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Autore: miseichan    15/11/2010    7 recensioni
Storia classificata prima al contest "La paura fa 90" indetto da Nonna Papera.
Prendiamo una città. No, meglio ancora, prendiamo la periferia di una città. Spostiamoci piano fino alla banca, entriamo e... osserviamo. Mauro, Pietro, Loredana, Simone. Tanti personaggi con tante storie diverse, uniti come solo il destino sa fare, in un momento decisamente fuori dall'ordinario.
Genere: Comico, Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Lacrime di cristallo'
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Non sparare

 

One, twenty-one guns
Lay down your arms
Give up the fight
One, twenty-one guns
Throw up your arms into the sky
You and I

 

Prendiamo una grande città.

Con il traffico, lo smog e la frenesia che la caratterizzano. Dopo averla osservata per diversi minuti, spostiamo l’inquadratura, lentamente. Attraversiamo la città, godendo di un’invidiabile visuale aerea e raggiungiamo la periferia. Meno traffico, meno smog e, soprattutto, più calma. Niente urla, nessuna fretta.

Sospiriamo, più rilassati e ci guardiamo attorno: i giardinetti ben curati, le panchine, la vita abitudinaria. Sorridenti diamo una rapida occhiata a tutti i negozietti: il fruttivendolo all’angolo, il piccolo fioraio, la panetteria ben fornita e il giornalaio che deve ancora aprire. Zoomiamo poi, su un edificio in particolare.

La banca, la piccola ed affollata banca. La migliore, nonché unica banca della periferia.

Zoomiamo ancora un po’, quel tanto che basta a leggerne l’insegna: “ Happy money: la tua banca”

Stringendoci nelle spalle, sebbene indecisi, ci avviciniamo ancora. C’è fila agli sportelli, qualcuno è in piedi, qualcun altro è seduto. In silenzio, persi nei loro pensieri. C’è chi chiacchiera e chi canticchia…

Una nonnina lavora a maglia: ha pensato che aspettando il proprio turno avrebbe potuto finire il maglione per il nipotino. Arancione, come piace a lui, e caldo, come vuole lei. Perché l’inverno è alle porte e non può assolutamente permettere che prenda freddo. Ci avrebbe pensato lei a coprirlo come si deve.

Un uomo di mezza età, rigido ed impettito nel suo completo elegante, parla concitato al telefono. Ha fretta, spera con tutto se stesso che l’attesa non sia ancora lunga. Continua a chiedersi perché mai ha scelto quella piccola banca per l’importante transazione che deve assolutamente compiere. Ed è già in ritardo.

Un paio di bambini giocano allegri a nascondino, tentando invano di trovare un riparo dietro piccoli pannelli divisori, purtroppo trasparenti. Quando varcano la soglia altri due marmocchi si bloccano di colpo, guardandoli con diffidenza e aspettativa. I due nuovi arrivati sorridono, lasciando rapidi la mano della mamma e corrono dai nuovi amici, cominciando a rincorrersi. Passano fra le gambe degli adulti, sgusciano come anguille e ridono, soprattutto ridono. Risate che riscaldano il cuore. Risate che fanno sorridere.

Sorridono tutti nella piccola banca. Impiegati, clienti. Senza saperne realmente il motivo. Sorridono, basta.

Mauro, l’ultimo della fila, anche lui sorride. E’ appena arrivato, una borsa a tracolla e una sigaretta fra le dita. La camicia bianca con i primi bottoni aperti, il jeans sbiadito e le scarpe sporche di terra. Ha visto la fila che lo aspetta, avvertito l’aria viziata che occupa l’ambiente e la temperatura di parecchi gradi più alta rispetto all’esterno. Eppure non si è scoraggiato. Ha sorriso, illuminandosi in volto. Le lentiggini sembrano ridere con lui, così come gli occhi resi più chiari dagli occhiali.

La nonnina seduta poco lontano gli lancia un’occhiata ammonitrice: non si fuma in banca, giovanotto.

Mauro annuisce, getta prontamente la sigaretta nel cestino dell’immondizia e le sorride. La nonnina scuote piano la testa, non riuscendo a non ricambiare quel sorriso smagliante. E’ un giovane simpatico, in fin dei conti. Ha proprio l’aria da bravo ragazzo. Lui, con quei suoi incredibili capelli rossi.

Mauro pensa che ci sono buone possibilità di dover passare l’intera mattinata in fila, eppure non gli interessa. Sa di potercela fare, sa di volerlo fare. Perché è da fuori la porta che l’ha intravista e, ora che è dentro, lei è lì, a pochi passi da lui. E Mauro sorride, gli occhi fissi sulla figura di Loredana.

