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Autore: Feel Good Inc    28/11/2010    4 recensioni
«Morirò, Michael, morirò!»
«No che non morirai. È perfetto così. Non piangere.»
Il suo respiro sul viso accaldato, le sue labbra piene e morbide a raccoglierle le lacrime sulle guance, il suo profumo dolce e naturale di uomo buono. Come può non credergli? Le dita intrecciate insieme si stringono di più. Lui non li lascerebbe andare, né lei né il bambino.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Debbie Rowe, Michael Jackson, Prince Jackson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Speechless ~

Storia di un piccolo principe

 

 

 

 

{ you suddenly appeared: it was cloudy before, now it’s so clear

you took away the fear and you brought me back to the light }

 

 

La donna grida. Ha il volto arrossato e umido di sudore, i capelli sporchi appiccicati alle guance, le labbra screpolate, secche e sanguinanti per via dei morsi che però non riescono a placare il dolore. Sui vestiti, l’odore e i resti mollicci della nausea. Cerca di nascondersi alla sua vista, di non fargli capire quanto pudore provi nello stare così, indifesa, davanti a lui.

«Non guardarmi, non guardarmi. Sono orribile.»

Articola quelle parole tra gli ansiti, è costretta a spezzarle con un altro urlo per via dell’ultima fortissima fitta. Si vergogna. Non dovrebbe vederla così: non lei, lei che è sempre stata quella forte e che non ha avuto paura di fare questa cosa per lui – e che adesso sta gridando al cielo la propria impotenza.

Ma l’uomo al suo fianco non sembra curarsi di tutto questo. Le tiene la mano, stretta, e le scosta i capelli biondi dalla fronte: i suoi occhi sono più luminosi di quelli di un bambino e per un istante il buio doloroso in cui la donna è caduta con le prime contrazioni s’illumina di quella presenza.

«Sshh. No, no. Va bene così. È perfetto. Sei bellissima.»

La voce gli trema di una tale dolcezza e di una tale emozione da farla commuovere – non fosse che le lacrime scorrono già. Serra gli occhi, cerca di calcolare il tempo: da quante ore dura questo martirio? Venti? Di più, sicuramente. Respira a fondo, come sa che deve fare, ma è così fottutamente inutile; non ha più neanche la forza di imprecare come prima – con lui che le suggeriva di non usare certi termini e la faceva ridere: tutto è così puro e facile, con lui.

«Morirò, Michael, morirò!»

«No che non morirai. È perfetto così. Non piangere.»

Il suo respiro sul viso accaldato, le sue labbra piene e morbide a raccoglierle le lacrime sulle guance, il suo profumo dolce e naturale di uomo buono. Come può non credergli? Le dita intrecciate insieme si stringono di più. Lui non li lascerebbe andare, né lei né il bambino. Lui è lì. Crede in lei. In loro.

E all’improvviso lo sente. È il momento.

«Michael...»

«Va tutto bene, Debbie, sono qui con te. Coraggio.»

Respira. Uno, due – uno, due. Spingi. Le sembra quasi di sentire ancora la musica che hanno scelto insieme per questo momento, anche se nel turbinio di dolorose sensazioni non vi ha più fatto caso. Brava, così. E intanto lui continua a stringerle la mano nella sua, a darle coraggio, a darle forza, ed è con un nuovo slancio d’amore che lei si svuota di un ultimo urlo mentre gli fa dono di questa vita.

Solo quando il suono del suo pianto si fonde con quello del bambino, sente la stretta allentarsi e sfuggirle. Allora apre gli occhi che non si è accorta di aver chiuso.

Michael è là, chino su suo figlio, e in volto ha qualcosa che Debbie non avrebbe mai sognato di vedere e che la fa sciogliere in nuove lacrime che, stavolta, non sono di dolore ma di felicità. È una luce inedita, una magia antica, quella cosa che provano tutti i genitori e che però nessuno potrebbe mai provare quanto lui: è tutto questo a brillare negli occhi di Michael.

Incurante del sangue e del resto, per lui esiste soltanto quella figurina adagiata tra le sue braccia. Ride incredulo, si emoziona per ogni suo vagito e per ogni movimento delle manine strette a pugno, lo sfiora con la delicatezza di chi tocca un sogno con il timore di vederlo sparire. E Debbie sorride e piange, piange, piange. Di fronte a quegli occhi, stanchezza e dolore non sono più nient’altro che un fievole ricordo.

