Love isn’t finding a perfect person
It’s seeing an imperfect person
Perfectly
Lexi Morgan non
aveva la benché minima
idea del come fosse riuscita a cacciarsi in quella situazione.
L’ufficio del
preside Figgins era
l’ultimo posto avrebbe mai pensato di trascorrere il lunedì mattina,
eppure si trovava proprio lì.
Alle prese con
qualcosa che non aveva
fatto.
“Gliel’ho già
ripetuto due volte, non
ho rotto io la statua di William McKinley!”
Forse non era ancora
abbastanza pratica
con la lingua americana?
A più di due anni di
distanza dal suo
trasferimento negli Stati Uniti, era convinta di essere riuscita per lo
meno a
rendersi comprensibile. Certo, la suo pronuncia faceva ancora
decisamente
rabbrividire, ma…
“Il punto è
signorina Morgan, che ci
sono dei testimoni oculari. Io non posso trascurare questo fatto.
Diversi
studenti mi hanno confermato che questa mattina presto lei ha
deliberatamente
deturpato il volto di William McKinley…”
“Ma le assicuro che
non è così!”
Lexi
non sapeva più con quali parole tentare
di difendersi.
Certo, non poteva
smentire il fatto di
essere stata vista girovagare ben più volte nel salone d’ingresso dove
il
faccione in pietra del McKinley ammiccava severo e composto da ormai
ben 40
anni.
Il punto era che
Lexi aveva sempre
posseduto un pessimo senso dell’orientamento e nonostante quello fosse
ormai il
principio del suo secondo anno a Lima, Ohio, alla giovane accadeva
spesso di
impiegare diversi minuti per ricordare dove si trovasse questa o
quell’aula.
Decisamente il
sistema scolastico
americano non faceva per lei.
Non che Lexi potesse
affermare di
provarci davvero a sforzarsi di ricordare il tragitto.
La ragazza era
piuttosto famosa per la
sua pessima abitudine di camminare con la testa perennemente tra le
nuvole.
Fu quello che
successe quella mattina
di settembre, quando per sbaglio Lexi si era trovata improvvisamente di
fronte
alla statua di William McKinley invece che nell’aula di spagnolo.
Eppure per quanto si
sforzasse di
ricordare, nulla in quell’ingresso le era parso diverso dal solito:
Un paio di
cheerleader ridacchianti.
Coppiette che
appoggiate al naso di
McKinley pomiciavano indisturbate.
Frotte di ragazzi
che si incamminavano
verso questo o quel corridoio.
Assolutamente tutto
normale.
Invece…
“Allora. Sto
aspettando una confessione
signorina Morgan.” L’accento insolito del preside Figgins era se
possibile
ancor meno “americanizzato” del suo.
Alexis “Lexi” Morgan
scosse il capo con
aria sfinita a corto di parole.
“Non ho intenzione
di confessare per
qualcosa che non ho fatto. Sicuramente
c’è stato un malinteso oppure si tratta di uno scherzo.”
Già, uno scherzo
piuttosto stupido per
lo più.
TOC TOC.
“Avanti!” esclamò il
preside roteando
gli occhi e sospirando.
La porta si aprì
permettendo l’ingresso
nell’ufficio ad un uomo dallo sguardo gentile e di bell’aspetto che
Lexi
riconobbe come l’insegnante di spagnolo.
“Figgins io e te
abbiamo una
discussione in sospeso.” Dichiarò William Shuester lasciandosi
scivolare la
tracolla dal braccio con aria stanca.
Lo sguardo si spostò
dal preside alla
ragazza che si sentì sprofondare nella sedia per il nervoso.
Oh perfetto. Ci
mancava pure un insegnante
che assistesse a quella pessima pagliacciata.
“Tutto bene Lexi?
Perché non sei in
aula?” domandò il professore prendendo posto alla poltrona a fianco
alla
giovane.
