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Autore: Nenredhel    12/11/2010    3 recensioni
Uno specchio non può fare altro che riflettere ciò che si trova davanti, non può mentire, ma solo dire la verità. E come non seguire, allora, i suoi consigli? Eppure, la verità può essere infida.
Niente di ciò che ho detto è vero, non perché non sia vero, ma perché l’ho detto
Non sono propria sicura che questa sia un favola, ma sicuramente ci va molto vicino...
Genere: Drammatico, Fantasy, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non sono del tutto sicura che questa sia una favola, ma mi è sembrato che questa sezione fosse la più indicata per questa strana storia.

E' la prima volta che provo a scrivere qualcosa di simile ad una favola, e per questo le recensioni e le critiche non sono solo bene accettate, ma assolutamente desiderate.

In sostanza: vi prego recensite, consigliate, ditemi cosa ne pensate!

Buona lettura...

~~~

Andrè di S. barcollò sgraziatamente fuori dalla sudicia porta di una delle peggiori bettole della città. Fece solo qualche passo incerto nell’oscurità densa della notte, interrotta da qualche sparuta fiammella sui lampioni, prima di crollare nella fanghiglia della piccola strada secondaria. Rotolò sulla schiena per trovare la forza di rialzarsi, e la candida camicia di seta si imbrattò anche più di quanto già non lo fosse.

Le gambe parevano non volerne sapere di reggerlo, e niente da stupirsi visto lo straordinario puzzo degli alcool più vari che emanava il giovane.

Non era ancora riuscito a rialzarsi quando un tanfo di fogna e membra umane colpì le sue delicate e giovani narici, mentre delle mani grosse e decisamente poco gentili lo frugavano impietosamente, alzandolo e rigettandolo nel fango come fosse una bambola.

- Ehi… che cosa… - biascicò il ragazzo, tanto per far sapere alla masnada di essere ancora vivo, ma la cosa non sembrò interessarli.

Quando si resero pienamente conto del tipo di persona che avevano tra le mani, e soprattutto del fatto che era cosciente, sembrarono andare in solluchero. Ridendo sguaiatamente, forse pregustando l’odore del sangue, cominciarono a menare calci alla cieca.

Quanto più Andrè urlava e si lamentava, tanto più quelli ci prendevano gusto e ci davano dentro con calci e sputi. Infine, qualcuno entrò nella locanda e ne uscì con un grosso bastone di legno nella mano, seguito da altre persone che sembravano ansiose di assistere, se non di partecipare, al pestaggio.

Una sola, fra loro, sembrava inorridire, e si tenne discosta dal gruppetto, finché non vide il tizio con il bastone avvicinarsi al ragazzo riverso a terra e gemente, pronto a finirlo a randellate. Solo allora, la ragazza, con la sua profonda scollatura e il suo sporco abito dai colori sgargianti, urlò.

- La polizia! La polizia! Via tutti! - gridò con quanto fiato in gola, correndo in mezzo al gruppetto e mettendo tanta agitazione nella stradina che nessuno si preoccupò di controllare se stessero realmente arrivando i gendarmi.

Tutti si preoccuparono solamente di darsi alla fuga a gambe levate, ansiosi di mettere più spazio possibile fra loro e il giovane rantolante.

Dopo che la ragazza ebbe controllato che tutti fossero andati via e che lei non avrebbe corso quindi alcun pericolo, si accucciò a fianco al malcapitato, prima di tutto controllando se fosse ancora vivo, quindi cercando di indurlo a rialzarsi.

- Avanti, signor Marchese - lo esortò, usando il suo titolo come vi fosse avvezza da lungo tempo, unica ad averlo realmente riconosciuto, per fortuna – Non siete ridotto poi così male. Alzatevi e andiamo a trovare una carrozza - così dicendo lo tirava per il braccio, per convincerlo ad alzarsi sulle sue gambe.

Quando finalmente fu in piedi, la ragazza si mise il suo braccio attorno alle spalle, e passando il proprio intorno al suo busto cercò in qualche modo di reggere l’alta statura del ragazzo sulle proprie fattezze minute, mentre lo trascinava in qualche modo fino al viale più vicino.

- Grazie ragazza… - biascicò Andrè, mentre si trascinava tra fango e ciottoli sconnessi, guardando finalmente in faccia la sua giovane salvatrice.

- Michelle - replicò lei, mentre raggiungevano il grande boulevard, risplendente di luci perfino a quell’ora della notte, come a puntualizzare che il minimo che lui poteva fare, dopo che gli aveva salvato la pelle, era ricordarsi il suo nome.

Lì, come ogni volta, attendeva la sua carrozza.

