'ora per cercare la macchina.

“Golbez?”

“Sì?”

“Tu non sei debole!”

Me lo ritrovai in braccio, la gamba minacciò di cedere, ma il peso del ragazzo era un quarto del

mio e si accontentò di una piccola fitta.

“Tu non sei debole, non lo pensare mai!” Disse strusciando la testa sul mio petto. Io sorrisi e gli

carezzai la testa, ringraziandolo silenziosamente, sperando, in fondo al mio cuore perso

nell'oscurità, che non si sbagliasse.

Quando arrivai a casa era già buio. Aprii la porta alla ceca, le chiavi tintinnanti il mio unico

riferimento. Con il piede destro strascicai sulle mattonelle, portando con me rumore di carta. Mi

abbassai a prendere le lettere, nel buio, solo un raggio che filtrava dalla finestra della cucina che

illuminava la mia pelle chiara. Sollevai le buste, osservandone i mittenti alla luce fioca.

Bollette, bollette. Grazie al cielo non avevo la televisione, il canone in meno da pagare. Mi fermai

ad osservare l'ultima lettera. Una missiva che aspettavo da giorni. Eppure non era carta sporca e

ingiallita dalla sabbia. Era di un bel lindo biancore, tipico degli uffici al sicuro delle intemperie

dell'Afghanistan. La direzione di Emergency aveva qualcosa da dirmi.

Mi presi la testa fra le mani, guardando smarrito il testo. 'Accusati di essere terroristi', 'Persi i contatti'.

Mio fratello era in mezzo a quell'inferno, che sarebbe toccato a me.

Come sono debole, Luneth! Come sono debole. Non riesco neanche a trovare la forza di

piangere...

   
 
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