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Autore: Jack_Chinaski    20/11/2010    1 recensioni
La storia di una città e del ritorno del suo figlio prodigo.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Rain era Potest.
Potest era Rain.”
Queste sono le parole che trovi sulla tomba di Rain, solo queste nonostante da dire su quest’ uomo ce ne sia per giorni e notti.
Ma lui e tanti altri ritenevano che fosse essenziale, pratico e indispensabile che si sapesse che l’uomo chiamato Rain, poiché nato nella prima notte di pioggia d’autunno, era Potest, la città doveva aveva deciso di vivere e morire, e Potest era Rain.
Quando senti questa storia per la prima volta devi avere fortuna su chi te la racconta.
Perché se te la raccontano male, se scelgono male da dove iniziare è finita.
Il significato lo cogli ugualmente ma ti perdi troppi, troppi particolari importanti e sono i particolari che rendono le cose vere e fanno sentire quello che ascolta la storia parte di essa.
Come se ti guardassi allo specchio, ti fissassi e non notassi quel neo sotto il labbro inferiore.
Sai comunque che quella persona sei tu e puoi riconoscerti comunque solo che quel neo sotto il labbro ti rende ancora più diverso e più particolare e più unico di chiunque altro.
Parlando di Rain si può dire che è proprio il neo nella sua unicità e particolarità ad esprimere cos’era Rain.
Unico e particolare.
Se becchi quello giusto pronto a raccontarti perbene la storia di Rain che era Potest e Potest che era Rain vuol dire che sa che deve partire da Potest, la città che sorgeva vicino al mare.
La prima cosa che ti deve dire di Potest è che prima di chiamarsi così si chiamava Flava Mari che veniva dal latino è voleva dire “Mare giallo”.
Mare giallo perché Flava Mari, che prima ancora doveva chiamarsi semplicemente Proximum Mare sempre latino e tradotto era “Vicino al mare”, e la sua popolazione durante l’inaugurazione della città stessa assist iterò ad un evento piuttosto sinistro per un giorno di inizio.
Un carico di tè diretto al re, cadde e affondò nel mare rendendolo di un color gialliccio per tre giorni.
Come avrebbe detto poi il vecchio Pesco, che a quei tempi era il giovane Pesco: “I pesci vennero a galla e ci chiesero se avessimo dei biscotti da inzuppare”
Flava Mari prima di essere Potest era già una cittadina diversa dalle altre per via del suo re e della sua popolazione.
Un commercio ottimale con tutte le città collocate e non, evento a dir poco straordinario a quei tempi di guerre e di saccheggi.
Non c’erano ombra di delitti, tradimenti o che altro il che era una cosa più unica che rara.
La popolazione perlopiù era tutta intrecciata tra loro e da generazioni, raramente nuovo sangue veniva a scorrere a Flava Mari e questo li aveva portati a conoscersi tutti e vivere nella letizia più totale.
Vivevano tranquillamente e avevano le loro festività annuali:
La raccolta annuale, la festa di città annuale, i festeggiamenti in onore del patrono annuali e molto altro.
Il suo re era famoso in tutto il mondo per essere un re senza nome e infatti tutti lo chiamavano semplicemente King.
Privo di qualsiasi intento totalitario o dittatoriale sulla popolazione si faceva amare per il suo perenne confronto diretto col popolo e i suoi sottoposti e senza accorgersene, King, stava dando vita a quello che poi nella storia sarebbe diventata la Democrazia.
Avevano già in qualche modo segnato la storia con la loro nascita e presenza e potevano pure fermarsi la, morire e attendere per anni, secoli che, magari, qualcuno che discendeva da loro ritrovasse ciò che erano stati e li facesse passare perennemente alla storia e alla leggenda.
Solo che certe cose non accadono perché di una città si possa parlare per secoli o millenni o perché entri nella leggenda.
Certe cose accadono e basta.