~~~

Il Marchese Andrè di S. stava ritto in piedi davanti al prezioso specchio dalla cornice dorata, alto quanto la sua persona e decisamente più grande ed imponente. Un servo, impettito quasi quanto il suo padrone, stava terminando di allacciargli la raffinata blusa di prezioso tessuto blu scuro ed intessuta di ricami di fili d’argento, sistemandogli poi la sciarpa di seta bianca che sbuffava dall’alto colletto stretto, leggiadra e vaporosa come voleva la moda di corte.

Quando, infine, il servo terminò di circondargli la vita con una sottile cintura, al quale era legato uno spadino che a tutto poteva servire meno che a difendersi, carico com’era di gemme ed intarsi, il giovane nobile si rimirò allo specchio, girandosi parzialmente da un lato e dall’altro, e quindi congedando il servitore con un sorriso.

- Grazie Jacque - disse con la sua voce distratta cortese.

Ottimamente bardato per il ricevimento, Andrè gettò uno sguardo oltre le ampie vetrate delle finestre del suo salottino privato, sospirando di noia, prima di voltarsi per scendere ai piani inferiori, dove l’attendevano gli altri servitori e la carrozza che lo avrebbe trasportato a Versailles.

Non fece un passo in direzione della porta che una voce stranamente familiare lo richiamò, poco dietro le sue spalle.

- Ehi tu! Dove credi di andare? -

- Chi osa…? - esclamò il Marchese, poco convinto, ruotando nuovamente su se stesso per andare a guardare alle sue spalle, e scrutando quindi l’intera camera come cercando il malfattore che si era introdotto senza permesso nel suo salottino e aveva avuto l’impudenza di parlargli a quel modo.

Tutto, però, appariva tranquillo. La stanza era immersa nelle ombre della sera inoltrata, solo la fioca a tremula luce delle lampade a olio illuminava lo sfarzo degli ori che ornavano i mobili e le pareti della stanza. Molti erano gli angoli bui, e nonostante non si sentisse muovere un alito, il giovane nobile non ne era affatto rassicurato.

Si sentiva, anzi, come se un mostro enorme, oscuro e sfuggente come fumo, dovesse saltare fuori ed assalirlo, da un momento all’altro, proprio dalle ombre che stava guardando, staccandosi da esse, composto della loro medesima sostanza.

Irritato ed irrequieto, stava per voltarsi nuovamente, deciso a lasciare il prima possibile quella camera inquietante, e a scappare in carrozza dal quella paura innominabile, in agguato appena oltre il limite della sua visuale, quando la voce familiare parlò di nuovo.

- Ma dove stai guardando? Sono qui! - lo apostrofò nuovamente, con un tono ironico che era una chiara presa in giro.

Per un secondo, il giovane si irrigidì, quindi si voltò nuovamente, di scatto, pronto a cogliere alla sprovvista chiunque si stesse prendendo gioco di lui, ma ancora una volta la stanza apparve tranquilla e vuota. Stava iniziando a sudare freddo, e come per uno strano istinto di vanità o chissà che altro, tornò a cercare la propria immagine nello specchio, quasi che il freddo ed impersonale riflesso potesse mostrargli se stava veramente uscendo di senno come sembrava.

Fissò la propria elegante figura per alcuni secondi, prima di rendersi conto di quello che, perfino nella sua immagine riflessa, lo inquietava. Quello era lui, i suoi preziosi abiti, il suo viso reso pallido dal trucco, i suoi scuri capelli mossi raccolti ordinatamente in un nastro blu sulla nuca, i suoi profondi e brillanti occhi neri, ma quello che vedeva sulle sue labbra sottili era un ghigno che lui non aveva mai prodotto, e certamente non stava facendo in quel momento.

Il ragazzo sentì il poco colore che gli era rimasto sulle gote abbandonarlo, rendendolo, certo, il prototipo del perfetto colorito nobiliare, ma anche portandolo al limite dello svenimento.

La figura nello specchio fece un inchino, impeccabile secondo l’etichetta di corte, quindi allargò le braccia come in atto di presentare una scena, o una compagnia di persone:

- Mio caro signor Marchese, vi presento voi stesso! - annunciò teatralmente, rendendo chiaro che stava presentando solo se stesso, quindi sogghignando senza ritegno aggiunse – O meglio, il riflesso di voi stesso, che non è la stessa cosa -

Andrè fece un passo indietro, gli occhi sbarrati per il terrore, nel cuore la certezza che quello che gli stava parlando fosse il demonio in persona.

