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Autore: Alex91    09/11/2010    1 recensioni
Una volta ho letto da qualche parte che “L’amicizia è un bene prezioso dal valore inestimabile” ed io concordo in pieno! Non sarebbe la stessa cosa vivere la propria vita senza degli amici che ti stiano accanto sia nei momenti belli sia in quelli tristi.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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L'importanza dell'amicizia.

La suoneria della sveglia del telefonino mi svegliò subito, premetti un tasto e mi girai dall’altra parte. Cinque minuti più tardi trillò di nuovo, la spensi e mi misi a sedere sul bordo del letto stropicciandomi gli occhi. Mi alzai e mi diressi in bagno per prepararmi per quella giornata. Quella mattina era il primo giorno di scuola del quinto superiore. Fui pronta in fretta, salutai i miei genitori e presi il motorino. Era ancora presto quindi decisi di fermarmi al bar per fare colazione, parcheggiai il motorino tra le apposite strisce di lato alla scuola e attraversai la strada. Stavo per entrare nel bar, in quel momento però sulla porta un ragazzo che stava uscendo mi urtò la spalla, mi girai per guardarlo, ma lui continuò a camminare senza nemmeno una parola. Ma che caratteraccio! Almeno si fosse scusato... Entrai e ordinai il mio caffè con sopra una spolverata di cacao, nell’attesa mi guardai in giro, c’era qualche persona che conoscevo, li salutai con un cenno del capo o alzando una mano. Arrivò il mio caffè, il cameriere mi avvicinò anche dello zucchero, ma io lo rifiutai gentilmente e cominciai a bere dalla tazzina. Pagai e uscii, decidendo di entrare a scuola per vedere dove avevano collocato la mia aula quell’anno. Varcare quella soglia mi fece uno strano effetto quel giorno, sarebbe stato l’ultimo anno che avrei trascorso in quell’edificio. Gli anni passati non vedevo l’ora che arrivasse il momento in cui sarei uscita da questa scuola la volta definitiva per non doverci più tornare, ma adesso che tutto questo era così vicino l’idea un poco mi spaventava; sarebbe stata una svolta decisiva, avrebbe segnato la fine della mia vita da adolescente, sarei stata catapultata nel mondo degli adulti con tutte le responsabilità e le libertà che questo comportava. Ecco, forse era questo: avere troppa libertà mi faceva paura. Anche se ero sempre stata una persona molto responsabile, non credevo che gestire la mia vita sarebbe stata una cosa tanto facile dopo un cambiamento così drastico. Comunque, per il momento non volevo più pensarci. Mi avvicinai alla bacheca davanti alla quale c’era una grande folla intenta a controllare sulla mappa la sistemazione delle classi. Riuscii a infilarmi tra la moltitudine di ragazzi e vidi che la mia aula era al secondo piano. Cominciai a salire le scale, quando entrai mi accorsi che quasi tutti i miei compagni erano già dentro, li salutai con un sorriso, ma subito dopo mi andai a sedere all’ultimo banco della prima fila. Parlavano tutti tra loro con eccessivo entusiasmo, raccontandosi a vicenda che cosa avessero fatto durante l’estate. Non capivo cosa ci trovassero di tanto piacevole in questa giornata, per me era solo da depressione: stava cominciando un altro anno scolastico, altri duecentosettanta giorni che si sarebbero susseguiti uno dopo l’altro totalmente uguali; spiegazioni, interrogazioni, verifiche... in un ciclo continuo. Magari era aver ritrovato gli amici che non si vedevano da mesi, ma nemmeno da questo punto di vista mi entusiasmava tanto. Naturalmente con questo non voglio dire che non credo nell’amicizia, sia chiaro, ma solamente che gli amici, quelli veri, sono davvero pochi e si possono contare sulle dita di una mano. Una volta ho letto da qualche parte che “L’amicizia è un bene prezioso dal valore inestimabile” ed io concordo in pieno! Non sarebbe la stessa cosa vivere la propria vita senza degli amici che ti stiano accanto sia nei momenti belli sia in quelli tristi. La mia migliore amica aveva finito la scuola un anno prima, e tra pochi giorni sarebbe partita per una città del Nord per frequentare l’università. Ovviamente saremmo rimaste in contatto e speravamo che qualche volta saremmo pure riuscite a vederci.