I bambini corrono ancora, più felici di prima. Uno di loro perde l’equilibrio in curva, cadendo a terra. E’ caduto proprio ai piedi della ragazza che Mauro sta guardando. Lei si mette in ginocchio, aiutando il bimbo a rialzarsi. Gli sorride, cercando di far sparire l’espressione triste dal piccolo viso. Gli domanda se sta bene, se sta vincendo il gioco. Il bimbo la guarda, divertito da come i capelli lunghi e lisci della ragazza sembrino seguire i movimenti del suo capo. Se lei annuisce i capelli annuiscono con lei, se sorride, anche i capelli sorridono. Sono neri, lucenti, neri quanto gli occhi così dolci. E il bambino annuisce, ricominciando a ridere e a correre. Esattamente come se non fosse successo niente.

Loredana si rimette in piedi, spolverando con la mano i pantaloni chiari. Pensa che non avrebbe dovuto mettere vestiti così chiari, cosa le è saltato in mente? Pantaloni e camicetta azzurri per andare a fare i servizi, che idea assurda. Osserva di sfuggita la nonnina che lavora e si dice che deve imparare anche lei, a lavorare a maglia. Quante volte se lo è già riproposto? Sorride, sapendo che le sue sono parole al vento.

E’ un banale sabato mattina di periferia. Uno come tanti. Il solito di sempre.

Nessuno, né la nonnina né l’uomo di affari, si aspetta di sentire lo stridere di gomme in strada.

Nessuno si aspetta di veder entrare tre uomini incappucciati.

Nessuno si aspetta di sentire quelle parole: fermi tutti è una rapina!

Semplicemente, nessuno se lo aspetta.

 

§§§

 

- Fermi tutti! E’ una rapina! -

Così aveva gridato il primo ad essere entrato. Un cappuccio nero calcato in testa, le maglie abbastanza larghe da lasciargli modo di vedere, parlare e respirare. Gli altri due erano vestiti allo stesso modo.

Si erano fermati appena varcata la soglia, le pistole in pugno sollevate verso l’alto. Si guardavano attorno, aspettandosi forse di veder dilagare il panico da un momento all’altro. L’unica cosa che invece avevano ottenuto era il silenzio più totale. Persino i bambini non ridevano più, sorpresi dalla nuova irruzione.

Gli uomini in nero rimasero qualche attimo frastornati, meravigliati dal fatto che nessuno si fosse messo ad urlare, a piangere, a supplicare. Avevano gli occhi di tutti puntati addosso.

Occhi curiosi, curiosi e sorpresi. Occhi di persone che vivono in periferia e non si aspettano una rapina.

Persone che sentono parlare di eventi del genere solamente in televisione e non immaginano possano accadere davvero, a loro. Persone che ancora sperano sia solo uno scherzo, o forse un errore.

Solo quando il più risoluto dei tre si riprese dalla sorpresa, gridando nuovamente la precedente minaccia e puntando questa volta la pistola verso la folla, finalmente tutti capirono che era serio.

- Tutti a terra! – strillò, facendo segno ai complici di darsi una mossa.

Mentre lui si assicurava che ogni persona obbedisse all’ordine, l’uomo in nero alla sua destra si avvicinò all’unica telecamera della banca, oscurandola con una bomboletta spray.

Annuì, tornando verso quello che doveva essere il capo.

- E ora? – chiese, spostando nervosamente il peso da un piede all’altro.

- Taci – gli venne intimato in risposta.

Il primo uomo si guardava attorno, soddisfatto da quello che vedeva.

- Bravi – disse – Così va meglio -

Si erano messi tutti a terra. Chi seduto, chi sdraiato. Nessuno sorrideva, ma non c’era nemmeno qualcuno che piangeva. I bambini avevano gli occhi sgranati, sconvolti dalla sorpresa, come se stessero guardando un film alla televisione. L’uomo d’affari aveva cominciato ad imprecare fra i denti, maledicendosi ancora per aver scelto quella dannata banca. La nonnina era ancora seduta sulla sua sedia, la schiena appoggiata al muro. Aveva momentaneamente interrotto il suo lavoro, guardando con disapprovazione i nuovi arrivati: erano ragazzi cresciuti proprio male. Potendo, ci avrebbe pensato lei ad insegnargli le buone maniere.

- I soldi! – gridò ancora, sempre lo stesso uomo, adesso davanti allo sportello principale.

Fissava l’impiegato con rabbia, mostrandogli un enorme sacco nero.