- Suvvia, mio buon Marchese, non vorrete svenire o peggio, fuggire come un codardo! - lo canzonò nuovamente il Riflesso, parlando con la sua stessa voce – Che direbbero di voi a Versailles, se sapessero che siete scappato di fronte ad un innocuo specchio? -

- Che cosa sei? - riuscì a balbettare il giovane nobile, fissando con terrore la sua immagine che gli parlava in quel modo insolente.

- Mi pareva che questo l’avessimo già stabilito - sbuffò il Riflesso, incrociando le braccia al petto, con fare annoiato – Vieni qui, bel Marchese, toccami - lo chiamò quindi, a metà tra la sfida e l’invito.

Il ragazzo restò a fissarlo alcuni secondi, ma la sfida aveva stuzzicato il suo orgoglio. Avrebbe allungato la mano e sentito solo la superficie liscia e lucida dello specchio, e tutto sarebbe finito lì.

Le dita del giovane si avvicinarono lentamente allo specchio, dirette alla guancia del Riflesso che continuava a guardarlo con quel suo strano ghigno, immobile, le braccia ora distese lungo il corpo. Non appena entrò in contatto con la superficie riflettente, la mano iniziò a sprofondarvi dentro, ma il ragazzo non fece in tempo a ritirarsi, inorridito, che il Riflesso lo afferrò, tirandolo con violenza verso di sé.

