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Autore: Padme Undomiel    15/11/2010    4 recensioni
Ken si voltò verso di lei, accigliato […] “Cos’è successo?” Le chiese.
“Cos’è successo … dove?” ripeté lei, improvvisamente spiazzata. Aveva pensato che le avrebbe rimproverato di averlo seguito, o che le avrebbe chiesto perché lo stesse cercando, ma questa risposta non l’aveva affatto considerata.
Se possibile, l’espressione sul viso di lui si fece ancora più sbigottita. “Con la donna misteriosa. Io … non … non è successo niente?”
Che strano ragazzo era, Ken. Appariva così completamente diverso dal bambino prodigio che era costantemente intervistato dai giornalisti. Faceva quasi tenerezza nel suo impaccio, nel suo balbettare.
“Niente di niente, per fortuna. Oggi ci è bastato, non ti pare?” Fece lei tranquillamente. “Perché?”
Quando rispose, lo fece con tutta la perplessa incredulità di questo mondo. La sua calma quasi contrastava con l’espressione inquieta del suo viso. “E allora proprio non capisco perché tu sia qui.”
[…]“Le informazioni che hai dato ai giornalisti non hanno alcuna importanza, non ci dicono nulla su come sei: sembra che parlino di Ichijouji-kun, ma non lo fanno. Io voglio conoscere il vero Ichijouji-kun, perché ho solo una vaga idea di come sia caratterialmente.”
Un finale alternativo della puntata 25 di Adventure 02. Dedicata a Shine :)
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ken Ichijoji, Miyako Inoue/Yolei
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Want You To Know My Name
Want you to know my name









Cosa lo spingeva ad andar via ogni volta che terminava il suo compito?

Un istinto di protezione, forse.
Come un animale selvatico, diffidente, si trascinava tra la boscaglia, leccandosi in solitudine le ferite, e ritraendosi ogni volta che veniva scoperto.
Come un’ombra scura nel crepuscolo, era sfuggente, e labile, e non ti riusciva mai di sfiorarlo nemmeno con un dito.
Ma dov’era?
Dov’era quando la notte calava, le stelle brillavano, la luce spariva?
Dov’era quando le urla in battaglia non risuonavano, quando non c’era bisogno di lui?
E quando le azioni diventavano ricordi, e i minuti rimpianti, e i secondi rimorsi … Dov’era?