-Ehi Vanessa!- mi salutò elettrizzata Alice. Era la persona con cui avevo legato di più in classe e rivederla mi aveva fatto realmente piacere, mi aprii quindi in un sorriso sincero, era capace di trasmettere la sua felicità alle persone che la circondavano. Era una ragazza molto estroversa e perennemente allegra.

-Ciao Alice!- mi alzai per abbracciarla e cominciammo pure noi a parlare di come erano trascorsi gli ultimi tre mesi. Dopo un poco lei decise di continuare a salutare il resto dei nostri compagni, tanto noi avremmo avuto modo di parlare durante le ore di lezione visto che eravamo compagne di banco. Tornai a sedermi, dopo aver poggiato la cartella per terra accanto alla sedia, notai un ragazzo che non mi sembrava di conoscere, seduto all’ultimo banco della fila opposta alla mia, aveva un piede appoggiato alla sedia e teneva un braccio piegato sul ginocchio, guardava fuori dalla finestra con aria assente, la sua espressione sembrava triste, ma forse era solo una mia impressione. Girò la testa di poco e alcune ciocche dei suoi capelli biondo cenere gli ricaddero davanti agli occhi. Aveva un che di familiare, ma in quel momento non riuscivo a collegare chi mi ricordasse. Fui costretta a distogliere lo sguardo perché entrò l’insegnante in classe. Cominciò una specie di discorso d’inizio anno, ci disse già che quell’anno sarebbe stato pesante e che avremmo dovuto studiare duramente in vista degli esami. Come se non lo sapessimo già! Presto smisi di prestare attenzione, non volevo che dal primo giorno mi mettessero l’ansia. Dopo qualche minuto il professore concluse con un “Ben tornati!”, lo disse con un tono che mi fece desiderare di essere rimasta a letto quella mattina. Cominciò a spiegare. Roba da matti! Nemmeno il tempo di rientrare nei ritmi scolastici. Il mio sguardo cominciò a vagare tra i banchi, sembrava fosse tornato tutto alla normalità, come se le vacanze non ci fossero mai state e che quei tre mesi appena trascorsi fossero già stati dimenticati. La mia attenzione si spostò di nuovo sul ragazzo all’ultimo banco, aveva il cappuccio della felpa nera tirato sulla testa, per coprire gli auricolari che aveva indossato. Si voltò e i nostri sguardi s’incrociarono. Per un attimo mi sembrò mi guardasse con astio, ma la sua espressione era strana, quasi come se fosse arrabbiato con il mondo intero. Tornò a guardare fuori dalla finestra, i nostri occhi erano stati in contatto forse solamente per pochi secondi, ma a me era sembrato molto di più. Presi un blocco notes dallo zaino e collaudai la prima pagina scrivendo il testo di una canzone che avevo sentito giusto quella mattina mentre prendevo il caffè. Improvvisamente ebbi un’illuminazione: era il ragazzo che mi aveva urtato fuori dal bar! Voltai di nuovo la testa verso sinistra, rimasi sorpresa: mi stava guardando. Tornai a scrivere sul foglio facendo finta di niente, ma sentivo il suo sguardo puntato su di me. Ma che cosa voleva? Ribadii la mia idea secondo la quale era un maleducato: non solo non si scusava se infastidiva qualcuno, ma fissava pure le persone! La prima ora era quasi terminata, il professore si ricordò di non aver fatto l’appello. Prese il registro e cominciò a leggere l’elenco di nomi che c’era nella prima pagina. Il nome proprio sopra al mio era quello del ragazzo. Si chiamava Daniele. Rispose con un “presente” distratto, la sua voce era profonda e calda. Dall’intera classe si alzò un leggero mormorio, possibile che non si fossero accorti prima di avere un nuovo compagno? Oppure stavano commentando qualcosa di quel personaggio così misterioso. Il professore dovette fare due volte il mio nome e Alice dovette darmi una leggera gomitata prima che io confermassi la mia presenza. Daniele si era voltato verso di me, forse incuriosito dalla mia disattenzione. Sotto quello sguardo le mie guance si colorarono di una tenue sfumatura di rosso. Alice mi fece una domanda alla quale io risposi stringendomi nelle spalle. Suonò la campanella che indicava la fine dell’ora e all’uscita del professore la classe diventò un vociare confuso, quasi tutti si alzarono cominciando a scherzare tra loro o semplicemente per riprendere i discorsi lasciati a metà poco prima. Qualcuno stava aspettando l’insegnante sulla porta curioso di sapere quale materia avremmo avuto la seconda ora del lunedì. Tra i pochi rimasti seduti c’era anche Daniele, non riuscivo a capire il motivo, ma c’era qualcosa che mi spingeva a girarmi verso di lui continuamente. Notai che anche lui guardava spesso nella mia direzione. Tutto sommato la giornata passò tranquillamente, la professoressa che aveva con noi un migliore rapporto fece qualche domanda a Daniele per essere gentile e per conoscerlo un poco meglio. Lui dava risposte secche e non sembrava contento di tutte quelle attenzioni. Era pure insolente! Si, mi stava decisamente antipatico... forse. Comunque ero solo riuscita a sapere che si era trasferito in città da qualche settimana e che aveva frequentato lo stesso tipo di scuola gli anni precedenti. Finalmente passarono tutte e cinque le ore e l’ultima campanella segnò la fine delle lezioni.

