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Autore: Phobos_Quake 3    25/11/2010    3 recensioni
Una principessa di dodici anni viene rapita da un demone per essere usata come schiava. Un giorno tenta di fuggire, ma il demone la trasforma in una bambola. L'incantesimo riesce solo in parte perchè la bambola continua a muoversi, uccide il demone e sarà costretta a vivere in solitudine per dodici anni finchè non conosce Jon che farà di tutto per farla tornare normale.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jun Sakurada, Nuovo personaggio, Rozen, Shinku
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Data di creazione: 27/01/2008
Nota: I nomi dei personaggi sono cambiati perchè, essendo un AU, è appunto ambientato in un universo alternativo. Scarlet e Jon sono ovviamente Shinku e Jun, mentre Berriemore è Rozen. Pensate a loro, quando leggete.
Nota2: Ci sono alcune frasi di De André.
Nota3: Non scandalizzatevi troppo(non solo per la lunghezza, anche per altro)

La Principessa Bambola

In un’epoca ormai perduta nelle nebbie del tempo c’era un regno, anch’esso dimenticato per sempre, dove vi era un bellissimo castello circondato da un bel lago e splendidi boschi verdi. I proprietari del castello, e sovrani del regno, erano il re Glenn Anderson, sua moglie Catherine, e la loro figlia Scarlet. Lei era una bellissima bambina, più belle di lei non ce n’erano, con lunghi capelli biondi raccolti in due lunghe code, stupendi occhi blu e cresceva nell’agiatezza circondata da molti servitori. Il giorno del suo dodicesimo compleanno le fu fatto indossare un lungo abito rosso con un fiocco verde, su cui vi era ricamata una piccola rosa di seta color rosa, che risaltava ancora di più la sua bellezza. La festa si stava svolgendo in giardino, ma quella splendida giornata si trasformò presto in tragedia. Una gigantesca salamandra dalla pelle arancione e enormi ali da pipistrello atterrò tra gli invitati divorandone alcuni e uccidendo quelli che le erano vicini perché la sua pelle era velenosa. In groppa alla creatura c’era un demone ancora più orrendo. Era alto, con un fisico scultorio e aveva la pelle bluastra, indossava un perizoma nero, aveva gambe pelose simili a quelle di un satiro con artigli d’aquila al posto degli zoccoli, lunghi capelli arancioni e un lungo naso a becco. Si chiamava Garniman e amava rapire bambine bellissime, dai nove anni in su, per usarle come schiave e per divertirsi ad usar su di loro violenze non solo corporali. Molte di loro morirono durante le violenze, altre invece venivano uccise o trasformate in oggetti inanimati solo per essersi ribellate. In principio, però, non era un mostro. Era uno stimato mago-guaritore di nome Mick e viveva da solo in un castello costruito in cima ad una montagna. Un giorno scoprì di avere una malattia rara e incurabile. Essendo un guaritore cercò di inventarsi una cura e, una volta terminata, non avendo cavie a disposizione, utilizzò sé stesso. Qualcosa andò storto e si tramutò nell’orrenda creatura che tutti oggi conoscono. Aveva rapito molte bambine dei villaggi vicini alla sua montagna, ma non si era mai, almeno fino a quel giorno, spinto al di fuori del suo confine. Il re aveva capito subito le sue intenzioni, gridò a Scarlet di nascondersi e alle sue guardie di attaccare. Garniman, però, con la sola forza del pensiero paralizzò Scarlet, la sollevò da terra, la fece atterrare su la sua spalla destra tenendola come un sacco di patate e volò via. Subito gli arcieri scoccarono una tempesta di frecce che colpirono la salamandra. Nonostante tutto riuscì a portare il suo padrone al suo castello. Scarlet vide che purtroppo non c’era alcuna possibilità di fuggire.
-Spiacente mia cara. Non potrai fuggire in alcun modo da qui. A meno che non conosci l’incantesimo del volo o il teletrasporto.- disse Garniman come se le avesse letto il pensiero.
-Come hai fatto a…- disse Scarlet.
-A capire cosa pensavi? Non sei mica la prima bambina che rapisco. Quindi non mi è difficile capire cosa pensi.- le disse.