- Riempilo, veloce! – gli ordinò, la voce vibrante – Adesso! -

Il ragazzo dietro il vetro annuì, lo sguardo fisso sulla canna della pistola che lo teneva sotto tiro. Prese il sacco, deciso a riempirlo. Non era pronto a morire. Non era ancora il momento, questo si ripeteva.

- Tenete d’occhio gli altri! – gridò improvvisamente, rompendo il silenzio, quello che ormai tutti avevano identificato come capo. Lo stesso verso cui in quel momento stavano fluendo tutti gli improperi.

Gli altri due incappucciati si erano infatti distratti, gli sguardi persi sui cartelloni colorati appesi ai muri.

Al richiamo del capo si ripresero, tornando a puntare le pistole verso le persone sul pavimento.

Non si sentiva volare una mosca. L’unico rumore era il leggero fruscio delle verdi banconote che venivano gettate con foga nel sacco. Il giovane impiegato infatti non se l’era sentita di disubbidire. Diligente come non lo era mai stato, seguiva le istruzioni appena ricevute dall’uomo in nero. Sua madre glielo diceva sempre: sei un poco di buono, ecco cosa sei! Con la testa che ti ritrovi, vedi che non camperai a lungo… In quel momento il ragazzo sudava freddo, rivolgendo un tacito pensiero alla madre. Perché le madri, c’è poco da fare, hanno sempre ragione.

Il silenzio surreale che era appena sceso nell’edificio venne improvvisamente rotto da una suoneria.

Era la suoneria di un cellulare, vivace e chiassosa. Si diffuse nella stanza, facendo alzare la testa a tutti.

Cercavano di capire da dove provenissero quelle note, quella musica inadatta.

Fu il secondo uomo in nero ad estrarre il telefono dalla tasca dei pantaloni. Lo fece con movimenti impacciati ed imbarazzati. Quando il telefono fu libero la musica sembrò alzarsi ancora più di volume, lasciando libera Cyndi Lauper di cantare a tutta voce Girls just want to have fun.

- Imbecille! Lo vuoi spegnere sì o no? – chiese, su tutte le furie, il primo uomo in nero.

L’altro nel frattempo aveva portato il cellulare davanti agli occhi per di leggere il nome del chiamante.

- Non posso, Pietro – rispose, scuotendo la testa – E’ Michela, devo rispondere! – continuò, ignorando le occhiate omicida che l’uomo di nome Pietro gli lanciava.

La suoneria smise di colpo, sostituita dalla voce dell’uomo che, sollevata la calza nera dalla bocca, si era affrettato a rispondere. La voce adesso era dolce e pacata, quasi confortante:

- Ciao, amore, tutto bene? Senti adesso veramente non potrei parlare -

Pietro nel frattempo sbattè con forza il pugno contro il vetro, facendo segno all’impiegato di riprendere immediatamente da dove si era interrotto. Il ragazzo annuì, ricominciando a gettare banconote nel sacco. Con un occhio guardava la pistola che aveva davanti, con l’altro osservava il brigante innamorato.

- No, è una conferenza di lavoro – diceva, giocherellando con la pistola – Certo che ci vediamo stasera, amore. Al solito ristorante? A che ora? Va benissimo! – Sorrise, annuendo ancora – Ti amo anch’io -

Pronunciate quelle ultime parole chiuse la chiamata, posando il telefono in tasca.

Pietro lo fulminò con gli occhi, ringhiando fra i denti:

- Finita la telefonata? Non è che vuoi anche un caffè? – gli chiese, lapidario.

L’altro si strinse nelle spalle, riabbassando la calza per coprire tutto il viso. Si accorse della mano sollevata fra la folla e si avvicinò all’uomo che l’aveva alzata:

- Che c’è? – chiese, la voce di nuovo dura.

- Non è che posso fare una telefonata anche io? – domandò, innocentemente, l’uomo con il completo scuro ed elegante. Nonostante il cappuccio nero si videro lo stesso le sopracciglia dell’uomo armato schizzare verso l’alto, in un espressione basita.

- Certo che no! – rispose, trattenendosi a stento dal gridare.

L’uomo d’affari mise il broncio, guardandolo contrito e tentando di nuovo:

- Ma perché? Lei ha telefonato! – disse, constatando l’evidenza.

- Non c’entra niente! – ribattè l’altro, voltandogli le spalle e tornando alla posizione di prima.

Giocava ancora con la pistola, sovrappensiero.

- Sta andando tutto bene con Michela, allora? -

A riportarlo alla realtà fu il bandito che fino a quel momento non aveva mai parlato. Sentendone la voce sobbalzarono tutti: era una voce femminile. C’era una donna sotto quel cappuccio!

