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Autore: Jo_March_95    20/11/2010    1 recensioni
Tante volte gli era capitato di pensare alla sua morte, e aveva sempre creduto che avrebbe sofferto, che sarebbe stato agitato, eppure non si era mai sentito calmo come ora, proprio mentre la vita lo abbandonava. Aveva sempre pensato che avrebbe rivisto la sua vita e che avrebbe capito tutti i suoi errori. Eppure adesso non riusciva a fare un pensiero coerente. Però su una cosa aveva ragione, perché finalmente era riuscito a capire che l’odio non porta a nulla, e che tutti quegli anni sprecati a cercare vendetta erano anni che non sarebbero più tornati indietro. Peccato che avesse imparato la lezione proprio ora che non gli serviva più. Le palpebre calarono sulle pupille ormai spente. Cristoph non è ancora venuto? Corinna, Clelia, Cristoph. Scusa.
Genere: Drammatico, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Guardare diritto davanti a sé. Cancellare ogni sentimento e agire come se non fosse lui a comandare il suo corpo.
Come se volesse davvero vincere. Come. Perché in realtà non è sicuro di volerlo. E’ davvero così importante?
Fino ad allora era sempre stato l’odio a spingerlo, a dargli una ragione per andare avanti. Non aveva avuto scrupoli di nessun genere e aveva trattato la gente come se fosse un mezzo, un mezzo per arrivare al suo scopo. Era diventato questo? La sua vita si era ridotta a quel giorno?
La vendetta era l’unica cosa che lo spingeva? Le cose potevano cambiare?
Per un attimo esitò. Non riusciva a provare niente che non fosse il sentimento di odio che si era imposto per tutti quegli anni.
Anni di dolore, ma di un dolore vecchio, che sarebbe dovuto sparire. E invece era lì, e faceva male, come il primo giorno. Un’angoscia che non gli dava pace, che mai gliene avrebbe data. Perché? Se lo chiedeva spesso. E si calmava solo quando riusciva a convincersi che era tutta colpa Ethan.
Ed ecco la ragione di tutto quell’odio. Cristoph scosse la testa con violenza.
Aveva iniziato a piovere.
Le prime gocce di pioggia cadevano sulla spada e colavano sul terreno, fino a formare una pozzanghera ai suoi piedi.
Cristoph aveva una presa salda, e i suoi occhi non facevano trasparire alcuna emozione.
Il suo avversario non aveva idea del dilemma interiore che lo logorava. Ed era giusto così.
Lui non doveva sapere. Doveva solo morire. Per un attimo l’immagine di Corinna lo distrasse.
Bella come sempre, gli occhi colmi d’amore. Amore per lui, per nessun altro.
Almeno nei suoi sogni era così. Nelle sue fantasie non c’era spazio per Ethan. Si era distratto ancora.
Non poteva permettersi più questo lusso. Guardò in faccia il suo avversario.
<< E così eccoci qui, finalmente. Dopo tanti anni possiamo pareggiare i conti.>>
< < Sai bene che non dipende da me. Non sono io quello pieno di odio e di risentimento. Non sono io quello a cui piace combattere. > > Ethan abbassò lo sguardo.
Lui non era cattivo. Eppure era andato lo stesso a battersi.
<< Sei sempre stato un codardo. Neppure ora riesci a prenderti le tue responsabilità. Non sono stato mica io ad obbligarti. >> Cristoph non attende neppure che l’altro risponda, ma leva la spada al cielo e con un urlo si scaglia contro il suo nemico.

