Ahn.
Questa cosaccia mi è sorta spontanea, adorando questo film. Purtroppo non ho (ancora) avuto il piacere di leggere il libro ma provvederò prima possibile. Intanto beccatevela: è una sorta di missing moment, o diciamo una personale rivisitazione di uno stralcio della pellicola che mi è particolamente caro.
Spero di non tediarvi.
suni
(Prego, perdonate le eventuali imprecisioni, e se volete segnalatemele. Grazie)
(Jack) Quattro anni (Ennis)
Non
aveva nessuna maledetta ragione di andare a Riverton, in
realtà.
Eppure quando aveva letto – trovandolo per caso,
perché ormai in
un certo senso aveva quasi smesso di sperarci - il cognome
“Del
Mar” e l'indirizzo, aveva saputo con certezza che ci sarebbe
andato
entro massimo due settimane, perché erano quattro anni che
non
aspettava altro.
Scrivere
la cartolina che gli annunciava la sua visita era stato qualcosa di
logico, inevitabile. Un gesto spontaneo come lo stesso respirare,
compiuto senza la minima incertezza nell'istante immediatamente
successivo alla scoperta.
Soltanto
dopo averla spedita gli era precipitata addosso la
frana del
dubbio e dell'insicurezza: erano passati quattro anni dal monte
Brokeback, Ennis si era sposato, certo aveva dei figli e una vita
strutturata; per quanto tutto il suo essere gli dicesse che quello
che avevano vissuto era più forte del silenzio lunghissimo
che li
aveva divisi, Jack era consapevole che quello poteva essere soltanto
il suo punto di vista, e che magari per Ennis era
diverso.
Magari non ricordava nemmeno più bene la sua faccia, magari
ricevere
la cartolina gli avrebbe riportato alla memoria fatti che preferiva
dimenticare, forse era persino pentito di quello che li aveva legati
durante quella breve estate di anni prima.
Non
gli riusciva realmente di crederlo, ma il pensiero lo perseguitava
comunque come un incubo minaccioso. Non era mai stato così
consapevole dell'errore che era stato sposare Lureen, mettere su
famiglia e intraprendere una carriera che lo allontanava soltanto dai
suoi veri desideri. Non aveva mai percepito tanto nitidamente di
essersi cucito addosso un costume che non era suo, di aver agito,
parlato e persino pensato nelle vesti di qualcuno che non era lui.
Quando
aveva capito che Ennis non sarebbe tornato a Brokeback e si era
scontrato col fatto di non poterlo rintracciare, era stato come se
nella sua testa si fosse spento un interruttore. Come se la
frustrazione di quella speranza vana fosse stata così
insopportabile
da spingerlo a sotterrarla sotto una parvenza di normalità
troppo
fragile dietro cui ripararsi dalla delusione. Eppure era stata
proprio quella stessa speranza a dargli la forza di farlo,
perché da
qualche parte non si era mai sopita.
Era
rimasta dentro di lui, sepolta dall'urgenza del quotidiano, una
qualche assoluta certezza del fatto che presto o tardi, in qualche
modo, lui ed Ennis si sarebbero rivisti. Era quello che si erano
detti salutandosi, comunque, e per quanto si fosse trattato di una
frase fatta, dettata dal disagio, Jack l'aveva presa come una
promessa.
Jack
Twist non credeva al destino, credeva soprattutto nella
volontà
umana; eppure in quel caso gli sembrava – e la cosa lo faceva
ridere di se stesso – che ci fosse qualcosa di superiore che
aveva
voluto far incontrare lui ed Ennis; qualcosa che, sicuramente, aveva
previsto per loro un nuovo contatto.
Nonostante
questo, comunque, aveva passato i giorni successivi in uno stato di
ansia talmente febbrile che persino sua moglie, nonostante fosse
presa dal piccolo Bobby, non aveva potuto evitare di notarlo.
Interrogato, Jack aveva accampato una scusa strampalata che
incrociava un sedicente male al ginocchio – colpa del rodeo,
senz'altro – con le inquietudini della sua nuova condizione
di
padre.
Lureen,
ignara, aveva addirittura ipotizzato che forse il male al ginocchio
era proprio una manifestazione fisica di quelle stesse
preoccupazioni, e Jack aveva dato mostra di prendere quell'idea per
buona. Ma non era vero. Non aveva affatto male al ginocchio. Non era
mai stato così conscio di avere ossa, muscoli,
articolazioni, vene e
nervi che pompavano irrequietudine a un ritmo frenetico, ma non aveva
male da nessuna parte. Solo ogni tanto allo stomaco, quando lo
sfiorava l'idea che Ennis non rispondesse affatto alla sua cartolina.
E
invece un venerdì mattina, dopo un'ulteriore notte trascorsa
ad
agitarsi in uno strano stato di ansioso dormiveglia che lo lasciava
rimbecillito per tutto il giorno, la risposta arrivò.
In
una grafia discontinua, irregolare, Ennis gli aveva scritto appena
una frase, ermetica come lui stesso: puoi scommetterci.