La domanda era stata posta casualmente, apparentemente senza alcun motivo.

- Abbastanza sì, stasera è il nostro quinto appuntamento -

- Mi fa piacere – continuò la donna, con un tono che indicava l’esatto contrario. – Hai intenzione di portarti anche lei a letto per poi non richiamarla più? – chiese, caustica.

Pietro sbattè di nuovo il pugno contro il vetro, soffocando un gemito per il dolore che si era causato.

- La smettiamo, sì o no? Ma cosa vi prende, Santo Dio?! -

Gli altri due lo ignorarono.

- Sedotta e abbandonata. E’ così che fai, no? -

- No! Lo sai che non è vero! – rispose l’uomo, allargando le braccia di fronte a lei che lo assaliva.

- Cattivo, ragazzo. Non ci si comporta così –

Si voltarono tutti verso la nonnina che, un ferro da maglia puntato verso il bandito, gli faceva la predica.

- Lo avevo già capito che eravate state cresciuti male, ma questa è la conferma. Non si abbandonano le ragazze, lo sai? E’ un brutto comportamento -

L’uomo scalciò, sbattendo il piede per terra adirato: - Ma lei vuole stare zitta?! –

- Non essere scortese, Simone. La signora ha ragione. Vedi che te lo dice anche lei di aver torto? -

Simone grugnì, spingendo la donna verso le sedie e facendola sedere accanto alla nonnina.

Puntò la pistola contro entrambe, minacciandole: - Zitte! Tutte e due! –

La donna si rialzò immediatamente, dandogli con brutalità uno schiaffone sul volto.

- Non ci penso proprio! – sibilò, favoreggiata dalla nonnina.

L’impiegato ormai faceva cadere più banconote fuori che dentro il sacco.

Tutti nella stanza seguivano con attenzione la conversazione, spostando alternativamente lo sguardo da Simone alla ragazza; dalla ragazza alla nonnina; dalla nonnina di nuovo a Simone.

Una mano si alzò di nuovo dalla folla, interrompendo il gioco:

- Sicuri che non possa telefonare? -

Pietro e Simone questa volta gridarono insieme, furiosi:

- Sì! Non può! -

La nonnina scosse la testa, contrariata: - Non siete corretti, però, signori. Se non era possibile fare telefonate dovevate dirlo prima e in quel caso neanche lo sciupa femmine avrebbe dovuto farlo – disse.

La donna con il cappuccio rise, divertita.

- La signora ha ragione. Hai sbagliato, Simone… imbecille e sciupa femmine – celiò, il riso nella voce.

- Quindi posso telefonare? – intervenne l’uomo d’affari.

- No! Cristo, no! – gridò Pietro, strappando il sacco dalle mani dell’impiegato. Vi guardò all’interno, vedendo che non era pieno nemmeno per metà. Sconvolto risollevò il viso:

- E allora? Questi sono i soldi? – chiese, esasperato e basito.

L’impiegato si strinse nelle spalle, arretrando di un passo, incerto.

- E’ una piccola banca, signore. Non abbiamo una grande disponibilità di liquidi – rispose il ragazzo.

Questa volta a sbuffare irritati furono tutti e tre i briganti.

- Chi è l’idiota che ha scelto la banca? – chiese Pietro, lo sguardo rivolto verso Simone.

- Non io! – si difese quest ultimo, indicando la ragazza alla sua destra: - E’ stata Rita! – continuò.

Rita scosse la testa, incrociando le braccia.

- Non è vero. Non sono idiota, io. Perché avrei dovuto scegliere questo buco? – si stizzì lei.

- Che stai insinuando? Che sono io l’idiota del gruppo? – l’assalì Simone, piegandosi verso di lei.

- Stai facendo tutto da solo, genietto – mormorò Rita, i denti serrati.

Pietro mugolò, frapponendosi fra i due. Allargò le braccia, sospirando.

- Basta così – disse – Perquisiteli tutti, vedete se hanno qualcosa di valore - concluse, tornando allo sportello. Puntò di nuovo la canna sul giovane impiegato che, gli occhi chiusi, sperava di scomparire.

- Non esiste una cassaforte da questa parti? – gli chiese, come se discorresse del tempo.

- No, mi spiace –

- Sicuro? Neanche una piccola piccola? – si lagnò, il tono triste.

- No, sono mortificato –

Pietro si lasciò sfuggire un singulto, affranto. Sobbalzò, sentendo una mano che gli accarezzava la gamba. Abbassò lo sguardo, individuando la manina di un bambino. Il piccolo lo osservava, il sorriso sulle labbra:

- Non essere triste – disse, cercando di confortarlo – Tieni – aggiunse, porgendogli una caramella.