E allora accade che un mattino di una giornata d’agosto come tante la popolazione di Flava Mari si sveglia nei loro abiti estivi, scruta dalle loro finestre il cielo estivo e quando esce dalle loro abitazioni per dare inizio alla quotidianità rimane di stucco.
Tutto era ricoperto di neve,
Ogni centimetro, ogni metro.
Ogni tetto che fosse basso o alto, ogni entrata o uscita che dir si voglia, ogni strada, vicolo stretto o largo o sentiero battuto o non era ricoperto di una spesso ammasso di bianco.
Automaticamente molti rientrarono per prendere abiti pesanti , per coprirsi.
Facendolo si accorsero che non sentivano affatto freddo e che la temperatura era rimasta uguale, era sempre piena estate.
I bambini ci si buttavano dentro riempivano quel silenzio di incredulità di risa divertite, entusiaste mentre qualcuno l’assaggiava, qualcuno la toccava con paura e qualcuno pensava già come usarla a suo uso.
C’erano trenta gradi, un sole che splendeva alto in un cielo azzurro e senza nemmeno una nuvola e c’erano pure 1 e metro e mezzo di neve.
Nessuno sapeva, nessuno capiva.
La notizia si divulgò velocemente come tutte le notizie curiose e che accendono la curiosità malsana e non della gente, Flava Mari venne letteralmente invasa da curiosi, turisti e soprattutto artisti di ogni tipo in cerca di ispirazione.
Quale posto migliore poteva essere per coloro che cercano la magia nelle cose più semplici e in quelle più inconsuete di un luogo dove aveva “magicamente” nevicato in piena estate?
C’erano alcuni fra le menti migliori e più importanti che il mondo potesse offrire fra coloro che emigrarono a Flava Mari.
Ora tutti gli abitanti volevano una spiegazione e non gli importava se fosse vero o falso, se fosse logica o meno più che altro volevano sapere cosa ne pensava King e loro si sarebbero comportati di conseguenza.
King richiamò la gente nella piazza centrale e dal suo pulpito disse che era felice del fatto che gente di tale livello mentale, sociale e culturale si fosse unita a quella di Flava Mari.
Felice del fatto che anche se era assente mentre tutto ciò accadeva nessuno avesse perso la calma e lo spirito vero di Flava Mari cadendo nella follia o nella stupidità.
Disse che non credeva alle sue orecchie quando gli avevano raccontato della nevicata estiva e dell’ “invasione” della gente.
Per tutto il tempo s’era chiesto: E’ possibile?
Fu questo pensiero e questa frase a riportagli alla mente la storiella che gli raccontava sempre suo padre.
La storia di uno scultore cieco e dell’amore della sua vita.
Era uno degli scultori migliori in circolazione e questo lo aveva reso una vera e propria leggenda soprattutto visto l’handicap che si portava dietro della nascita, pieno di ammiratori e, ovviamente, di nemici e avversari.
Tutti si chiedevano come facesse, se imbrogliasse eppure ci riusciva veramente a scolpire con le immagini che si formavano solo in base alla sua immaginazione a creare delle opere d’arte a dir poco geniali.
Nonostante la gloria e la fama, gli mancava quella che dovrebbe essere una cosa essenziale secondo molta gente che lo circondava : L’ amore.
Lo scultore si tormentò per una notte intera e l’indomani decise di porre rimedio a questo suo “problema”
Uso la sua fama per far diramare una voce di villaggio in villaggio:
Avrebbe dedicato una scultura alla donna che avrebbe convolato a nozze con lui e sarebbe stata l’ultima scultura della sua carriera, della sua vita.
La sua abilità, la sua fama in mano alla donna che gli concedeva il suo amore.
Per quanto fosse bravo, ricco e importante rimaneva pur sempre un uomo cieco e l’idea di invecchiare e di amare un uomo cieco non faceva gola a molte donne.
In poche si fecero avanti e tutte interessate a bene altro che a lui.