“Oh è molto semplice
William. Voci di
corridoio sostengono che la qui presente signorina Morgan abbia
deturpato di
propria volontà il volto della statua di William McKinley. Avrai
sentito
dell’accaduto immagino…”
“Certo che sì, i
ragazzi non parlano
d’altro. Sei davvero stata tu Lexi?”
Il professor
Shuester lanciò
un’occhiata sovrappensiero alla ragazza che arrossì violentemente come
le
capitava ogni volta che la rabbia o la vergogna prendevano il
sopravvento su di
lei.
“No. Non vedo perché
avrei dovuto farlo
e se devo essere sincera, non avevo neppure la minima idea di che fosse
McKinley prima che il preside Figgins me lo spiegasse.”
Il preside sussultò
portandosi una mano
al petto come se la ragazza avesse appena bestemmiato.
Shuester annuì in
silenzio continuando
ad osservare Lexi.
“Figgins, non penso
che stia mentendo. “
annunciò infine rivolgendo il capo verso di lui.
“Magari si è
trattato di uno scherzo.”
Così aveva pensato
anche Lexi, quando
il nuovo coach le aveva chiesto di abbandonare la palestra per
dirigersi verso
l’ufficio del preside.
Che qualcuno avesse
voluto prendersi
gioco di lei?
Già, ma chi?
Ok, ammettiamolo.
Non è che Lexi
navigasse a vele spiegate nel bel mare della popolarità.
Tutto sommato era un
individuo
piuttosto nascosto come la maggior parte degli studenti suoi coetanei.
Era una fra tanti.
Lunatica, riservata,
taciturna.
Un volto
incorniciato da una massa
informe di ragazzi più o meno simili a lei.
Fortunatamente, non
aveva mai provato
l’ebbrezza di venire gettata in un cassonetto dell’immondizia, però
aveva
imparato presto a diffidare dalle persone che reggevano in mano una
granita.
Dunque chi avrebbe
potuto volerla
mettere nei guai?
Lexi non ne aveva
idea.
“Oh
suvvia William non incoraggiare la ragazza. Fatto sta che io non posso
sorvolare su questioni del genere. Signorina Morgan, deve essere
punita.”
La giovane sospirò
tamburellando con le
dita sulla scrivania per il nervosismo.
Era un vizio che si
portava dietro da
secoli e si accentuava con il degenerare di situazioni che le
risultavano
ingestibili.
“Aspetta un attimo
Figgins.” Il
professor Shuester squadrò con aria pensierosa la ragazza d’un tratto
rianimato
da un insolito brillio nello sguardo.
“Penso di aver
trovato la soluzione che
fa per noi.” Borbottò con aria assorta mentre un sorriso faceva
capolino sul
suo volto sotto lo sguardo confuso di Lexi e del preside Figgins.
***
“Ripetizioni di
spagnolo?” domandò la
ragazza rallentando l’andatura per stare al passo con il professor
Shuester.
“Proprio così.” Esclamò l’uomo lasciando
scivolare gli
occhiali neri sulla punta del naso per osservare gli studenti che li
circondavano: sembrava stesse cercando qualcuno.
“Sei sempre stata
molto brava in
spagnolo. Ovviamente essendo di origini italiane questo ti avvantaggia
parecchio. E uno dei miei studenti ha proprio bisogno di una mano con
la
materia.”
“Ma siamo solo a
settembre!” notò Lexi
sempre più confusa costringendosi infine ad accelerare il passo, mentre
le
scarpe del professore parevano scivolare sempre più in fretta sul
pavimento.
“Stiamo parlando di
un caso difficile.
Prima iniziamo meglio è. Ti avverto che dovrai cominciare dalle basi…
Se
accetti chiuderemo la questione “statua McKinley” senza che venga
segnalata in
alcun verbale. In caso contrario ti toccherà pagare i danni afflitti al
volto
del povero William…”
“Che cosa?? Ma io
non ho…”
“Lexi, lo so”
William si fermò e le
concesse un’occhiata sinceramente dispiaciuta.
