La suoneria
della sveglia del telefonino mi svegliò subito, premetti un tasto e mi girai
dall’altra parte. Cinque minuti più tardi trillò di nuovo, la spensi e mi misi
a sedere sul bordo del letto stropicciandomi gli occhi. Mi alzai e mi diressi
in bagno per prepararmi per quella giornata. Quella mattina era il primo giorno
di scuola del quinto superiore. Fui pronta in fretta, salutai i miei genitori e
presi il motorino. Era ancora presto quindi decisi di fermarmi al bar per fare
colazione, parcheggiai il motorino tra le apposite strisce di lato alla scuola
e attraversai la strada. Stavo per entrare nel bar, in quel momento però sulla
porta un ragazzo che stava uscendo mi urtò la spalla, mi girai per guardarlo,
ma lui continuò a camminare senza nemmeno una parola. Ma che caratteraccio!
Almeno si fosse scusato... Entrai e ordinai il mio caffè con sopra una
spolverata di cacao, nell’attesa mi guardai in giro, c’era qualche persona che
conoscevo, li salutai con un cenno del capo o alzando una mano. Arrivò il mio
caffè, il cameriere mi avvicinò anche dello zucchero, ma io lo rifiutai
gentilmente e cominciai a bere dalla tazzina. Pagai e uscii, decidendo di
entrare a scuola per vedere dove avevano collocato la mia aula quell’anno.
Varcare quella soglia mi fece uno strano effetto quel giorno, sarebbe stato
l’ultimo anno che avrei trascorso in quell’edificio. Gli anni passati non
vedevo l’ora che arrivasse il momento in cui sarei uscita da questa scuola la
volta definitiva per non doverci più tornare, ma adesso che tutto questo era
così vicino l’idea un poco mi spaventava; sarebbe stata una svolta decisiva,
avrebbe segnato la fine della mia vita da adolescente, sarei stata catapultata
nel mondo degli adulti con tutte le responsabilità e le libertà che questo
comportava. Ecco, forse era questo: avere troppa libertà mi faceva paura. Anche
se ero sempre stata una persona molto responsabile, non credevo che gestire la
mia vita sarebbe stata una cosa tanto facile dopo un cambiamento così drastico.
Comunque, per il momento non volevo più pensarci. Mi avvicinai alla bacheca
davanti alla quale c’era una grande folla intenta a controllare sulla mappa la
sistemazione delle classi. Riuscii a infilarmi tra la moltitudine di ragazzi e
vidi che la mia aula era al secondo piano. Cominciai a salire le scale, quando
entrai mi accorsi che quasi tutti i miei compagni erano già dentro, li salutai
con un sorriso, ma subito dopo mi andai a sedere all’ultimo banco della prima
fila. Parlavano tutti tra loro con eccessivo entusiasmo, raccontandosi a vicenda
che cosa avessero fatto durante l’estate. Non capivo cosa ci trovassero di
tanto piacevole in questa giornata, per me era solo da depressione: stava
cominciando un altro anno scolastico, altri duecentosettanta giorni che si
sarebbero susseguiti uno dopo l’altro totalmente uguali; spiegazioni,
interrogazioni, verifiche... in un ciclo continuo. Magari era aver ritrovato
gli amici che non si vedevano da mesi, ma nemmeno da questo punto di vista mi
entusiasmava tanto. Naturalmente con questo non voglio dire che non credo
nell’amicizia, sia chiaro, ma solamente che gli amici, quelli veri, sono
davvero pochi e si possono contare sulle dita di una mano. Una volta ho letto
da qualche parte che “L’amicizia è un
bene prezioso dal valore inestimabile” ed io concordo in pieno! Non sarebbe
la stessa cosa vivere la propria vita senza degli amici che ti stiano accanto
sia nei momenti belli sia in quelli tristi. La mia migliore amica aveva finito
la scuola un anno prima, e tra pochi giorni sarebbe partita per una città del
Nord per frequentare l’università. Ovviamente saremmo rimaste in contatto e
speravamo che qualche volta saremmo pure riuscite a vederci.
