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Autore: valibi    14/11/2010    3 recensioni
- Mi manchi - Sussurrò con voce sofferta.
Allungò il braccio e accarezzò delicatamente la foto. Passò le dita lungo i capelli, il viso, le labbra.
Ciò che ormai rimaneva solo un ricordo.
Un groppo in gola gli spezzava la voce, riducendola ad un silenzioso pianto.
Il cuore, in frantumi, era restio a ricomporsi.
I pezzi diventavano sempre più piccoli, il dolore un'agonia profonda.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Shannon Leto
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un lieve rumore di passi sferzò l'aria tiepida di quel pomeriggio. Le foglie ingiallite, colorate delle varie tonalità dell'autunno, scrocchiavano sotto quel passo.

Venivano calpestate, si rompevano.

L'erba era appena stata tagliata, e il suo profumo pungente riempiva l'aria.

Si mise le mani in tasca, prendendo una direzione diversa.

Sentiva l'erba piegarsi al suo passo, il vento scompigliargli i capelli. Si diresse verso la lapide grigia, riparata dal sole.  Un pino, con i suoi rami, la proteggeva dal troppo calore.

La sua ombra si proiettava su di lei, coprendo con poca distanza quei metri che prima parevano interminabili. 

Shannon avanzò ancora di qualche passo, togliendo le mani dalle tasche. Lo scricchiolio sotto i suoi piedi si fece quasi accennato.

Gli aghi del pino ne presero il posto. 

Ne tolse delicatamente qualcuno dalla lapide. Si muoveva con gesti lenti e aggraziati, come se avesse paura di romperla. Li spostò per terra, uno per uno, fin quando la lapide non fu pulita.

 Accarezzò piano la superficie in marmo.

Era di un colore chiaro, che la ricordava alla perfezione. Un grigio tenue la ricopriva.

Portò il peso sulle ginocchia, riuscendo a non sbilanciarsi; arrivando all'altezza della tomba.

Guardò quella piccola immagine incorniciata al centro, un'intrecciatura d'oro fungeva da cornice. Su quella figura brillava un sorriso puro, gli occhi erano leggermente chiusi a causa della troppa luce. 

Se lo ricordava come fosse ieri. 

Le aveva fatto un set fotografico, non erano venute affatto male. Si era divertita così tanto a farle, rideva, aveva sempre il sorriso sulle labbra. E poi c'era stata quella foto. Aveva insistito a farla, mentre lei non riusciva a tenere gli occhi aperti per la troppa luce. Continuava a ridere divertita da tutti quegli scatti, e poi, combattuta, aveva lasciato che la macchina la immortalasse in quell'espressione imperfetta.

Imperfetta ma vera.

Sorrise, abbassando il capo. Gli occhi erano improvvisamente lucidi a rileggere tra i caratteri quel nome che mai si tolse dalla mente. 

Christine. 

Un nome come tanti, che per lui aveva assunto un significato diverso. Una ragazza semplice, a cui donò il suo cuore. 

Un'amore consumato in troppo poco tempo.

Sospirò, riassaporando con la mente ogni sua caratteristica. Il suo profumo, così dolce, intriso anche in quelle lettere.

- Ciao piccola - salutò lui, fermamente convinto di intraprendere una conversazione. 

La voce roca iniziò a schiarirsi, frutto di lacrime che non avevano mai smesso di scendere. 

- Era da un po che non ti venivo a trovare - 

Sorrise amaro, spostando il capo. Una foglia proprio in quell'istante si staccò da un ramo, scese fluida, roteando su se stessa, trasportata dal vento. Infine, si posò per terra.

Lo sguardo venne di nuovo attirato da quei caratteri.

- Tra poco iniziamo il nuovo tour, Jared è esaltato come non mai. Dovresti vederlo, è un vulcano di idee in questi giorni - 

Tentò di sorridere, utilizzando ancora quella maschera che si adattava alla perfezione al suo volto.

Un sospiro usci dalle sue labbra. Era consapevole in cuor suo di recitare quella farsa solo per tentare di rendere il tutto normale. 