La salamandra atterrò e subito dopo morì.
-In gamba, i tuoi arcieri. Complimenti!- disse guardando la sua creatura morta.
-Pazienza! Ne posso ricreare quante ne voglio!- aggiunse.
Garniman condusse Scarlet nella sua inquietante dimora. La costrinse da subito a pulire tutte le stanze e lei dovette eseguire senza fiatare perché sennò i ceffoni volavano a destra e a manca. All’ora di cena fu costretta anche a cucinare. Per fortuna sapeva fare ottimi manicaretti grazie agli insegnamenti della sua cuoca, la signora Hammond. Cucinò molte cose, dai primi ai dolci, ma non appena li portò in tavola Garniman gettò tutto a terra e la picchiò senza motivo. Fu costretta a passare la notte, nutrendosi solo con mezza pagnotta di pane vecchia di una settimana, in una piccola, stretta, buia e puzzolente cella. Il giorno dopo preparò il tè per il suo padrone, ma non appena le sue labbra toccarono appena la tazzina gridò: -È bollente!-
-Non è vero! È appena tiepido.- disse lei.
Non si doveva permettere di contraddirlo e quindi sberle a non finire. Anche il secondo giorno passò alla stessa maniera del primo. Mangiando pane vecchio e costretta a lavorare di continuo perché ogni volta che lei finiva di pulire lui sporcava apposta per farla lavorare di nuovo. Al terzo giorno Garniman era piuttosto assonnato e si riaddormentò sulla sedia. Allora Scarlet ne approfittò per farsi una colazione degna di questo nome facendosi un tè per conto suo e mangiando i biscotti fatti da lei stessa il giorno prima. Quel breve momento di pace non durò a lungo, ma in tempo da non farsi scoprire, e la sua tortura continuò. Arrivata l’ora del pranzo cucinò, a malincuore visto la brutta fine che Garniman gli faceva fare, altri gustosi piatti. Stranamente, però, mangiò con gusto. A Scarlet la cosa faceva pensare. Finito di mangiare, egli cominciò a guardarla con insistenza. Lei rabbrividì più di una volta e preferì inventarsi una scusa per andarsene. Non fece in tempo a girarsi che Garniman la prese sotto le ascelle e la buttò prona sul tavolo apparecchiato.
-Per colpa della tua bellezza la mia libidine è alle stelle. Urge rimediare!- le disse mentre le teneva ferme le braccia con una mano e con l’altra le sollevava la gonna.
Scarlet, per liberarsi, prima cominciò a scalciare e quando le mani furono libere afferrò un coltello che aveva accanto e glielo piantò sull’occhio sinistro senza, però, andare a fondo. Garniman urlò e imprecò con tutto il fiato che aveva, mentre Scarlet tentò di fuggire.
-PICCOLA TROIA! TU! COME TUTTE LE ALTRE!- le gridò per poi lanciarle contro una sfera d’energia verde.
Scarlet si fermò di colpo. Sentì il suo corpo e il vestito rimpicciolirsi fino a raggiungere le dimensioni, circa trenta centimetri o giù di lì, di una bambola di porcellana.
-Urgh! Avrei dovuto ammazzati per ciò che mi hai fatto. La tua bellezza, però, mi ha suggerito di trasformarti in un oggetto inanimato. Ah! Ah! Ah!- le disse dopo essersi tolto il coltello e avvicinatosi a lei.
Non appena tentò di prenderla lo evitò.
-Cosa? Riesci a muoverti? Devo aver sbagliato qualcosa!-
Lei gli afferrò il coltello e gli saltò al collo stringendoglielo con le piccole braccia.
-È la seconda volta che sbagli! Sei sempre stato un fallito!- gli disse per poi sgozzarlo.
Una volta morto, Scarlet lasciò cadere il coltello insanguinato e guardò il suo corpo diventato ormai come quello di una bambola. Rimase tutta la notte a pensare il da farsi finché, all’alba, trovò l’unica soluzione possibile. Uscì dal castello e andò al bordo della montagna, guardò in basso per qualche minuto e si buttò nel vuoto a volo d’angelo. Passarono tre ore e, incredibilmente, scoprì di essere ancora viva. Il suo corpo non aveva subito alcun danno e persino il vestito risultò illeso.