“Ma è l’unico
compromesso che ho
trovato per mettere a tacere il preside Figgins. Di più non posso fare.”
Lexi sospirò.
“E va bene.”
Annunciò infine avvertendo
il suono della campanella risuonarle nelle orecchie.
“Darò ripetizioni a
questo studente.
Nella speranza che non sia davvero un caso così disperato come me lo
descrive.”
“Oh vedrai andrà
bene.” La rassicurò
Shuester depositandole una mano sulla spalla con fare incoraggiante.
“Puck può sembrare
un osso duro, ma se
si impegna sono sicuro che riuscirete ad ottenere ottimi risultati.”
Il volto della
giovane sbiancò.
“Chi?”
Il giorno prima, ufficio del
professor
Shuester…
“Mi
dispiace non posso aiutarti Puck.”
Il
professor Shuester scosse il capo e si alzò dalla scrivania.
“Se
vuoi la sufficienza nella mia materia te la dovrai guadagnare.”
Il
giovanotto aggrottò le sopracciglia con aria scocciata sempre prestando
attenzione alla sedia sulla quale era seduto mantenendola in bilico
sulle gambe
posteriori.
“Senta
Mr Shue,mia madre ha strillato quasi ogni sera durante l’estate per
questa
storia dell’insufficienza. Se lei non mi aiuta dovrò dire addio al
football. E
francamente non penso che la nostra squadra se lo possa permettere.
Professor
Shuester, non pensa al bene del McKinley High?
Se vinciamo il campionato, gli studenti andranno in
delirio.”
“Io
faccio solo il mio dovere Puck. E il mio dovere è quello di insegnare
agli
studenti lo spagnolo. Non posso regalare le sufficienze come se fossero
caramelle.”
Noah
Puckerman fece roteare gli occhi
scontrosamente e dondolò il capo con aria annoiata.
“Se mia madre
vede anche solo un’insufficienza dovrò dire addio anche al
Glee.”
Gli
ricordò il giovanotto prendendo a tirare piccoli calci alla scrivania
con aria
distratta.
“Non
cercare di persuadermi Puck, non ci riusciresti.”
Con
uno scatto fermo, William spinse le spalle del ragazzo verso il basso
interrompendo il dondolio della sedia.
“Cercherò
qualcuno che ti dia una mano. E se necessario istituirò dei corsi di
recupero.
Tua madre non ti sta chiedendo più di tanto, Puck. Provaci per lo meno.”
Il
giovanotto infilò
le mani in tasca e
rivolse al professore un’occhiata scontrosa.
“E
va bene.” Sbottò infine con aria tutt’altro che convinta voltando le
spalle al
professore.
“Faccia
quello che vuole, tanto io la sua materia non la imparerò mai.”
Socchiuse
la porta tirandola a sé con il piede ed alla stessa maniera se la
richiuse alle
spalle in maniera assai poco convenzionale.
Distinti
rumori che si susseguirono per il corridoio, diedero da pensare a
Shuester che
Puck stesse prendendo a calci tutto ciò che gli capitava a tiro.
Ma
non riuscì a prendersela più di tanto.
E
suo malgrado non riuscì nemmeno a mettere in dubbio la buona fede del
ragazzo.
Se
la sarebbe cavata, William credeva in lui.
Così
come credeva in ognuno dei suoi ragazzi.
Per
questo, abbandonato lo studio, si diresse verso l’ingresso con una pila
di
volantini pinzati tra le dita della sua mano destra.
Era
giunto il momento di dedicarsi a loro.
Era
giunto il momento di Glee.
***
Un
giocatore di football.
Avrebbe
dovuto dare ripetizioni ad un giocatore di football.
Lexi
scosse il capo con aria nervosa accelerando l’andatura dei suoi passi
senza
nemmeno rendersene conto.