Sapeva che Christine l'avrebbe ascoltato comunque, anche se quelle parole, invece che esprimerle a voce, le avesse espresse con il cuore. 

Parlando riusciva però a buttare fuori qualsiasi preoccupazione, si confidava, sapendo che lei avrebbe capito. Si sentiva più sincero, buttando fuori tutto quello che gli occupava la mente.

Un'altro sospiro. 

Il tempo passava. Sarebbero partiti tra meno di un'ora.  

Il tour non era ancora finito, e già ne avevano in programma un'altro; una vita frenetica che non voleva gli appartenesse. 

Se solo avesse avuto più tempo per lei, ora probabilmente sarebbe rimasta in vita. 

Si morse forte il labbro inferiore, tenendolo stretto sotto l'incisivo. 

I ricordi ancora una volta si stagliarono limpidi nella sua memoria. Li ripercorse uno per uno, sorprendendosi per quanto distintamente riuscisse a rievocare quelle emozioni, dopo tutto quel tempo.

Erano passati due anni dalla sua scomparsa. Il bacio fatale l'aveva resa sua, senza darle una scelta, se l'era portata via in una notte, senza lasciarle il tempo di dire addio.

Al ricordo, una lacrima salata scese lungo la sua guancia, pizzicandolo come il fuoco. 

- Mi manchi -

Sussurrò con voce sofferta.

Allungò il braccio e accarezzò delicatamente la foto. Passò le dita lungo i capelli, il viso, le labbra. 

Ciò che ormai rimaneva solo un ricordo.

Un groppo in gola gli spezzava la voce, riducendola ad un silenzioso pianto. 

Il cuore, in frantumi, era restio a ricomporsi.

I pezzi diventavano sempre più piccoli, il dolore un'agonia profonda.

Nella sua voce dura traspariva la sofferenza. Teneva lo sguardo basso per gli occhi lucidi, ormai riempiti di lacrime. 

Un singhiozzo confermò la sua presenza attorno a quel silenzio. E poi un'altro, e un'altro ancora.

Le mani andarono a coprire leste gli occhi, le lacrime diventarono incontrollabili. 

Scesero veloci per qualche secondo, inumidendogli e arrossandogli  gli occhi; liberando la gola da quella morsa che vi era nata e che non accennava a sciogliersi. Bagnando amare quel viso così perfetto.

Si lasciò finalmente andare, al ricordo di quella sera, portatrice di una sofferenza repressa che ora aveva lasciato uscire.

I suoi occhi fissavano il vuoto, persi. 

 

L'aveva conosciuta durante un concerto, San Francisco. Alloggiava nel loro stesso hotel. 

L'aveva notata più volte, e quel fascino così semplice l'aveva indotto a conoscerla.

Aveva posato lo  sguardo su quel viso angelico, e non era più riuscito a distoglierlo. 

Circondato da ciocche bionde e soffici, v'era un  viso color perla, e due occhi color del mare che gli avevano riportato in mente l'oceano.

Diversi da quelli del fratello, più dolci. Un verde acqua per essere precisi.

Christine. 

Si chiamava Christine. 

 Una ragazza con vent'anni di meno, ma pur sempre maggiorenne. 

Un'empatia particolare avuta fin da subito. 

Entrata nel backstage per avere un'autografo, il sorriso sulle labbra e un'accento inglese. Presa in disparte, baciata.

Aveva gettato furiosamente le labbra su quelle della ragazza, basita. Erano morbide e sottili, gliele dischiuse appena. Infine, si lasciò andare ad un bacio dolce, agognato sin dal primo istante. 

Quando aveva staccato le labbra dalle sue, rendendosi conto di ciò che aveva appena fatto, aveva tentato di scusarsi in tutti i modi. 

Lei, senza dire una parola, se ne era semplicemente andata, lasciando allibito il batterista. 

Continuarono il tour, la sua mente diventò un vorticare di pensieri e supposizioni.  Non sapeva quando l'avrebbe rivista, non sapeva cosa sarebbe successo. Per quanto le riguardava poteva anche denunciarlo. 