Il Marchese Andrè di S. urlò con tutto il fiato che aveva in gola, e il suo grido si perse nell’aria placida e fredda della notte, mentre si lasciava alle spalle una stanza vuota.

~~~

Andrè aprì gli occhi solo quando sentì che la sua mano era stata lasciata libera dalla stretta. Stava cercando di convincersi che avrebbe solamente visto il suo salottino, vuoto e tranquillo, e che avrebbe scosso il capo, ridendo di quello strano sogno.

La prima cosa che vide fu, in effetti, il prezioso tappeto che copriva il pavimento della stanza, ma quando alzò finalmente lo sguardo, solide e reali davanti a lui, stavano le sue stesse gambe, coperte dai suoi stessi pantaloni, e quindi il suo stesso busto, i suoi stessi abiti preziosi e il suo viso, con quella smorfia che non era mai stata sua.

- Benvenuto nello specchio - lo salutò il Riflesso, allegramente – Dove tutto ciò che è vero è illusione e tutto ciò che è illusione è vero - aggiunse quindi, guardandosi intorno in uno spazio dai contorni vaghi ed indistinti.

- Quello che hai appena detto è un’assurdità - replicò il giovane nobile, rimettendosi in piedi e tentando disperatamente di aggrapparsi alla propria ragione.

- E tu pensi che quello che ti sta accadendo non sia assurdo? - lo punzecchiò il riflesso, che al contrario di lui, sembrava divertirsi un mondo.

- Ma è un paradosso! - protestò lui, vivamente – Se ciò che è vero è illusione, ciò che è illusione non può essere vero, perché sarebbe illusione esso stesso! -

Il Riflesso si allontanò da lui di alcuni passi, ridacchiando come uno che la sa molto più lunga di quanto non vorrebbe dare a vedere.

- Vieni avanti, Marchese - gli intimò quindi, di nuovo in quel suo irritante tono di sfida.

Andrè non se lo fece ripetere, si diresse spedito verso di lui, con una mezza intenzione di costringerlo a riportarlo nel suo mondo sensato e dominato dalla verità, ma non riuscì a fare che un passo prima che il Riflesso parlasse di nuovo:

- Ora guarda giù – sibilò, trattenendo a stento le risate.

Il ragazzo abbassò lo sguardo, sbuffando di indignazione per tutto quel ridicolo gioco e trovò che i suoi piedi poggiavano su un immenso nulla. Il pavimento era davanti e dietro di lui, ma non sotto. Solo nero ai suoi piedi.

Come lo vide, iniziò immediatamente a cadere.

Per un terribile istante pensò che avrebbe continuato a cadere per il resto della sua vita, imprigionato in quel baratro nero, in un mondo assurdo. Ma la caduta durò solo il tempo di formulare quel pensiero, quindi il corpo del giovane urtò pesantemente un terreno duro ma ricoperto da qualcosa di soffice e peloso.

Nuovamente, il Marchese si trovò a dover riaprire gli occhi per verificare dove era finito. Nuovamente, la prima cosa che vide fu proprio il suo tappeto e quindi il suo salottino, privo di vita, con i contorni sfocati. Nuovamente, si tirò in piedi, spazzolandosi dignitosamente i vestiti e massaggiandosi la natica con cui aveva urtato contro il pavimento.

- Dove sei finito?! - gridò quindi, tanto imperioso quanto impaurito.

- Guarda su, adesso, Marchese. Sono qui! - lo chiamò il Riflesso, tra risate incontenibili – Bella caduta! -

Andrè alzò lo sguardo e, sopra di lui, solo qualche metro più in alto, vide esattamente il suo stesso tappeto, la sua stessa camera e il riflesso piegato in due dalle risate, con i piedi appoggiati, o forse è meglio dire attaccati, al tappeto, e si protendeva a testa in giù verso il luogo dove stava lui.

- Come fai a stare lì così? - chiese, senza più traccia di contegno, il ragazzo – Come fai a startene a testa in giù? -

- Ma mio caro Marchese, la verità è che sei tu a essere a testa in giù! - gli rispose il Riflesso, ancora ridendo, quindi protese le braccia verso di lui, e saltando, si appoggiò alle sue spalle per arrivare a poggiare i piedi sul suo stesso tappeto.

- Hai capito Marchese? - domandò il Riflesso, fronteggiando il ragazzo, con un sorrisetto più che soddisfatto in viso.

Il giovane non rispose nulla, tornò a guardare in alto, e quindi riportò uno sguardo terrorizzato e confuso sul suo Riflesso, che stava già alzando le mani per afferrarlo per il bavero della sua giacca.

Il Riflesso lo prese saldamente e lo spinse con tutte le sue forze all’indietro, quindi, proprio quando cercava di afferrarsi alle sue braccia, lo lanciò lontano.

Andrè fece un volo notevole, o almeno così gli parve, quindi atterrò malamente sempre sul medesimo tappeto, ma quando ancora una volta aprì gli occhi per controllare intorno a sé, e cercare il Riflesso che lo aveva trattato in quel modo indegno, vide i suoi mobili, le sue finestre ed il mondo esterno, immerso nel buio della notte ma perfettamente nitidi, ed ogni cosa era al suo posto.

- Ascoltami Marchese! - lo apostrofò il Riflesso, senza dargli un attimo di tregua, ma stavolta di nuovo imprigionato oltre la superficie riflettente, nella sua cornice dorata – Niente di ciò che ho detto è vero, non perché non sia vero, ma perché l’ho detto -

Andrè si tirò faticosamente in piedi, per una volta senza curarsi di rimettere in ordine il proprio aspetto.

- Cosa vuoi dire?! - lo interrogò con una forza che non credeva più di avere, probabilmente conferitagli dal fatto di essere nuovamente nel proprio mondo ordinato e controllabile.

- Questo è uno specchio, e uno specchio può solo riflettere ciò che si trova davanti, non può mentire - iniziò a spiegare il Riflesso, attendendo che il giovane si calmasse ed annuisse prima di proseguire – Quindi ascoltami, e potrai trarne grandi vantaggi -

Finalmente, il Riflesso sembrava dire cose sensate, e Andrè si riavvicinò alla superficie dello specchio, come se così potesse sentire meglio la sua voce, o capire meglio cosa stava dicendo.

- La verità, mio buon Marchese, è che tu sei troppo buono - annunciò nel tono che avrebbe potuto avere un caro amico confidandogli un segreto.

- Che cosa intendi? - domandò il ragazzo, sinceramente perplesso.

- Tu dici "grazie" e "scusa" ai tuoi servitori. Li perdoni se qualcosa va male per colpa loro, ti prendi le loro responsabilità. Non ti rendi conto che non è così che ci si deve comportare? Guardati intorno! I tuoi pari per nobiltà, trattano forse con tanta gentilezza i loro subalterni? - domandò il Riflesso, con il tono stupito di chi non può credere che una persona possa essere tanto cieca.

Andrè di S. non disse nulla, ma si limitò a cercare nei propri ricordi qualcosa che rispondesse alla domanda del Riflesso. Non si era mai posto quei problemi, lui si era sempre comportato come suo padre gli aveva insegnato.

- La buona società pretende ben altre maniere verso la feccia che pulisce i suoi escrementi! - esclamò quindi il Riflesso, come per far notare qualcosa di assolutamente ovvio – A Versailles tutti ti ammirano. Sei giovane, bellissimo e molto facoltoso, ma tutte le donne che potrebbero essere tue ridono dietro alle tue spalle delle tue maniere rozze ed incivili -

Il Riflesso sembrava sinceramente preoccupato per lui, per quello che avrebbe potuto essere uno dei favoriti del Re ed era invece uno zimbello a causa di un atteggiamento assurdo verso le buone maniere.

- Tu hai ragione, ed io sono stato cieco - sussurrò infine il ragazzo, vedendo finalmente, anche lui, quanto fosse differente dal suo l’atteggiamento di chi poteva sedere senza problemi accanto a Re Luigi XVI.

Andrè guardò ancora una volta lo specchio, come aveva fatto altre migliaia di volte, per sistemarsi il colletto della giacca, e le raffinate maniche che sbuffavano elegantemente, con i loro volant di pizzo, sui polsi. Sorrise a se stesso ed al Riflesso che ora lo guardava incoraggiante ed orgoglioso, quindi si voltò e uscì dal salottino per andare a prendersi, infine, la sua rivincita sulla corte francese.

