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Autore: MissChatterbox    17/11/2010    1 recensioni
"E sta succedendo di nuovo, a giudicare dalla faccia irritata e dalla lentezza con cui scandisce le parole l'impiegata a cui sto parlando.Non che possa darle davvero torto, in questo momento: è la seconda volta che le pongo la stessa domanda, e questo perché mi sta venendo il sospetto di aver combinato un casino di proporzioni colossali. Forse, dopotutto, quella storia delle bionde non è lontana dalla verità, nel mio caso."
Un appartamento per due. Un'amica fuori di testa. Una bionda "con tutti i contro e nessuno dei pro", certa di aver combinato la stupidaggine più grande della sua vita. Ovviamente ignora che proprio quel "piccolo" passo falso la porterà ad incontrare LUI. O più correttamente loro. E scoprirà che la sua più fedele compagna, la Sfiga, non ha ancora dato il meglio di sé.
Genere: Commedia, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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short skirtlong jacket 1
**Attenzione: la compagnia avvisa i gentili lettori che i fatti di seguito riportati  non coincidono necessariamente con le opinioni della stessa, trattandosi unicamente dei deliri mentali di un personaggio di fantasia parecchio frustrato a cui stanno per capitare parecchi casini. Qualsiasi riferimento a persone e fatti realmente esistenti è puramente casuale. Detto questo, la compagnia vi augura una piacevole lettura.

Short Skirt/Long Jacket

Prologo: I Tanti Problemi Dell'Essere Bionda

Sono intimamente convinta da tempo immemorabile che la maggior parte dei miei problemi derivi dal mio colore di capelli.

Già, sono una di quelle rare creature comunemente denominate “bionde naturali”.

Ho i capelli biondi. Non “del colore dell'oro filato”, o “illuminati da riflessi argentati”, e neppure “tanto chiari da sembrare bianchi”. Descrizioni poetiche, ma che non si adattano alla mia chioma. Sono biondi e basta. Niente di particolare.

Il che mi porta al primo problema, quello che più da nell'occhio, diciamo - ma è solo terzo nella scala de “i tanti problemi dell'essere bionda”. Sì, perché, secondo la pubblica opinione diffusasi dallo Stilnovismo fino ai giorni nostri, è un automatismo che una ragazza a cui tocchi il destino di nascere chiara di capelli abbia diritto di aspettarsi un'eredità genetica che comprenda tutto il pacchetto: pelle lattea\rosata\colormiele, magnetici occhi azzurri\verdi\tutte e due, considerevole altezza\snellezza\circonferenza seno\fianchi.

Il modello “bionda tipo”: una dea di fulgida bellezza, angelica e voluttuosa, virginea e tentatrice, calda e fredda, alta e bas... (ops) - allo stesso tempo. Non è questo lo stereotipo della “bionda ideale”, il cui radioso sembiante lascia un'impronta indelebile nella memoria di abbia la ventura di incontrare? Un tipo alla Anderson -a.B. (avanti Bisturi), per intenderci.

Ebbene, è evidente che non possiamo essere tutte così fortunate (?) ; o perlomeno, questa bionda non lo è stata. Il mio patrimonio genetico non deve aver aderito all'associazione, perché mi sono ritrovata straordinariamente ordinaria: per dirne una, invece delle gemme luminose che mi spetterebbero di diritto, io ho gli occhi marroni, (con leggera miopia inclusa nel prezzo, per giunta ).

Inoltre, anche altezza e formosità mi hanno disertato, e le mie gambe non sono particolarmente lunghe, né affusolate; ho appena abbastanza seno da palesare al mondo l'appartenenza al genere femminile e, pare, una insufficienza piena nel settore fianchi, tanto da indurre la nonna a profetizzare che probabilmente non mi sarà possibile riprodurmi.

Se però c'è qualcosa di cui il caso ha deciso di farmi dono in quantità sono le lentiggini, così tante da farmi sembrare abbronzata da lontano e un disegno puntinato di un bambino dell'asilo da vicino. Nessuno nella mia famiglia le ha così, il che mi fa pensare di essere frutto di una scappatella di mia madre.

Per riassumere in modo stringato, come dice la nonna ho avuto tutti gli svantaggi di essere una bionda e nessuno dei vantaggi; e parlando di “svantaggi” non si riferisce certo alle lentiggini (che comunque detesta). No, tutto sommato non rimpiango di non possedere il fisico appariscente che di solito si associa alla “bionda comune”; non farebbe che aggravare quello che definisco come “il problema numero due dell'essere bionda”.

