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Autore: SybilleS    22/11/2005    8 recensioni
Questa storia è stata scritta da Silvia & Silvia. E' una storia tra Colin Farrell e Jared Leto,un pò piu complessa di quelle che si vedono in giro,chiamatela una sorta di esperimento in profondità
Malgrado sia tutto inventato questa fic è nata in riferimento ad alcune interviste rilasciate da Jared Leto
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un cretino, ecco come si sentì Colin impalato in mezzo alla sala arrivi dell’aeroporto di Los Angeles.

Il telefono appoggiato all’orecchio mentre fissava uno strano cartello pubblicitario dove una donna guardava dentro i pantaloni di un uomo e una scritta diceva “Sicura sia quello giusto per te?”

Va’-che-ho-perso-l’aereo……..non un “Ciao, sono io, scusami ma ho perso l’aereo”

Come se Jared non dovesse essere sull’aereo il cui atterraggio era appena stato annunciato invece che in una camera di albergo in Nevada a comunicargli con un tempismo di eccezionale che l’aveva perso.

Il silenzio attonito di Colin segnalò a Jared che era il caso di aggiungere qualcosa e di farlo in fretta

“Sei già in aeroporto?”

“Tu che dici?”

“Scusa ma mi sono addormentato, ti ho chiamato appena sveglio. Scusa. Prenderò il prossimo anche se non so ancora a che ora è, probabilmente in serata. Senti appena lo so ti faccio uno squillo e se non riesci a venire prendo un taxi non c’è problema!”

Colin avvertì l’ormai familiare morsa allo stomaco che, negli ultimi giorni, si presentava ogni volta che parlava al telefono con Jared. A volte era un frettoloso “non sento ti richiamo dopo” a scatenarla, altre un “scusa ma ora non posso proprio sapessi che casino” altre ancora un semplice risponditore automatico che gli comunicava che il cellulare era spento.

“Ok va bene” sentì la sua stessa voce rispondere a Jared prima di chiudere la conversazione senza ulteriori commenti.

“E adesso che faccio?”

si chiese senza muovere un passo da dove si trovava sentendosi sprofondare nella melma della noia.

Perché Colin era così.

Mondano, socievole, sempre carico di energia e voglia di fare a patto che qualcosa da fare ci fosse.

Altrimenti smetteva di essere un uomo e diventava un vegetale.

Si ritrovava a trascinarsi stancamente dal letto al divano in un moto perpetuo teso solo a fare passare il più in fretta possibile le ore vuote della sua vita. Fin da bambino non era mai stato troppo amico di sé stesso e non trovava la sua sola compagnia così divertente. Ecco perché ovunque andasse c’era sempre un amico, un parente, un compagno o una fidanzata.

Ma oggi aveva liquidato tutti, figlio compreso, perché doveva esserci Jared.

Che invece si era addormentato in Nevada.

Perso nel gomitolo di corsie che formavano quella che a Los Angeles chiamano autostrada tentò di rilassarsi ascoltando musica e prestando attenzione a quell’accidente di cambio automatico che ogni volta lo portava a stamparsi contro il parabrezza perché all’istintiva ricerca della frizione schiacciava inevitabilmente il freno.

“Maledetti americani” sbottò in un moto di frustrazione che comprendeva tutto il popolo statunitense nel generico e Jared Leto nello specifico.

Aveva voglia di prendere il cellulare, comporre il numero e urlargli nelle orecchie tutta la sua rabbia. Che cavolo voleva dire mi sono addormentato? Gli risultava o no che esistono le sveglie? E i portieri di albergo che ti svegliano all’ora prestabilita? Ma si limitò a sfogare la propria frustrazione attaccandosi al clacson e berciando istericamente contro un’inconsapevole ragazza che aveva l’unica colpa di non essere partita appena scattato il verde e, ovviamente, di essere americana.

Quando finalmente, dopo due ore, si chiuse la porta di casa dietro le spalle restò per un momento fermo nell’ingresso ad osservare la grande sala che si apriva davanti ai suoi occhi e provò una leggera sensazione di smarrimento. La villa di Jared gli sembrò sconosciuta come la prima volta che ci mise piede. Eppure da due mesi ci abitava anche lui.