<< Ti voglio bene Ethan! Io e te saremo amici per sempre! >> Cristoph si avvicina all’amico e l’abbraccia.
Sono entrambi sporchi di polvere e di fango perché hanno lottato.
I ragazzi più grandi non li lasciano mai in pace, gli fanno sempre i dispetti e loro di difendono come possono.
A volte vincono, a volte perdono.
Questa volta hanno perso, ma non gli importa molto. Per loro l’importante è stare insieme, sapere di poter contare l’uno sull’altro.
L’altro ricambia l’abbraccio e due lacrimoni gli scendono dagli occhi.
Non vorrebbe piangere, sa che è una cosa da femmine, ma non può fermarsi,e così inizia a singhiozzare.
Cristoph lo accarezza. << Ti hanno fatto tanto male? >>
L’altro non riesce a rispondere, piange troppo. Ma quel pianto disperato è una conferma per l’amico.
Ethan fa cenno di volersi sedere.
<< Dai che non glielo dico a tuo padre che hai pianto, così non ti sgrida. Quando ci vedranno coperti di botte penseranno
che siamo stati proprio bravi e che ci siamo fatti onore combattendo come i grandi. >>
Il bimbo annuisce e i singhiozzi si fermano.
<< Dovremmo dire una bugia! >>
Cristoph ci pensa. Alza gli occhi al cielo e si tocca il mento con un dito. Sa che dire le bugie è sbagliato,
ma a volte è necessario. Però non vuole fare una cosa cattiva.
<< Ma noi non diremo una bugia, ma la verità. È vero che abbiamo combattuto e non diremo che abbiamo perso.
Così risolviamo il problema, passiamo per eroi e non diciamo bugie! >>
Il piano non fa una piega. Ethan spalanca gli occhi entusiasta.
<< Cosa farei senza di te! >> dice, e salta al collo dell’amico che si gode quel momento di gratitudine.



Ethan non ha mai amato combattere, ha sempre creduto che le parole fossero più efficaci di una lama.
Ma aveva dovuto ricredersi, perché in quel caso le parole non servivano a niente. E allora rimaneva solo un modo per difendersi, con la violenza.  
E col tempo ci aveva fatto l’abitudine e tutte i valori imposti erano svaniti davanti all’enormità della vita,
alla fatica dell’esistenza che lo costringeva ad andare contro le cose su cui aveva basato la sua realtà.
Ed ecco che a volte le persone cambiano, non perché lo vogliano, ma perché la vita le mette davanti ad una scelta.
E nessuno può scendere a compromessi. Non c’è una degna via d’uscita. E così, come fecero tante altre persone, anche lui si adattò.
Ormai era preparato all’arte della guerra e del combattimento. Nulla gli faceva più paura. Se suo padre avesse potuto vederlo ora ne sarebbe stato fiero.
Non chiuse gli occhi davanti alla lama nemica, come faceva da bambino quando pensava che bastasse serrare gli occhi per far scomparire le cose brutte che gli facevano paura.
Aveva imparato che non serviva a niente. Si permise un mezzo sorriso. Non lo avrebbe trovato impreparato, non questa volta.
Parò il colpo con precisione e iniziò ad attaccare.


Cristoph è per terra. Piange forte, non riesce a calmarsi.
Sua mamma vorrebbe poter fare qualcosa ma è troppo debole, non riesce a dire una parola.
Lo guarda, non riesce a distogliere lo sguardo dal suo ometto tanto coraggioso che di colpo è tornato bambino.
Il suo unico figlio, sempre tanto forte, sempre valoroso, che non piangeva più da ormai un anno.
Il suo piccolo uomo che non aveva bisogno di coccole e baci ma che spesso si “sacrificava” e si lasciava abbracciare.
Adesso era solo un bambino impaurito, aveva perso la sua audacia e la sua determinazione.
Aveva lasciato perdere l’aspetto da duro che si era imposto per perdere di colpo tutti gli anni e ritornare ad essere un semplice bambino.
Le lacrime scendevano copiose dagli occhi neri, il nasino era diventato rosso a furia di piangere e ormai non aveva più la forza di stare inginocchiato al letto della mamma,
e così se ne stava steso sul pavimento, privo di forze.
Erano due giorni che stava in quella posizione, ma benché fosse debole nessuno riusciva a spostarlo.
Rumore di zoccoli. Passi veloci di piedi piccoli. Un debole colpo alla porta.
Una voce stanca che dà delle indicazioni. Una corsa, un tonfo. Un ahia trattenuto. Una mano sulla spalla.
Cristoph non ha la forza di alzare la testa. Ma non c’è bisogno di vedere, sa già chi è.
Si chiede solo perché ci abbia messo così tanto. Ethan si inginocchia vicino all’amico.
Lo solleva da terra con una certa fatica e lo abbraccia.
Le lacrime scendono lentamente e inzuppano la maglia già bagnata di Cristoph.
<< Ero andato al mare con papà, per questo ci ho messo tanto tempo. Scusami. Ma adesso sono qui, non devi preoccuparti, ci sono io con te!>>
Cristoph stringe la presa sulle spalle del compagno.
<< Aiutami >> sussurra.
<< Non lasciarmi solo, non ce la faccio >
> Ethan non risponde. Non ce n’è bisogno.