-Ehi
Vanessa!- mi salutò elettrizzata Alice. Era la persona con cui avevo legato di
più in classe e rivederla mi aveva fatto realmente piacere, mi aprii quindi in
un sorriso sincero, era capace di trasmettere la sua felicità alle persone che
la circondavano. Era una ragazza molto estroversa e perennemente allegra.
-Ciao
Alice!- mi alzai per abbracciarla e cominciammo pure noi a parlare di come
erano trascorsi gli ultimi tre mesi. Dopo un poco lei decise di continuare a
salutare il resto dei nostri compagni, tanto noi avremmo avuto modo di parlare
durante le ore di lezione visto che eravamo compagne di banco. Tornai a
sedermi, dopo aver poggiato la cartella per terra accanto alla sedia, notai un
ragazzo che non mi sembrava di conoscere, seduto all’ultimo banco della fila opposta
alla mia, aveva un piede appoggiato alla sedia e teneva un braccio piegato sul
ginocchio, guardava fuori dalla finestra con aria assente, la sua espressione
sembrava triste, ma forse era solo una mia impressione. Girò la testa di poco e
alcune ciocche dei suoi capelli biondo cenere gli ricaddero davanti agli occhi.
Aveva un che di familiare, ma in quel momento non riuscivo a collegare chi mi
ricordasse. Fui costretta a distogliere lo sguardo perché entrò l’insegnante in
classe. Cominciò una specie di discorso d’inizio anno, ci disse già che
quell’anno sarebbe stato pesante e che avremmo dovuto studiare duramente in
vista degli esami. Come se non lo sapessimo già! Presto smisi di prestare
attenzione, non volevo che dal primo giorno mi mettessero l’ansia. Dopo qualche
minuto il professore concluse con un “Ben tornati!”, lo disse con un tono che
mi fece desiderare di essere rimasta a letto quella mattina. Cominciò a
spiegare. Roba da matti! Nemmeno il tempo di rientrare nei ritmi scolastici. Il
mio sguardo cominciò a vagare tra i banchi, sembrava fosse tornato tutto alla
normalità, come se le vacanze non ci fossero mai state e che quei tre mesi
appena trascorsi fossero già stati dimenticati. La mia attenzione si spostò di
nuovo sul ragazzo all’ultimo banco, aveva il cappuccio della felpa nera tirato
sulla testa, per coprire gli auricolari che aveva indossato. Si voltò e i
nostri sguardi s’incrociarono. Per un attimo mi sembrò mi guardasse con astio,
ma la sua espressione era strana, quasi come se fosse arrabbiato con il mondo
intero. Tornò a guardare fuori dalla finestra, i nostri occhi erano stati in
contatto forse solamente per pochi secondi, ma a me era sembrato molto di più.
Presi un blocco notes dallo zaino e collaudai la prima pagina scrivendo il
testo di una canzone che avevo sentito giusto quella mattina mentre prendevo il
caffè. Improvvisamente ebbi un’illuminazione: era il ragazzo che mi aveva
urtato fuori dal bar! Voltai di nuovo la testa verso sinistra, rimasi sorpresa:
mi stava guardando. Tornai a scrivere sul foglio facendo finta di niente, ma
sentivo il suo sguardo puntato su di me. Ma che cosa voleva? Ribadii la mia
idea secondo la quale era un maleducato: non solo non si scusava se infastidiva
qualcuno, ma fissava pure le persone! La prima ora era quasi terminata, il
professore si ricordò di non aver fatto l’appello. Prese il registro e cominciò
a leggere l’elenco di nomi che c’era nella prima pagina. Il nome proprio sopra
al mio era quello del ragazzo. Si chiamava Daniele. Rispose con un “presente”
distratto, la sua voce era profonda e calda. Dall’intera classe si alzò un
leggero mormorio, possibile che non si fossero accorti prima di avere un nuovo
compagno? Oppure stavano commentando qualcosa di quel personaggio così
misterioso. Il professore dovette fare due volte il mio nome e Alice dovette
darmi una leggera gomitata prima che io confermassi la mia presenza. Daniele si
era voltato verso di me, forse incuriosito dalla mia disattenzione. Sotto quello
sguardo le mie guance si colorarono di una tenue sfumatura di rosso. Alice mi
fece una domanda alla quale io risposi stringendomi nelle spalle. Suonò la
campanella che indicava la fine dell’ora e all’uscita del professore la classe
diventò un vociare confuso, quasi tutti si alzarono cominciando a scherzare tra
loro o semplicemente per riprendere i discorsi lasciati a metà poco prima.