“Lexi
sei tu?” la voce della madre la raggiunse ovattata dal bagno.
La
giovane gettò la tracolla sul divano e si lasciò sprofondare al suo
fianco
sbuffando sonoramente.
“No,
sono solo una che le somiglia” ironizzò socchiudendo gli occhi e
mettendosi
comoda, le converse All Star abbandonate a terra e le ginocchia strette
al
petto.
Christine
Morgan fece ingresso nella piccola cucina con aria stanca,ma tuttavia
sorridente.
“Sempre
spiritosa eh?” commentò asciugandosi le mani nel grembiule ed
accarezzando il
capo della figlia che giocherellava con il cordino della sua T-Shirt.
“Allora.
Come mai quest’aria truce? Possibile che tu abbia già la luna storta la
seconda
settimana di scuola?”
“Possibile,
sì.” Rispose Lexi scrollando le spalle.
“Più
storta della torre di Pisa.”
Sul
volto di Christine comparve un’ombra di nostalgia.
“Ah
la torre di Pisa. Mi manca l’Italia,sai?”
Lexi
aveva trascorso i suoi primi dieci anni di vita in una fattoria del
Nord Italia
in compagnia dei genitori, di sua sorella e della nonna paterna. Senza
contare
la miriade di gatti, galline e conigli.
A
Lexi era sempre piaciuta quella casa. Dovettero trasferirsi in città
poco dopo
del suo decimo compleanno a causa di un incidente che comportò al padre
di Lexi
la perdita dell’uso delle gambe.
A
più di cinque anni di distanza dal terribile fatto, Christine e suo
marito
Lorenzo, decisero che il loro matrimonio stava capitombolando in un
fiasco e
così decisero di divorziare.
Christine
tornò a vivere a Lima, in Ohio, dove aveva trascorso la maggior parte
della sua
infanzia.
Portò
con sé Lexi, la sua secondogenita, mentre Lorenzo rimase in Italia con
Frances,
la figlia più grande, e la nonna delle due ragazze.
Da
quasi un anno il signor Morgan si era addirittura risposato regalando a
Frances
(Frankie per la famiglia) una matrigna, Ursula.
Lexi
non ci aveva mai avuto a che fare, ma era convinta che con un nome del
genere,quella
donna non potesse promettere nulla di buono.
“Allora,
mi vuoi spiegare perché quel muso lungo?”
Christine
arrivò al dunque sistemandosi il grembiule sulle gambe e raggiungendo
il
tavolo,dove una torta di mele cosparsa di zucchero a velo adornava la
cucina di
un piacevolissimo profumo.
Era
ormai abitudine, per Christine, quella di darci dentro con la cucina a
tutte le
ore del giorno preparando torte e pasticcini che avrebbe potuto vendere
alla
panetteria dietro l’angolo ad ottimi prezzi: una maniera come un’altra
per
arrotondare le entrate che arrivavano dal suo lavoro di cassiera al
supermercato.
Lexi
fece una smorfia e cominciò a raccontare alla madre gli avvenimenti di
quella
mattinata.
Le
spiegò della statua del McKinley e della proposta di Mr Shuester
sorvolando
sulla buona dose di imprecazioni che aveva riservato ad entrambi per
l’intera
traversata fino a casa.
“Beh,
allora è tutto risolto, no?” Christine la risole sollevando la torta ed
aiutandosi con i gomiti per aprire lo sportello del forno.
“
Il preside si dimenticherà di questa faccenda e tu aiuterai il tuo
compagno con
lo spagnolo. A proposito è carino?”
“Mamma!”
Lexi roteò gli occhi ed incrociò le braccia al petto con aria scocciata.
Christine
rise.