Aveva rinunciato alla nuova casa di Dublino e si era tenuto il vecchio cottage capitolando dopo molti anni di fronte all’idea di vivere a L.A.

Che odiava.

Ma era la città dove vivevano suo figlio e il suo compagno e la scelta era improvvisamente diventata obbligata.

Non che si fossero detti esplicitamente “andiamo a vivere insieme”, semplicemente era successo. Prima era stato uno spazzolino da denti ad essere lasciato per comodità, poi un paio di jeans e qualche maglia fino ad un’intera parte di armadio, la copia delle chiavi, soprammobili, tappeti e copriletto comprati insieme.

Tutte le sue cose testimoniavano che lui abitava lì. Ma quel giorno si sentì improvvisamente un semplice ospite di passaggio. Di quelli che non sono neppure troppo sicuri di essere graditi.

Poggiò le chiavi e il cellulare sul tavolo della sala da pranzo ed il rumore metallico gli graffiò le orecchie.

Quando si guardò intorno fu come per la prima volta.

La stoffa del divano,lì sulla destra aveva una macchia,te o caffè non sapeva,non l’aveva fatta lui. Lasciò che il suo sguardo si poggiasse con delicatezza sugli oggetti,sugli angoli. Lì c’erano le sue cose,ma le sue cose non erano lì.

Il maglione di Colin nel cassetto,la vecchia foto scattata al compleanno di Catherine quella con l’angolo piegato, in cui Eamon sorrideva idiota e lui si appoggiava tra il fratello e la sorella maggiori, stava lì poggiata,sovrapposta ad una foto di Jared.

Tutto era sovrapposto in quella casa.

Si era detto che col tempo le cose si sarebbero amalgamate,che tutto si sarebbe dolcemente avvolto come il buffo maglione giallo e blu di Jared che ora nella lavatrice si avvinghiava ai suoi jeans.

Si,col tempo sarebbe tutto arrivato si era detto,ed ora, che aiutava quel tempo a venire,aveva paura.

La melodia del cellulare lo scosse dai suoi pensieri e sorrise intenerito a sé stesso mentre le note metalliche di “a beautiful lie” uscivano dal vibrante apparecchio.

Sperava fosse Jared. Non si erano lasciati troppo bene prima. A dirla tutta gli aveva proprio chiuso la comunicazione in faccia.

Ma in realtà sapeva che non era lui ancora prima di rispondere. Jared non richiamava quando gli si sbatteva il telefono in faccia.

Anche se la colpa era sua.

Vide che era il suo agente. Sgranando gli occhi e mugolando un “per carità” spense direttamente il telefono. Non era dell’umore adatto per parlare con lui, qualsiasi cosa fosse.

Probabilmente si trattava della discussione dei dettagli del film che a gennaio avrebbe girato con Edward Norton.

A New York.

Dove Jared, sempre a gennaio, avrebbe girato un suo nuovo film.

Era stata una serata di risate e abbracci e romantici progetti quella in cui scoprirono contemporaneamente che avrebbero girato un film nello stesso periodo e nella stessa città.

Questo significava trascorrere dicembre a casa e trasferirsi a N.Y insieme a gennaio per almeno quattro mesi. Più di quanto avessero mai osato sperare.

Gli impegni e le loro rispettive vite sembravano pendere come una spada di Damocle sulle loro teste, era come se tutto corresse nella destinazione opposta al punto nel quale volevano incontrarsi,stare insieme sembrava ogni giorno di più come remare contro vento, e colin si chiese chi dei due si sarebbe sfinito prima. Si chiedeva sempre se ne valeva la pena. Ma poi, quando le labbra di Jared si piegavano in un sottile sorriso, che Colin sapeva essere solo per lui, la mano di lui sotto il tavolo, il solo sfiorare vicino al suo ginocchio,i segreti sussurrati che nessun altro poteva conoscere,allora non si chiedeva più nulla. Ma aveva troppe ore per pensare. Troppe ore,troppi giorni passati in quella casa da solo,perso nel via vai frenetico di Jared che saltava da un paese all’altro.