~~~

- Signore, avete messo più del solito a scendere. E’ successo qualcosa? - domandò premurosamente l’anziano servitore che aveva appena abbassato per lui la scaletta della carrozza e ora gli teneva aperta la porticina.

- Nulla che debba interessare te, servo - gli rispose lui, con un’occhiata gelida, prima di salire.

Quando la porticina fu chiusa, ma prima che il cocchiere potesse partire, sporse appena la testa dal finestrino ornato dalle eleganti tendine di velluto:

- Vedi di farmi trovare la casa calda e il letto pronto quando tornerò - intimò senza troppa grazia al vecchio maggiordomo, quindi rivolto alle altre cameriere, che erano disposte in fila per salutarlo, aggiunse – E che nessuno si azzardi ad andare a dormire prima di me! E’ finito il tempo dei nullafacenti. E ora parti, che cosa aspetti!? - concluse il ragazzo battendo due colpi sul fianco della carrozza prima di sprofondare nuovamente nella semioscurità dell’abitacolo.

Gli stupiti servitori si guardarono in volto, chiedendosi cosa fosse accaduto al loro buon padrone, ma senza osare dire nulla a voce alta.

~~~

Finalmente, il giovane Marchese poteva camminare a testa alta fra la migliore nobiltà della corte di Versailles, e non molto tempo dopo che aveva iniziato a seguire i consigli del fedele Riflesso, il Re gli rivolse la parola e lo invitò a partecipare ad una battuta di caccia nella sua riserva.

In principio, Andrè temeva che il Riflesso potesse abbandonarlo da un momento all’altro, lasciandolo solo in balia del mondo, ma quello continuava a rassicurarlo, dicendogli che mai lo avrebbe lasciato solo, se non quando lui lo avesse cacciato.

Entrato nelle grazie del Re, un nuovo universo di vita mondana si aprì davanti a lui, e tutti i nobili di corte e tutte le più splendide dame facevano la fila per poter parlare con lui, o per essere ricevuti nella sua splendida dimora. Andrè comprò nuovi e più sfolgoranti abiti per sé, rivestì la sua casa di mobilio ancora più sfarzoso e prezioso, e riempì le sue ammiratrici preferite con i doni più meravigliosi.

E più il ragazzo ostentava opulenza, quella che suo padre aveva guadagnato mettendo da parte il disdegno che i nobili avevano per il lavoro ed il commercio borghese, più la sua popolarità a palazzo e presso i Reali aumentava. La Regina Maria Antonietta in persona amava intrattenersi con lui, a discorrere dell’alta società e a domandargli delle sue amanti più belle.

Nella sua casa, intanto, tutti gli inservienti si erano fatti più servizievoli e solerti, in special modo da quando il giovane padrone si era procurato una scorta personale di gente della peggior specie, uomini che vendevano i propri servigi di tagliagole e guardie del corpo al miglior offerente. Certo, l’atmosfera tranquilla e pacifica che vi si respirava prima era scomparsa dalla casa, ma mentre quella veniva espulsa dalla finestra, l’allegria sfarzosa della mondanità aveva fatto il suo ingresso con tutti gli onori dalla porta, e il Marchese non si era mai divertito tanto in vita sua, libero di pensare solo al proprio sollazzo senza doversi curare di alcun altro essere umano, se non del suo Riflesso.