“Si può sapere cosa stai facendo con quel Digiterminal in mano?”
Con un sussulto, Inoue Miyako ritornò improvvisamente con i piedi per terra. E spostare lo sguardo da quel bosco, da quella figura che era andata man mano allontanandosi, per posarlo su Motomiya Daisuke le sembrò, per un istante, un contrasto fin troppo forte.
Com’era possibile che il sole fosse calato così tanto? Non si era accorta del nuovo gioco di luci e ombre che ora era apparso sul viso del suo compagno di squadra, intento a fissarla con pigra curiosità.
E solo allora ricordò che aveva un segreto da nascondere.
Mise via l’apparecchio, con aria noncurante. “Niente che possa interessarti, Daisuke. Davvero.” Dichiarò tranquillamente.
Che motivo aveva lui di conoscere il destinatario di quella breve, impulsiva, tanto sentita mail?
Daisuke sbuffò, voltandosi dall’altra parte. “Sai che ti dico? Non mi interessa davvero, tieniti i tuoi segreti!”
Certo, gli doveva qualcosa, pensò, accigliandosi. Tra tutti i Bambini Prescelti, lui era stato il primo a perdonare, il primo a vedere del buono in lui, dopotutto. Se non fosse stato per lui, probabilmente quel problema non se lo sarebbe nemmeno posto.
O forse sì. Solo che aveva indubbiamente affrettato i tempi.
Chissà quanto ci avrebbe messo altrimenti a capire quanto si stava sbagliando sul suo conto …
Aguzzò di nuovo lo sguardo nella boscaglia, cercando di scorgere ancora quella figura allontanarsi, quel passo tranquillo ma deciso a nasconderlo sempre più alla vista degli altri …
Pareva che l’avesse perso. Miyako sbuffò, imbronciata.
Possibile che fosse stato così veloce da sparire in un soffio?
“In ogni caso, cosa ne dite di tornare a casa adesso? Si sta facendo davvero tardi, e dopo l’episodio di quel Digimon siamo tutti stremati”, stava intanto dicendo Iori, ragionevole. Appariva chiaramente stanco, e non parve stupito nemmeno di vedere l’approvazione sul viso degli altri.
“Hai proprio ragione! Ah, non vedo l’ora di essere a casa e di fare una cena come si deve!”, gli rispose Daisuke, stiracchiandosi soddisfatto. “Allora, andiamo verso il portale!”
Naturalmente, fu l’unica ad essere contraria alla proposta.
Si voltò, mentre gli altri già si avviavano verso la via per casa. “Ehi, perché così presto? Non possiamo fermarci un altro po’ a Digiworld?”, protestò calorosamente, rincorrendoli e ponendosi davanti a loro.
Umani e digimon la scrutarono perplessi, come se avessero visto un marziano.
“Davvero, non è fantastico questo clima di pace? Per una volta che possiamo goderci questo angolo di tranquillità senza pericoli!” Sorrise loro incoraggiante, sperando con tutta se stessa che la accontentassero. Sentiva gli occhi di Hawkmon puntati su di lei, come a cercare di capirla. “Guardate, sono sicura che anche Hawkmon vuole restare qui con me!”
Miyako non aveva tenuto in conto con l’ingenua spontaneità delle creature digitali, purtroppo.
Sperava in un suo appoggio, e cercò di farglielo capire con uno sguardo eloquente, ma sembrò tutto completamente inutile. Hawkmon sbatté i suoi grandi occhi, guardò ora Miyako ora il resto della comitiva, per poi ribattere: “Veramente sono stanco anche io … Fare quella nuova digievoluzione non è stato affatto semplice, Miyako-san.”
Regola numero uno: mai fare affidamento sul tuo digimon. Avrebbero fatto i conti più tardi, pensò, guardandolo storto e ricevendo in cambio un’ espressione confusa.
“Ha ragione, Miyako-san”, intervenne Hikari, esitante. Sembrava non capisse ciò che stava succedendo alla maggiore del gruppo. “Dobbiamo tornare, è meglio per tutti, non credi?”
Davvero tutti sarebbero tornati a casa?
Il suo sguardo corse ancora a quella boscaglia, ora così silenziosa e spoglia. Sembrava che stesse facendo buio anche lì. Chissà se ci si poteva guardare bene dai pericoli lì. Ma poi, cosa c’era da fare proprio in quel bosco?
Avrebbe dato chissà cosa perché lui lo avesse detto loro, prima di sparire.
Fu guardando quelle fronde mosse dal vento che le venne un’idea. Si illuminò, raggiante. “Se pensate che sia troppo tardi cominciate a tornare a casa!”, esclamò, ed era pienamente soddisfatta della sua trovata. “Io e Hawkmon ci tratterremo qui per un altro paio di minuti, e poi …”
“Sei impazzita? E come la metti con quella donna misteriosa che Palmon e Ichijouji hanno visto?” Obiettò Daisuke, e senza saperlo nominò proprio il motivo cruciale di tutta quella discussione. Miyako non poté impedirsi di sussultare, colta sul vivo. Come diavolo era possibile che avesse il potere di nominarlo tanto spesso proprio quando lei era più confusa?  “Non se ne parla, potreste ritrovarvi di nuovo a fronteggiare digimon derivati da Dark Towers.”
“Senza contare che a casa ci aspettano sicuramente”, aggiunse Takeru, ragionevole. “Dovrebbe essere l’ora di cena. I tuoi si preoccuperebbero, giusto?”
Miyako non sapeva più cosa fare. Avevano ragione, certo: doveva tornare. Ma come la metteva con quell’improvvisa impazienza che la teneva ancora inchiodata sul posto? Era come se stesse dimenticando qualcosa di grande importanza: non poteva lasciarla indietro.
Qualcosa di così nascosto e segreto da farla fermare, sorpresa, e a impedirle di abbandonare Digiworld. Di abbandonare …
Testarda, si oppose ancora. “Cosa c’entra? Ichijouji-kun è sempre lì fuori da solo, e non gli è mai successo nulla. E poi … all’occorrenza ho sempre Hawkmon. E se proprio dovesse essere così distrutto da non riuscire a proteggermi …”
“Miyako-san, non è carino da parte tua!” Replicò il suo digimon, vagamente offeso.
“… Potrò sempre difendermi a calci e a pugni. Oppure, potrei mandarvi un’e-mail di soccorso. Anche se non credo si verificherà un’altra situazione di emergenza: di solito ne escogitano una al giorno. Andrà tutto bene.”
Iori si era scurito in viso, e non era certo questione di orario, né di crepuscolo. Miyako osservò con stupore la rigidità della sua espressione, e solo allora si ricordò di chi aveva nominato. Ma come le era venuto in mente? Era convinta di non starci pensando … in quell’istante, se non altro. Aveva di nuovo parlato a sproposito, a quanto pareva. “Al contrario di Ichijouji, tu sei parte del gruppo, e non mi va che tu sia qui a rischiare quando tutti noi siamo via. Sarà meglio sbrigarci”, aggiunse, per poi superarla con passo marziale con Armadimon al seguito.
Sembrava davvero arrabbiato. E la cosa più particolare era che fino al giorno prima lei lo capiva bene: era troppo difficile fidarsi, anche volendo farlo, giusto?
Eppure, adesso non poteva più comprenderlo.
Si sentì ribollire di una strana rabbia indignata. Al contrario di Ichijouji. Non aveva forse salvato il villaggio di quei YukimiBotamon quel giorno? Non aveva forse diritto ad una seconda possibilità? Non aveva forse dimostrato di avere un animo buono, non si era scusato?
Si morse la lingua, impotente, imponendosi di aspettare. Iori l’avrebbe capito presto, come l’aveva capito lei quel giorno. Ci sarebbe voluto un piccolo sforzo in più, e poi gli avrebbe offerto anche lui amicizia.
Gli altri digiprescelti si erano decisi a seguirlo, sicuramente confusi. Iori appariva così irritato che nessuno ebbe il coraggio di contraddirlo, nemmeno Daisuke, che aveva difeso a spada tratta l’ex Digimon Kaiser fino a quel momento.
Miyako guardò ancora il sentiero alberato dove lui era sparito, indecisa. Quel desiderio di capire era ancora al suo posto, e non accennava ad andarsene.
“Miyako-san, dai. Torniamo a casa, eh?” Sentì dire da Hawkmon, e poteva avvertire alla perfezione il suo tono preoccupato.
“Ma non si sentirà solo a fare l’eremita in questo modo?”, commentò invece lei, confusa. “Ha detto che doveva andare. Ma perché doveva? Chi glielo imponeva?”
Abbassò lo sguardo, posandolo sul suo digimon. “Tu pensi che sia ancora a Digiworld?”
Hawkmon sembrava sempre più impaziente. “Andiamo, i tuoi amici se ne stanno andando!”
“Non fare il papà, Hawkmon! Sto solo riflettendo”, commentò lei, esasperata. Estrasse il D3, osservandolo. “Di solito funziona, giusto? I Digiprescelti che sono nel mondo digitale appaiono sotto forma di lucine lampeggianti sul digi … oh!”
“Cosa c’è?”
La lucina c’era, eccome se c’era. Era poco distante da dove era lei, secondo la mappa di Digiworld. E più la vedeva lampeggiare, più quella strana voglia di sapere, capire le faceva battere il cuore più forte.
Quelle dei suoi amici si allontanavano sempre più, invece. Miyako assistette, con un senso d’ansia dovuto ad una decisione improvvisa quanto avventata che aveva appena preso, al loro lento ma inesorabile allontanarsi.
Sembrava che l’istinto avesse già deciso per lei: non poteva più fermarli ormai.
Dov’era quel puntino? Cosa faceva lì? Cosa pensava, dopo tutto quello che era successo quel giorno?
Dov’era lui, la fiera diffidente così timorosa di mostrarsi docile?
“Miyako-san! Gli altri stanno …” Protestò Hawkmon animatamente, ma Miyako lo zittì con uno sguardo deciso.
“Bene. Si parte all’inseguimento, Hawkmon. Non ti preoccupare, ti porterò in braccio, se necessario!” Gli strizzò un occhio, con un sorriso grintoso. “Questione di pochi minuti e torniamo a casa, giuro. Voglio solo verificare una cosa importante.”
Lo prese in braccio, e prima che potesse pentirsene, con il cuore agitato per l’esaltazione di fare di testa sua, cominciò a correre.
“Miyako-san, mettimi giù, per favore! Mi dici dove stiamo andando?” Il suo digimon cercava di divincolarsi, atterrito dalla nuova decisione della sua partner umana, ma non si sarebbe lasciata sconfiggere. Non questa volta.
“Dove? Solo a scoprire se è servita a qualcosa la mail che gli ho spedito”, rispose, ridendo tra sé per l’espressione di orrore che il suo compagno di sventure aveva assunto.
“Perché ho l’impressione che andrà a finire male, come al solito?”, si lamentò, e questo non fece che farla ridere di più.
Più tardi avrebbe affrontato tutte le ramanzine di questo mondo. Ma al momento cosa importava?
Aveva altre priorità, finché il sole resisteva oltre quel bosco.

