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Autore: Stray cat Eyes     28/11/2010    16 recensioni
“Allora è successo.”
“Cosa?”, gli venne da chiedere, e lo fece praticamente senza pensarci.
Qualcosa.”
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ordine e contrordine.





L’atmosfera nello studio era l’anima stessa con cui aveva condiviso l’esistenza per anni: aria fresca, pulizia, ordine - di quell’ordine forse non asettico come il suo di soldato e medico militare, ma più simile a quello di una premurosa e giovane sposina; sì, la rappresentazione in forma d’arredo e igiene della donna idealizzata.
Lui quella donna non la vedeva più da mesi, constatò, e quasi rise al pensiero.
“Allora è successo.”
L’analista, trucco ineccepibile e dolcezza materna, gli stava sorridendo da quello che sembrava l’altro lato del mondo.
“Cosa?”, gli venne da chiedere, e lo fece praticamente senza pensarci.
Qualcosa.” Rispose lei, la biro chiusa e il foglio in grembo assolutamente bianco.





Non scriveva. Non stava scrivendo nulla, cosa che, se da un lato gli risparmiava la triste sensazione di essere oggetto di analisi in un laboratorio di cavie umane, gli dava anche l’impressione che lei ritenesse di sapere di cosa stava parlando. Di qualsiasi cosa si trattasse, comunque.
“Diceva che non sarebbe successo niente,” gli rammentò, con uno sguardo sorridente quanto le labbra. “Però ho letto il blog, sta diventando piuttosto popolare.”
Tra le mura di quello studio, circondato dalla donna che aveva abbandonato per il caos più totale e bersagliato da un’altra che cercava di scavargli nella mente - pretendendo, peraltro, di sapere già cosa vi avrebbe trovato -, John si sentì come un ladro colto con le mani nel sacco.
“E allora?” Provò, mantenendo un tono neutro.
“Allora è successo qualcosa.”
“Sì, tutto quello che ho scritto e che ha già letto.”
Lei rise, chiudendolo in trappola a doppia mandata. “Intendevo che è successo qualcosa dentro di lei. Un cambiamento, magari?”
Deglutendo, John si sforzò di ignorare quel sorriso sin troppo intimo, tentando di sgusciare via dalla sua presa e dal suo sguardo, agitandosi un po’ sulla sedia.
“Non lo so, è successo?”





Tergiversare non gli era mai riuscito granché, John ne era consapevole; almeno quanto era consapevole di avere la verità sempre scritta a caratteri cubitali sulla fronte, o metà per ogni guancia, o forse in verticale sul naso, stile orientale.
E, malgrado si ostinasse a cercare di coprirla con le mani, puntualmente arrivava qualcuno pronto a sbirciare fra le dita.
Sherlock lo faceva di continuo, e sapeva fargli male e bene nel leggergli la mente attraverso ogni parte del corpo.
La dottoressa, in ogni caso, si rivelò paziente.
“Mi racconti di ciò che è avvenuto nella sua vita, dall’ultima volta che ci siamo incontrati. Soltanto i punti salienti, vuole?”
E John annuì, prendendo fiato a malincuore.





“Ho conosciuto quest’uomo, siamo coinquilini. Ho trovato un lavoro, ma nel tempo libero sono… una specie di suo assistente, per così dire.”
Tentò di essere lapidario; rigido e diretto, come i tanti proiettili che aveva dovuto sparare via a migliaia, come i pensieri in una giornata. Ma lei non sembrò soddisfatta.
“E poi?” Incalzò, seppur con gentilezza. “È successo qualcos’altro, John?”
La testa gli si affollò di nuovi proiettili, e la stanchezza, più mentale che fisica, lo costrinse alla resa. Così si accomodò meglio sulla poltrona, come preparandosi ad un discorso un po’ più lungo.
“Ho scoperto che lui è una persona strana, e che standogli accanto corro il rischio di essere automaticamente bollato come omosessuale o come il prossimo cadavere nella lista di qualche psicopatico. Ho imparato che un’esecuzione al violino può rivelarsi altamente snervante, o comunque abbastanza da portare la gente a strapparsi i capelli uno ad uno, ed ho anche capito che non gradisco più di tanto avere teste umane nel frigorifero e bulbi oculari nel microonde, ma che tutto sommato si tratta di cose normali - addirittura comprensibili, quando e se si arriva a conoscerne bene... la causa. Ah, e adesso so che non mangerò mai più cinese.”
Quando giunse alla fine del monologo, John scoprì di aver parlato straordinariamente tanto. E di avere ancora parecchie cose da dire. Ecco la vera novità.
Tornando a volgere lo sguardo alla donna, notò che sorrideva. Un po’ più sottilmente.
“C’è dell’altro, John?”