~~~

Infine, una sera, quando il Marchese era finalmente rimasto solo con una leggera sbronza, da smaltire nel suo letto foderato di seta, il Riflesso lo chiamò con voce ansiosa dal salottino adiacente.

Di tanto in tanto, il ragazzo si chiedeva ancora il motivo che aveva spinto il fidato Riflesso a burlarsi di lui, in principio, ma non ci si arrovellava più che tanto il cervello, accontentandosi di avere dalla sua il consigliere più onesto e fedele che si potesse desiderare.

Come sentì il suo nome chiamato dalla propria stessa voce, il nobile si affrettò a raggiungere lo specchio, così come si trovava, con la preziosa camicia sgualcita e pendente per metà fuori dai calzoni, i piedi scalzi e i lunghi capelli sciolti sulle spalle.

- Cosa c’è Riflesso? Questa è l’ora di dormire, non di parlare - gli domandò, biascicando stancamente attraverso il proprio alito pregno di vino.

- Le questioni urgenti vanno trattate subito, signore mio - replicò il Riflesso, con la melliflua deferenza che gli era diventata tipica – Le tue sostanze si stanno rapidamente assottigliando, bisogna porre rimedio -

Il giovane impiegò alcuni secondi a schiarirsi la mente ed inquadrare la situazione, ma poi replicò:

- Ma Riflesso, non posso certo mettermi a lavorare. A Versailles riderebbero di me peggio di prima -

Il Riflesso rise, e in quella risata echeggiò la stridula nota che aveva fatto rabbrividire il Marchese la prima che l’aveva udita:

- La verità, Marchese, è che il tuo maggiordomo ti deruba - annunciò, con la formula che era ormai diventata il suo marchio, le parole con le quali ogni volta iniziava la frase quando si trattava di dare consigli o informazioni – L’ho veduto con i miei occhi, proprio qui nelle tue stanze, portarti via i tuoi gioielli più preziosi -

Ancora una volta il giovane nobile rimase alcuni istanti a fissare il Riflesso: qualcosa dentro di lui si stava ribellando prepotentemente a quelle parole, sicuro che non potevano essere veritiere, ma sulla superficie, la rabbia nascente stava rapidamente diventando più forte di quella vocina in profondità.

- Jacque! Lurido bastardo di un servitore! Ladro e bugiardo! - gridò il ragazzo, completamente in balia della rabbia più cieca, voltandosi ed uscendo come un ciclone dall’alta porta che conduceva verso i piani inferiori e le stanze della servitù.

- Guardie! Guardie veloci a me! C’è un ladro da impiccare, un pezzo di feccia da schiacciare! - urlava il Marchese Andrè di S., dimenticato ogni decoro, mentre camminava spedito spalancando ogni porta che incontrasse, nell’intento, sembrava, di svegliare oltre a tutta la casa, anche il resto di Parigi.

I suoi scuri lestofanti, fedeli solo ai denari che gli elargiva, furono subito al suo fianco, ansiosi di stringere la corda attorno al collo di chiunque volesse il padrone.

In pochi minuti, tutta la casa fu sveglia e fuori dai letti, avvolti in vestaglie e coperti alla meglio contro il freddo della notte, i servitori seguivano il padrone, sussurrando fra loro, impauriti e curiosi al tempo stesso di questa nuova stravaganza del ragazzo.

La corsa del giovane Marchese terminò infine nella stanza migliore fra quelle della servitù, quella dell’anziano maggiordomo Jacque, che era con lui da quando era solo un bambino. Irrompendo con malagrazia nella stanza, spalancò le porte e si avvicinò al modesto letto dell’uomo, seguito dai fedeli sgherri.

Illuminato solo dai pallidi raggi della luna non ancora piena, che si infiltravano nella camera dai vetri dell’ampia finestra, il giovane nobile appariva come un mostro uscito direttamente dagli incubi più neri. La sua pelle pallida riluceva come quella di un morto e gli occhi scuri brillavano nell’oscurità di una luce sadica. Emanava dal suo viso demoniaco una fame di violenza che nessuno dei servitori, stretti gli uni agli altri e tremanti sulla soglia della camera, aveva mai visto su alcun membro della razza umana,.