***

Perché restava lì, ad osservare muto le ferite della sua infanzia, ad ascoltare impotente echi passati e rimpianti presenti?
Una voglia di cambiare, forse. Probabilmente solo una voglia di capire.
Come un bambino disubbidiente, il viso basso, gli occhi contriti, osservava tutto con attenzione, per apprendere dai suoi errori e non ricevere più quegli schiaffi, reazione ai suoi sbagli così sciocchi.
C’era così tanto da apprendere, e così tanto da riaggiustare. Ma era così infantile, così inesperto sulle cose della vita.
E scavava in ogni ricordo, sensazione, emozione, errore, per comprendere se stesso, per trovare il suo vero se stesso al di là maschere, occhiali, mantelli e basi imperiali. Era in ogni respiro passato, e in ogni buco di memoria, e nel dolore più intenso nel rivedersi carnefice, cacciatore spietato.
Era ogni volto della sua anima: il falso, il temporaneo, l’apparente, lo sconsiderato, l’egoista, il ferito.
Era tutto il suo passato.
Ma quando il sole calava e le stelle spuntavano alte nel cielo, visibili dopo il crollo di un altro oscuro frammento del suo passato … chi era il suo presente?
Chi era lui?

La Dark Tower si accartocciò su se stessa con un rombo, protestando rabbiosa ma impotente, a seguito dell’attacco rapido e deciso del digimon insetto che era rimasto sospeso ad osservare la sua opera. Ma non poteva opporsi oramai. Crollò con uno schianto, e un cielo crepuscolare comparve proprio dove quella punta nera era scomparsa.
Con un sorriso appena accennato, Ichijouji Ken assistette senza alcun rimpianto alla caduta di un’altra parte del suo sogno egoistico di qualche tempo prima. Provava una strana, cupa soddisfazione nell’occuparsi di quel lavoro di pulizia. Doveva necessariamente avvenire per mano sua, e solo sua. Lui aveva insozzato il candore di quel mondo meraviglioso, e ora lui doveva rimediare con tutto se stesso.
Da solo. Completamente da solo.
Nessun altro poteva aiutarlo, era del tutto impossibile.
Non poté controllare ancora a lungo il flusso dei suoi pensieri, pur provandoci con tutte le sue forze. E la confusione, i dubbi, il turbamento che lo sconvolsero all’improvviso avevano le fattezze di un ragazzo dai capelli castani ribelli e gli occhialetti da aviatore. Le sue fattezze, e quelle delle sue parole, dei suoi sorrisi, della sua fiducia.
E di una mail.
Strinse i pugni, imponendosi di continuare ad osservare quel cielo sempre più scuro, e di non portarsi una mano in tasca, di non prendere quel Digiterminal ancora, di non leggere ancora quelle parole, quelle strane parole.
Aspettiamo con ansia il giorno in cui diventerai uno di noi. Grazie per il tuo aiuto.
Avrebbe voluto capire il senso di quella mail tanto improvvisa quanto inaspettata. Non aveva quasi mai parlato con quella ragazza bizzarra, salvo quando vestiva i panni del Digimon Kaiser. E lei non sembrava essere come Motomiya: non aveva cercato di parlargli, non gli aveva mai chiesto espressamente di entrare nel loro gruppo, non aveva esultato come lui quando aveva deciso di scusarsi a loro, quel giorno. Non lo aveva accusato con lo sguardo come il più piccolo del gruppo, non lo aveva preso a pugni come tempo prima aveva fatto il ragazzo biondo con quel berretto da pescatore.
Eppure gli aveva inviato quella mail. Gli aveva sorriso radiosamente. Come se lo conoscesse da una vita.
E Ken non riusciva a capire cosa mai le fosse passato per la testa. Che motivo aveva per …
“Ken-chan”.
Sobbalzò, colto alla sprovvista dalla voce profonda e fin troppo vicina del suo digimon. Si voltò, rendendosi conto di come apparisse diverso il colore di Stingmon quando il cielo diventava così scuro.
Tempo fa non avrebbe mai creduto possibile che il suo Wormmon –perché era sempre stato il suo partner digitale, pur rifiutandosi di riconoscerlo e di ricambiare il suo affetto- potesse diventare un essere tanto potente e resistente. Aveva perso fin troppo tempo in egoismo per non provare rimpianto.
Sbagli, sempre sbagli.
La sua espressione si ammorbidì. “Cosa c’è?”
“Con quella Dark Tower ho finito, Ken-chan. “
“Hai fatto un ottimo lavoro, Stingmon.” Gli sorrise ancora, scaldandosi con l’affetto che provava per lui fin da quando era andato a riprenderlo alla Città della Rinascita. Ringraziava il cielo che lui non lo avesse abbandonato: sapeva stare da solo da tanto tempo ormai, ma il suo digimon era l’unica eccezione alla regola. Non sapeva cosa ne sarebbe stato di lui, se non fosse riuscito a trovare il suo uovo. (*)
“Dobbiamo perlustrare ancora un po’ il settore, prima di tornare a casa?”
Ken si guardò intorno, osservando le ombre che si addensavano tra le fronde degli alberi. Forse non era saggio restare ancora: sua mamma probabilmente stava già preparando la cena, e non gli andava che dovesse preoccuparsi ancora per lui.
Eppure … ai suoi piedi la torre nera spezzata sembrava sbeffeggiarlo.
Gli ricordava quante ne aveva erette, quante ancora restavano da distruggere.
Quante ancora avrebbero tentato di raggiungere il cielo terso, arroganti e ambiziose.
Avrebbe voluto distruggerle, distruggerle tutte quella sera, così che il Digimon Kaiser sparisse definitivamente da Digiworld.
Eppure, sarebbe scomparso davvero solo distruggendo quegli obelischi? Chiedendo scusa?
Il Digimon Kaiser non stava forse ancora camminando per Digiworld, ancora contaminandolo?
 “Aspettiamo con ansia il giorno in cui diventerai uno di noi”.
Di nuovo quelle parole. Sospirò, passandosi una mano sugli occhi. Pensare non serviva a nulla, era troppo confuso. Avrebbe fatto davvero meglio a tornare a casa.
“No, basta così per oggi.” Decise. “Mamma sarà preoccupata, meglio tornare. Oltretutto non è saggio attardarsi così a lungo quando si fa buio, e …”
Ma si bloccò, subito sull’allerta.
Non poteva essersi immaginato quel fruscio tra i cespugli, qualche metro dietro di lui.
“Hai sentito?” Sussurrò a Stingmon, ancora non voltandosi. “C’è qualcuno che si nasconde.”
“Potrebbe essere la donna misteriosa che abbiamo visto l’altra sera”, rispose Stingmon, rigido. “Stai dietro di me, Ken-chan. Me ne occupo io.”
Un rumore soffocato e un’imprecazione di dolore a mezza voce lo sorpresero proprio mentre era sul punto di dare una risposta a Stingmon. Ken  sgranò gli occhi, sorpreso.
“Sta’ un po’ zitto, ci scopriranno!”
“Ti dico che è una pessima idea, perché non ce ne andiamo?”
Erano in due. E non erano affatto discreti, probabilmente credendo di esserlo.
“Aspetta, Stingmon: non può essere quella donna”, obiettò, perplesso. “Potrebbero essere due digimon innocui. Posso andare a controllare anche io, non c’è problema.”
Stingmon esitò, guardando ora lui ora il cespuglio. Sembrava stesse decidendo se la situazione fosse sufficientemente sicura per Ken. “Ti sarò alle spalle, allora. Non andare senza protezione a quest’ora della notte.”
Ken avrebbe volentieri replicato che non c’era alcun bisogno di tanta preoccupazione, ma rinunciò, osservando la posizione protettiva con la quale Stingmon si era messo al suo fianco. Sapeva che lo avrebbe protetto comunque, lo aveva sempre fatto. “D’accordo”.
Si voltò a guardare il cespuglio, accigliato. Chiunque si nascondesse lì, digimon o qualsiasi altro essere che fosse, aveva uno strano concetto del non farsi scoprire: se cercavano di fargli del male –difficile non pensarci, considerando quello che era successo nella Città della Rinascita, con tutti quei piccoli digimon infuriati contro il Digimon Kaiser per averli costretti a nascere di nuovo- (*) avrebbero potuto escogitare una maniera più silenziosa per tendergli un agguato. Forse non ci sapevano fare.
Trasse un respiro profondo, avanzando piano. Non aveva paura. Era talmente confuso, turbato, sconvolto da ciò che gli era successo quel giorno che non poteva temere una minaccia esterna.
E, ad ogni modo, non poteva temere qualcosa di esterno quando si sentiva lui stesso una minaccia.
E si fermò davanti a quel cespuglio, allungò le mani, esitò. I rumori sembravano essersi momentaneamente interrotti: quasi poteva avvertire la tensione dall’altra parte, il respiro trattenuto, l’irreale immobilità.
Strinse gli occhi.
E scostò i rami, deciso, scorgendo le ultime due persone –e non- che avrebbe pensato di incontrare.
Lei aveva l’aria di un ladro appena scoperto, i capelli viola totalmente fuori posto, gli occhiali scomposti sul naso e l’espressione attonita, mentre teneva stretto il suo digimon –aquila, in un gesto nervoso.
Pareva che fossero lei e il suo digimon la causa di tutto quel baccano.
Shockato, Ken lasciò andare i rami del cespuglio, lasciando che quelli, con un fruscio di foglie smosse, si richiudessero bruscamente sullo scenario delle due figure che avevano deciso di spiarlo.