Chi per la fama, chi per ammirazione, chi per il denaro ma nessuna per amore.
Fino a che non arrivò Afrodite, colei che portava il nome della dea dell’amore.
Afrodite si concedete a lui quella sera stessa e per la prima volta lui tastò con quelle mani che prima d’ora avevano solo tagliato, toccato e formato duro, freddo e pesante marmo qualcosa di liscio e morbido.
Si abbandono per la prima volta in tutta la sua vita, per la prima volta concedette le sue mani che erano tutta la fortuna che aveva a questo mondo a qualcun altro.
Per la prima volta, il cieco vide.
Il giorno dopo si sposarono e il giorno dopo ancora lui era di nuovo solo.
Inganno, di questo si trattava. Un inganno di quelli che scopri quando è troppo tardi e dopo non puoi rimediare. Infatti tutto si basava su un matrimonio che si sa che è un tipico errore a cui non puoi più porre rimedio. L’ aveva promesso e giurato che una volta sposato e unitosi all’ amore della sua vita nel sacro vincolo del matrimonio, avrebbe smesso di scolpire e si sarebbe ritirato.
Su questo si basavano gli intenti dei suoi avversari che avevano pagato una semplice prostituta affinche si fingesse una donna profondamente innamorata di lui, che lo sedusse parlandogli della passione per la sua arte e lo convincesse a sposarsi il più presto possibile.
Poteva rimangiarsi tutto, non c’era nessun contratto scritto oppure poteva svelare l’inganno a tutti.
Solo che era troppo orgoglioso o stupido per farlo.
Oramai tutto era fatto e gli avversari festeggiavano la loro vittoria quando lui incontro lei, riconoscendola per il suo inconfondibile odore e gli fece una semplice una domanda:
Anche per un attimo, anche solo per un istante tu mi hai mai amato?
Lei rispose di sì, non si sa per pietà, per ulteriore scherno o forse perché era vero fatto sta che rispose di sì.
Allora il cieco scultore scompari dalla circolazione e si chiuse nel suo studio.
Ne uscì solo tre giorni dopo, con il suo ultimo lavoro.
Il suo capolavoro finale, il suo lavoro migliore.
La perfetta riproduzione della donna che aveva amato anche se solo per una notte in una forma che sembrava umana.
Mai gambe che non erano fatte di carne furono così lisce, mai nessuno desiderò così tanto baciare labbra fredde e immobili o toccare quei seni pesanti e induriti.
Mai prima d’ora qualcuno con del semplice marmo era riuscito ad avvicinarsi a ricreare il lavoro di Dio.
Com’era possibile? Lo disse come se si risvegliasse da lungo sogno e solo ora parlasse veramente con loro, con coloro che erano venuti a sentire la sua opinione e ora si apprestavano ad ascoltare la storia che volgeva al termine.
Com’era possibile che un cieco fosse capace di riprodurre l’esatta copia dell’unica donna che l’avesse amato anche solo per una notte se lui in vita sua non aveva mai visto lei o qualsiasi altra donna ? Come?
Nessuno sapeva rispondere nella folla o forse non voleva affatto farlo, voleva sentirlo da lui.
Tutti aspettavano il finale epico, la morale imprescindibile ma non arrivò.
E’possibile.
Disse solo questo e si ritirò a vita privata come promesso.
Queste furono le ultime parole dello scultore cieco che intitolò la sua opera migliore che gli diede una fama immortale Potest, dal latino “ E’ possibile” poiché tutti lo sapessero, poiché tutti lo ricordassero che tutto è possibile.

Queste furono le ultime parole di King, accolte con un attimo di freddezza e un applauso scrosciante dopo.
Dopo quel racconto e dopo quel giorno la città di Flavia Mari divenne Potest per non dimenticare che tutto è possibile, pure che nevichi in piena estate.
E lo scultore cieco che riuscì ad avvicinarsi a Dio ne divenne il simbolo.
   
 
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