Se solo quel maledetto tour fosse finito in fretta!

Come da sua abitudine non permise a sé stesso di soffermarsi sul perché odiasse quel tour oltre l’ovvio motivo che teneva Jared lontano. Ma un altro motivo c’era…..e aveva a che fare con la gelosia.

La gelosia era un sentimento stupido, lo sapeva, se lo diceva, se lo ripeteva ogni volta che si rigirava da solo in un letto divenuto troppo grande,se lo ripeteva nel bloccare i pensieri che sbattevano le ali come uccelli impazziti alla vista di una semplice foto dove un braccio cingeva spalle che non erano le sue, dove la mano era intrecciata in una che non era la sua.

Ma non puoi giudicare l’amore con l’amore. Era davvero quello il significato di amare qualcuno? Possederlo? Possedere Jared? Ma neanche Jared possedeva se stesso,perché sfuggiva al tocco. A volte mentre lo guardava dormire nel cuore della notte aveva l’impressione che Jared fosse come i suoi occhi, liquido che gli scorreva tra le mani senza che riuscisse a trattenerlo

A volte camminava come se un filo invisibile lo sollevasse da terra,lo distaccasse dalle cose,da tutti. E da lui. Allora anche le sue azioni diventavano intangibili,eppure troppo pesanti su Colin come acqua che soffocava il suo respiro.

Anche a Matt scendeva un brivido lungo la schiena quando Jared tra il serio e il faceto gli posava le labbra sulla guancia? Anche Matt immaginava il tocco delle sue dita mentre rispondeva al telefono,mangiava distrattamente un panino o leggeva un libro? Anche lui si sentiva ubriaco nel desiderio di Jared ?

Colin se lo chiedeva sempre.

E l’idea che fosse lui il compagno di Jared e non Matt invece di rassicurarlo paradossalmente lo spaventava.

Perché è colui che possiede qualcosa che rischia di perderlo.

E Jared poteva vedere quello che vedeva Colin? E poi,c’era davvero qualcosa da vedere?

Scosse la testa come se il solo gesto potesse liberarlo da quei pensieri di cui si sentiva ostaggio. Voleva solo che il tour finisse presto,voleva essere con lui al di là dei pensieri,al di là dei dubbi.

*****

Quando aprì gli occhi fuori era già buio e i led rossi della radiosveglia segnavano le 8.30.

Si alzò di scatto a sedere. Possibile avesse dormito sei ore? Accese l’abat-jour e lanciò un’occhiata al suo orologio da polso per accertarsi che fosse così.

Aveva la bocca impastata e una lieve nausea come succedeva sempre quando dormiva il pomeriggio. Passandosi una mano sugli occhi si chiese se non fosse il caso di rimettere un po’ in ordine la stanza prima dell’arrivo di Jared.

Jared!

Non aveva ancora chiamato!

Prese il cellulare dal comodino dove lo aveva lanciato insieme alle collane e braccialetti prima di sdraiarsi e vide che era ancora spento dalla mattina.

Ancor prima che apparisse nello schermo colorato la faccina tonda e sorridente di James una raffica minacciosa di messaggi in arrivo fecero vibrare il cellulare nella sua mano.

Quindici chiamate senza risposta e un messaggio.

Come se non fossero già abbastanza indicative di un irritato interlocutore quindici chiamate, il messaggio era ancora più esplicito

“DOVE CAZZO SEI? IO ARRIVO ALLE 9.30 VEDI SE RIESCI A VENIRE ALTRIMENTI CI VEDIAMO POI”

Sbuffò chiudendo gli occhi e lanciando il telefono al suo fianco.

Un’altra veloce occhiata alla sveglia gli confermò che era impossibile ormai arrivare in tempo all’aeroporto.

Tanto valeva farsi una doccia e magari preparare o meglio, ordinare qualcosa per cena.