Qualcuno stava aspettando l’insegnante sulla porta curioso di sapere quale
materia avremmo avuto la seconda ora del lunedì. Tra i pochi rimasti seduti
c’era anche Daniele, non riuscivo a capire il motivo, ma c’era qualcosa che mi
spingeva a girarmi verso di lui continuamente. Notai che anche lui guardava
spesso nella mia direzione. Tutto sommato la giornata passò tranquillamente, la
professoressa che aveva con noi un migliore rapporto fece qualche domanda a
Daniele per essere gentile e per conoscerlo un poco meglio. Lui dava risposte
secche e non sembrava contento di tutte quelle attenzioni. Era pure insolente!
Si, mi stava decisamente antipatico... forse. Comunque ero solo riuscita a
sapere che si era trasferito in città da qualche settimana e che aveva
frequentato lo stesso tipo di scuola gli anni precedenti. Finalmente passarono
tutte e cinque le ore e l’ultima campanella segnò la fine delle lezioni.
Le prime
settimane trascorsero lente; noiose e monotone come avevo previsto. Daniele mi
affascinava sempre di più però. Forse ero solo incuriosita dalla novità. Eppure
non avrebbe dovuto farmi questo effetto; più volte l’avevo visto rispondere
male ai professori o maltrattare i ragazzi delle classi inferiori, sarei dovuta
essere disgustata dal suo comportamento, non incuriosita e attratta da lui.
Inizialmente credevo fosse solamente un bullo presuntuoso, che voleva farsi
notare a tutti i costi risultando “fico” agli occhi degli altri ragazzi, ma mi
accorsi invece che era proprio il contrario, faceva di tutto per passare
inosservato. Spesso giudichiamo le persone senza conoscerle realmente, ma non
sappiamo perché si comportano in un certo modo. Per questo credo che mi sarebbe
piaciuto conoscerlo un po’ meglio; per comprenderlo. Lui però se ne stava
sempre sulle sue e aveva perennemente quell’espressione, affranta?, sul volto.
Nonostante questo il suo sguardo era magnetico. Ogni giorno dai nostri banchi
intraprendevamo un gioco di sguardi, ma ancora non c’eravamo mai rivolti la
parola. Raramente sentivo la sua voce, soltanto quando i professori facevano
l’appello o gli rivolgevano una domanda. In quelle occasioni comunque quella
voce m’incantava. La prima volta che ci parlammo era un’umida mattina d’inizio
Ottobre. Stavo per entrare a scuola, quando vidi Daniele che litigava con un
altro ragazzo vicino al parcheggio. Pretendeva che lui spostasse il motorino
perché quello era il posto del suo. Ma dove stava scritto?! Mi avvicinai e gli
dissi di lasciare in pace il ragazzo, che c’erano tanti altri posti liberi. Gli
chiesi pure per quale motivo si comportasse in quella maniera.
Inizialmente
sembrò sorpreso di vedermi reagire così, ma poi mi rispose calmo. -Questo è il
posto del mio motorino, dal primo giorno l’ho sempre parcheggiato qua. Sai, la
legge della giungla dice che sopravvive il più forte, se mi facessi mettere i
piedi in testa una volta, poi succederebbe sempre-.
