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Autore: Francine    27/06/2003    4 recensioni
Che ci faceva lì?
Ma, dov’era
?
Forse al Santuario? Ma da quando in qua ad Atene c’è necessità di coprirsi tanto?, pensò sgranando gli occhi di colpo, E poi quando mai Mask mi ha portata con sé?
Fece per alzarsi di scatto, quando un lancinante dolore al fianco le mozzò il respiro nei polmoni e la costrinse ad accasciarsi sul pavimento, un braccio posato sul letto.
Si toccò istintivamente la parte, notando la punta delle dita sporca di sangue.

Che cosa?, si chiese allibita, mentre la stanza attorno a lei cominciò a girarle vorticosamente intorno e a scurirsi.
Il narciso, bianco nel nero puro della stanza, si allontanava piano piano, svanendo all’orizzonte.
Rimase qualche secondo a fissare l'oscurità; sbatté le palpebre, per sincerarsi di avere gli occhi aperti.
Era nel buio più profondo e silenzioso.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo Personaggio, Scorpion Milo
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Un, deux, trois' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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PROLOGO
 
Thank you for coming home.
I'm sorry that the chairs are all worn.
I left them here I could have sworn.
These are my salad days slowlyy being eaten away.
Just another play for today.
Oh but I'm proud of you but I'm proud of you.
Nothing left to make me feel small.

Luck has left me standing so tall, all.
(Gold, Spandau Ballet, 1983)


 
L’intero spettro solare era riprodotto sulla rugiada che riluceva sui petali delle splendide rose rosse, che, legate in uno sfarzoso mazzo, erano protese davanti a lei. Il profumo inebriante e delicato dei fiori si propagava per quella stradina stretta, giungendo alle sue narici.
Come resistere?
Vide il mazzo oscillare nervosamente tra le mani del ragazzo dalla giacca blu che l’aveva fermata non appena aveva staccato dal lavoro. Gli sfiatatoi dell’impianto di areazione vomitavano all’esterno un caldo ancor più asfissiante di quello naturale. Il sole, arancia rossa nel cielo vespertino, si accingeva a terminare la sua corsa odierna gettandosi nel mare.
La ragazza guardava quello spaurito giovanotto brandire quel mazzo di rose neanche fosse un oggetto rovente; rimaneva silenziosa ad attendere ciò che doveva dirle, ma lui, tuttavia, non trovava neppure la forza per guardarla dritto negli occhi: era quantomeno impensabile che riuscisse a riferirle il suo messaggio. Qualunque esso fosse.
Povere rose, pensò lei fissando quei fiori che, nel loro mutismo, le lanciavano un accorato appello.
Salvaci dalla morsa di questo pazzo!, parevano sussurrarle le rose, strizzate come camicie da stendere ad asciugare. La carta crespa, di un tenue verde prato, aveva finito col tingere le mani del ragazzo. Sembrava che si fosse rotolato nei prati fino a pochi istanti prima.
Dopo cinque minuti di assoluto silenzio, eccezion fatta per i rumori della strada principale che giungevano attutiti, la ragazza si decise a prendere l’iniziativa.
«Posso aiutarti?», chiese con dolcezza a quel ragazzo con gli occhiali. Il quale per poco non ebbe un infarto sentendo la sua voce.
«Ecco...io...io…», balbettò timidamente, non riuscendo a smettere di strizzare ancor di più i fiori.
«Così distruggerai quelle belle rose…», suggerì lei indicando il mazzo di fiori.
«Eh?», fece il ragazzo come se stesse cadendo dalle nuvole. «Ah! Le rose! Ehm, queste... sono per te!», trovò infine il coraggio di dirle avvicinando con mal garbo il mazzo al suo viso.
Per me? «Ti ringrazio…» Lo sguardo di lei scese ad esaminare quei petali stupendi, dal delicato color arancio e dall’inebriante profumo. «Grazie ancora, ma non capisco…», fece lei osservando quel giovane che tremava ancora come una foglia. Devo avere un aspetto orribile, se questo poveretto trema così!, pensò inarcando un sopracciglio.
«I-io… io vo-volevo d-dirti che…», iniziò a dire il ragazzo facendo appello a tutto il proprio coraggio. «Io…beh, sì, ecco…»
«Tu, cosa?!», domandò lei quando l’altro ricadde in un insondabile mutismo: quella situazione stava iniziando a darle sui nervi!
D’un tratto lo riconobbe.
«Ah! Tu! Vieni ogni pomeriggio! Vaniglia e cacao, giusto?», disse schioccando le dita.
Lo sguardo del ragazzo si aprì, illuminandosi di colpo. «Tu... ti ricordi di me?», chiese lui al massimo della gioia mentre avanzava verso di lei.
«Beh, sei uno dei nostri migliori clienti», si giustificò, arretrando di poco. Forse facevo meglio a stare zitta!, pensò ponendo il mazzo di rose fra lei e il suo strano ammiratore.
«Allora...posso sperare?», le chiese con un ampio sorriso radioso.
«Sperare? Sperare che?», lo rimbeccò fissandolo bieco. «Devi dirmi qualcosa?» Lui annuì. «Bene. Qualunque cosa sia ti prego di far presto, perché vado di fretta!»
«Io…», riprese a balbettare abbassando di nuovo la testa, mentre lei pregava che non ricominciasse da capo, « IO SONO INNAMORATO DI TE!», gridò lui dopo aver inspirato aria sufficiente per percorrere in apnea una vasca olimpionica.
«Mi dispiace…», disse lei, «ma purtroppo non posso ricambiare i tuoi sentimenti. Mi spiace sul serio», concluse allontanandosi verso un vicolo.
«Pe... perché? Non ti piaccio, forse? O c’è già qualcuno nel tuo cuore?», chiese lui tentando di raggiungerla: voleva trattenerla a tutti i costi! Ora che aveva trovato il coraggio per dichiararsi dopo mesi passati ad ingozzarsi di gelato, non poteva lasciarsela scappare così!
Lei si fermò. Il ragazzo attese una risposta alla domanda che le aveva posto, pregando di avere anche una sola speranza.
«A me non è concesso amare!», rispose lei, gelida come il ghiaccio, volgendo la testa verso il suo interlocutore. Quindi svoltò per il vicolo sparendo alla vista del suo corteggiatore.
Il ragazzo impiegò alcuni istanti per riprendersi dalla scioccante risposta, quindi con un coraggio che neppure lui si aspettava di possedere, le corse dietro. Quando superò l’angolo si trovo in un vicolo cieco.
Della ragazza non c’era alcuna traccia.
 