Le prime settimane trascorsero lente; noiose e monotone come avevo previsto. Daniele mi affascinava sempre di più però. Forse ero solo incuriosita dalla novità. Eppure non avrebbe dovuto farmi questo effetto; più volte l’avevo visto rispondere male ai professori o maltrattare i ragazzi delle classi inferiori, sarei dovuta essere disgustata dal suo comportamento, non incuriosita e attratta da lui. Inizialmente credevo fosse solamente un bullo presuntuoso, che voleva farsi notare a tutti i costi risultando “fico” agli occhi degli altri ragazzi, ma mi accorsi invece che era proprio il contrario, faceva di tutto per passare inosservato. Spesso giudichiamo le persone senza conoscerle realmente, ma non sappiamo perché si comportano in un certo modo. Per questo credo che mi sarebbe piaciuto conoscerlo un po’ meglio; per comprenderlo. Lui però se ne stava sempre sulle sue e aveva perennemente quell’espressione, affranta?, sul volto. Nonostante questo il suo sguardo era magnetico. Ogni giorno dai nostri banchi intraprendevamo un gioco di sguardi, ma ancora non c’eravamo mai rivolti la parola. Raramente sentivo la sua voce, soltanto quando i professori facevano l’appello o gli rivolgevano una domanda. In quelle occasioni comunque quella voce m’incantava. La prima volta che ci parlammo era un’umida mattina d’inizio Ottobre. Stavo per entrare a scuola, quando vidi Daniele che litigava con un altro ragazzo vicino al parcheggio. Pretendeva che lui spostasse il motorino perché quello era il posto del suo. Ma dove stava scritto?! Mi avvicinai e gli dissi di lasciare in pace il ragazzo, che c’erano tanti altri posti liberi. Gli chiesi pure per quale motivo si comportasse in quella maniera.