È diventato bravo, si sorprende a pensare Cristoph. Ma non mi fermerà. Io sono sempre stato il migliore.
Pensieri assurdi. Pensieri di un uomo che si sopravvaluta e che rimane deluso il doppio quando scopre di aver sbagliato.
Pensieri di un uomo con troppo orgoglio, un uomo poco umile. Ma determinato. Deciso a vincere e a mettere la parola fine a quella storia che è durata fin troppo.
E tutto il tempo passato non gli ha fatto bene, ma ha peggiorato le cose, lo ha reso peggiore, per quanto possibile.
Perché lui sa di non essere buono, sa di non essere un santo. Ormai la sua anima l’ha persa da un pezzo.
Per questo non può permettersi un fallimento, per questo deve lottare con tutte le forze. Se perdesse ora sarebbe stato tutto inutile.
Tutto vano.
Una vita persa.
Due.
Due vite perse.
Raddoppia la velocità dei colpi. Quel nuovo pensiero l’ha fatto soffrire e il dolore l’ha reso più deciso.
Non deve perdere, è un lusso che non può permettersi.


<< L’acqua è gelata! >> Si lamenta Ethan.
<< Non fare la femminuccia, dai tuffati! >> Lo sgrida Cristoph.
Ethan si offende. Non gli piace che gli si dica quella cosa, ci sta male.
Però non dura molto, perché ha già pensato a come vendicarsi.
Prende la rincorsa e di butta addosso all’amico. Gli prende la testa e gliela mette sott’acqua.
<< Chi è la femminuccia adesso? >>
Ride tenendo delicatamente ma fermamente l’altro per i capelli.
Cristoph riuscirebbe a liberarsi se volesse, ma sta al gioco.
Si tira su. Prende un respiro profondo: << Hai ragione, sono io la femmina. >>
Ma poi solleva Ethan e lo lancia in acqua: << Ma sono lo stesso più forte di te! >> Entrambi ridono e cominciano a lottare.
Tra in due non c’è paragone. Cristoph non si sforza, non vuole fargli male, è un suo amico, il suo migliore amico.
Ethan da parte sua si impegna molto, tanto sa che non riuscirà a fargli neanche un graffio.
Vorrebbe tanto essere forte, compiacere suo padre, ma non ci riesce.
<< Andiamo a casa? Si sta facendo buio.. >>
Ethan annuisce. Il buio gli fa paura. Mentre si avviano il piccolo si avvicina all’amico.
Ethan è molto magro, troppo, e basso. Ha i capelli biondo scuro e gli occhi grigi.
Non si vergogna di apparire debole, almeno finché suo padre non gliene fa una colpa.
Cristoph invece dimostra di più dei suoi nove anni. Ha un fisico snello, ma nulla a che vedere con quello dell’amico.
Cristoph è muscoloso e si compiace della sua forza.
Gli piace essere lodato e trattato da eroe, ed è felice quando Ethan gli fa i complimenti e gli dice che vorrebbe essere come lui.
Sono completamente diversi, ma sono indivisibili.
Nel buio della notte le due teste si avvicinano e i due piccoli se prendono per mano.



Cristoph si permette una risata. Stanno combattendo da poco eppure l’avversario annaspa stanco. Si allontanano con un salto.
Prova disgusto per l’essere che gli sta di fronte.
Debole e flaccido non è fatto per essere un guerriero eppure ora sta cercando di batterlo, perché pensa di poter essere migliore.
Sciocco, pensa Cristoph, la tua fine è vicina e tu rimpiangerai di avermi conosciuto e di esserti messo sul mio cammino.
Non aggiunge altro. Troppo dolore nei ricordi, troppa sofferenza nel rivedere quel volto quasi infantile ma infinitamente saggio.
Troppa angoscia nel ricordare il vero motivo del combattimento. Alza lo sguardo.
Ethan è piegato in due, cerca un modo per riprendere fiato e recuperare in fretta le forze.
Si poggia sulla spada, lo sguardo basso, ma questo non vuol dire che abbia abbassato la guardia, perché sussulta ad ogni movimento.
Cristoph lo guarda, sarebbe bello attaccarlo ora, senza dargli in tempo di riprendersi, per fargli capire quanto sia debole, ma non può.
Perché anche lui si poggia sulla spada. Esausto, ma non per lo stesso motivo dell’altro.
È stanco di quella sofferenza, di quel malessere sempre presente che non gli dà tregua.
Respira a fatica cerca di mandar via quell’immagine, che ha visto per pochi secondi, ma che gli si è impressa nella mente e non ne vuole sapere di andar via.
Ecco cosa succede quando si spinge troppo oltre con i ricordi.