“Non posso morire…”pensò e si mise a piangere accorgendosi che poteva ancora provare emozioni.
Era atterrata a pochi metri da un villaggio ed era indecisa se entrarci o meno. Alla fine decise e si avviò. Per fortuna la gente era in casa quindi passò inosservata, ma d’un tratto qualcuno cominciò a gridare:
-Guardate! Una bambola che cammina!-
Era un gruppetto di ragazzini che, vedendola, le corsero incontro ridendo allegramente.
-Non avvicinatevi e soprattutto non toccatela! È una bambola maligna! Se la toccate la sventura cadrà su di voi e su tutti quelli che conoscete!- gridò una donna spaventata a morte che li bloccò subito.
I ragazzini allora s’arrestarono, presero dei sassi e cominciarono a colpire la povera Scarlet, senza danneggiarla affatto, che fu costretta a fuggire. Durante la fuga incontrò altra gente la quale urlava di terrore e le lanciava sassi. Riuscì finalmente a seminare quella folla di pazzi e si nascose su un carro pieno di legname, che passava in quel momento, senza farsi vedere. Quando il carro fu fuori dal villaggio, Scarlet tirò un sospiro di sollievo e guardò il proprietario del carro. Lo riconobbe perché lo aveva visto molte volte consegnare il legno a suo padre. Era un uomo dai lunghi capelli ricci, baffi neri e si chiamava Clive. Scarlet sperò tanto che la riportasse al suo paese. Le sue speranze non furono infrante e non appena Clive raggiunse il villaggio più vicino al castello scese dal carro,senza farsi vedere da nessuno, e lo raggiunse di corsa sempre, e aggiungiamo per fortuna, senza farsi vedere da nessuno. Le due guardie al cancello, nel vederla, sbiancarono:
-Cosa diavolo è?- disse uno di loro.
-Sei orbo per caso? Non vedi che è una bambola?- disse l’altro.
-Orbo sarai tu! Non vedi che è una “riproduzione vivente” della principessa Scarlet?- gli rispose il collega.
-Infatti sono proprio io. È stato Garniman a ridurmi così.- disse Scarlet.
Le due guardie la guardarono impietositi e le aprirono il cancello. I servitori appena la videro gridarono, ma erano urla di terrore non di gioia, e piangevano per lei. La reazione del re era diversa, anche se cercava in tutti i modi di nascondere la sua inquietudine.
-Dov’è la mamma?- chiese Scarlet.
-Da quando sei stata rapita si è ammalata.- le rispose il re.
-Forse vederti la farà tornare in salute!- aggiunse.
Prese la figlia in braccio come si fa con i neonati e la portò nella camera reale. La regina, appena vide il marito con in braccio quella splendida bambola, disse:
-Che bella bambola! È la copia esatta della nostra piccola Scarlet... l’hai fatta tu?-
Il re non disse niente e appoggiò la bambola sul comodino.
-Sono proprio io, mamma.- disse Scarlet rompendo il silenzio.
La regina, sentendo fuoriuscire la voce della figlia dalla bocca della bambola, cominciò a piangere.
-Cos’è quest’orrore Glenn? Pensavi di sostituire la nostra bambina con uno stupido giocattolo che imita perfino la sua voce oltre ad essere una copia perfetta?- disse piangendo disperatamente.
-Per favore mamma ascoltami. Sono proprio io. È stato Garniman a trasformarmi, ma ha sbagliato qualcosa e così l’ho... ucciso.- le disse lei.
La regina capì, ma non riuscì a smettere di piangere e intimò a tutti e due di lasciarla sola. Scarlet passò finalmente la notte in un letto, anche se ora le sembrava molto grosso. La mattina dopo fu svegliata di soprassalto da un urlo agghiacciante. Corse nella camera da letto reale e trovò la signora Hammond che urlava davanti al cadavere impiccato della regina. Si era probabilmente impiccata poco dopo che il marito era andato a caccia. Appresa la notizia, il re tornò subito al castello. Dopo il funerale il re entrò nella stanza della figlia che piangeva disperata e le si avvicinò appena.