Inizialmente sembrò sorpreso di vedermi reagire così, ma poi mi rispose calmo. -Questo è il posto del mio motorino, dal primo giorno l’ho sempre parcheggiato qua. Sai, la legge della giungla dice che sopravvive il più forte, se mi facessi mettere i piedi in testa una volta, poi succederebbe sempre-.

Il cuore mi martellava forte nel petto, credo che la causa fosse la sua vicinanza, non avevo mai avuto il suo viso a quella distanza, e la profondità della sua voce, mi ripresi subito però. -Ma tu non vivi nella giungla! Puoi comportarti in maniera civile con le persone-. Quello che non mi aspettavo proprio era la sua reazione, cominciò letteralmente a urlarmi contro.

-Cosa ne sai tu di me?! Della mia vita? Fatti gli affari tuoi e non t’immischiare in questioni che non ti riguardano!- si diresse a passo spedito verso l’istituto, lasciandomi impalata a bocca aperta a fissare il punto dove un attimo prima c’era lui. Rimasi letteralmente sbigottita, quasi non sentì il ragazzo del motorino che mi ringraziava e si scusava, sentendosi in colpa per essere stato la causa del nostro litigio. Quella mattina non mi voltai a guardarlo nemmeno una volta. Poco prima di farci preparare per uscire, la professoressa d’inglese ci comunicò che avremmo dovuto fare dei lavori in coppia e cominciò a spiegarci in cosa consistevano. Io e Alice ci stavamo già mettendo d’accordo per le giornate nelle quali avremmo potuto incontrarci, così come la maggior parte dei nostri compagni che aveva già deciso con chi avrebbe lavorato, ma la professoressa ci interruppe e ci disse che gli abbinamenti li avrebbe fatti lei in base all’elenco. Mi feci velocemente un calcolo. Sarei stata in coppia con Daniele! Pensai di chiedere all’insegnante se potevo fare a cambio con qualcun altro, ma poi decisi che non avrei detto niente. Forse sarebbe stata una buona occasione per parlare. Sempre se sarei riuscita a superare l’imbarazzo dopo l’episodio di qualche ora prima. Mi voltai verso di lui per vedere la sua reazione, ma quando la professoressa accostò il suo nome al mio, rimase impassibile. Prese lo zaino e se lo mise in spalla dirigendosi verso la porta, solo allora mi accorsi che la campanella stava suonando. Gli andai dietro e senza chiamarlo gli chiesi quando ci saremmo visti.

-Domani mattina a scuola!- mi prese in giro senza voltarsi, pronunciando la frase con tono beffardo come se fosse stata una cosa logica. Lo lasciai perdere e mi diressi verso casa, capendo che per quel pomeriggio non aveva intenzione di studiare inglese con me. Mi chiesi se fosse stato il caso di svolgere il compito da sola, ma rimandai per il momento, tanto non era urgente.

Il giorno dopo mi si avvicinò all’uscita, mi disse: -Oggi pomeriggio alle quattro sul lungomare- e aggiunse il punto esatto dove ci saremmo incontrati, poi se ne andò. Non mi chiese nemmeno se ero libera, non era una domanda la sua, sembrava un’imposizione! Fui tentata a non presentarmi, ma l’idea di passare qualche tempo da sola insieme con lui mi allettava parecchio. Arrivai un quarto d’ora prima, mi accomodai sul sedile in pietra e tirai fuori dalla cartella il libro di testo. Non lo vidi avvicinarsi finchè, stando in piedi a pochi centimetri da dove ero seduta, non mi disse: -A me non interessa niente di questo stupido compito d’inglese!-.