<< Mamma, mamma presto vieni! >> Zelia si affaccia alla porta. Si porta le mani alla bocca per soffocare una risata.
Sono proprio buffi! Si sono vestiti da donna e hanno usato i suoi abiti.
Da quando è riuscita a rimettersi da quella brutta malattia Cristoph non è più lo stesso.
La cerca sempre e la abbraccia in continuazione. Non si stacca un attimo e ha abbandonato il suo comportamento da duro in sua presenza.
<< Ma che belle signorine che siete! >> Si porta di nuovo la mano alla bocca, ma stavolta non riesce a fermare la risata che sale cristallina fino alle sue labbra.
Cristoph pensa che sia il suono più bello del mondo, e che gli è mancato molto in tutti quei mesi.
Ethan invece arrossisce e molla la presa dal vestito che, essendo troppo grande gli scivola dalle spalle e lo lascia in mutande.
Si scatena una risata generale che li fa sentire tutti bene, perché ridere è il modo più bello per passare il tempo e per mandar via i brutti ricordi.
E in quel momento di felicità non c’è niente che possa togliergli il sorriso.


Nessuno dei colpi è andato a segno. Ethan si passa una mano sulla bocca.
Chiude gli occhi per un secondo, ma rimanendo sempre vigile e pronto a difendersi.
È incredibile come le cose siano cambiate, come lui sia cambiato. Più ci pensa più gli sembra assurdo.
Ogni volta che mena un fendente gli sembra di commettere un grave errore e rivede se stesso bambino,
mano nella mano con il suo unico amico, l’unica persona che sembra riuscire a capirlo. Ma poi tutto quell’odio, tutto quel rancore, tutta quella storia assurda che a momenti gli sembra solo un brutto sogno. All’inizio i suoi colpi non erano convinti e non erano forti. Non era sicuro di voler davvero vincere.
Ma poi aveva capito che Cristoph voleva solo vendicarsi, voleva solo ucciderlo e che non si sarebbe fermato.
E allora aveva iniziato a metterci più decisione, più determinazione. Vincerò, si era detto, vincerò e tutta questa storia finirà.
Morirà e con lui si dissolveranno tutti i fantasmi del passato. Non ci sarà più odio e più rancore nella mia vita.
Sarò libero.. e con questo pensiero carica le braccia e salta, con l’intenzione di colpire il suo avversario diritto al cuore.

<< Ti fa tanto male? >> Ethan guarda Cristoph preoccupato.
È caduto da un albero e adesso non riesce più a camminare.
<< Sto bene.. >> mente il bambino.
Non vuole fare la figura del debole.
Stringe i denti e azzarda un passo.
Sta per cadere quando Ethan lo afferra per un braccio, ma è troppo pesante per lui e così cadono entrambi.
Stavolta Cristoph non riesce a soffocare un urlo. Non vuole più alzarsi, fa troppo male.
<< Vado a chiamare aiuto! >> Ethan si alza e fa per andare via quando una mano debole lo trattiene.
Il bimbo si gira, gli occhi rigati di pianto.
<< Non lasciarmi qui, ti prego. Aspettiamo un altro po’, magari mi passa! >> Ethan si inginocchia.
Non sa opporsi, è abituato a ubbidire. Gli mette una mano sotto la testa per sorreggerlo.
Cristoph sorride. Un sorriso spento, nulla a che vedere con quelli che fa di solito.
Quelli belli e calorosi.
<< Vedrai che ci verranno a cercare. Non siamo poi così lontani da casa, si accorgeranno della nostra assenza e verranno a cercare, e non smetteranno finché non ci avranno trovati. >>
Ethan cerca una consolazione, ma neanche lui riesce a credere alle proprie parole.
<< Fammi sdraiare per favore, sono stanco >>
Ormai è buio ed è scesa la notte che spaventa tanto i bambini.
Ethan poggia dolcemente l’amico sull’erba. Cristoph chiude gli occhi.
È stanco, vorrebbe dormire. Ethan si sente bagnato.
Si guarda le mani e alla luce della luna le scopre rosse di sangue.