-Dopo il tuo rapimento tua madre tentò più di una volta il suicidio. È colpa tua se ora è morta. Non dovevi tornare… almeno non così.- le disse con foga.
-N-no!Io non…- disse lei amareggiata.
Lui non le disse niente e se ne andò sbattendo la porta. Poco dopo i servitori urlarono di terrore e Scarlet, rabbrividendo, corse ad affacciarsi al balcone. Saltò sulla ringhiera e poté vedere il corpo di suo padre in una pozza di sangue. Era salito sulla torre e si era buttato. Aveva fatto quello che lei non era riuscita a fare. A quel punto, dopo averlo seppellito, servitori e guardie se ne andarono lasciando la povera Scarlet completamente sola perché erano convinti che portasse grande sfortuna. Rimase sola per dodici lunghi anni.
-Avanti ragazzi! Provate a prendermi!- gridava un bambino di dodici anni ai suoi quattro amici.
Si chiamava Jon Minnear, mentre i suoi amici si chiamavano Steve, Chris, William, detto Bill, e Tony. Era un ragazzino dai capelli neri scompigliati e occhi nocciola. Indossava una casacca azzurra con spalline, senza maniche, che lasciava vedere la camicia bianca con maniche larghe, pantaloni neri e stivaletti di pelle. Suo padre era un carpentiere e sua madre badava alla casa. Molto spesso Jon, prima di rientrare in casa, volgeva il suo sguardo sognante verso il castello abbandonato degli Anderson, i precedenti sovrani. I suoi genitori gli avevano sempre raccontato enormi bugie, come tanti altri genitori ai loro figli, sul perché erano morti per spaventarli e far loro perdere la voglia di entrarci. Dicevano che la loro splendida figlia Scarlet era stata trasformata in una bambola vivente da un sortilegio, e questo era vero, facendola diventare tanto malvagia da uccidere entrambi i sovrani mentre dormivano, e questo era falso. Aggiungevano anche che chiunque fosse entrato nel castello non ne usciva più e, se per caso riusciva ad uscire, sarebbe stato perseguitato dalla sventura per tutta la vita. L’attuale sovrano, il re Alan Shulman, decise di non far abbattere il castello per evitare la vendetta della bambola che, a quanto si diceva, non poteva morire. Aveva anche predisposto, un’altra bugia bella e buona per tenere il popolo tranquillo, l’esecuzioni di particolari esorcismi antisventura per chi veniva sorpreso anche solo a due passi dal castello. Lo sventurato sarebbe stato ricoperto di fango, paglia e costretto a girare su se stesso dieci volte ripetendo una formula magica. Un modo stupido e umiliante, ma mai messo realmente in pratica, che faceva rabbrividire più delle leggende sulla bambola. Jon, però, non credeva a queste fesserie e la voglia di conoscere la bambola era molto grande.
-Perché non andiamo al castello?- chiese, più di una volta, ai suoi amici.
-Sei fissato! Lo capisci o no che se ci andiamo non ne usciremo più? Per non parlare del fatto che se scoprono che ci siamo anche solo avvicinati appena, dovremmo essere esorcizzati. E noi, sinceramente, non vogliamo!- gli ripetevano gli amici.
-Non siete stanchi di tutte le balle che i nostri genitori dicono? Scommetto che anche la storia degli esorcismi è una balla bella grossa.- diceva loro.
-Il fatto che non hai mai sentito che qualcuno fosse stato esorcizzato non ti autorizza a parlare così.- gli dicevano.
-Fate come vi pare! Siccome sono stufo di sentire bugie, io vado.- disse loro con decisione.
-Accomodati! Noi, che siamo tuoi amici, non diremo niente a nessuno. Sappi però, che se riuscirai ad uscire vivo da lì, non ti vorremo più come compagno di giochi. Non vogliamo essere colpiti dalla sventura, né tanto meno subire l’esorcismo.- gli dissero.
“Bifolchi!Branco di pecore!”pensava Jon.