***

Quando Miyako prendeva una decisione –spesso e volentieri  non di testa, ma di pancia-, non si soffermava molto a considerare i rischi che correva: c’era uno scopo per tanta istintività, e questo bastava.
Calcolare i contro delle sue imprese non era nel suo stile. Semplicemente non considerava nemmeno di pensarci.
Per questo, quando si era messa ad inseguire quella luce colorata sul suo Digivice, aveva solo pensato a quanto le sarebbe piaciuto sapere, spiare, rubare un istante segreto di quel ragazzo così particolare e interessante. Pensava che ce l’avrebbe fatta, che sarebbe tornata a casa soddisfatta, che avrebbe compreso un po’ meglio lui, come fare e come aspettarlo, fintantoché decideva se entrare o no nel loro gruppo. Per questo, quando aveva visto quel cespuglio, lo aveva trovato subito adatto a spiarlo meglio, non a farsi scoprire meglio, come si era lamentato Hawkmon supplichevole. Per questo si era rifiutata di andarsene in ogni maniera, decisa a osservarlo ancora, e ancora.
Ed era per questo che ora si ritrovava coi capelli pieni di foglie.
Perché Ken si era accorto di lei, perché aveva sgranato gli occhi, si era ritratto, e per gesto istintivo aveva mollato di colpo quei rami, e quelle foglie le erano praticamente finite addosso.
Magnifico. Lo spionaggio andato peggio di tutta la storia dei 007.
Allentò la presa su Hawkmon, decidendosi ad alzarsi: ormai l’aveva vista, che danno avrebbe fatto se si fosse sgranchita le gambe? Non riusciva più ad avvertirne la sensibilità. Si scrollò le foglie dai capelli, tentando disperatamente di riassettarli anche da sotto il casco.
“Pessima idea quel cespuglio, eh? Decisamente troppo piccolo, e scomodo. Avevo radici dappertutto … e guarda un po’, adesso sono piena di foglie solo perché hai smosso quei rami. No, avrei dovuto essere più previdente.”
La mancanza di replica la costrinse ad alzare lo sguardo su di lui. Ken era immobile, attonito, al suo fianco Stingmon, e il colore chiaro del suo viso appariva ancora più evidente nell’oscurità che andava avanzando.
La osservava come se non avesse ancora capito cosa fosse successo.
E Miyako cominciò a credere che, davvero, la prossima volta avrebbe fatto meglio ad ascoltare Hawkmon, prima di decidere qualcosa del genere.
Rise, un po’ a disagio. “E’ che ti stavo cercando, ma non volevo disturbarti. Eri così preso dalla distruzione di quella Dark Tower, così concentrato, che ho preferito giocare a nascondino … non avevo cattive intenzioni, però.”
Era tutto così maledettamente difficile. Aveva sperato di poter parlare con Ken, di potergli dire tutto ciò che sentiva chiaramente dopo lo scontro di quella mattina, di ascoltare quello che lui avrebbe avuto da dire. Ma solo ora cominciava a rendersi conto che le conversazioni –e non- sono totalmente diverse da ciò che ci si aspetta da loro.
Restava da sapere se fosse nel bene o nel male, stavolta.
Infine Ken si mosse. Si voltò verso Stingmon, e gli disse piano: “Non c’è pericolo. Puoi anche regredire, sarai stanco.” Non c’era un’inclinazione particolare nella sua voce, né un affetto ben palese che traspariva dal suo viso. Eppure lo sentiva – sentiva che era seriamente preoccupato per il suo digimon, che non voleva stesse male.
Se n’era resa conto. Era diverso dal ragazzo immaturo che, con quel suo stesso viso, con quei suoi stessi occhi, frustava senza pietà lo stesso essere che ora stava cercando di proteggere.
La visione le scaldò il cuore, e la costrinse a sorridere, orgogliosa. Questo si chiamava processo di maturazione.
Ken si voltò verso di lei, accigliato, e la colse proprio nel momento in cui il sorriso era ampio sulle sue labbra. “Cos’è successo?” Le chiese.
“Cos’è successo … dove?” ripeté lei, improvvisamente spiazzata. Aveva pensato che le avrebbe rimproverato di averlo seguito, o che le avrebbe chiesto perché lo stesse cercando, ma questa risposta non l’aveva affatto considerata.
Se possibile, l’espressione sul viso di lui si fece ancora più sbigottita. “Con la donna misteriosa. Io … non … non è successo niente?”
Che strano ragazzo era, Ken. Appariva così completamente diverso dal bambino prodigio che era costantemente intervistato dai giornalisti. Faceva quasi tenerezza nel suo impaccio, nel suo balbettare.
“Niente di niente, per fortuna. Oggi ci è bastato, non ti pare?” Fece lei tranquillamente. “Perché?”
Quando rispose, lo fece con tutta la perplessa incredulità di questo mondo. La sua calma quasi contrastava con l’espressione inquieta del suo viso. “E allora proprio non capisco perché tu sia qui.”
La notte era ormai calata su tutto il bosco, e ora i rumori placidi di quel tardo orario erano l’unica cosa che si poteva avvertire. Se non avesse avuto gli occhi abituati a scorgere il paesaggio circostante e il ragazzo che la fissava immobile e incerto, Miyako non avrebbe visto granché, in quel momento.
Chissà se era già ora di cena, se gli altri erano tornati a casa. Si sarebbero arrabbiati un sacco.
Poco importava.
Vide Hawkmon raggiungerla al suo fianco, ma per una volta era troppo concentrato nell’osservare lei per fare commenti o ricordarle che andavano di fretta. Gliene fu tremendamente grata.
Nonostante tutto, restava il problema di una risposta. Quando aveva deciso di seguirlo non aveva messo in conto di dovergli spiegare l’istinto irrazionale che l’aveva spinta a farlo: e se avesse taciuto, semplicemente domandandogli cosa pensasse, cosa avesse pensato di loro?
Impossibile. Una risposta era dannatamente necessaria. Sospirò.
“Vuoi la verità? Non ne ho idea”, rispose schietta, fidandosi ancora una volta dell’istinto. Dall’espressione di lui capì che quella non era esattamente la risposta che si era aspettato, però. “Ho visto sul Digivice che non eri ancora tornato a casa, e così ho voluto vedere cosa stessi facendo. Prima sei scappato anche di gran fretta: ero … curiosa, sì.”