Michael si scuote dal suo mondo di felicità immensa e la guarda. Non l’ha mai guardata così. È come se la vedesse per la prima volta. È come se lui fosse solo un uomo, come se loro fossero una qualsiasi famiglia, come se nient’altro per lui contasse quanto ciò che sta vivendo in questo momento.

Torna più vicino a lei, a condividere la gioia e la luce del proprio sorriso, mentre le mostra il bambino e lo posa nel suo abbraccio.

«È... È bellissimo, Debbie

Non aggiunge altro, ma a lei basta il tremito della sua voce per capire.

Accoglie a sé suo figlio – il figlio di Michael – ma fa sì che il padre non lo lasci mai. Cerca di comunicarglielo con gli occhi: questo è il suo dono per lui. Perché Michael Jackson dà tanto al mondo, in ogni canzone, in ogni parola, in ogni sorriso, in ogni respiro; ora, finalmente, ha in cambio lo stesso calore e la stessa felicità. Ha un figlio. Ha il più bel dono che esista, la cosa migliore che una donna potesse dargli – e Debbie Rowe è felice di aver potuto essere quella donna.

Michael resta in silenzio, anche lui capisce che non c’è più bisogno di parole. Circonda lei e il bambino delle sue braccia e del suo amore; tiene tutti e tre uniti, un insieme indivisibile. Posa le labbra sulla fronte di sua moglie, poi su quella delicata del piccolo. Gli canticchia qualcosa all’orecchio, a bassa voce – e, Dio, Debbie sarebbe disposta a morire e a rinascere mille volte pur di sentire ogni volta quanta dolcezza c’è in questo suo canto.

Con la mano libera, la stessa che prima si aggrappava a lui, accarezza piano la guancia di Michael. Lui sorride e rafforza la stretta. Una famiglia. Ecco cosa sono. Il suo – il loro bambino non piange più; ora sembra voler semplicemente assaporare quel calore che lo circonda. Forse già sa di essere il piccolo principe che ha reso felice un re.

Anche la musica, rispettosa, tace. Nella stanza resta il silenzio della felicità: quella vera, quella che non ha bisogno di definizioni. Quella che solo i bambini e le favole sanno dare.

 

 

{ now I wake up every day with this smile upon my face

no more tears, no more pain, ‘cause you love me }

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Credits: I versi in corsivo sono tratti da You are my life di Michael Jackson.

 

Note dell’autrice: Avevo in testa questa shot fin da quando ho visto Take Two, il documentario realizzato come risposta alla famosa [schifosa] intervista di Martin Bashir finalizzata a far passare Michael Jackson per uno psicotico dalle manie strane. L’intervista originale è tutta un’altra cosa, e guardarla, veramente, fa piangere. Perché ci si rende conto di quanto si possa fare male a una persona, strumentalizzando le parole che dice e infarinandole di mille salse: proprio come è stato fatto a Michael.

E c’è un punto in particolare, in Take Two, in cui Debbie Rowe parla del momento del suo primo parto. Nelle sue parole commosse si ritrova l’immagine di un uomo che ama la vita, e suo figlio, in un modo indescrivibile se non tramite le lacrime di chi quel momento l’ha vissuto in prima persona insieme a lui.

Dopo aver visto quella scena ho totalmente rivalutato il rapporto tra Michael e Debbie – capendo la forza di questa donna che, se ha ‘abbandonato’ i suoi figli, lo ha fatto solo perché sapeva che suo marito sarebbe stato un padre unico al mondo – ma soprattutto, ho trascorso giorni interi ad immaginare l’espressione di Michael mentre cullava per la prima volta tra le braccia il primogenito Prince.

Non mi aspetto certo di aver rappresentato tutta la sua gioia: sarebbe umanamente impossibile per noi che non l’abbiamo neppure conosciuto davvero. Ma ho voluto scrivere lo stesso queste righe, perché un uomo come lui non si merita solo un pensiero e basta. Merita di essere compreso. Proprio ciò che, purtroppo, ben poche volte è stato fatto.

Per Debbie, per Prince, per Michael e per tutta la sua famiglia. Per voi che state leggendo. God bless you all <3

Aya ~

   
 
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