Così infranse la sacra regola e, di nascosto, raggiunse il castello. Rimase a bocca aperta nel vederlo così da vicino. Era imponente, misterioso e affascinante anche se in rovina. Il cancello era mezzo aperto come se qualcuno lo stesse invitando ad entrare. Lui, ovviamente, non riuscendo a resistere entrò. Il giardino era ben curato, pieno di fiori, piante di tè e alberi da frutto ai quali ne mancavano alcuni. Non appena mise piede nel castello rimase esterrefatto per la seconda volta. L’interno era tutto incredibilmente pulito. Non c’era nessuna traccia di polvere e ragnatele. Cominciò a girovagare per quell’enorme costruzione, come se fosse ubriaco, fino a raggiungere la sala del trono. Aprì senza far rumore l’enorme porta ed entrò. Era un enorme stanza piena di colonne colorate, grandi finestre alle pareti, davanti a lui c’era un lungo tappeto rosso che partiva dal portone fino ad arrivare al trono. Proprio sopra al trono dorato, con imbottitura rossa, dormiva Scarlet. Era divertente notare la notevole differenza di dimensioni che c’era tra lei e il trono. Jon si avvicinò di più, salì i due gradini e s’inginocchiò davanti a lei fissandola affascinato. Rimase a fissarla per almeno dieci minuti finché, non riuscendo a resistere, le accarezzò il viso con la mano sinistra e con l’altra le accarezzò i lunghi capelli. Scarlet spalancò gli occhi all’improvviso facendolo sobbalzare in piedi, indietreggiò e cadde a terra seduto. Lei scese dal trono e gli si avvicinò a passo lento, mentre lui, massaggiandosi il fondoschiena, indietreggiava fissandola con fascino e terrore. La sua schiena toccò una colonna così lei gli andò vicinissimo.
“Adesso mi ammazza per averla svegliata.”pensava lui con terrore.
-Ti sei fatto male?- gli chiese.
-N-no, sto bene. Grazie!- le disse sorpreso.
-Sono contenta!- gli disse sorridendogli.
Quel dolce sorriso lasciò Jon senza parole.
-Come ti chiami?- gli chiese.
-Ehm… Jon. Jon Minnear!- le disse presentandosi.
-Io sono Scarlet. Molto lieta.- gli disse.
-Mi perdoni! Ho turbato il suo sonno.- le disse.
-Meglio! Di solito dormo per settimane.- gli disse divertita.
-Poi potresti darmi del tu?- aggiunse.
-Va bene!- disse lui.
-Come mai sei qui? Ti sei perso o cosa?- gli chiese.
-Sinceramente ero solo molto curioso di conoscerti.- le rispose.
Quella frase la fece sorridere.
-Sei la prima persona che vedo dopo dodici anni di solitudine e mi piacerebbe che prendesti un tè con me.- gli disse.
La testa di Jon si riempì di domande perché assalito dai dubbi:
“Ci sarà davvero da fidarsi? O mamma e papà avevano ragione? Ha detto, però, che io sono la prima persona che vede. Sarà vero? O sono gli altri ad aver mentito a me?”pensò.
Rimase un po’ soprapensiero poi, riguardando il sorriso dolce di Scarlet, disse:
-Con molto piacere.-
Bevettero insieme seduti a gambe incrociate. Lei beveva in una piccola tazzina gialla “rubata” dalla sua casa di bambole. Bevvero senza dire una parola, ma Jon aveva in testa troppe domande e quindi la sua curiosità ebbe il sopravvento.
-Chi è stato a ridurti così?- le chiese.
Scarlet s’incupì in volto e Jon cominciò a maledirsi mentalmente.
-Dannata la mia curiosità! Ti chiedo scusa, perdonami.- le disse.
Lei gli sorrise, fece un sospiro e le raccontò tutta la sua storia.
-Quindi è così che si sono realmente svolti i fatti! Adulti bugiardi, sapevo che non c’era da fidarsi.- disse Jon arrabbiato.
-Perché?- chiese Scarlet.
-Hanno raccontato un sacco di stupide e crudeli storie, che è meglio non sapere, sul tuo conto.- le rispose.
-Posso immaginare.- disse sospirando.
-Stare dodici anni da sola deve essere bruttissimo. Cosa facevi?- le chiese.