Cristoph si scansa appena in tempo, ma una brutta ferita gli attraversa il braccio.
Perde parecchio sangue. Pensa che deve farla finita in fretta.
Per un attimo si incanta a guardare il flusso del sangue che dal suo braccio cola sul terreno, dove si mischia all’acqua già stagnante.
La pioggia è aumentata e gli impedisce di avere un’immagine dettagliata dell’avversario e dei suoi movimenti.
Stringe gli occhi. Vorrebbe farla finita subito. Vorrebbe colpirlo al cuore e farlo morire senza che se ne renda conto.
Anzi no, ora che ci pensa vuole che Ethan si renda conto di cosa gli stia capitando e di chi lo stia uccidendo.
Vuole che abbia paura, la stessa che ha avuto lui quel giorno, che ormai sembra tanto lontano. Il giorno in cui tutto finì, o il giorno in cui tutto iniziò, dipende dai punti di vista.
Stringe l’elsa della spada con tanta forza da provare male alle dita. Tenta un paio di affondi, ma vengono tutti schivati.
La ferita lo rallenta, rende la sua presa meno salda e i suoi colpi imprecisi.
< < E’ buffo, non trovi? > > Cristoph inizia a parlare. Non sa bene neanche lui perché, forse vuole solo un modo per distrarlo.
 O per chiarirsi. No, non vuole chiarirsi. Vendetta, solo vendetta.
< < Il fatto che io stia vincendo? > > Ethan si permette un sorriso beffardo. << Cosa te lo fa pensare? Mi sto solo riscaldando.  >>
La voce di Cristoph diventa dura. Niente più sciocca ironia.
< < E allora cosa, di grazia? > > Ethan sputa per terra.
< < Ti ho chiamato amico per troppo tempo. > > Cristoph prende una rincorsa e si getta con violenza contro il nemico.
L’altro si scansa e fa un paio di passi indietro.
< < Cristoph, Cristoph, non devi fare così. So che perdere non ti è mai piaciuto, ma ci sono cose che bisogna imparare. E la sconfitta è una di queste. > >
Ethan si sente forte.
Guarda davanti a sé, la testa alta, il petto gonfio di orgoglio. Se ci fosse stato suo padre sarebbe stato fiero.
< < Anche io ho una lezione per te, ma non c’entra niente la sconfitta, perché perdere ti riesce bene.
Oggi ti insegnerò il pentimento, e l’espiazione delle proprie colpe, che a volte richiedono un sacrificio. A volte chiedono sangue. > >
Cristoph si passa una mano sulla bocca e si permette una risata. Ethan ha perso quell’aria sicura.
< < Pentimento? Per cosa? Essere migliore di te? Non puoi punirmi perché lei ha scelto me, non l’ho costretta. > >
I suoi occhi si fanno tristi. Per un attimo i due avversari provano lo stesso dolore. In dolore straziante di una ferita mai rimarginata.
Cristoph si inasprisce. Non ci sono parole per fargli capire quello che vorrebbe dirgli, e allora attacca, con violenza, con forza. Con rabbia. Determinato a uccidere.