Il cuore mi
martellava forte nel petto, credo che la causa fosse la sua vicinanza, non
avevo mai avuto il suo viso a quella distanza, e la profondità della sua voce,
mi ripresi subito però. -Ma tu non vivi nella giungla! Puoi comportarti in
maniera civile con le persone-. Quello che non mi aspettavo proprio era la sua
reazione, cominciò letteralmente a urlarmi contro.
-Cosa ne
sai tu di me?! Della mia vita? Fatti gli affari tuoi e non t’immischiare in
questioni che non ti riguardano!- si diresse a passo spedito verso l’istituto,
lasciandomi impalata a bocca aperta a fissare il punto dove un attimo prima
c’era lui. Rimasi letteralmente sbigottita, quasi non sentì il ragazzo del
motorino che mi ringraziava e si scusava, sentendosi in colpa per essere stato
la causa del nostro litigio. Quella mattina non mi voltai a guardarlo nemmeno
una volta. Poco prima di farci preparare per uscire, la professoressa d’inglese
ci comunicò che avremmo dovuto fare dei lavori in coppia e cominciò a spiegarci
in cosa consistevano. Io e Alice ci stavamo già mettendo d’accordo per le
giornate nelle quali avremmo potuto incontrarci, così come la maggior parte dei
nostri compagni che aveva già deciso con chi avrebbe lavorato, ma la professoressa
ci interruppe e ci disse che gli abbinamenti li avrebbe fatti lei in base
all’elenco. Mi feci velocemente un calcolo. Sarei stata in coppia con Daniele!
Pensai di chiedere all’insegnante se potevo fare a cambio con qualcun altro, ma
poi decisi che non avrei detto niente. Forse sarebbe stata una buona occasione
per parlare. Sempre se sarei riuscita a superare l’imbarazzo dopo l’episodio di
qualche ora prima. Mi voltai verso di lui per vedere la sua reazione, ma quando
la professoressa accostò il suo nome al mio, rimase impassibile. Prese lo zaino
e se lo mise in spalla dirigendosi verso la porta, solo allora mi accorsi che
la campanella stava suonando. Gli andai dietro e senza chiamarlo gli chiesi
quando ci saremmo visti.
-Domani
mattina a scuola!- mi prese in giro senza voltarsi, pronunciando la frase con
tono beffardo come se fosse stata una cosa logica. Lo lasciai perdere e mi
diressi verso casa, capendo che per quel pomeriggio non aveva intenzione di
studiare inglese con me. Mi chiesi se fosse stato il caso di svolgere il
compito da sola, ma rimandai per il momento, tanto non era urgente.
Il giorno
dopo mi si avvicinò all’uscita, mi disse: -Oggi pomeriggio alle quattro sul
lungomare- e aggiunse il punto esatto dove ci saremmo incontrati, poi se ne
andò. Non mi chiese nemmeno se ero libera, non era una domanda la sua, sembrava
un’imposizione! Fui tentata a non presentarmi, ma l’idea di passare qualche
tempo da sola insieme con lui mi allettava parecchio. Arrivai un quarto d’ora
prima, mi accomodai sul sedile in pietra e tirai fuori dalla cartella il libro
di testo. Non lo vidi avvicinarsi finchè, stando in piedi a pochi centimetri da
dove ero seduta, non mi disse: -A me non interessa niente di questo stupido
compito d’inglese!-.
-Nemmeno a
me- risposi con noncuranza continuando a leggere e annotando su un foglio
quello che mi sarebbe potuto servire. Alzai la testa fino a incrociare il suo
sguardo -Però dobbiamo farlo. Ed io ho intenzione di consegnare un buon lavoro.