-A parte dormire ho letto tanti libri della biblioteca, pulivo il castello e ogni tanto bevevo il tè o mangiavo i frutti in giardino. Ho detto ogni tanto perché in questa forma, l’unico aspetto positivo che ho riscontrato, difficilmente sento il bisogno di mangiare.- gli rispose.
-Capisco!Un altro aspetto positivo è che così non puoi invecchiare.- disse lui.
-Dipende dai punti di vista. Ora dovrei avere ventiquattro anni ed è triste trovarsi adulti senza essere cresciuti.- gli disse.
Il tempo passò tra una chiacchiera e l’altra e Jon dovette, a malincuore, salutarla.
-È stato un piacere conoscerti!- disse Scarlet con un po’ di tristezza.
-Da me condiviso. Ehm… posso venire a trovarti anche domani?- le chiese.
Gli occhi di Scarlet s’illuminarono.
-Tutte le volte che vuoi!- gli disse.
Fu così che Jon andò a trovarla di nascosto tutti i pomeriggi. I suoi genitori non sapevano nulla, erano convinti che andasse a giocare con Steve e gli altri dato che usava sempre quella come scusa. Le visite continuarono anche per tutta l’estate. Passavano il tempo a giocare a scacchi, a nascondino, a mosca cieca, a dipingere e a passeggiare in giardino. Grazie a Jon, Scarlet aveva riacquistato la gioia perduta da anni. Con l’arrivo dell’autunno, però, Jon fu costretto a vederla a giorni alterni a causa della pioggia. Ad ogni giorno piovoso Scarlet se ne stava davanti alla finestra con aria afflitta e le lacrime agli occhi dicendo tra sé:
-Passerà questa pioggia sottile come passa il dolore.-
Anche Jon guardava dalla finestra con tristezza ripetendo mentalmente:
-Domani sarà un giorno incerto di nuvole e sole.-
Il giorno dopo fu proprio così e Jon tornò a trovarla. La trovò seduta sul trono con le guance bagnate dalle lacrime. Con una sua leggera carezza si svegliò.
-Pensavo di non vederti più.- gli disse saltandogli in braccio.
-Non essere malafede!- le disse lui sorridendo.
Passò anche l’autunno. E venne l’inverno che uccide il colore, saliva la nebbia sui prati bianchi come un cipresso nei camposanti. Questa stagione era molto più brutta e triste dell’autunno perché Jon fu costretto a stare chiuso in casa per settimane a causa di una lunga nevicata. Era facile vederlo pensieroso e triste. Non appena il sole decise di farsi rivedere, Jon corse subito al castello di Scarlet. Indescrivibile fu la sua gioia nel rivederlo. Aveva ormai perso ogni speranza di rivedere il volto del suo unico amico. Non appena tornò a casa, però, sua madre Mary gli chiese:
-Dove sei stato?-
-Che domande! A giocare con Chris e gli altri.- le rispose.
Proprio in quel momento arrivò anche suo padre Andrew.
-Oggi è venuta a trovarmi la madre di Steve per portarmi una cosa.- gli disse.
-La signora Barre? E quindi?- le chiese con un velo di preoccupazione.
-Mi ha chiesto come stavi dato che non ti aveva visto giocare insieme a loro. Pensava che stessi male.- gli rispose.
Jon a quel punto sbiancò.
-Dove sei stato? Bada a non mentire.- gli disse.
“E tu cosa credi d’aver fatto in tutti questi anni?” pensò lui.
-Non parli, eh? Tanto ho già capito tutto. Non dovrei farlo, ma adesso ti punisco severamente per essere andato in quel castello maledetto poi sarò costretta ad esorcizzarti.- gli disse.
-Smettila!- disse a bassa voce.
-Cosa?- disse la madre.
-SMETTILA DI MENTIRE! CHI HA MENTITO PER TANTI ANNI SIETE STATI SOLO VOI DUE!- gridò loro.
Immediatamente suo padre gli mollò un ceffone.
-Strilla di nuovo a tua madre, coraggio. Ti faccio uscire la lingua a suon di ceffoni.- gli disse.
-Scarlet è mia amica. Non porta sventura, è una bugia grossa come solo voi sapete fare. Voi adulti siete molto più bugiardi di noi!- disse con le lacrime agli occhi e massaggiandosi la guancia.