Due parole, due soltanto: eppure a Jack parve, leggendole, che
bastassero a riempirlo e sommergerlo. Le lesse e rilesse col cuore
che pulsava nella testa, col respiro affannato di stupore e di una
gioia perfetta e infantile che quasi lo portò alle lacrime.
Si
dovette sedere per riuscire a respirare meglio e adesso sì
aveva
male, non solo al ginocchio ma dappertutto, come se per quattro anni
non avesse fatto altro che correre e dimenarsi e solo ora,
finalmente, potesse concedersi il tempo di prendere fiato.
Stava
per rivedere Ennis. Proprio di lì a poco, appena qualche
giorno; e
già gli sembravano tantissimi, sarebbe stato molto meglio se
fosse
successo subito, in quello stesso istante: dopo un'attesa tanto
lunga, l'idea di dover aspettare ancora un solo altro minuto pareva
peggiore di tutto il resto.
Lo
sfiorò addirittura l'idea di saltare in macchina
immediatamente e
anticipare la visita, fare un'improvvisata: ora che sapeva per certo
che anche Ennis era propenso a rivederlo gli sembrava di poter fare
qualunque cosa. Costruire una casa sul fiume, o vicino al ranch dei
vecchi, e portarlo lì. Domani, tra un mese, non aveva
importanza.
Avrebbe messo in piedi anche un'intera città, se fosse
servito allo
scopo: nessuno sforzo gli pareva eccessivo.
Poi
gli tornò un barlume di lucidità, momentaneamente
sopita
dall'entusiasmo viscerale, e si rese conto che sarebbe stato un
tantino inopportuno. Non avrebbe avuto senso, e poi c'era pur sempre
la possibilità che Ennis avesse accettato di incontrarlo
semplicemente per cortesia, sebbene non fosse mai stato quel che si
potesse definire un rigido gentiluomo. Ma no, si disse lui stesso, di
nuovo stringendo la lettera: se così fosse stato Ennis
avrebbe messo
le mani avanti, gli avrebbe proposto magari di cenare con lui e la
signora Del Mar.
No,
quel puoi scommetterci
poteva voler dire soltanto che anche l'altro la pensava come lui. Non
era una certezza ma Jack decise di mutarla in tale, perché
aveva il
dono raro di trasformare i propri sogni in sensazioni tangibili, e di
crederci assolutamente: e per questo il giovedì successivo
si mise
al volante in uno stato di euforia ubriaca che gl'impediva di
smettere di sorridere come un folle per un solo secondo. Il viaggio
fu lunghissimo e rapidissimo insieme, diviso tra l'allegria
più
isterica e l'ansia dell'incontro. Non sapeva cosa dire, né
come
comportarsi. Certo in un primo momento sarebbe stato imbarazzante,
dopo tutto quel tempo, forse non avrebbero saputo cosa dirsi. Ennis
se ne sarebbe rimasto sulle sue, con mani cacciate in tasca e la
testa incassata, e a lui sarebbe toccato rompere il ghiaccio, ma non
aveva idea di come.
In
qualche modo l'avrebbe fatto, si diceva. E sorrideva ancora,
ingranando le marce come alla guida di un autosnodato.
Aveva
ventitré anni e tutta l'intenzione di passarne almeno il
triplo a
non fare nient'altro che spartire il mondo con Ennis Del Mar.
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Quando
Alma gli aveva chiesto se conoscesse un certo Jack, non aveva pensato
a nessuno in particolare. Era un nome comunissimo, l'America
pullulava di Jack e nella sola Riverton ne conosceva almeno un paio.
Non ci sarebbe stato nessun motivo di pensare proprio a quel
Jack, sebbene in effetti fosse diverso da qualunque altro Jack sulla
terra.
Poi
Alma si era spiegata, lui aveva capito e, mentre la cartolina
mostrata da sua moglie diventava il centro del suo campo visivo e di
tutto lo stramaledetto universo, la consapevolezza che non poteva
trattarsi di nessun altro che Jack Twist e che avrebbe dovuto
arrivarci subito lo aveva investito tempestiva. Si era avventato sul
cartoncino come un assetato sul rigagnolo d'acqua e improvvisamente
si era svegliato.
Quell'improvvisa adrenalina in tutto il corpo e la sensazione di
ritornare a galla non potevano definirsi altrimenti, né
l'impressione che tutto diventasse più nitido e una sorta di
patina
incolore svanisse. Se era riuscito a rimanere relativamente calmo
davanti ad Alma era soltanto perché per una volta la sua
cronica
incapacità di esternare le emozioni gli era stata d'aiuto,
anziché
costituire più che altro un impiccio.
Ma quando era uscito per andare alla posta e il non mettersi a
saltellare
per strada era stata una faccenda molto più complessa
persino per
lui. Lo aveva impedito soltanto la necessità di rimanere ben
ancorato a terra, di mantenere il contatto fermo con la
realtà: lui
era Ennis Del Mar, quell'altro era il fottuto Jack Twist, tutto
quanto era assurdo e forse si sarebbero incontrati solo per una birra
e invece no, perché già le sue mani faticavano a
stare ferme alla
sola idea di averlo davanti.