Se tu vuoi collaborare bene, se no per me non ci sono problemi-. Lo vidi un
attimo incerto su cosa fare, poi abbassai di nuovo la testa sul libro e lo
sentì sedersi accanto a me. Sorrisi senza farmi vedere. La psicologia inversa
funzionava sempre. Gli avvicinai il libro e presi un foglio di quaderno, dove
cominciai a scrivere un titolo. Il primo incarico che ci aveva dato la
professoressa era di tracciare l’albero genealogico delle dinastie al potere in
Inghilterra dalla fine del quindicesimo secolo alla fine del diciassettesimo e
indicare gli avvenimenti più importanti che si erano svolti sotto il loro
regno. Facile. Scrissi il nome del primo re Tudor e feci partire da esso le
frecce per i collegamenti. Chiesi a Daniele se gentilmente poteva sfogliare le
pagine del libro fino al paragrafo che parlava di Enrico VII, ma lui non mi
rispose altrettanto gentilmente. Sorrisi di nuovo, continuai a scrivere, non mi
serviva realmente il testo, volevo solo vedere la sua reazione. Questa volta lo
vide il mio sorriso e restò a guardarmi per un tempo che mi sembrò infinito.
Sentivo il suo sguardo indagatore che mi squadrava dalla testa ai piedi. Ne fui
un poco infastidita, ma non lo diedi a vedere.
-Perché in
classe la mattina stai sempre in disparte?- mi chiese dopo un poco.
La mia penna
smise di scivolare sulla pagina. -Potrei farti la stessa domanda- risposi
guardandolo, vidi l’ombra di un sorriso formarsi sulle sue labbra. Restammo di
nuovo in silenzio, ma questa volta non mi sentivo in imbarazzo e non mi dava
nemmeno fastidio. Era un silenzio piacevole. Continuai a scrivere per circa
un’oretta, nel frattempo vidi che Daniele aveva cominciato a sfogliare il libro
di letteratura inglese.
-Facciamo
una pausa?- mi chiese -Ti va un gelato?-
-Sei stanco
perché hai studiato troppo?- scherzai, ma mi alzai posando nella cartella tutte
le mie cose e il compito d’inglese quasi finito.
Mi sorrise!
Era la prima volta che lo vedevo sorridere, quasi credevo non ne fosse
capace... Gli si illuminò praticamente tutto il viso con quel sorriso. Non potei
fare a meno di ricambiare.
Mi offrì il
gelato, durante la passeggiata parlammo molto, era la prima conversazione
civile che intraprendevamo! Finalmente riuscì ad aprirsi con me, in qualche
modo ero riuscita a conquistarmi la sua fiducia. Mi raccontò di lui, mi disse
che prima del trasferimento non si comportava mai così, era diverso; aveva
voglia di stare sempre in compagnia, rideva sempre ed era un tipo allegro. In
seguito alla separazione dei genitori però era cambiato, non aveva più
l’entusiasmo di vivere di un tempo. Si sentiva la causa del loro divorzio e
questo lo fece cadere in una sorta di depressione, non cercava più gli amici,
aveva paura di poter rovinare anche la vita di chi gli stava vicino. Continuò a
parlare per un sacco di tempo, finalmente riuscivo a capirlo, mi sentivo vicina
a lui in qualche modo, speravo di poterlo aiutare a superare questa fase oscura
in cui era sprofondato.
Quando finì,
restò in silenzio a guardare verso l’orizzonte. Cercai sul suo volto segni di
pentimento per avermi resa così partecipe della sua vita, dei suoi problemi, ma
non ne trovai. Sembrava invece sollevato, come se si fosse tolto un peso. Si
girò e mi sorrise, io ricambiai inspiegabilmente contenta.
-Tu però
non hai ancora risposto alla mia prima domanda-
Lo guardai
senza capire, cercando di fare mente locale e ricordare quale domanda mi avesse
fatto.