Pietro la prese, ringraziandolo.

- E’ alla fragola – gli spiegò il bambino. Pietro la aprì e, sollevata la calza, la mise in bocca.

- Buona? – si informò il bimbo, premuroso.

Pietro annuì, carezzandogli i capelli e raggiungendo i suoi due complici. Li guardò mentre facevano il giro delle persone, aprendo e restituendo i portafogli. Simone lo vide masticare e si avvicinò, curioso.

- Che mangi? – gli chiese.

- Una caramella – rispose Pietro, contando i soldi che l’altro gli porgeva.

- Gusto? –

- Fragola – disse Pietro, sospirando abbattuto. Venticinque dollari e cinquanta centesimi. Poteva piangere?

Simone strinse gli occhi, avvicinandosi di un passo ancora.

- Dove l’hai presa? – chiese, il fare cospiratorio – La voglio anch’io -

Pietro si coprì gli occhi con le mani.

Voleva piangere.

§

Mauro aveva capito subito che erano briganti di terza mano.

Aveva intuito fin dal primo momento che quella doveva essere la loro prima rapina. Ed ora, ripensando agli indizi che aveva avuto, ne era sempre più convinto. Non erano esperti, no. Idioti, più che altro.

Mauro sarebbe stato capace di rapinare una banca mille volte meglio.

Tanto per cominciare avrebbe scelto una banca più importante, con la possibilità così di arraffare più soldi.

Poi, non avrebbe parcheggiato la macchina a quel modo: per metà sul marciapiedi, che ingenui… non facevano altro che attirare l’attenzione con quel catorcio parcheggiato tutto storto.

Non avrebbe nemmeno indossato quel tipo vecchio ed usurato di calza che, se non errava, era lo stesso tipo che indossava sempre sua zia. Che vergogna, aveva pensato, scuotendo la testa.

Mauro in quel momento però, non pensava ai briganti imbranati. Pensava a Loredana.

Era preoccupato.

L’aveva vista obbedire fulminea all’ordine ricevuto, sedersi per terra, lo sguardo terrorizzato, ed arretrare lentamente verso il muro. Vi si era appoggiata, stringendo le ginocchia al petto. Gli occhi bassi, la testa fra le mani… tremava ad ogni urlo che sentiva. Sembrava volersi fare sempre più piccola.

Mauro era davvero preoccupato: vedeva Loredana quasi ogni giorno, di sfuggita, tornando dall’università. E non l’aveva mai vista in quello stato. Non era semplice paura, quella che forse provavano un po’ tutti là dentro, no… era terrore puro. C’era qualcosa che non andava.

Mauro lentamente, cercando di non farsi vedere, si avvicinò alla ragazza. Prese posto accanto a lei, cercando di attirarne l’attenzione, ma Loredana sembrava non sentirlo affatto.

- Loredana – bisbigliò, senza ottenere alcuna reazione.

Si avvicinò ancora un pochino, trovandosi così a sedere accanto a lei. Le poggiò una mano sulla spalla, ma la ragazza continuava ad ignorarlo. Mauro stava per demordere quando sentì un singulto.

La fronte corrugata, si piegò su di lei, portando le labbra accanto all’orecchio della ragazza.

- Stai bene? – chiese, perfettamente conscio di quanto la sua domanda fosse idiota.

Loredana annuì, cercando di allontanarsi dal ragazzo, proprio nel momento in cui uno dei banditi alzava di nuovo la voce. Loredana non riuscì più a spostarsi. Rimase pietrificata sul posto, il tremore che scompariva per poi tornare più forte di prima, le mani che salivano improvvisamente alle orecchie.

Mauro guardava la ragazza, osservandone confuso i gesti.

Serrò la mascella: non poteva vederla in quello stato senza fare niente!

Si piegò di nuovo su di lei, questa volta per niente propenso a lasciarsi allontanare. La chiamò e le sollevò con delicatezza il mento per poterla guardare in viso. Loredana non oppose resistenza.

- Ciao – disse lui, la voce calda e rassicurante.

Loredana non sorrideva. Le gote rigate dalle lacrime, lo fissava con un’espressione da cucciolo impaurito.

- Io sono Mauro – continuò il ragazzo, le labbra atteggiate in un largo sorriso. – Tu sei? -

Loredana non rispose subito: portò le mani in grembo, stringendole forte l’una nell’altra e reclinando il capo all’indietro, contro il muro. Chiuse gli occhi, inumidendosi le labbra.