< < Secondo me è vivo! > > Ethan guarda l’amichetto. Ha indovinato di nuovo. Apre le mani e mostra il dito in movimento.
Cristoph ride. Gli piace vincere, gli dà forza.
< < Bambini, rientrate, è ora di pranzo! > > La mamma di Ethan. La donna più triste che Cristoph abbia mai visto.
Tutto il contrario della sua mamma. A volte desidera che le due femmine facciano amicizia,
così da poter rendere felice quella signora che piange sempre e che contagia con il suo dolore anche il figlio.
Perché anche Ethan è triste come la madre, e ogni volta che non sta con lui le sue labbra sono piegate in una smorfia di perenne dolore.
< < Ci vediamo dopo pranzo alla fontana della piazza? > > Chiede Cristoph.
Ethan si guarda i piedi e non ha il coraggio di alzare lo sguardo.
Oggi è uno di quei giorni.
< < Oggi non posso, c’è papà. > >
L’altro bambino capisce al volo. Annuisce e abbraccia l’amico con la speranza di infondergli un po’ del suo coraggio e della sua forza.
A casa di Ethan regna la confusione più totale. Sua madre urla, suo padre la tiene per i capelli e la strattona.
La piccola Ingrid piange in silenzio per non attirare l’attenzione. Ha quattro anni e il corpo pieno di lividi neri.
I capelli biondi sono legati in due trecce che rimarranno ordinate ancora per poco.
Perché quando l’uomo finisce con la madre se la prende con i figli. E poco importa che loro non c’entrino niente, che siano piccoli e che non si sappiano difendere.
< < Mi siete solo d’impiccio, e tu – dice indicando Ethan – tu sei solo una stupida femminuccia! > >
E così ha inizio la sua parte di inferno, che non si concluderà fino alla sera.
Nessun vicino interviene, perché quelli sono affari personali, sono faccende di famiglia in cui non è bene immischiarsi.
Nessuno li può difendere.
Il padre di Ethan ha trent’anni e un fisico forte e muscoloso. Il fisico di un soldato.
È arruolato nell’esercito e spesso è fuori per lavoro.
A Ethan non dispiace, perché quando il padre non è in casa riesce a vivere serenamente, senza la paura della minaccia paterna.
I colpi che infligge ai figli e alla moglie sono violenti e spesso sono hanno anche gravi conseguenze.
L’ultima volta Ethan non aveva potuto muovere il braccio per tre settimane. Al medico aveva detto che era caduto da cavallo.
Ethan non lo aveva un cavallo.
Eppure nonostante tutte le botte che prendeva non aveva ancora imparato a difendersi.
Avrebbe tanto voluto urlare e dire basta, dirgli che così rovinava tutto,
che lui e sua sorella non volevano essere picchiati, che gli altri genitori non si comportavano così, che sua mamma soffriva.
Eppure non poteva dire niente, in quei momenti non aveva voce. Negli unici istanti in cui avrebbe voluto parlare non trovava la voce.
E se anche avesse detto qualcosa sapeva che sarebbe stato peggio.
L’aveva scoperto a spese di Ingrid, che aveva l’abitudine di gridare e chiedere aiuto. Ma ormai anche la sorellina era diventata muta.
Ma non come lui, lei non parlava mai, neanche a scuola. Era ormai un anno che non diceva una parola e questo non faceva altro che far infuriare il padre ancora di più.
< < I figli peggiori del mondo ho! Una femminuccia e un’handicappata. E una pazza al posto di una moglie. Che disgrazia siete! > >
Questa era la frase che ripeteva in continuazione alla fine della tortura.



Ethan non ha il tempo di scansarsi e un lungo segno rosso gli si dipinge sulla coscia destra.
Il sangue esce pigro e il dolore tarda ad arrivare. Il ragazzo si chiede come mai.
Sa perfettamente di essere stato colpito, eppure non sente alcun male.
È solo dopo un po’ che si accorge di essere in orizzontale sul pavimento. Si guarda intorno spaurito.
La vista gli si annebbia e riesce a malapena a distinguere i contorni delle cose. Non vede Cristoph.
Ethan ha paura. Non vuole morire. Vorrebbe alzarsi ma non ci riesce, non riesce a muovere nessun muscolo, come se il corpo non gli appartenesse.
Prova ad alzare una mano. Non ci riesce. Prova a muovere la testa.
Se non sapesse di averla posseduta fino ad oggi direbbe che non la ha.
È un incubo. Non riuscire a controllare il proprio corpo, essere in pericolo e non riuscire a scappare.
Perché Ethan lo sa, Cristoph lo ucciderà, di lì a poco arriverà con il suo spadone e glielo pianterà in petto.
Ormai tenere gli occhi aperti o chiusi non ha importanza, ormai è tutto buio. Me la aspettavo più dolorosa la morte.
Ebbe il tempo di pensare tra sé e sé.
Tante volte gli era capitato di pensare alla sua morte, e aveva sempre creduto che avrebbe sofferto, che sarebbe stato agitato, eppure non si era mai sentito calmo come ora, proprio mentre la vita lo abbandonava.
Aveva sempre pensato che avrebbe rivisto la sua vita e che avrebbe capito tutti i suoi errori.
Eppure adesso non riusciva a fare un pensiero coerente.
Però su una cosa aveva ragione, perché finalmente era riuscito a capire che l’odio non porta a nulla, e che tutti quegli anni sprecati a cercare vendetta erano anni che non sarebbero più tornati indietro.
Peccato che avesse imparato la lezione proprio ora che non gli serviva più.
Le palpebre calarono sulle pupille ormai spente.
Cristoph non è ancora venuto?
Corinna, Clelia, Cristoph. Scusa.

  
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