Siamo realisti, la categoria a cui appartengo ha acquistato una certa fama. Da Elena di Troia in poi, diciamo. Comunque la si guardi e cortesia del veritiero ritratto dei media, immancabilmente finiamo per essere considerate:

a) Gelide arrampicatrici sociali, e  matrigne dai comportamenti inqualificabili.

b) Seduttrici di mariti altrimenti devoti, ma che non possono resistere a: segretarie\insegnanti\cameriere\babysitter\inserire mestiere a caso in autoreggenti (che poi, nella vita vera si è mai vista una babysitter in autoreggenti? Non so, a me si sarebbe bloccata la crescita vedendo la zia Marta in reggicalze).

c) Povere svampite francamente decerebrate, maestre nel condurre approfondite conversazioni sulle qualità snellenti del nero, ma incapaci di effettuare divisioni a due cifre.

Ed ecco, è proprio questo il “problema numero uno dell'essere bionda”, almeno per me: l'idea fissa che questa caratteristica ci renda automaticamente delle cerebrolese, il che pare, autorizzi la collettività a

a) provarci a dispetto delle evidentemente scarsissime possibilità di riuscita perché “tanto questa me la dà” - ma anche no (e bonjour finesse).

b) trattarci come deficienti perché “è bionda, che pretendi...”

Ad essere del tutto onesta, quando mi sono sentita rivolgere questo commento alle spalle dopo un diverbio piuttosto pubblico con la mia insegnante di italiano, che pretendeva di affibbiarmi un inesistente errore di sintassi in un tema, beh, sono andata fuori dai gangheri e ho fatto l'indicibile: approfittando di un viaggio di lavoro dei miei, ho tinto i capelli completamente di nero (non perché avessi tendenze emo: mi sarebbe andato bene qualsiasi colore fuorché il mio).

Quando i miei sono tornati, avevo già la ricrescita di tre centimetri buoni – e figuriamoci: la nonna è così cieca (per tutto tranne che per giudicare i miei fianchi “inadeguati alla maternità”), che non distinguerebbe un cane di piccola taglia da un grosso gatto, lasciamo perdere il mutato colore di capelli della sua unica nipote femmina.

La mamma era tanto scioccata che, forte della sua patria potestà, mi ha trascinato dalla parrucchiera e mi ha tosato per bene, il tutto con scenata da manuale compresa nel prezzo. Sono andata in giro con la chioma stile “ovino d'estate” per mesi, ma di nuovo orgogliosamente bionda.

Tagli radicali a parte, mi basta accendere la TV per sentirmi offesa. Date retta a me, questo colore di capelli porta più guai che altro.

Non so, ma io, che modestamente sono uscita dal liceo con un numero a tre cifre, e che quindi posso ipotizzare di non esser proprio del tutto stupida, quando mi sento rinfacciare questa equazione universalmente riconosciuta del bionda=tonta... ecco, allora mi parte l'embolo.

E sta succedendo di nuovo, a giudicare dalla faccia irritata e dalla lentezza con cui scandisce le parole l'impiegata a cui sto parlando. Non che possa darle davvero torto, in questo momento: è la seconda volta che le pongo la stessa domanda, e questo perché mi sta venendo il sospetto di aver combinato un casino di proporzioni colossali. Forse, dopotutto, quella storia delle bionde non è lontana dalla verità, nel mio caso.

Il credo di una vita bruciato in dieci secondi netti. Un record.

“Non c'è nessun errore, signorina. Perché lei è la signorina Susanna Benedetti, no?”

Già. In aggiunta alla dubbia virtù di una bionda chioma, mi è stato imposto anche l'altrettanto discutibile fascino del nome Susanna. Maria Susanna*, per la precisione. Il che rende bene l'idea del mio rapporto di vecchia data con l'onnipotente Regolatrice dell'Universo - anche detta la Sfiga.    

Annuisco silenziosamente, troppo sotto shock per proferire parola. Non che ne abbia bisogno: la mia portavoce e avvocato non ufficiale, al secolo Flavia Antonelli, probabilmente si illude di trovarsi in un'aula di tribunale e sta urlando più che abbastanza per tutte e due: “Ma come è possibile?!   Deve  essere uno sbaglio! Controlli di nuovo!” fa, imperiosa, e sento che si volta a guardarmi. Già è molto che non l'abbia chiamata “Vostro Onore”. Questi futuri avvocati penalisti...