Si diresse al bagno slacciandosi i jeans strada facendo e scavalcando con indifferenza le varie paia di scarpe sparse un po’ ovunque nella stanza che era fuori da ogni dubbio la tipica camera che condividono due maschi.

Una panca per gli addominali si era trasformata da subito in un comodo attaccapanni per i vestiti smessi a fine giornata. T-shirt, jeans, tute, calzini e tubolari si accumulavano sera dopo sera fino ad essere raccolti settimanalmente e buttati in lavatrice più per comodità di non doverli riporre che per il bisogno effettivo di essere lavati.

Le camicie normalmente avevano miglior fortuna. Pur non riuscendo a rientrare quasi mai nell’armadio venivano comunque appese alla spalliera di una sedia in plexiglas trasparente rosso fuoco che faceva a pugni con il resto dell’arredamento mogano e larice. Ma era la stanza di Jared e Jared era così.

Legno pregiato e plastica da poco prezzo, eleganza e trasandatezza, dolcezza e crudeltà.

Appena uscito dalla doccia sentì la porta di casa sbattere al piano di sotto e sorrise immaginando Jared carico di strumenti e borse mentre, con le chiavi fra i denti, la chiudeva con un calcio. Con i capelli ancora gocciolanti e l’asciugamano in vita raggiunse le scale e si fermò.

Jared, come avesse percepito la sua presenza, guardò in alto e sorrise dolcemente

“Allora ci sei bastardo! Hai letto in tempo il messaggio per mandar via l’amante?”

Il volto di Colin si aprì in un sorriso carico di affetto e di amore. E la rabbia della giornata appena trascorsa evaporò prima ancora delle gocce che scendevano lungo la sua schiena.

***

Se c’era qualcosa di cui Jared non aveva mai dubitato era la precarietà delle cose.

Sapeva che se spingi a fondo scoprirai la fragilità di ogni situazione,di ogni essere, che finirà per sgretolarsi tra le tue mani. Allora aveva deciso di contrattaccare la vita,e aveva fatto della precarietà la strada sulla quale aveva imparato a camminare in equilibrio. Si diceva sempre che era un bravo stratega dopo tutto,lui pianificava tutto e bene,pianificava se stesso ed era la sua ancora. Sapeva bene dove andava,anche quando tutto sotto di lui si perdeva in un groviglio

Pensava vagamente a tutto questo mentre i liquidi occhi azzurri si fissavano sullo schermo.

Non era sicuro di cosa fossero,ragni verdi,forse? Le dita all’apparenza fragili,si muovevano con vigore inaspettato come indipendenti dalla sua volontà;ogni volta che ne colpiva uno lo schermo emetteva un rumore ovattato,rassicuramene nel suo essere sempre monotono e sempre uguale.

Il video era ormai disseminato di piccole macchie sanguinolente e i suoi pollici spingevano insistenti sui tasti di plastica,quasi a tormentarli, eppure gli sembrava di non riuscire mai a farlo con la voracità che desiderava.

Un braccio gli cinse le spalle e Jared considerò brevemente l’idea di rilassarsi contro l’abbraccio di Colin,ma fu solo per un attimo

“E’ solo un videogioco” rise Colin nell’incavo del suo collo “Non prenderla così sul serio”

“Ho fatto una strage di schifosi animaletti” rispose senza voltarsi

All’arrivo di Jared si erano abbracciati e baciati con trasporto ritrovando l’alchimia che da due anni ormai li teneva, a volte inspiegabilmente, legati l’uno all’altro. Le mani erano scivolate lentamente a percorrere i territori conosciuti, così familiari da essere rassicuranti.

Ma quando le mani di Colin, delicatamente, avevano alzato il lembo della soffice t-shirt di Jared lui si era staccato dall’abbraccio con un sorriso nervoso.

“Sono distrutto Col , e affamato” aggiunse e questo, a suo parere, bastava a giustificare il rifiuto inaspettato e doloroso come uno schiaffo.

Dolore che si era congelato sul volto di Colin e nei suoi occhi quando, infilati un paio di jeans e una camicia, era sceso per raggiungere Jared a cena e lo aveva trovato invece sul divano ipnotizzato dalla play station.