-Nemmeno a me- risposi con noncuranza continuando a leggere e annotando su un foglio quello che mi sarebbe potuto servire. Alzai la testa fino a incrociare il suo sguardo -Però dobbiamo farlo. Ed io ho intenzione di consegnare un buon lavoro. Se tu vuoi collaborare bene, se no per me non ci sono problemi-. Lo vidi un attimo incerto su cosa fare, poi abbassai di nuovo la testa sul libro e lo sentì sedersi accanto a me. Sorrisi senza farmi vedere. La psicologia inversa funzionava sempre. Gli avvicinai il libro e presi un foglio di quaderno, dove cominciai a scrivere un titolo. Il primo incarico che ci aveva dato la professoressa era di tracciare l’albero genealogico delle dinastie al potere in Inghilterra dalla fine del quindicesimo secolo alla fine del diciassettesimo e indicare gli avvenimenti più importanti che si erano svolti sotto il loro regno. Facile. Scrissi il nome del primo re Tudor e feci partire da esso le frecce per i collegamenti. Chiesi a Daniele se gentilmente poteva sfogliare le pagine del libro fino al paragrafo che parlava di Enrico VII, ma lui non mi rispose altrettanto gentilmente. Sorrisi di nuovo, continuai a scrivere, non mi serviva realmente il testo, volevo solo vedere la sua reazione. Questa volta lo vide il mio sorriso e restò a guardarmi per un tempo che mi sembrò infinito. Sentivo il suo sguardo indagatore che mi squadrava dalla testa ai piedi. Ne fui un poco infastidita, ma non lo diedi a vedere.

-Perché in classe la mattina stai sempre in disparte?- mi chiese dopo un poco.

La mia penna smise di scivolare sulla pagina. -Potrei farti la stessa domanda- risposi guardandolo, vidi l’ombra di un sorriso formarsi sulle sue labbra. Restammo di nuovo in silenzio, ma questa volta non mi sentivo in imbarazzo e non mi dava nemmeno fastidio. Era un silenzio piacevole. Continuai a scrivere per circa un’oretta, nel frattempo vidi che Daniele aveva cominciato a sfogliare il libro di letteratura inglese.

-Facciamo una pausa?- mi chiese -Ti va un gelato?-

-Sei stanco perché hai studiato troppo?- scherzai, ma mi alzai posando nella cartella tutte le mie cose e il compito d’inglese quasi finito.

Mi sorrise! Era la prima volta che lo vedevo sorridere, quasi credevo non ne fosse capace... Gli si illuminò praticamente tutto il viso con quel sorriso. Non potei fare a meno di ricambiare.

Mi offrì il gelato, durante la passeggiata parlammo molto, era la prima conversazione civile che intraprendevamo! Finalmente riuscì ad aprirsi con me, in qualche modo ero riuscita a conquistarmi la sua fiducia. Mi raccontò di lui, mi disse che prima del trasferimento non si comportava mai così, era diverso; aveva voglia di stare sempre in compagnia, rideva sempre ed era un tipo allegro. In seguito alla separazione dei genitori però era cambiato, non aveva più l’entusiasmo di vivere di un tempo. Si sentiva la causa del loro divorzio e questo lo fece cadere in una sorta di depressione, non cercava più gli amici, aveva paura di poter rovinare anche la vita di chi gli stava vicino. Continuò a parlare per un sacco di tempo, finalmente riuscivo a capirlo, mi sentivo vicina a lui in qualche modo, speravo di poterlo aiutare a superare questa fase oscura in cui era sprofondato.

Quando finì, restò in silenzio a guardare verso l’orizzonte. Cercai sul suo volto segni di pentimento per avermi resa così partecipe della sua vita, dei suoi problemi, ma non ne trovai. Sembrava invece sollevato, come se si fosse tolto un peso. Si girò e mi sorrise, io ricambiai inspiegabilmente contenta.

-Tu però non hai ancora risposto alla mia prima domanda-

Lo guardai senza capire, cercando di fare mente locale e ricordare quale domanda mi avesse fatto.