Però non mi giro, non posso: fisso un punto indefinito affianco allo sportello dell'impiegata, là dove lunghe crepe si allargano sulla parete gialla, il che di certo non smentirà il suo sospetto che io sia un po' tocca. Il fatto è che sono talmente... sopraffatta da un'ondata di delusione che, davvero, non posso fare altro.

L'impiegata sbuffa sonoramente, i polpastrelli che battono veloci sui tasti del computer. “Ecco,” ringhia quasi la sua voce bassa da fumatrice, e sento un oggetto pesante grattare sulla scrivania mentre la donna lo sposta. Alzo gli occhi: ha girato il monitor del computer verso di noi, così che possiamo vedere nero su bianco la prova della mia idiozia (e di certo nella speranza che Flavia la pianti).

E la vedo, quella prova, la vedo bene senza bisogno che giri il coltello nella piaga, ma lei rincara la dose e solenne pronuncia la mia condanna: “Le mancano quattro C.F.U.. Ha saltato un esame, glielo dico io.”

Quattro C.F.U.. Quattro stupidi crediti formativi, penso con spietata ironia. Un esame saltato per errore, ed ecco che perdo il lavoro che mi ha promesso Piccini, il professore che ho scelto come referente per la tesi. Che avrei scelto, mi correggo amareggiata. Perché, qualunque corso io debba seguire per recuperare quei crediti, non potrò certo lavorare contemporaneamente alla tesi, e che senso avrebbe, visto che la sessione di laurea più vicina sarà a dicembre mentre i primi esoneri a gennaio? L'unica possibilità è la sessione di marzo e solo se vado molto veloce, calcolo, ma è comunque troppo tardi per il posto di assistente.

Vagamente, sento che Flavia non ha ancora smesso di gridare, ed un pensiero coerente emerge dalla nebbia: sarebbe il caso zittirla in qualche modo, prima che i polmoni le esplodano; ma non sono in condizioni di muovere un solo dito, figuriamoci placcarla e portarla via da questa stanzetta soffocante: mi tornano in mente tutta la fatica e i sacrifici per seguire cinque invece dei tre corsi che mi spettavano; la mia vita privata azzerata nella sua totalità, tutte le uscite, i week-end a casa, a cui avevo rinunciato. Le lacrime pungono dietro gli occhi e tentano di sfuggire giù per le guance; le ricaccio indietro con un sospiro tremante. Ero venuta per prenotare la sessione di laurea, e invece...

“La ringrazio, arrivederci”, riesco a buttar fuori alla fine, appena sono certa di avere la voce ferma. Aggancio Flavia per un braccio e la trascino via prima che possa saltare addosso all'impiegata. Si divincola, e sono certa  che mi stia parlando, ma io non le presto attenzione: con un'unica domanda che mi martella, cerco e cerco negli scaffali organizzati della mia mente, sezione “ricordi”, lettera “e”, mentre la delusione cede il posto a una rabbia feroce. Cerco di ricordare e intanto mi chiedo: “Ma come ho potuto combinare una cazzata del genere?”

*Nel remoto caso che qualcuno desideri  saperne di più riguardo alle Marie Susanne, note anche come l'Undicesima Piaga, è consigliata  la lettura del relativo articolo di Wikipedia


Spazio Autrice.

A chiunque  abbia concesso il beneficio del dubbio a questo prologo, salve.

Premetto che questa è la mia prima originale, per di più romantica, perciò, ecco - pietà.  Le storie romantiche non sono il mio forte, ma ho deciso lo stesso di fare un tentativo, perché la trama ha preso forma nella mia testa in modo tanto dettagliato che ignorarla mi sembrava controproducente.  Ringrazio tutti coloro che hanno fatto altrettanto, e spero soprattutto di riuscire, ora  e in futuro, a strapparvi qualche risata, e perché no, qualche lacrima. Trattandosi della mia prima originale, sono aperta a qualunque consiglio e critica nei limiti del ragionevole. Ogni opinione sarà ben accetta, perciò se avete voglia lasciate pure un commento.                                                                                                                                        
Saluti,

M


 

 

   
 
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