- Estirpate questa piaga da casa mia! Appendetelo al primo albero! - intimò il ragazzo ai suoi sgherri, con la sua voce deturpata dalle stridule note d’ira dirompente.

Subito, l’oscura masnada si diede da fare, afferrando ciascuno un arto del vecchio, perché non potesse fuggire, presero a trascinarlo fuori dal letto, senza curarsi della poca dignità che ancora gli restava.

Il ragazzo si lanciò fuori dalla casa in una corsa sfrenata, un demonio che non sopportava più di contenere il proprio infero desiderio di sangue.

Lo scuro gruppo lo seguiva poco più indietro, camminando spediti, come meglio potevano, per riuscire a tenergli dietro. Ancora più distante stavano i servitori, che sebbene fossero terrorizzati dalla belva che sembrava essersi impossessata del loro padrone, continuavano a seguirlo, chiedendosi se sarebbe veramente arrivato fino in fondo, se avrebbe veramente ammazzato l’uomo che più del suo stesso padre l’aveva allevato e si era occupato di lui.

Andrè di S. raggiunse un albero imponente e gettò la corda che si era procurato su un ramo alto e robusto.

- Avanti! - lì incitò quindi, intollerante all’attesa, sudato per la corsa e per la febbre che pareva crescere in lui, la febbre provocata da quella vocina che continuava ad urlare e lottare contro quella del Riflesso.

Mentre gli uomini finivano di fissare la corda al ramo e formavano il cappio, il vecchio fu lasciato in ginocchio nel fango, davanti al suo padrone.

- Signore, vi prego - lo scongiurava l’anziano servitore, fra i singhiozzi, dimentico della propria dignità, continuando a voltarsi all’indietro come a cercare qualcuno – Ho rubato dalla vostra casa, è vero, confesso - aggiunse, tanto disperato da non sapere più cosa dire o cosa fare per avere salva la vita – Ma non l’ho fatto per me né lo rifarò più. Risparmiatemi la vita, per mia figlia - lo implorò ancora, chinandosi in avanti fino ad andare a toccare la terra con la propria fronte.

- Non farmi ridere! Tu non hai figli, non ne hai mai avuti! - esclamò freddamente il ragazzo – Impiccate questo bugiardo! - ordinò senza pietà, rivolgendosi ai suoi uomini con una smorfia di disgusto.

Mentre il vecchio tentava disperatamente di divincolarsi, gli uomini lo presero come avevano fatto prima, e gli misero al collo il cappio, stringendolo per bene, quindi gli immobilizzarono le mani dietro la schiena.

- Un avanzo di feccia come te non ha neppure diritto ad un ultimo desiderio - disse il giovane Marchese con disprezzo, quindi diede l’ordine.