“Ok,
ok scusami è solo che non ti capisco Lexi. Ti lamenti sempre di
sentirti
diversa rispetto ai tuoi coetanei e una volta tanto che hai la
possibilità di
socializzare con qualcuno…”
“Ma
stiamo parlando di un giocatore di football mamma. Atleti e gente
comune non si
mescolano al liceo. E come se fossero due classi distinte. Non so
neanche se
questo tizio qui…”
“La
gente ha un nome Lexi.”
“Puckerman.
Non so neanche se questo Puckerman mi ascolterà mentre tenterò di
riempire la
sua testolina vuota di nozioni sullo spagnolo…”
“Non
pensi che sia un po’ troppo presto per giudicare tesoro? Hai mai
parlato con… Parkerman o come si chiama?”
“Puckerman.”
E
no, non ci aveva mai parlato.
Che
era un idiota perdigiorno, lo potevano tranquillamente confermare i
suoi
ricordi relativi al corso di spagnolo dell’anno precedente: dopo un
intero
semestre trascorso a sputare palline di carta umidicce tra i capelli di
tutte
le compagne di classe, era piuttosto normale che il ragazzo non
eccellesse in
spagnolo.
Tuttavia
le voci di corridoio le avevano fornito un quadro pressoché controverso
di quel
giovanotto con l’aria da duro.
C’era
chi diceva che aveva l’abitudine di gettare
ragazzi nei cassonetti e chi giurava di aver assistito al
contrario.
Puckerman
era il classico giocatore di football. Muscoloso, arrogante e
particolarmente
donnaiolo. Eppure, Lexi sel’era sentito dire più volte, l’atleta era
anche
membro del Glee club: uno dei gradini più bassi della gerarchia sociale
pre-costruita in ogni Liceo americano.
In
effetti, Lexi fu costretta ad ammetterlo a sé stessa, questo Puckerman
un
tantino la incuriosiva.
Ma
da questo all’essere propensa a offrirgli delle ripetizioni ce ne
voleva ancor
parecchio.
“Ad
ogni modo, non credo che sarà una cosa
lunga.” Concluse sollevando la sua tracolla e dirigendosi verso camera
sua
lasciando che la borsa toccasse praticamente terra.
“Mr
popolarità si scoccerà alla prima lezione. E allora potrò tornare alla
mia vita
di sempre. Halleluja!” gridò dalla sua camera.
Christine
scosse il capo a metà fra il divertito e l’arreso.
Sapeva
che Lexi non era una gran fan dei confronti con i coetanei.
Nonostante
fosse riuscita a fare amicizia con un paio di studenti al McKinley, sua
figlia
era sempre stata un tipetto riservato ed insicuro. Specialmente per
quanto
riguardava i ragazzi.
“Tesoro
senti, hai più avuto notizie di tua sorella?”
La
domanda della donna risuonò a vuoto nella cucina e fu seguita da un
silenzio
innaturale.
“Sei
tu quella che ha sue notizie. Io parlo solo con la nonna, lo sai.”
Ed
era quasi completamente vero. Dal loro trasferimento in Ohio, il
rapporto tra
Lexi e Frankie si era incrinato parecchio con grande dispiacere di
Christine.
L’unica
persona con la quale la figlia continuava a corrispondere volentieri
era la
nonna paterna, Anna: un’arzilla vecchietta ultrasettantenne più sveglia
in
campo di tecnolologia e tendenze giovanili della stessa Christine.
“Lo
so tesoro. Ma sono passate due settimane dall’ultima volta che ho
ricevuto una
sua telefonata e sto un po’ in pensiero. Probabilmente è solo tanto
presa con
l’università, ma speravo che ti avesse detto qualcosa…”
Decise
di lasciar perdere ignorando l’assenza di risposta da parte della
figlia
minore.
Le
parole FRANKIE – ITALIA – URSULA – PAPA' erano
da usare con cautela in quell’appartamento, specialmente quando una
delle due
abitanti era nervosa per qualcosa.
Infine
Christine sospirò.
“Finisco
con le torte e poi ti preparo qualcosa per cena. Faccio il turno serale
al
supermercato, tornerò intorno alle undici.”