“Curiosa?” Ripeté lui, così sorpreso che la sua voce risuonò più forte. Se non fosse stato tanto educato, probabilmente si sarebbe ritratto, timoroso e diffidente, come un animale selvatico.
Miyako annuì, convinta. “Già. Ho pensato: se aveva una gran fretta di andare e di restare ancora a Digiworld, dovrà sbrigare qualche faccenda importante. Vuoi vedere che sta cercando quella donna da solo?” Abbassò lo sguardo sui resti spezzati della Dark Tower, e li indicò con un dito. “E poi mi sono resa conto che ti stavi occupando di distruggere quelle cose terrificanti, e …”
Aveva appena finito di parlare che si rese conto con chi, effettivamente, stesse parlando. Non era Daisuke, o Takeru. Si zittì di colpo, sussultando e alzando di nuovo lo sguardo.
Ken si era completamente irrigidito, e per una volta non osava rispondere alla sua occhiata.
Maledetta lingua  che non tengo mai a freno.
“Ah … io …” Balbettò, totalmente in imbarazzo. “Mi è sfuggito, non volevo dire che …”
“Non importa, è la verità.”
Non faceva più tenerezza, ora che il suo tono di voce era così impenetrabile. Era molto triste da vedere, piuttosto.
Ottimo lavoro, Miyako. Davvero un ottimo lavoro.
Cercò disperatamente qualcosa da dire per rimediare, torcendosi le mani nervosa. Rischiava di far finire in disastro quell’incontro già di per sé privo di coerenza. Non aveva alcuna intenzione di rendere tutto così difficile! Solo per una Dark Tower senza più alcun valore …
Idea.
Senza pensarci un istante in più, Miyako si sedette sulla Dark Tower distrutta, con un’apparente disinvoltura tale da costringere Ken a guardarla di nuovo, guardingo. Gli sorrise, con aria di scusa.
“Se non altro ci si può star comodi. Non ti va di sederti? Sarai stanco anche tu, come Wormmon.”
Ora sembrava di nuovo incerto. “Non ne ho bisogno, grazie”, replicò. “E comincia ad essere davvero buio. Dovresti tornare a casa.”
“Dovresti farlo anche tu, eppure preferisci star qui”, osservò Miyako semplicemente. “Dai, solo un secondo: poi me ne andrò e ti lascerò fare quello che vuoi, giuro.”
Difficile contare le volte in cui Ken guardò lei, l’orologio, Wormmon e la Dark Tower in sequenza: era così confuso che dovettero passare alcuni secondi perché si decidesse a prendere una decisione.
Miyako esultò quando, con un’occhiata esitante, Ken si accomodò accanto a lei.
Ed era strano che ora fossero entrambi su quella costruzione distrutta, senza maschere né occhiali, senza mantelli né fruste, senza potere e senza schiavi, senza imperatori e senza insetti. Solo Miyako e Ken, e quella strana conversazione di cui nessuno dei due ancora capiva il senso.
Lui era ben deciso a studiarsi le mani, in religioso silenzio.
Miyako si schiarì la voce, con aria eloquente. “Stavo pensando che siamo partiti col piede sbagliato.”
Ken la guardò di sfuggita. “Stai cercando di rimediare adesso?” chiese, e c’era una nota scettica nella sua voce, come se si aspettasse che lei negasse tutto e corresse via.
Illuso. Sorrise, voltandosi a tre quarti verso di lui. “Perché no?” fece, e si godette la sua espressione di shock quando anche lui si voltò verso di lei, un po’ intimorito. “Dovremmo iniziare daccapo però. Tipo … con le presentazioni, ecco. Sono Inoue Miyako. Il kanji del mio nome si legge ko, ma in realtà è scritto kyo. Come Kyoto, capisci?”
Forse avrebbe voluto replicare altro, ma non protestò. Chinò la testa in un inchino, invece. “Piacere di … conoscerti.”
Esitò, e il suo viso si scurì ancora. Non era effetto della luna che ora brillava alta nel cielo.
Si affrettò a parlare anche per dissipare quelle tenebre. “Dovresti presentarti anche tu, immagino.”
L’unica cosa che ottenne fu una smorfia amara. “A quale scopo? Lo sai chi sono.”
La convinzione più clamorosamente errata che potesse mai avere.
“Conosco solo il lato più superficiale di te, Ichijouji-kun.” Impossibile non pensare a quanto avrebbe riso, tempo prima, nel sentirsi dire che proprio lei, fan accanita del bellissimo e pieno di pregi Ichijouji Ken, conosceva solo il suo lato superficiale. I tempi erano davvero cambiati da quando lo idolatrava come una star, da quando le bastava seguire ogni sua intervista, e trovare il suo viso nelle riviste per ritenersi soddisfatta e al settimo cielo. “Ti ho conosciuto come L’astro nascente del calcio, e come Piccolo genio, e ancora come Digimon Kaiser. Conosco il tuo viso, so come sei fatto fisicamente, ricordo cosa hai risposto ai giornalisti durante le varie interviste, e … Oh! Cosa mai ti importerà di questo?”
Arrossì, in imbarazzo. E di tutti i momenti che avrebbe potuto scegliere per osservarla, lui scelse, ovviamente, il peggiore. Si illudeva, se non altro, che il buio nascondesse il suo colorito vivace quanto possibile.
“Le mie interviste … giusto.” Fece lui, cauto, e Miyako non capì cosa gli stesse passando per la mente. Se non altro aveva evitato domande specifiche sul suo interesse nei suoi riguardi; tirò un sospiro di sollievo. “Ora non avranno più motivo per intervistarmi.”
Non sembrava amareggiato, per fortuna. Solo perfettamente indifferente.
Tempo fa era molto esibizionista, invece. E teatrale. Ma quanto era cresciuto, e quanto aveva dovuto riscoprire in fondo al suo falso cinismo e alla sua totale insicurezza?
“Io dico che è meglio così”. Non sapeva perché così tanto calore nella sua voce, ma Miyako doveva, doveva esprimersi, sapere, rassicurarlo. “Le informazioni che hai dato ai giornalisti non hanno alcuna importanza, non ci dicono nulla su come sei: sembra che parlino di Ichijouji-kun, ma non lo fanno. Io voglio conoscere il vero Ichijouji-kun, perché ho solo una vaga idea di come sia caratterialmente.”