- Loredana – mormorò poi, la voce spezzata.

Mauro fece per dire qualcosa, gli occhi sempre fissi sulla figura della ragazza, ma lei lo precedette.

- Non fa caldo qui dentro? – chiese, il respiro affannoso – Troppo caldo – continuò, scuotendo la testa.

Mauro non sentiva caldo. Assottigliò lo sguardo, sorpreso da come il respiro della ragazza continuasse ad accelerare. Senza pensarci due volte le afferrò un polso, stringendolo fra le dita per sentirne i battiti.

Quello che sentì non gli piacque per niente: erano troppi battiti, veloci, assolutamente irregolari.

- Posso fare qualcosa per te? – le domandò, spaesato, non avendo idea di come doveva comportarsi.

Loredana prima negò con il capo, poi annuì. Aprì gli occhi, incontrando quelli di Mauro.

- Falli andare via – sibilò. C’era supplica nella sua voce. Ansietà. Paura.

Un senso di allarme che sembrava stravolgerla totalmente.

La voce forte del brigante che imponeva il silenzio fece trasalire Mauro, ma fu nel momento in cui sentì il polso della ragazza tremare fra le sue dita che capì. Un lampo. Un’improvvisa luce di comprensione.

Sorrise, prendendosela con se stesso per non esserci arrivato prima.

Con un semplice movimento si portò di fronte a lei, prendendo entrambe le mani della ragazza nelle sue.

Loredana lo seguiva con lo sguardo, lasciandolo fare senza opporre il minimo movimento.

- Sai che sta per arrivare il freddo? – cominciò Mauro, il tono colloquiale di chi è davanti ad una tazza di caffè. Loredana inarcò le sopracciglia, temendo per i nervi del ragazzo.

- L’ho sentito stamattina al meteo – spiegò Mauro, indifferente al resto – Dicono che l’ondata di maltempo avrà inizio mercoledì per poi terminare solo con l’arrivo della primavera –

Loredana lo ascoltava, cullata da quella voce che riusciva ad incantarla.

- Non ti sembra assurdo? Cioè, non dico che odio l’inverno… anzi, la pioggia mi piace. C’è un qualcosa di magico nella malinconia che porta con sé, non trovi? – Si fermò un secondo, continuando poco dopo – Non sono neanche pronto a vedere la pioggia ogni giorno, però! –

Loredana non riusciva a distogliere gli occhi da quelli del ragazzo. Sentiva le mani fresche di lui che, forti e rassicuranti, stringevano le sue. Senza nemmeno accorgersene stava reagendo esattamente come sperava lui. Mauro la osservava, notando con piacere che il respiro si calmava, così come i battiti. Il tremore delle mani era quasi scomparso.

- Il freddo ha un lato positivo, però – disse lui, attendendo con ansia ben nascosta la domanda che non si fece attendere troppo.

- Quale? – chiese Loredana, la voce flebile.

- Il freddo si abbina perfettamente con la cioccolata calda – spiegò Mauro, una luce maliziosa negli occhi.

- Ti andrebbe di venire a pendere una cioccolata con me, Loredana? – le domandò alla fine, il sorriso appena intaccato dal timore per la risposta che sarebbe arrivata.

Mauro non staccava gli occhi dalle labbra di lei, impaziente. Invece di vederle sorridere come si aspettava, però, le vide tremare. Corrucciando il viso, stava per chiederle cosa avesse quando si sentì scuotere per la spalla. Si voltò, scuro in volto, incontrando le maglie nere di una calza.

- Posso fare qualcosa per te? – chiese Mauro, la voce tagliente, seccato dall’interruzione.

- Sì. Puoi fare silenzio – rispose l’uomo, sconvolto dall’espressione furiosa del ragazzo. Certo che il mondo non era più lo stesso: da quando in qua vieni fissato con odio da chi tieni sotto tiro?

Mauro sollevò un sopracciglio, le labbra serrate per il nervosismo.

- Stavo intrattenendo una conversazione con la signorina – disse, la voce che vibrava dalla rabbia.

- E noi stavamo rapinando la banca – ribattè il brigante, mostrando la pistola a titolo esplicativo. Mauro scosse la testa, come a dire che non gli importava. Fece per girarsi di nuovo verso Loredana, ma venne bloccato dalla mano dell’uomo in nero che, la voce piagnucolante, tornò alla carica:

- Abbiamo cominciato prima noi, non è corretto interrompere! – esclamò, trattenendosi a stento dal pestare i piedi per la frustrazione. Mauro alzò gli occhi al cielo, la sensazione di essere tornato all’asilo.