Invece, successe proprio ciò che non aveva previsto.

Fu lei a venire da lui.  Un bacio, una partenza indesiderata, e poi un'altro bacio, e un'altro ancora. 

Una relazione travagliata che mostrava la sua essenza solamente a loro stessi. 

Un'amore fuggente, che crebbe in poco tempo. Un bisogno incontrollabile, che si trasformò in un dolce amore. 

Ed era continuata così; nascosti al resto del mondo, visibili solo ai loro occhi. 

Christine. Lei, così diversa dalle altre. Incredula per tutto ciò che, in un solo istante, era entrato nella sua vita.

Ma lei cos'era veramente per lui? Una ragazza da una botta e via? cos'altro? 

No, non fu niente di tutto questo, fu colei che gli rubò il cuore. Moriva per una sua risata, per un suo sguardo, per un suo bacio.

Passava il tempo, i loro cuori diventarono più forti. Arrivò settembre, il primo accenno dell'autunno.

Li, non potendo più far finta di niente,  venne allo scoperto. Shannon, restio sin dal primo momento a farla incontrare al gruppo, si arrese. Christine aveva ragione, non avrebbero potuto continuare così, non potevano. 

Accettata da tutti sin dal primo istante, fu parte della famiglia. 

Jared fu il primo ad accettarla, contrariamente a quanto pensava Shannon. Aveva sempre una parola gentile per lei, notando quanta gioia donava al fratello : i suoi occhi brillavano nel vederla, il sorriso spuntava fiero tra le labbra. 

Jared, per questo, non smise mai di volerle bene. Era diversa dalle altre, era dolce, sicura di se, e vedeva sempre il lato buono della situazione, anche quando questo  non v'era. 

Era la persona più vera che avesse mai conosciuto, a volte stentava quasi a  credere che fosse reale.  

Vi fu poi una sera, dove parlarono a lungo. Quando l'unico odore era quello dell'incenso, e il calore quello emanato da due corpi.

Parlarono dei suoi studi, della sua vita. 

Scoprii che viveva da sola, che era sola. Lo era sempre stata: non aveva più nessuno al mondo. 

La sua personalità così solare, a volte si chiedeva come facesse ad esprimerla. Non era introversa, come chiunque altro al suo posto; sapeva accettare il proprio destino. 

Aveva la vita segnata da un profondo coltello e nonostante questo era ancora in piedi. 

Possedeva un coraggio e una forza d'animo che Shannon non si sognò mai d'avere. 

Nel suo modo restio di parlarne, non vi trovò mai una nota di paura. Semplicemente, non ne aveva. Non ne era terrorizzata, avrebbe vissuto con il sorriso sulle labbra fino all'ultimo giorno. Diceva che niente, niente avrebbe potuto toglierle la felicità che provava ora.

Passarono i mesi, arrivò l'inverno. Il vento pungente arrossava le guance, il tour era concluso.

Ebbero l'idea di festeggiare, malgrado il tempo che si era previsto. Organizzarono una cena intima, per pochi invitati. 

Quel giorno, pioveva. 

Era tarda sera, lei era in ritardo. Il telefono squillava, Shannon in ansia come non mai. Aveva provato a chiamarla per tutto il pomeriggio, senza nessun risultato. Aveva detto che sarebbe stata una giornata impegnativa, lui si era offerto di accompagnarla. Lei, come era solita fare, aveva gentilmente rifiutato. Le piaceva sbrigarsela da se, senza dover dipendere da qualcuno. 

La festa si svolgeva senza nessun intoppo. L'atmosfera natalizia, seppur passata da qualche giorno, continuava ad insinuarsi in ogni angolo della casa, dai tovaglioli all'immenso albero di natale che ornava la sala.

Il calore della casa, insieme a quella degli amici e del fratello, lo riscaldava come una coperta. 

La coperta aveva però uno strappo, da cui entravano gelidi spifferi che gli ghiacciavano il cuore, insinuandogli timore. 