L’uomo non si agitava più quando gli energumeni che lo reggevano lo abbandonarono al suo destino, né aveva ascoltato le parole del ragazzo che aveva allevato ed amato come un figlio, il ragazzo per cui aveva perso l’amore e la compagnia della propria figlia. Guardava un punto fisso, poco distante dal gruppo dei servitori, guardava una ragazza con in braccio un bimbo in fasce, e anche mentre moriva, mentre gli ultimi spasimi contraevano il corpo esile e consunto dagli anni, gli occhi vedevano solo lei.

~~~

Quando Andrè di S. tornò nel suo salottino, aveva un gran mal di testa. Passata la frenesia della rabbia, gli era rimasta in corpo solo una profonda stanchezza, e il senso di ineluttabilità che gli aveva lasciato la vista della morte del suo servitore più fedele. Continuava a ripetersi che aveva fatto la cosa giusta, che non poteva perdonare un ladro, o si sarebbe ritrovato con la casa piena di lestofanti impuniti, ma qualcosa, dentro di lui, non voleva accettare quelle spiegazioni.

Si gettò su una delle poltroncine di legno, imbottite e rivestite di prezioso tessuto damascato bordeaux, sospirando di stanchezza, quindi rivolse gli occhi al suo specchio, dove il Riflesso se ne stava in piedi, come sempre abbigliato esattamente come lui, e mostrava una faccia tanto colma di sadico compiacimento da fare disgusto.

Per la prima volta da molto tempo, non aveva alcuna voglia di vedere o parlare con il Riflesso, aveva anzi voglia di liberarsi per sempre di quello specchio, e di dimenticarsi di tutte le sue parole, i suoi elogi e i suoi buoni consigli. Avrebbe voluto tornare il ragazzo ingenuo e canzonato che era prima.

Proprio quando stava per abbandonarsi al sonno, la porta del suo salottino si spalancò e vi entrò con furia quella stessa ragazza a cui erano stati donati gli ultimi istanti di vita dal vecchio.

- Voi! - gridò la ragazza, con voce tremante di rabbia e di pianto, le guance arrossate e lucide delle lacrime brucianti che ancora scorrevano copiose.

Il giovane Marchese scattò in piedi e afferrò lo spadino che giaceva abbandonato fra i suoi vestiti da giorno, poco distante da lui, pronto a difendersi. Appena alzò la punta sguainata dell’arma, riconobbe il viso della ragazza che ora lo guardava con odio e dispregio.

- Michelle -

La ragazza si limitò ad annuire.

- Sì - sibilò, la voce ora ferma di una risoluzione che non ammetteva repliche – E voi avete ucciso mio padre - finì appena di pronunciare quella frase, e trasse la mano che teneva nascosta tra le sottane gettandosi con tutto il suo pazzo furore addosso al Marchese, pugnale alla mano.

Il giovane reagì, con la prontezza dei suoi vent’anni e del suo addestramento nobiliare all’arma bianca: schivò senza difficoltà il colpo della ragazza, portato con la forza della disperazione e della collera, mentre la lama dello spadino saettò nell’altra direzione, incontrando il corpo soffice della giovane, penetrando nel suo petto senza difficoltà.

Il ragazzo lasciò la sua arma e si affrettò a sostenere con entrambe le braccia il corpo senza forze della giovane, che già si accasciava, un mortale fiore rosso che sbocciava in corrispondenza del suo seno sinistro.

- Mi dispiace - sussurrò lui mentre si accucciava a terra, ancora tenendola tra le braccia, gli occhi pieni di lacrime, il cuore già straziato dal rimorso, insieme alla vera tristezza che finalmente la morte dell’uomo a lui più caro gli provocava.

- Avrei dovuto lasciarvi morire quel giorno per strada. Che voi siate maledetto - l’ultimo alito di vita della ragazza se ne andò con quella maledizione, e il giovane nobile alzò occhi carichi di astio verso lo specchio.

- Tu! Perché mi hai fatto questo? Perché mi hai fatto fare queste cose? - gli chiese, urlando quelle domande come fossero state accuse, alzandosi ed andando verso la sua lucida figura , come aveva fatto la prima volta, minacciosamente.

- Io? Io non ti ho fatto fare niente - replicò tranquillamente il Riflesso, - Io ho detto solo la verità. Sei tu che l’hai vista… a testa in giù - sul viso del servizievole Riflesso era tornato quel ghigno di divertimento, come se tutto quello che aveva fatto fosse stato solo uno spassoso scherzo.

Andrè piangeva, guardandosi intorno in tutto lo splendore della sua stanza, dei suoi ori, delle sue pietre, dei suoi tessuti preziosi.

Solo.

La casa era vuota, e l’ultimo essere umano che era venuto a cercarlo giaceva morto, trafitto dalla sua lama. Si sentiva crollare, e si poggiò alla poltroncina sulla quale era seduto solo pochi secondi prima.

- Che cos’hai bel Marchese? Non ti piace più la verità? - lo prese in giro il Riflesso, ridendo sguaiatamente dalla sua posizione privilegiata.

Fu allora che la rabbia lo riprese, cieca e distruttiva. Afferrò la poltroncina per lo schienale, e con un enorme sforzo riuscì a sollevarla sopra il proprio capo, quindi raccolse tutte le forze che gli rimanevano per scagliarsi contro lo specchio. Le grosse gambe ricurve della sedia urtarono violentemente la fragile superficie riflettente, e mentre il Marchese ricadeva insieme alla sedia ed alla cornice dorata sul prezioso tappeto, lo specchio si frantumò, spargendosi in mille pezzi per la stanza.

Andrè ansimava per lo sforzo, ancora una volta a terra, le mani tagliate dai pezzi di vetro sui quali aveva dovuto poggiarsi per non finire con il viso contro il pavimento. I suoi occhi scuri si guardavano febbrili attorno, saettando da un punto all’altro della stanza, ansiosi di distruggere tutto ciò che poteva essere rimasto del Riflesso. Fu in quel momento che intercettò il suo stesso sguardo fissarlo da un frammento particolarmente grosso dello specchio:

- Non serve rompermi in milioni di pezzi, il punto è sempre lo stesso: la verità è che la verità è illusione -

   
 
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