- Non vi ho interrotti – disse, alzandosi in piedi – Interrompere: “ sospendere, troncare, mettere fine” . Non ho compiuto una sola di queste azioni, stavo solo parlando con la signorina! – esclamò, mentre la voglia improvvisa ed irrefrenabile di fumare lo assaliva.

Mauro avrebbe continuato, per niente intimorito dalla situazione in cui si trovava. Una sigaretta apparsa dal nulla fra le sue dita, gli occhi duri di chi sa di aver ragione. Avrebbe continuato, ma a fermarlo questa volta fu una mano che gli tirava la manica. Abbassò lo sguardo, incontrando gli occhioni da Bambi di Loredana. La ragazza lo fissava, alternando lo sguardo fra lui e la pistola del bandito, terrorizzata.

- Mauro – sussurrò, la voce tremante – Lascia stare, ti prego! -

Il ragazzo tentò di sorriderle, impresa ardua tanto il nervosismo che gli irrigidiva il viso.

Loredana continuava a tirarlo per la manica, incitandolo a sedersi. Respirava con affanno, piccole gocce di sudore che le imperlavano la fronte. Mauro portò la sigaretta alle labbra, gli occhi ridotti a fessure.

- Te l’accendo? -

Il ragazzo si voltò appena, la mano del brigante a pochi centimetri dalla sua bocca, un accendino pronto fra le dita. Mauro negò con il capo, lo sguardo di nuovo sul viso di Loredana.

L’uomo in nero era al suo fianco, anche lui con gli occhi puntati sulla ragazza:

- Che ha? – chiese, confuso.

- E’ liguirofobica – rispose Mauro, inginocchiandosi davanti a Loredana, riuscendo finalmente a sorridere.

- Liguiro… che?! – esclamò il brigante, sconcertato.

Il respiro di Loredana accelerò ancora un po’.

- Liguirofobica – ripeté Mauro, - Soffre di Liguirofobia, paura dei rumori forti -

Il brigante si grattò dietro la testa, imbarazzato senza capirne bene il motivo. Aprì la bocca, ma la richiuse.

- Lori – mormorò, Mauro – Va tutto bene -

Lei scosse la testa, fissando con orrore la pistola poco lontana.

Mauro ne seguì lo sguardo, rivolgendosi poi con decisione all’uomo dietro di lui:

- Non sparare – disse, il tono che sembrava un ordine.

- Cosa? –

- Non hai intenzione di sparare, vero? – chiese, come fosse una domanda retorica – E’ terrorizzata dall’idea che tu possa premere quel grilletto – continuò Mauro, prendendo le mani della ragazza fra le sue – Ma non deve, perché tu non vuoi sparare, giusto? –

Doveva essere una domanda quella del ragazzo, eppure non aveva niente di interrogativo. La risposta se l’era dato da solo. Il tono, l’espressione, il brigante annuì appena, incapace di fare altro.

Mauro sorrise, carezzando la guancia della ragazza.

- Visto? – chiese, sollevato dal fatto che il respiro di Loredana cominciasse a rallentare.

Al primo brigante se ne aggiunse un secondo che, l’espressione scioccata, scuoteva la testa affranto.

- Dobbiamo andarcene – mormorava – Via di qui prima che la follia ci contagi, assolutamente -

Un borbottio indefinito, subito imitato dal compagno in nero.

- Il più lontano possibile da questo quartiere – approvò, facendo dietrofront ed avviandosi lesto all’uscita.

 

§

 

Simone seguiva Pietro, pronto a lasciare la banca.

Gli importava poco che avessero racimolato solo qualche migliaia di dollari. Faceva schioccare la lingua, ancora il sapore di fragola nella bocca. Le lacrime avevano smesso di premere per uscire: aveva capito che piangere a quel punto era inutile. Come si dice? Mai piangere sul latte versato.

Pietro si stringeva nelle spalle, la schiena rivolta all’uscita, lo sguardo perso sulla folla di persone.

Era indeciso se salutarle o meno.

Stava ancora pensandoci quando qualcuno venne a sbattergli contro. Pietro ne sentì la voce, rammaricata:

- Chiedo scusa! Non l’avevo proprio vista – stava dicendo, un attimo prima che Pietro si girasse.

E si trovarono faccia a faccia: calza nera e slargata da donna e divisa della polizia.

Pietro sbarrò gli occhi, imitando senza accorgersene l’espressione del poliziotto sovrappeso che aveva davanti. Due espressioni da pesce palla, ecco cosa stavano facendo.

Pietro, sacco in una mano e pistola nell’altra.