Cavoli, quella battuta mi è uscita molto più cattiva di quanto avessi preventivato!, pensava mentre percorreva la strada che l’avrebbe ricondotta a casa. Una battuta degna di un Harmony di terza categoria. O della cattiva di una telenovela, una di quelle zitelle acide che hanno il solo scopo di creare odii e tensioni tra i due giovani innamorati. 
Il mazzo di rose che teneva tra le mani ondeggiava al vento leggero che spirava dal mare e che giocava con i suoi capelli, mentre le ombre della sera si andavano inesorabilmente allungando, segno che presto sarebbe giunto l’inverno e che le lunghe e belle giornate estive volgevano ormai al declino. Da una finestra aperta le arrivavano le note di una canzone che amava molto, una canzone che lei e Andrea ascoltavano la sera, con la radiolina scalcagnata che aveva regalato loro Tonio, affacciate alla finestra a guardare il mare scuro, una granita tra le mani e i lividi giornalieri che decoravano braccia e gambe come le medaglie di un bravo soldato.

'cause you are gold
always believe in your soul
you've got the power to know
you're indestructible
always believe in, 'cause you are gold
I'm glad that you're bound to return
there's something I could have learned

you're indestructable,always believe in…

Che malinconia, pensò calciando una lattina che incontrò sulla sua strada: non era un’azione propriamente femminile, ma tanto chi l’avrebbe ripresa?
Sua madre non c’era più, suo padre non l’aveva mai conosciuto, e suo fratello…
Suo fratello…
S’accorse solo allora di star piangendo copiosamente.
Perfetto! Adesso piango pure senza accorgemene, pensò asciugandosi in fretta le lacrime e ricacciando indietro le altre. Guardo troppe telenovele, questa è la verità. 
Passò davanti ad un negozio di musica: aveva la saracinesca abbassata, ma le vetrine più piccole erano state lasciate in vista, illuminate da un neon rosa fluo. Il ritratto del giovane uomo che vide nella vetrina di destra le face sobbalzare il cuore in gola.
«Non è possibile!», quasi gridò mentre si avvicinava al vetro per guardare meglio.
Era proprio lui! Ma da quando si era messo a fare il cantante rock? Com’era possibile che?
Appoggiò una mano sul vetro freddo ed impolverato e fissò dritto il volto di quel ragazzo che le risultava così familiare.
«Lo sapevo! Mi stavo sbagliando!», disse sospirando dopo aver letto la didascalia che accompagnava quel poster.
Joey Tempest, pensò sorridendo e regalandosi un sospiro. Vi somigliate molto, sai, Joey?, disse fra sé e sé seguendo il profilo del cantante con un dito. Guardò poi il polpastrello: era coperto da un velo di polvere nera.
Seccata per essersi sporcata come una sciocca, estrasse un fazzolettino dalla tasca dei suoi pantaloncini rosa e si pulì alla bell’e meglio.
Tornò poi a fissare l’immagine al di là del vetro.
Chissà come sta?, si chiese con una punta d’ansia ,ricacciando il fazzoletto in tasca. Anche se avesse voluto saperlo, non credeva assolutamente che avrebbe potuto scoprirlo.

Non posso certo fargli una telefonata come se niente fosse! Dopo tutti i guai che gli ho procurato, come minimo mi sbatte il telefono in faccia! Come minimo!

Rassegnata, si staccò da quella vetrina e riprese la strada verso casa.
E in tutto questo, a lei cosa interessava come stava lui? Come stavano tutti loro?
Guardò l’orologio: le nove meno un quarto.
È tardi! Se mi sbrigo faccio ancora in tempo!, pensò prima di iniziare a correre la ripida strada che saliva verso casa.
 
   
 
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