Non uso più il bastone.
Nel momento stesso in cui lo disse, lo sentì come una rivelazione. Provò a guardare negli occhi l’interlocutrice, ricercando in lei un riflesso del suo stesso stupore, ma lo sguardo di lei, in qualche modo, lo turbò. Sembrava aver inteso qualcosa di più profondo e misterioso delle cianfrusaglie che lui aveva metafisicamente sparso per la stanza in sessanta secondi di maratona verbale, intaccandone l’ordine con la propria confusione.
“È così, John.” Un nuovo sorriso, fiorito quasi improvvisamente. “Forse non ha ancora avuto modo di notarlo,” continuò la donna, “ma la totalità di ciò che lei dice o pensa o vive è occupata, o anche solo inerente, ad un unico argomento. Probabilmente anche questo particolare.”
“Quale argomento?”
“Il suo coinquilino, John.”





Tutto ad un tratto, gli parve di capire. Da dove la dottoressa fosse partita e dove avesse avuto intenzione di arrivare, sin dall’inizio. Si era limitata a girarci intorno, e anche lui ne aveva fatto il centro attorno al quale costruire ogni pensiero, come un quadro da abbellire, da riempire di fronzoli fino a renderlo pressoché invisibile.
Una sfumatura impercettibile ma preponderante in ogni sua scelta parola pensiero, Sherlock.
“Il suo coinquilino, John.” Quale strana verità. “È così anche per il blog.”
Gli ci volle qualche minuto a capirlo; un po’ meno ad accettarlo. Come aveva accettato membra umane negli elettrodomestici e ciarpame in casa e nella testa.
“Lei crede di sapere perché questo accade, John?”
Il dottore si concesse un attimo per pensarci. Quello che gli venne da dire gli parve, in qualche modo, un po’ fuori luogo, ma gli salì alle labbra direttamente dal centro di se stesso, e che fosse il cuore o lo stomaco o la stanza che aveva nella testa, non riuscì a capirlo. Ma forse ciò che disse discese dal cielo, come qualcosa di sacro e profondamente, ineluttabilmente vero. O magari no. Lo disse, però.
“È perché ho un coinquilino decisamente eccezionale. Ha una mente bellissima, poterla ammirare dovrebbe essere diritto inalienabile di chiunque a questo mondo.”
E lo disse così bene che lei sorrise di nuovo, e lì per lì gli parve di rivedere Sherlock la prima sera, quando aveva scomodato il proprietario del ristorante solo perché lui si rendesse conto di essersi lasciato alle spalle bastone e disturbi psicosomatici. Sorrise, lei, mani in grembo e dolcezza negli occhi.
“Suona molto romantico, John. Molto romantico.”
E stavolta lui non ebbe da obiettare.
















Note.
Cielo. Questa sì che è stata un parto. E una cosa è certa, ci tengo un sacco, tantissimo, qualunque sia il risultato. Scriverla è stato particolarmente difficile e, vuoi per un motivo, vuoi per un altro, ho provato ad impostarla in diversi modi, prima di fermarmi, prendere un bel respiro profondo e pensare “No, la voglio scrivere così, punto”. E così ho fatto.
Spero non sia stato un errore. ^^
Il titolo non mi convince più di tanto, ma non credo che lo modificherò. Come al solito. XD
Ah, lo slash l’ho inserito tra gli avvisi, ma è così lieve che quasi non si percepisce. Perciò, lascio a voi l’intepretazione in merito. ^^
Grazie per la lettura! <3



  
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