Lui notò la mia confusione e rise leggermente, piano, per non offendermi magari. -Come mai stai sempre in disparte in classe?- mi ripetè la domanda che mi aveva fatto qualche ora prima. Ripensandoci mi stupii, erano passate ore! Il tempo sembrava essere volato. Comunque gli risposi che sinceramente non lo sapevo nemmeno io, forse era in parte per la mia timidezza, anche ben celata dal mio comportamento distaccato, stavo per i fatti miei e non mi piaceva stare al centro dell’attenzione. Adesso era il mio turno di parlare, e il suo di fare le domande. Non c’era molto da dire, ma mi chiese dei miei hobby, delle mie passioni, di ciò che preferivo e quello che invece non mi piaceva. Si fece tardi, gli dissi che sarei dovuta tornare a casa. Lo salutai, ma prima di andarmene gli diedi il lavoro d’inglese che avevo svolto quel pomeriggio e gli dissi che era meglio se imparava almeno quelle cose.

-Potrei anche decidere di non venire a scuola domani- mi provocò. -Cosa faresti poi tu senza il compito?-

-In qualche modo me la caverei- gli sorrisi. Ricambiò e ci salutammo.

Il giorno dopo era a scuola, aveva addirittura completato la parte del compito che era rimasta incompiuta.

Successivamente mi accorsi che piano piano riuscì ad ambientarsi meglio pure in classe, con me era molto più solare, ma faceva progressi anche con il resto dei nostri compagni. Stava tornando il ragazzo che era prima, che io non avevo mai conosciuto, ma che ero riuscita a intravedere dietro quella patina d’indifferenza di cui si era avvolto e che in qualche modo io ero riuscita a penetrare.

Mi convinse pure a iscrivermi alla recita scolastica che ci sarebbe stata alla fine dell’anno, diceva che per la timidezza era un buon rimedio. Io non avrei mai partecipato, ma me la pose come una sfida e mica potevo rifiutare! Naturalmente feci iscrivere pure lui, ignorando le sue proteste come lui aveva fatto con le mie. Partecipammo ai provini per due comparse, ma ci fecero sapere che avremmo recitato nei ruoli dei due protagonisti! Al momento di quella comunicazione avevo avuto voglia di massacrare Daniele, era solo colpa sua! Lui e quella maledetta sfida! Nonostante la mia irritazione iniziale, cominciammo a provare le parti assieme e in fondo ci divertimmo pure.

Arrivò l’ultimo giorno di scuola. Io ero nervosissima, lui guardandomi rideva cercando di non farsi notare. La rappresentazione comunque andò relativamente bene, cercavo di non pensare alla sala piena di persone che mi guardava, ma era alquanto difficile e più volte arrossii dimenticando le battute o dirigendomi dalla parte sbagliata del palco. Fortunatamente c’era Daniele, che cercando di non ridere eccessivamente riusciva a salvare la situazione. Conobbi anche sua madre, una donna davvero simpatica. Mi ringraziò per aver riportato il buon umore e la serenità a casa sua, era convinta che fosse merito mio se Daniele era tornato a sorridere e in parte credevo di avere questo merito. Alla fine dell’ultima scena, prima che il sipario si chiudesse celandoci nuovamente al pubblico, mi alzai sulle punte e poggiai delicatamente le mie labbra su quelle di Daniele, non capendo io stessa se quell’azione improvvisata fosse per i protagonisti della sceneggiata o per la vita reale, in ogni caso veniva da me. Era riuscito davvero a farmi vincere la timidezza!

Quello fu un anno scolastico davvero speciale. Capii molte cose: innanzitutto che non si devono giudicare le persone solo dalla prima impressione che ti fanno; poi che se qualcuno ti sta vicino si può superare qualsiasi difficoltà, senza dover necessariamente ricorrere a mezzi inopportuni. Ma soprattutto che tra amici ci si può aiutare davvero tanto ed è importante avere accanto persone sincere. Uno dei sentimenti più importanti è proprio la solidarietà, che fa parte dell’amicizia, così come alla base di ogni rapporto ci deve essere la sincerità. Da allora anch’io fui una persona leggermente diversa, più adulta quasi.

   
 
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