Il silenzio si protrasse per qualche secondo, e solo ricordando l’eco delle sue frasi Miyako si accorse dell’impeto che aveva trasmesso nelle sue parole. Forse era per quello che era lì? Dimostrargli che poteva parlarle tranquillamente di sé, che lei non aspettava altro?
Che confusione. Era da un po’ di tempo che Ken non faceva che agitarle i pensieri. Era stato sciocco pensare che la situazione sarebbe migliorata com’era migliorata l’opinione che aveva di lui: forse adesso le sue azioni erano ancora più incomprensibili.
“Ti ha mandato Motomiya-kun?” Disse Ken all’improvviso, a bassa voce, e Miyako si riscosse. “Sei qui perché sei d’accordo con la sua idea? Tutti siamo Digiprescelti, in fondo?
Lei si accigliò, imbronciata. Per chi l’aveva presa, per un messaggero di Daisuke? Come se lui avesse mai potuto scegliere proprio lei per una cosa del genere … Al massimo Hikari, ma ne dubitava comunque. “Assolutamente no! Lui non sa nemmeno che sono qui. E poi non mi va di seguire ordini degli altri: se non credo in quello che sto facendo non ha senso impegnarmi.”
Incrociò le braccia, sfidandolo a dire altro sul suo conto. Aveva sbagliato a giudicarlo male, lo ammetteva. Ma adesso era perfettamente in grado di accettarlo, di rispettarlo: perché doveva essere così scettico?
“… Mi dispiace. E’ che non vedo perché dobbiate essere così interessati a me. Non c’è niente da scoprire oltre quello che vi ho mostrato come Digimon Kaiser.”
Ma il suo broncio sparì quando colse il tono di scusa del suo interlocutore, e la sua occhiata esitante, e l’amarezza nei suoi occhi azzurri. Vide che era dispiaciuto, e che credeva cose tanto sbagliate riguardo se stesso, e sentì ancora quel curioso senso di trasporto verso di lui.
“Che sciocchezze”, rispose, sorridendo incoraggiante. “Quello era solo un lato del tuo carattere. Sei cambiato adesso, no?”
“Non puoi saperlo.”
“Nemmeno tu.”
“Ma come potete pensare che …”
“Se fossi ancora come allora non ti saresti mai comportato così, andiamo! Il Digimon Kaiser non trattava così i suoi amici e conoscenti, e non faceva quello che fai ora per Digiworld.”
Lo aveva di nuovo zittito di colpo. Miyako era pronta a scommettere che lui non aveva proprio considerato un simile punto di vista, pessimista com’era.
“Ascolta”, riprese, cercando di suonare convincente e sicura come effettivamente si sentiva. “Tu e Stingmon avete salvato Iori-kun ieri, e nessuno vi aveva detto di farlo. Oggi hai sventato la minaccia di Golemon, e salvato un villaggio: senza di te non ci saremmo mai accorti che quel digimon non era un essere vivente, e a quest’ora quei piccoli YukimiBotamon non avrebbero una casa. E tutte le sere sei qui, e ti impegni con tutto te stesso per …”
“… Per rimediare ai miei sbagli. Solo questo. Non è certo un’impresa eroica, la mia.”
Era così infervorata nel suo discorso che la replica amara e pacata di Ken la colpì con maggiore veemenza di un pugno in pieno stomaco. Si rese conto, in quel momento, che non lo avrebbe convinto enumerando le sue buone azioni: avrebbe continuato a replicare che si sbagliava, irremovibile. E avrebbe potuto affermare che non lo conosceva, dopotutto, e avrebbe avuto ragione.
Stranamente, la cosa non riuscì ad abbatterla.
Fu insolito, per Miyako, decidersi che il tempo e la costanza sua e di Daisuke avrebbero aggiustato ogni cosa. Proprio lei, che di pazienza non ne aveva mai avuta.
Che strano ragazzo, Ichijouji Ken. Guarda come mi sono ridotta a causa sua.
Non avrebbe avuto successo con lui quella sera, probabilmente. Ma forse quella strana conversazione, mentre erano seduti su una Dark Tower spezzata, poteva essere ancora di qualche utilità.
Sorrise, con una nuova idea in mente.
“Sai, Ichijouji-kun”, iniziò calma, e riuscendo di nuovo ad attirare la sua attenzione. “Le idee sulle persone possono cambiare, e spesso anche. Ti posso parlare della mia esperienza personale di oggi? Potrebbe aiutarti.”
“Io … d’accordo, ti ascolto.”
Provò di nuovo tenerezza per il suo impaccio: era più forte di lei. Pareva che non riuscisse proprio a controllare quella dolcezza che sentiva crescere dentro di sé da quel pomeriggio, ma in effetti non era molto meglio così?
“Per la verità, è raro che Daisuke abbia ragione su qualcosa, ma stavolta è stata forse la persona più matura e assennata dell’universo. C’era questo strano ragazzo che tendeva a fare il lupo solitario dopo un … rapporto burrascoso iniziale, direi.” Ridacchiò, nel tentativo di sdrammatizzare, e lo vide nuovamente irrigiditosi perché aveva capito che stava parlando di lui. “E poi c’ero io, che non riuscivo a decidermi se perdonarlo o meno. Credevo che avesse distrutto quel Thundermon senza pietà, e che questo dimostrasse che lui non era mai cambiato, per quanto io volessi credere a Daisuke, e al suo innato ottimismo verso le sue intuizioni. Lui diceva che bisognava dare un’altra possibilità a quel ragazzo, e io … io dicevo che non era una buona idea, perché non ci si poteva fidare fino in fondo.”
Lo vide distogliere lo sguardo, abbattuto. Eppure, sembrava aspettarselo, e non essersela presa affatto.
La visione di quello sguardo triste la riempì di una sofferenza che non avrebbe mai immaginato; quando parlò, la sua voce era più concitata, più mortificata di prima.
“Devo chiederti scusa, Ichijouji-kun. Io davvero, davvero volevo perdonarti. Ma non sapevo se fosse una buona idea, e temevo come una sciocca che tu potessi tradirci, e …”
“Mi dispiace.”
Quel sussurro diceva sicuramente più di quanto esprimesse a parole.