Shannon aveva tentato un'ultima volta. Aveva composto il numero, registrato in memoria, e aveva chiamato. 

Il telefono di Christine aveva preso a vibrare in una sorta di frenesia, la pioggia cadeva frenetica sul parabrezza, offuscandole la vista. 

Combattuta tra il rispondere e il continuare a guidare, venne presa da una sorta di inquietudine.

Gli squilli snervanti del telefono vinsero. Quando allungò la mano per prendere il telefono, la macchina scivolò improvvisamente, ruotando su se stessa. 

Scivolò fuori strada, mentre un terribile stridio di ruote si faceva spazio nella notte. 

Un'urlo agghiacciante provenne dall'auto. Un'urlo agghiacciante, e niente di più.

Un semplice gesto, e tutto finì.

Un semplice gesto, e la sua vita, fu solo polvere. 

 

Shannon si passò le mani sugli occhi, sfregandoli freneticamente per scacciare via le lacrime. 

Rimaneva in silenzio, mentre il palmo della mano sfregava via quella sensazione così struggente. 

Li riaprii dopo pochi istanti, prendendo vari, profondi respiri.

Gli ci volle qualche minuto per calmarsi. Le sensazioni non facevano altro che mescolarsi nel suo stomaco, prendendolo a pugni. 

I respiri diventarono sempre meno potenti, infine, ritornarono regolari.

Uno di quei tanti crolli emotivi che erano diventati costanti nella sua vita. A volte nelle situazioni più imprevedibili.

Erano passati due anni, e la convinzione di riprendersi rimaneva solo un lontano ricordo.  Ogni volta che si sentiva bene, ,una voce nella sua testa, gli rammentava del suo errore. Gli ripeteva che non aveva il diritto di stare bene. Lei era morta per colpa sua.

 Lui l'aveva chiamata. Lui non aveva saputo aspettare. Lui, era la causa. 

Prese qualche profondo respiro, scacciando via quei pensieri dalla mente. 

Riprese a parlare, mentre il tempo lentamente veniva assorbito da una clessidra invisibile. Le raccontò della batteria, del nome che le aveva dato. 

Aveva usato quel nome, che per lui era tutto, e lo aveva attribuito a ciò che gli dava la forza di continuare. Parlò poi delle foto che vi aveva attaccato. Un'immenso collage con le foto degli Echelon, la loro grande famiglia. Le rivelò infine, che in quel collage, v'erano anche loro due. 

Le disse che così l'avrebbe sempre potuta vedere. Sorrise al pensiero. 

Un clacson suonò secco, a pochi metri di distanza.

Shannon sospirò.  Era arrivata l'ora di andare. 

Si alzò in piedi con estrema calma, facendo sciogliere i muscoli indolenziti. 

Diede un'ultima occhiata alla lapide, controvoglia.

- Perdonami - mormorò.

Vi poggiò sopra la rosa che aveva conservato fino a quel momento. Lo sguardo seguiva il profilo della lastra di marmo, cupo. 

Il volto contratto all'idea di andarsene.

I petali rossi, delicati come il cristallo, poggiarono morbidi contro il marmo freddo. 

La sua mano, restia ad abbandonarla, la poggiò con estrema delicatezza. 

Fece qualche passo indietro, allontanandosi dall'ombra del pino. 

- Ti amo -

Un lieve sussurro usci da quelle labbra, portando con se quelle parole. Il volto, pieno di amarezza, venne inondato dalla luce del sole. 

Una mano andò svelta a coprire la luce, facendone filtrare solo qualche raggio. 

Una sorta di flashback. Come se lui, questa volta, fosse davanti all'obbiettivo.  Dischiuse le labbra, stupito. 

Spostò leggermente il palmo della mano, osservando quella luce che veniva irradiata dall'alto. Una sorta di scatto fotografico. 

Un click preciso, che immortalava una figura imperfetta. 

Un'espressione meravigliata si dipinse sul suo volto, i suoi occhi, ancora una volta, brillavano. 

Osservando quella luce, poté giurare di vedere un sorriso. 

Il sorriso di Christine.

  
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