Mary e Andrew rimasero in silenzio.
-Ti sei… innamorato di una bambola?- gli chiesero con un’aria tra lo sconvolto e lo schifato.
-Non è una bambola! Era una bambina che è stata trasformata da un maleficio di un mostro chiamato Garniman.- disse loro.
A quel punto i due non ribatterono, gli accarezzarono i capelli, gli sorrisero e gli permisero di continuare a vederla.
-Penso che ci sia qualcuno che possa restituirle il suo vero aspetto.- gli disse il padre.
-E chi sarebbe?- chiese Jon con gli occhi spalancati dalla gioia.
-È il mago Barriemore!Il più abile del mondo. Vive in una capanna nel bosco.- gli disse il padre.
A quella notizia Jon corse da Scarlet per informarla.
-Dici… sul serio?- chiese commossa.
-Assolutamente!- le disse lui.
Il giorno dopo partirono subito fregandosene della gente che urlava terrorizzata ed arrivarono alla capanna di Barriemore dopo un paio d’ore di cammino. Barriemore era giovane e alto. Aveva i capelli biondi raccolti in un piccolo codino a punta e occhi verdi.
-Vuoi far tornare la tua amica normale?- chiese Barriemore.
-Sì, per favore!- risposero entrambi.
Barriemore non disse niente, condusse i due in una stanza con un’enorme vasca di pietra e la riempì di un liquido dal colore violaceo.
-Immergila qui!- disse Berriemore a Jon.
Scarlet, prima di essere immersa, abbracciò Jon e gli diede un bacio sulla guancia.
-A più tardi.- gli disse con un sorriso.
Lui le ricambiò il sorriso e poi la stese nella vasca prona, con le mani giunte e gli occhi chiusi.
-E adesso?- si rivolse Jon a Berriemore.
-Vai nella mia serra. Troverai quattro rose magiche di diverso colore create apposta per rompere incantesimi di questo genere. Attento, però, devi scegliere con cura quella giusta. Se quella giusta troverai la tua amica salverai, altrimenti se è quella sbagliata la sua vita perderai.- gli disse.
-Non… non può farlo lei?- chiese Jon.
-Perché dovrei? Non ho alcun obbligo. È tua amica o no?- gli chiese.
Jon non disse nulla e si diresse verso la serra. Vi trovò all’interno moltissimi fiori e tra di loro c’erano le quattro rose. Una era bianca, una era nera, una era rossa e una era gialla. Rimase molto tempo a pensare. Pensava, per istinto, di prendere quella bianca che era la più bella, ma poteva anche essere quella nera che, nonostante fosse la più brutta, poteva essere utile allo scopo. Stesso discorso valeva per le altre due. Non era detto che l’aspetto bello fosse per forza sinonimo di salvezza. Continuò a riflettere finché, con mano tremante, raccolse la rosa rossa. Tornò da Berriemore che gli disse:
-Liberala del gambo, immergila per dritto e falla galleggiare verso di lei.-
Jon tremava e sudava, eseguì l’ordine e guardò la scena con preoccupazione. La rossa galleggiò fino ad arrivare vicino al volto di Scarlet che aprì per un attimo gli occhi e se la vide passare davanti. Immediatamente la vasca s’illuminò e da essa spuntò Scarlet con le sue dimensioni reali. Jon, con gli occhi lucidi, guardò Berriemore che gli sorrise e disse:
-Hai scelto con saggezza. Anziché prendere la rosa più bella hai preso quella meno improbabile.-
Scarlet e Jon si abbracciarono e tornarono a casa. Ad attenderli c’era il re Alan con tutte le sue guardie.
-Principessa Scarlet.-le disse inchinandosi
-Vorrei che venissi a vivere nel mio castello come se fossi la figlia che non ho potuto avere.-
Lei non seppe cosa rispondere. Poi guardò Jon e disse:
-Lo farò solo se concede al mio amico il diritto di venirmi a trovare.-
-Naturalmente! Potrai anche sposarlo quando arriverà il momento. Non ho assolutamente nulla in contrario.- le disse il re.
Scarlet sorrise e così i due poterono stare insieme per sempre.
   
 
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