Mi dispiace per quello che ho fatto. Mi dispiace che non possiate fidarvi di me. Mi dispiace che soffriate per me, nonostante tutto.
E quel sussurro fu più di quanto Miyako potesse sopportare. Scattò, agitata più del dovuto, e lo fissò piena di senso di colpa. “No, devi … Lascia che sia io a scusarmi! Ti ho giudicato male, lo riconosco. Ma poi ho capito che non sei mai stato cattivo, che volevi solo aiutarci, e così ho messo da parte la paura. In realtà, temevo solo che avrei sofferto se ti avessi dato fiducia e tu l’avessi tradita … E speravo che tu ci dimostrassi di non essere più il Digimon Kaiser, senza sapere che prima dovevo essere coraggiosa, e matura, e fidarmi di te. Ti ho giudicato con pregiudizi e ottusità, e solo ora mi accorgo che non meritavi nulla del genere. Sei  … sei uno di noi, Ken-kun!”
E l’ultima affermazione uscì dalle sue labbra con tanto impeto quanto sentimento, e, esauritasi la voce, non rimase che il puro, irrequieto calore dell’emozione muta che non sapeva esprimere.
E sai, c’era quel gran calore quando pensavo a te e a quanto mi ero sbagliata, quando si è illuminato il mio Digivice e Hawkmon è evoluto Aquilamon. Credo che sia stato grazie a te che ho potuto avere quella reazione. Ho l’impressione che il mio affetto per te sia nato prima che me ne accorgessi io stessa.
Ma tacque, arrossendo confusa, e non seppe parlargli come voleva. Aveva l’impressione che questi pensieri fossero fin troppo intimi per essere rivelati, persino per una chiacchierona come lei.
Era per questo che l’aveva seguito, dopotutto. Perché c’era un qualche tipo di legame instauratosi con lui e sigillato da quella mail, e Miyako voleva sentirlo sulla sua pelle, nel petto, perché dava sollievo, dava serena agitazione.
“Quindi – quindi volevo dirti che puoi pensarci quanto vuoi, perché noi ti aspettiamo. Non c’è alcuna fretta.” Concluse, attorcigliandosi una ciocca di capelli tra le dita e aspettando che lui replicasse.
Ken la guardava, e Miyako si illuse di vedere un sentimento nuovo nei suoi occhi azzurri così profondi. Gratitudine? Incredulità? Tormento? Cosa poteva star pensando di lei? “Inoue-san … “ iniziò.
Miyako si accigliò di colpo. “Miyako!” Lo riprese, con falso tono di rimprovero. “Non essere così formale.”
Ken arrossì, a disagio. “Uhm … Miyako-san?” Tentò.
Lei sospirò, arrendendosi. “Bene, Miyako-san sia”. E poi, in fondo, aveva un bel suono detto da lui. “Dimmi pure.”
Improvvisamente Ken si fece serio, e tanto, e la trapassò con il suo sguardo penetrante. “Come fai a sapere che … finirò per unirmi a voi?”
Era ancora spaventato da se stesso, dai suoi ricordi, ma si stava concedendo il lusso di tenere in conto questa prospettiva, e di discuterne con lei.
Era così bello sapere di quel cambiamento quasi impercettibile che la gioia quasi la sopraffece.
Sorrise, birichina. “Non so. Intuito, credo.”
E mentre gli sorrideva, e lo guardava ancora, sentì le voci in lontananza.
“Miyako-san! Miyako-san, dove sei finita?”
Sussultò, scattando in piedi. Era Hikari, di sicuro. E non sembrava nemmeno troppo lontana dal luogo dov’erano nascosti lei e Ken.
Non poté evitare di sentirsi un po’ colpevole per aver abbandonato i suoi amici da sola.
“Accidenti …”, disse, con aria preoccupata. “Devo scappare.”
Ken si alzò a sua volta, guardandosi intorno. “Ti stanno cercando?” Chiese.
Miyako annuì, prendendo tra le braccia Hawkmon per fare più in fretta. “Sono scappata via senza dire niente, ricordi?” Scrollò le spalle, con aria furba. “Tranquillo. Non dirò a nessuno che ti nascondevi qui. Sarà un segreto solo nostro, per suggellare il nostro nuovo rapporto, Ichijouji Ken.”
Non attese replica. Corse via, lasciandolo indietro, con Wormmon tra le braccia e l’aria più interdetta del mondo. E fu quel ricordo a cancellare ogni senso di colpa e angoscia, quando chiamò il nome di Hikari e strinse Hawkmon, felice ed esaltata come non mai.
Trovò Hikari ad aspettarla al limitare del bosco. Aveva un’aria sollevata quando la abbracciò. “Miyako-san, ci hai fatti spaventare tutti!” la rimproverò bonariamente, ma nella sua voce non c’era quel biasimo e quel broncio che lei si era aspettata. Nemmeno una preoccupazione particolare, a dirla tutta. “Non farlo più, me lo prometti?”
Tutto sommato, era meglio così. Se Hikari non si era preoccupata, significava che non era così grave quello che aveva combinato. Miyako rise, imbarazzata. “Giuro solennemente! Non so cosa mi sia preso!”
E l’imbarazzo crebbe quando Hikari si portò una mano alla bocca, e disse a voce alta: “Takeru-kun! L’ho trovata!”, e vide spuntare un ben più preoccupato Takeru dai cespugli, che appena la scorse sospirò sollevato. “Meno male! Daisuke-kun cominciava davvero a dare di matto. Stai bene, Miyako-san?”
“Sì, tutto bene, davvero. Era così spaventato? Che femminuccia … Dai, ci conviene andare a raggiungere quel capo da quattro soldi, così posso spiegargli che non è successo nulla.”
E Miyako, la bocca piena di parole inutili ma euforiche per ciò che nessuno poteva sapere, la mente piena di Ken, di Ken e ancora di Ken, il passo rapido mentre seguiva Takeru verso il portale, guardò solo distrattamente Hikari fermarsi indietro, e fece ancora meno caso al suo lieve sorriso, mentre guardava il Digivice.
Sulle prime non pensò affatto che ciò che l’aveva spinta ad avventurarsi nel bosco alla ricerca di Ken potesse essere visibile anche per Hikari. Non le passò nemmeno per la mente che Hikari poteva non essersi preoccupata perché sapeva meglio di lei che era falso che non le fosse successo nulla, e perché sapeva a chi appartenesse quella lucina nel bosco.
Se ne sarebbe accorta solo più tardi. Molto più tardi.
Avrebbe avuto tutto il tempo di morire di vergogna, prima di andare a dormire.