Quando
l'aveva visto sparire con la sua camionetta, di ritorno dal
Brokeback, Ennis si era sentito così male da vomitare. Gli
s'era
rotto qualcosa nei polmoni e non aveva più respirato nemmeno
singhiozzando e picchiando il muro, smarrito come non era mai stato
nella vita, neanche quand'era rimasto orfano. Era stato un senso di
perdita talmente violento e angosciante che conviverci sarebbe
risultato inaccettabile. L'unica opzione possibile era stata
rimuoverlo, sradicarselo di dosso e immergersi nella vita che gli
toccava, in Alma, nella prima gravidanza e poi nella seconda. Ci
aveva pensato sempre più raramente fino a smettere di farlo
del
tutto, perché ogni volta faceva troppo male e
perché in fondo era
inutile: non poteva portare da nessuna parte e sarebbe stato molto
meglio per tutti e due non incrociare mai più il rispettivo
cammino.
Aveva trasformato l'estate sul monte Brokeback in una sorta di strano
e aberrante sogno che aveva fatto una volta e che non lo riguardava
più.
Eppure,
ora che l'idea di vedere Jack era diventata reale e tangibile, non se
ne ritraeva affatto. Anzi, nemmeno era più consapevole di
qualcosa
che non fosse il fatto che l'avrebbe incontrato. Di colpo ritrovava
un pezzo di se stesso che aveva occultato e che era più vero
e
genuino di tutto il resto, tanto da non saperlo affrontare.
E
non lo aveva fatto, perché non ne era capace. Non aveva
fatto
previsioni né ragionato sui come e sui perché,
né ipotizzato
l'andamento dei fatti. L'idea lo bloccava e non si poteva analizzare
la cosa che lo spingeva verso Jack, gli era impossibile darle un nome
o attribuirle una natura, non ci si poteva raccapezzare. Lo metteva
persino a disagio se si soffermava a rifletterci, perciò
aveva
trascorso la settimana concentrandosi su tutto il resto, Alma, le
bambine, il lavoro, non un istante di tregua per non vaneggiare.
La
mattina del ventiquattro, però, non c'era stato modo di
alzarsi dal
letto in uno stato normale. Non aveva fatto che agitarsi per tutto
tempo, dentro se stesso, tanto da sfiorare l'implosione. Si muoveva
meccanicamente, fissava in tralice i muri e la finestra.
Si
era vestito bene, pettinato, sbarbato. Era stato stupido ma era
successo quasi da sé, aveva finto di non notare la
perplessità di
Alma, glissato sulle sue domande, ingurgitato birra mentre le
lancette sembravano non avanzare mai e la sua mente restava ancorata
unicamente sul pensiero che di lì a poche ore Jack Twist
sarebbe
stato lì di fronte a lui. Non c'era altro. Era ridicolo, ma
non
c'era davvero niente altro.
E
poi Jack arrivò.
Ennis
aveva sentito il rumore della macchina che si fermava e si
catapultò
alla finestra, sentì i muscoli del proprio viso stirarsi in
un
sorriso che gli nasceva dal profondo mentre guardava la portiera che
si apriva e la sagoma inconfondibile che ne sgusciava fuori, i
capelli scuri, i gesti fermi ma irrequieti – non aveva idea
di
quanto in quel momento muovere ogni singolo muscolo, per Jack,
rappresentasse uno sforzo quasi sovrumano.
Jack
si appoggiò alla portiera dell'auto nella sua tipica maniera
svagata, o almeno gli parve, – era più che altro
tramortito, in
realtà, ed estremamente concentrato nel far entrare ed
uscire l'aria
dai polmoni al giusto ritmo – ed Ennis si scagliò
fuori come se
una volontà non sua, e molto più intensa, lo
attirasse
irrevocabilmente, con una risata incastrata nella gola e un
formicolio diffuso in tutta la sua persona. L'idea di non sapere come
affrontarlo lo sfiorò per un millesimo di secondo, poi Jack
sollevò
la testa – fortunatamente l'ombra dovuta alla tesa del
cappello
camuffò un improvviso e cinereo pallore –
rivelando l'azzurro
sterminato degli occhi che, realizzò Ennis in quel preciso
momento,
gli erano mancati follemente, e andò tutto al suo posto da
sé.
“Jack
fottuto Twist,” diceva la sua voce con musica di riso, e le
gambe
galoppavano giù per la scala, e anche Jack sorrideva dal
di dentro, era
stupido ma ad
Ennis sembrò esattamente così, e andandosi
incontro ebbero
evidentemente entrambi la stessa necessità impulsiva e
sublime,
perché mossero contemporaneamente le braccia per cercarsi e
trovare
il corpo agognato al posto del vuoto, tepore di carne e ansito di
sollievo, abbracciati stretti come animali.
E
respirarono, finalmente, per la prima volta da quattro anni.