Poliziotto, ciambella in una mano e pistola nell’altra. Perché mai ciambella e pistola, si chiedeva Pietro?

Non ci fu modo di opporsi in alcun modo. Simone da un lato, che gli ricordava di non poter sparare, c’era pur sempre la ragazza liguo qualcosa, che non lo dimenticasse; Rita dall’altro lato, intenta a chiacchierare con la nonnina del lavoro a maglia. Il poliziotto davanti, a cui era scivolata la ciambella.

Pietro lasciò cadere le cose che reggeva e sollevò le mani, pronto ad essere ammanettato. Gli occhi chiusi, sentiva a mala pena la voce incredula del poliziotto che chiamava il collega, dicendogli di venire a vedere perché altrimenti non ci avrebbe creduto.

Pietro a quel punto ci ripensò.

Sospirando si decise.

A quel punto avrebbe potuto, si disse. Sì, ne era sicuro.

Poteva piangere.

 

§

 

Mauro stringeva con un braccio la vita di Loredana.

Si assicurava che ce la facesse a stare in piedi, che potesse uscire e prendere aria senza sentirsi male.

Sorrideva ancora, la sigaretta spenta che gli pendeva dalle labbra.

- Come l’hai capito? – si sentì chiedere, una voce dolce che lo prese alla sprovvista.

Abbassò gli occhi, incontrando quelli riconoscenti di Loredana.

Mauro si strinse nelle spalle, facendola sedere sul primo muretto che incontrarono. Le si fermò di fronte, le mani nelle tasche e lo sguardo perso:

- Studio psicologia – disse, a mo’ di spiegazione.

Ancora non riusciva a capire come avesse potuto non riconoscere subito i sintomi che mostrava.

Loredana annuì, le gote imporporate.

- E’ assurdo, vero? – chiese, la voce bassissima.

- Cosa? –

Lei scosse la testa, facendosi piccola piccola. Non le piaceva parlare di quella sua paura, paura del resto che cercava sempre di ignorare, di nascondere persino a se stessa.

- E’ una fobia ridicola, lo so. Io non capisco come sia possibile che… - si fermò, interrotta dal dito che il ragazzo le aveva premuto dolcemente sulle labbra.

- Non mi hai più risposto –

Loredana lo guardò, sorpresa. Non riusciva più a seguirlo.

Vide il sorriso di lui e sentì il viso che le andava in fiamme. Fiamma, caldo… cioccolata calda!

- Certo! – rispose di colpo, gli occhi sgranati.

Il dito di Mauro indugiava ancora sul labbro inferiore di lei, procurandole un brivido diffuso. Si illuminò in viso, la sigaretta che cadeva da quell’equilibrio precario.

- Sai cosa, però? – mormorò lui, allontanandosi di un passo – Fa caldo per una cioccolata -

Il sorriso di Loredana si spense di colpo, portato via da quello che era il sottinteso delle parole del ragazzo.

- Non vuoi più… -

Di nuovo lui non la fece concludere, porgendole una mano.

- Voglio farti vedere un posto che adoro – mormorò Mauro, guardandola birichino.

Loredana sorrise, afferrando di slancio la mano di lui. La strinse forte, con tutte le sue forze.

Non avrebbe più voluto lasciarla.

Era la prima volta che una mano faceva sparire i rumori esterni.

Quando la stringeva i suoni assordanti sembravano allontanarsi da lei, lasciandola sola con lui. Con lui e la sua sigaretta. Loredana sorrise, guardando quelle dita magiche.

Una mano perfetta, complementare alla sua.

Non l’avrebbe più lasciata.

 

§§§

 

Questo è quello che si riesce a vedere con uno zoom di precisione.

Miracoli dell’elettronica.

Possiamo continuare a guardare, seguire quei due che si allontanano dalla banca, semmai.

Possiamo seguirli, i due piccioncini mano nella mano.

E arriveremmo fino alla piccola biblioteca, da cui li vedremmo uscire solo parecchie ore dopo, ancora mano nella mano, i sorrisi più luminosi di quand’erano entrati.

Non lo facciamo, però.

Non li seguiamo.

Da bravi osservatori quali siamo, lentamente, arretriamo. Togliamo lo zoom, smettiamo di spiare.

Con grande forza di volontà li lasciamo soli, a godersi quella che in fondo è la loro privacy. Non ci è permesso usare lo zoom fino a questo punto, no. Arretriamo, arretriamo sempre.

Ci allontaniamo dalla periferia.

Torniamo ad inquadrare la grande città e riflettiamo…

Da che parte zoomiamo ora?

 

*

 

 

 

 

   
 
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