***

In un attimo, lei era già sparita.

E lui era rimasto nel bosco, da solo, un digimon in braccio e gli occhi fissi sul punto dove Miyako era scappata.
Non sapeva che pensare. Forse non sapeva pensare.
Ma fece scendere Wormmon con un gesto meccanico, ascoltando solo distrattamente le sue parole, forse a proposito della sua salute.
Non poteva concentrarsi, mentre estraeva il suo Digiterminal e apriva l’ultima mail arrivatagli quel pomeriggio.
La scorse impaziente, cedendo all’impulso di rileggerla ancora, ancora e ancora.
Aspettiamo con ansia il giorno in cui diventerai uno di noi. Grazie per il tuo aiuto.
E ora considerò anche il suo nome, con attenzione nuova e uno strano senso di disagio ad attanagliargli lo stomaco.
Miyako
Ichijouji Ken arrossì come un bambino, il Digiterminal tra le mani e il subbuglio che lo sconvolgeva, cullandosi nel silenzio della notte, che non permetteva a nessuno, oltre a lui, di ascoltare il battito irregolare del suo cuore.
Come poteva essere cambiato tutto, tutto quanto, solo conoscendo il nome, la voce, gli occhi di chi gli aveva scritto quella mail?




(*) I riferimenti sono alla puntata 23 di Digimon Adventure 02, inedita in Italia

Ok, questo è forse uno degli esperimenti più azzardati che io abbia mai scritto xD ma l'ispirazione mi prende nei momenti più impensabili, e riguardo i progetti più strambi. Semplicemente mi sono chiesta: cosa sarebbe successo se Miyako, invece di lasciar andare Ken alla fine della puntata 25, l'avesse seguito e fosse entrata nel suo mondo prima del previsto? Bene ... ecco qui la risposta che mi sono data ^^ Naturalmente i tempi sono ancora maturi perché Ken inizi a considerarsi parte di un gruppo -dopo la digievoluzione molecolare con Daisuke le cose andranno solo migli0rando-, ma perché dovrebbero essere maturi perché Ken e Miyako inizino ad avvicinarsi? D'altra parte, nessuno ci ha mai dato i confini di tempo in cui questo rapporto si è sviluppato, e io penso che questa versione possa essere, eventualmente, plausibile. 

Ma a parte questo, vorrei dedicare questo lavoro a Shine -in tremendo ritardo, perdonami!-, per una serie di motivi. Perché non sono riuscita a dedicarti nulla per il compleanno, e dovevo. Perché ami la Kenyako e Ken, e qui ci sono entrambe le cose. Perché, diamine, te la meriti tutta, per tutto quello che fai per me ... qualunque sia il risultato xD Ti voglio bene!
Grazie a tutti voi lettori ;) alla prossima pazzia!
Padme Undomiel
   
 
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