Si
diresse verso il frigo, mentre un ronzio di sottofondo annunciava che
la figlia
minore aveva dato inizio alla sua consueta routine pomeridiana: la
musica aveva
fatto capolino dalla stanza della giovane diffondendosi per tutto
l’appartamento.
“Ehy
mamma?” e poi il capo castano chiaro della giovane spuntò dalla porta
della
cucina.
“Sì
Lexi?”
Alexis
le rivolse un’occhiata malandrina e sorrise.
“Sei
una gran mamma lo sai?” esclamò sollevando il pugno per aria con fare
trionfante.
“Ti
voglio bene!”
Christine
scoppiò a ridere.
“Ti
voglio bene anch’io tesoro.” Rispose
depositando una carezza affettuosa sul capo della sua secondogenita
ormai più
che sedicenne.
“Ti
voglio bene anch’io.”
***
L’auditorium
al McKinley High risuonava del chiacchiericcio entusiasta di poco più
che mezza
dozzina di studenti,come era accaduto ogni martedì il precedente anno
scolastico.
Sette
ragazzi occupavano le sedie stipate in un angolo del salone ed
attendevano
l’arrivo dell’insegnante immersi in varie conversazioni che avevano
come
soggetto le vacanze da poco trascorse, i progetti per l’anno venturo e
gli
ultimi pettegolezzi in ambito scolastico.
“Ho
sentito dire che hanno beccato l’alunna che ha rovinato la statua del
McKinley...”
Rachel dichiarò sorridendo entusiasta diffondendo il pettegolezzo alle
altre
ragazze in sala.
Vi
era qualcosa di nuovo in quel visetto vivace ed esuberante: un
particolare
brillio luminescente che si era impadronito dei suoi occhi a partire
dall’inizio di quell’estate.
La
sua prima estate con Finn.
“Sì
ho sentito anch’io. Una nuova pare. Del mio corso di spagnolo. Dio ci
salvi,veste malissimo…” fu la reazione di Kurt, sistemandosi il
colletto della
camicia con aria di superiorità.
“Quindi
anche lei ha rotto una statua?” Brittany
esordì con occhi sbarrati suscitando una vago disappunto nei coetanei
ed
un’occhiataccia da parte di Sanatna.
I
ragazzi del Glee, abituati alle esclamazioni bizzarre della ragazza,
prosegurono
nel loro discorso.
“Secondo
voi il professor Shuester avrà architettato qualcosa di nuovo per
quest’anno?” si
introdusse nel discorso Finn prendendo posto accanto alla fidanzata e
scostandosi una ciocca di capelli dalla fronte.
Era
appena arrivato e dalle grosse chiazze di sudore individuabili sulla
maglietta,
nessuno ebbe difficoltà a comprendere dove avesse trascorso le ultime
due ore.
A
confermare la tesi di tutti,altri tre ragazzi fecero ingresso
nell’auditorium
ansanti e sudati.
“Allenamento
pesante?” Mercedes
notò mentre Mike,Matt
e Puck prendevano posto in compagnia dei coetanei.
Mike
svitò il tappo di una bottiglietta d’acqua e dopo aver trangugiato un
bel po’
del liquido rispose all’interrogativo della ragazza.
“Altrochè.
Il nuovo coach è peggio di Sue Silvester e Lord Voldemort messi
insieme.”
Commentò
mentre la porta dell’auditorium si apriva di nuovo ed il professor
Shuester faceva
ingresso brandendo una serie di fogli fra le mani.
“Ragazzi,
ci siamo tutti?” domandò distribuendo i fogli che rivelarono il loro
contenuto:
come al solito si trattava del testo di una canzone.
“Manca
Quinn.” Notò Mercedes dandosi una rapida occhiata intorno.
Anche
Artie si voltò istintivamente per fare lo stesso. Nove, dieci, undici…
Mercedes
aveva ragione. Mancava solo Quinn.