Prima che potesse opporre resistenza Colin gli sfilò l’aggeggio dalle mani poggiandolo in terra

“Non c’è bisogno di tanto accanimento,Jared,sono finti” Non sapeva se il suo tono era divertito o preoccupato,forse entrambe le cose

“Mi stavo solo divertendo un po’”gli rispose l’altro seccato alzandosi di scatto

Colin gli afferrò il polso.

“Mi dici perché sei tanto arrabbiato?” Jared si voltò

Non capiva il senso della domanda

“Non sono ‘arrabbiato’ Colin,i bambini sono arrabbiati e comunque io non…”

“Allora non sei arrabbiato,va bene, sei furioso” rise Colin

Jared si voltò spazientito,cercando il telecomando dello stereo e riempiendo la stanza di musica assordante come per coprire le domande del compagno.

Colin non faceva altro che domandare,domandare e ancora domandare da troppo tempo a questa parte. Era come se si fosse messo a grattare una superficie, la sua superficie, e stesse cercando al di sotto della patina dorata,e da li al di sotto della pelle,incurante del suo dolore.

Si era messo a cercare una voce in lui che stonava,la voce del ragazzino che ancora non aveva imparato a cantare, e Jared sentì che la strada sotto di lui cominciava a franare più in fretta da quando Colin aveva cominciato a farlo. Il bambino ingrato e solitario marciava su quella strada e guardava in basso; quello che Colin non sapeva era che se avesse continuato a grattare via quella pelle il bambino sarebbe caduto,ma non prima di aver trascinato giù anche loro.

Erano le due passate e Jared decise che era stato fin troppo nella sua testa.

Colin era girato su un fianco,non era sicuro dormisse,ma non si curò di scoprilo; si fece invece più vicino,le dita sospese nell’incertezza sul braccio dell’altro, che emise un sospiro voltandosi a guardarlo

“C’era molta gente a Las Vegas ? “ chiese.

L’accento irlandese modellato dalla stanchezza

“Mi dispiace di essermi addormentato,davvero;sono crollato sul letto vestito una volta entrato in camera. Davvero, mi dispiace”

Jared poté sentire le labbra di Colin incurvarsi in un sorriso mentre si poggiavano sulle sue nel buio

“Adesso sei qui” e mentre Colin lo diceva sentì la familiare ondata fredda allo stomaco che gli fece andare a cercare la sua mano,le dita di Jared si intrecciarono alle sue come tralicci di vite

Stettero zitti così a lungo respirando l’uno contro l’altro che quando Jared parlò di nuovo la sua stessa voce gli sembrò estranea.

“Ti ricordi di quando ti ho chiesto perché facevi l’attore e tu non mi hai saputo rispondere?

Colin rise sommessamente

“Ti conoscevo da una settimana e già mi rompevi i coglioni con ‘ste domande”

“Ho sempre invidiato il tuo essere cosi sicuro di quello che avevi scelto per te stesso da non dovere o forse non sapere spiegarlo perché è parte di te”

“Anche quello che fai tu è parte di te, Jared “ sussurrò Colin rassicurante seguendo con un dito le linee del suo volto.

“Di quale parte di me? Di quale parte della mia persona coltivata con attenzione?”

Si fermò e Colin sentì i suoi occhi piantati addosso

“Credi che io sia come un piacere artificiale?” chiese

Colin cercò di delineare le forme del viso di Jared nel buio,ma non ne aveva bisogno, lo aveva sempre visto bene anche nel buio.

“Io credo che tu sia una strana creatura, a volte terribilmente complicata per me,a volte credo di dovere ancora imparare a conoscerti,ma sono certo che non ci sono falsità in te Jared,ed è forse proprio questo il problema”

Una smorfia sarcastica velò il viso di Jared per un attimo,e si consolò di essere protetto dal buio. L’aveva costruito con attenzione il suo mistero.

Poggiò il palmo aperto della sua mano sul petto di Colin. Poteva sentire il suo cuore battere ritmicamente

“Qui dentro” mormorò “Tu sei molto più vero”

  
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