Lui notò la
mia confusione e rise leggermente, piano, per non offendermi magari. -Come mai
stai sempre in disparte in classe?- mi ripetè la domanda che mi aveva fatto
qualche ora prima. Ripensandoci mi stupii, erano passate ore! Il tempo sembrava
essere volato. Comunque gli risposi che sinceramente non lo sapevo nemmeno io,
forse era in parte per la mia timidezza, anche ben celata dal mio comportamento
distaccato, stavo per i fatti miei e non mi piaceva stare al centro
dell’attenzione. Adesso era il mio turno di parlare, e il suo di fare le
domande. Non c’era molto da dire, ma mi chiese dei miei hobby, delle mie
passioni, di ciò che preferivo e quello che invece non mi piaceva. Si fece
tardi, gli dissi che sarei dovuta tornare a casa. Lo salutai, ma prima di
andarmene gli diedi il lavoro d’inglese che avevo svolto quel pomeriggio e gli
dissi che era meglio se imparava almeno quelle cose.
-Potrei
anche decidere di non venire a scuola domani- mi provocò. -Cosa faresti poi tu senza
il compito?-
-In qualche
modo me la caverei- gli sorrisi. Ricambiò e ci salutammo.
Il giorno
dopo era a scuola, aveva addirittura completato la parte del compito che era
rimasta incompiuta.
Successivamente
mi accorsi che piano piano riuscì ad ambientarsi meglio pure in classe, con me
era molto più solare, ma faceva progressi anche con il resto dei nostri
compagni. Stava tornando il ragazzo che era prima, che io non avevo mai
conosciuto, ma che ero riuscita a intravedere dietro quella patina d’indifferenza
di cui si era avvolto e che in qualche modo io ero riuscita a penetrare.
Mi convinse
pure a iscrivermi alla recita scolastica che ci sarebbe stata alla fine
dell’anno, diceva che per la timidezza era un buon rimedio. Io non avrei mai
partecipato, ma me la pose come una sfida e mica potevo rifiutare! Naturalmente
feci iscrivere pure lui, ignorando le sue proteste come lui aveva fatto con le
mie. Partecipammo ai provini per due comparse, ma ci fecero sapere che avremmo
recitato nei ruoli dei due protagonisti! Al momento di quella comunicazione
avevo avuto voglia di massacrare Daniele, era solo colpa sua! Lui e quella
maledetta sfida! Nonostante la mia irritazione iniziale, cominciammo a provare
le parti assieme e in fondo ci divertimmo pure.
Arrivò
l’ultimo giorno di scuola. Io ero nervosissima, lui guardandomi rideva cercando
di non farsi notare. La rappresentazione comunque andò relativamente bene,
cercavo di non pensare alla sala piena di persone che mi guardava, ma era
alquanto difficile e più volte arrossii dimenticando le battute o dirigendomi
dalla parte sbagliata del palco. Fortunatamente c’era Daniele, che cercando di
non ridere eccessivamente riusciva a salvare la situazione. Conobbi anche sua
madre, una donna davvero simpatica. Mi ringraziò per aver riportato il buon
umore e la serenità a casa sua, era convinta che fosse merito mio se Daniele
era tornato a sorridere e in parte credevo di avere questo merito. Alla fine
dell’ultima scena, prima che il sipario si chiudesse celandoci nuovamente al
pubblico, mi alzai sulle punte e poggiai delicatamente le mie labbra su quelle
di Daniele, non capendo io stessa se quell’azione improvvisata fosse per i
protagonisti della sceneggiata o per la vita reale, in ogni caso veniva da me.
Era riuscito davvero a farmi vincere la timidezza!
Quello fu
un anno scolastico davvero speciale. Capii molte cose: innanzitutto che non si
devono giudicare le persone solo dalla prima impressione che ti fanno; poi che
se qualcuno ti sta vicino si può superare qualsiasi difficoltà, senza dover
necessariamente ricorrere a mezzi inopportuni. Ma soprattutto che tra amici ci
si può aiutare davvero tanto ed è importante avere accanto persone sincere. Uno
dei sentimenti più importanti è proprio la solidarietà, che fa parte
dell’amicizia, così come alla base di ogni rapporto ci deve essere la
sincerità. Da allora anch’io fui una persona leggermente diversa, più adulta
quasi.