“Ci
sono ci sono scusate!” la biondina li raggiunse trafelata, la coda di
cavallo oscillante
per via della corsa.
La
divisa da Cheerio spiccava scarlatta sulla sua carnagione candida.
Nuovamente
a capo della squadra: era tornata la vecchia Quinn.
“Ben
tornata Quinn!” il professor Shuester le sorrise mentre consegnava
anche alla
ragazza una copia della canzone.
Quinn
ricambiò il sorriso e prese posto fra Kurt e Mercedes, mentre lo
sguardo di
Puck indugiava su di lei con fare meditamondo.
“Bene ragazzi…”
La voce del
professore si
diffuse per tutto l’auditorium mentre gli alunni seduti composti e in
silenzio,iniziarono ad osservarlo con occhi luccicanti e pieni di
speranza.
Sì,perché
nonostante la
sconfitta ai regionali, Will continuava a scorgere,in ognuno di loro,la
fermezza e la voglia di arrivare e vincere.
Per questo
poteva ritenersi
fiero dei suoi ragazzi.
“Siamo pronti a
ricominciare un
nuovo anno al Glee. Per questo…”
“Professor Shue!”
Eccola.
Rachel Berry.
Chiedeva
la parola con il solito sorriso orgoglioso e per nulla modesto e la solita mano
alzata,interrompendo non solo
il discorso del professore,ma anche il silenzio composto dei compagni.
Voci,borbottii,lamentele
a bassa
voce e sguardi esasperati.
Una scena che a
Will Shuester era parecchio familiare.
Pur
ammettendo a se stesso che
avrebbe voluto continuare ignorando così la richiesta della ragazza,
pronunciò rassegnato quel nome,esclusivamente in qualità di insegnante.
“Rachel…”
Fiera e contenta
la brunetta si
diresse di fronte ai suoi compagni,prendendo posto di fianco al
professore.
Come al solito
la
gonnellina grigia,le calze sotto le ginocchia e la maglietta di Winnie
the
Pooh,suscitarono i sorrisini ed i bisbigli dei coetanei.
Dopo aver
richiamato tutti al
silenzio gesticolando in modo teatrale e con il solito
“Scusate!”,l’eco
della sua voce cominciò a risuonare deciso nell’auditorium.
“E’ un dato di
fatto che siamo
stati ingiustamente sconfitti alle regionali.
Ma dopo aver girato con una busta di carta sul volto per una settimana ed essere andata a sbattere contro l’armadietto del bagno,procurandomi una cospicua protuberanza sulla fronte,ho avuto una folgorazione!"
I ragazzi si scambiarono
occhiatine torve ed irritate.
Oramai
conoscevano tutti
Rachel.
Bastava
accontentarla ripetendo
quella stupida frase per permetterle di riprendere il respiro e farla
ritornare al
proprio posto.
Per questo,anche
se con
pochissima convinzione,ognuno dei ragazzi ripeté le sue parole.
“Io non sono un
perdente…”
Ignorando il
commento del compagno, la giovane sorrie soddisfatta e ringraziò prima
di ritornare a posto.
“E’ necessario
ripeterlo dieci
volte al giorno,meglio se davanti allo specchio,affinchè funzioni!”
“Grazie Rachel.”
Mr Shuester
riprese così la
parola mentre la ragazza ritornava a sedersi vicino all’ormai
rassegnato
fidanzato Finn.
“Come diceva la
vostra compagna
è necessario che voi non perdiate la fiducia in voi stessi dopo la
sconfitta alle
regionali.
“…Per
dimostrarvi che anch’io
ho intenzione di fare lo stesso, ho preparato qualcosa per voi. Puck,
quando
vuoi…”
Dopo essersi
scambiati diverse
occhiate confuse, i ragazzi recuperarono il testo della canzone che
Shuester
aveva consegnato loro all’inizio dell’ora.