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Autore: GENEViEVE___    29/11/2010    2 recensioni
Cosa fareste se vi ritrovaste incinta a 16 anni? Cosa fareste se il padre del bambino fosse il fratello della vostra migliore amica? Cosa fareste se viveste anche voi in un minuscolo paese dove tutti sanno tutto di tutti? Abortireste? Dareste il bambino in adozione? Lo terreste? Volete un consiglio? Chiedetelo a Emily Wood...
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Chapter 1

Niente.
Non c’è assolutamente niente.
È passato più di un mese.
E stamattina ho pure vomitato.
Sono nella merda.
Nella merda più totale e assoluta.
Ok, Emily, non preoccuparti, ora vai a farti un giro e tornando compri un test di gravidanza.
Così, solo per sicurezza.
Afferro la borsa appoggiata sul mio letto e mi avvio decisa verso la porta. Mia madre, che sta leggendo un giornale di moda in salotto, mi ferma e chiede:
“Tesoro, dove stai andando?”
“Vado a fare un giro.”
“Da sola?”
“Sì, ho studiato un sacco e ho bisogno di un po’ d’aria...”
“Ok, ma ricordati che alle sette ceniamo!”
“Come al solito!” Commento sottovoce.
Mia madre si ciba di queste inutili routine. Che donna triste!
Mi incammino per il vialetto davanti casa e seguo il viale inalberato, facendo curve a caso. Il pomeriggio di questo ‘grandioso’ Columbus Day le vie di questo minuscolo paesello dell’Ohio sono praticamente deserte.
È autunno e le giornate soleggiate di questa stagione sono le mie preferite. Le foglie dei platani sono verde chiaro, marroni e arancio scuro e riflettono la luce del sole in modo meraviglioso.
Senza neanche accorgermene, mi ritrovo davanti ad una farmacia. Titubante, metto un piede dentro il negozio.
“Salve, Emily! Come stai?” La signora Gordon, la farmacista, richiama la mia attenzione.
“Buonasera, signora Gordon! Tutto bene, lei?” Mento, con finta allegria.
“Tutto bene, cara!” Sorride.
Una cosa che odio di qui è che tutti conoscono tutti e tutti sanno tutto di tutti. Quindi se comprassi un test di gravidanza, mia madre lo saprebbe all’istante. Esco dalla farmacia, piuttosto scoraggiata. E poi, cosa piuttosto insolita, mi imbatto in una coppia di turisti. Ho un’idea brillante. Apro il portafoglio: quarantuno dollari... Posso comprarne tre. Mi avvicino ai due e chiedo con un filo di voce se possono comprarmi tre test di gravidanza. Un po’ interdetti, prendono le banconote ed entrano nel negozio.
Escono dopo dieci minuti scarsi con un sacchetto di carta marrone. Li ringrazio e infilo il sacchetto nella borsa frettolosamente.
Tiro fuori l’iPhone e vedo che sono stata bombardata di messaggi da tutti. Sono le sei e mezza quindi decido di incamminarmi verso casa con passo lemme.
Il pensiero che mi ronza in testa fa capolino in ogni momento. Spero che adesso, quando entrerò in bagno con il test in mano, troverò quella rassicurante striscia di sangue mi dica che mi sono sbagliata, che ho buttato i soldi della mia ultima paghetta, che potrò continuare a essere la sedicenne senza pensieri che amo essere. Ma so che non sarà così. So che apparirà quel maledetto simboletto ‘+’.
Una lacrima sfugge al mio controllo e scende silenziosa sulla mia guancia. La asciugo con un rapido gesto della mano. Non voglio pensare, non voglio pensarci.
Arrivo a casa abbastanza prima della cena per poter fare almeno un test. Dopo dieci minuti, sono seduta sul bordo della vasca ad aspettare il responso. Così, come previsto, si presenta il simbolo ‘+’ Prima che possa riprendermi dallo shock o che possa assimilare la notizia, la voce di mia madre mi raggiunge dal piano di sotto: “A tavola!”
Stringo i denti, serro i pugni e ricaccio dentro le lacrime.
Quando raggiungo la cucina, mio padre e mio fratello sono già seduti a tavola. Mi sento terribilmente colpevole, non mi merito tutto l’affetto che mi dimostrano. In un lato del tavolo è seduto mio padre, Oliver Wood, un uomo tranquillo di cinquant’anni con un ultimo accenno dei folti capelli neri che aveva una volta e due occhi azzurri che avrei tanto voluto avere io. Dal lato opposto del tavolo è seduto mio fratello Jack che ha (letteralmente) rubato tutti i capelli di mio padre e ora sta attaccando voracemente una pagnotta. Siamo molto legati. Ogni volta che lo guardo mi sorprendo di quanto i suoi occhi verdi, uguali ai miei, siano briosi come quelli di un bambino, nonostante abbia ventuno anni. Infine giungo in vista di mia madre. Kate Wood è una donna distinta di quarantasette anni con le unghie (più simili ad artigli) sempre laccate e i capelli biondi tinti sempre cotonati.
Mi siedo al tavolo senza alcuna espressione sulla faccia. Di solito a cena non presto mai attenzione ai futili discorsi sul giardino super curato della signora Black o sul taglio fuori moda della signora Gomez o sugli esami di Jack... No, aspetta... questo mi interessa!
“Domani ho l’esame di diritto internazionale.”
“Quindi non resti stanotte?” Chiedo, terrorizzata.
“No, Emily! Non faccio in tempo ad arrivare a scuola l’esame è alle 8!”
“Allora a che ora parti?”
“Subito dopo cena.”
Fantastico! Il mio fratellone va via stasera proprio quando ho bisogno di lui! Odio il fatto che frequenti il college e non sia sempre a casa ad aiutarmi e a consolarmi. Ritorno nel mio stato di impassibilità totale. Quando finisco la mia porzione di carote mantecate, sgattaiolo di nuovo al bagno del piano di sopra.
Faccio anche il secondo e il terzo test, che conferma il risultato del primo.
“Merda!” Impreco sottovoce.
Passo entrambe le mani tra i capelli e mi lascio scivolare contro la porta. Non posso piangere, mi sentirebbero. Però, cazzo! Io non mi metto nei guai! Io non sono così irresponsabile! Io sono una persona razionale che ci pensa una ventina di volte prima di fare qualsiasi cosa!
Per un indeterminato lasso di tempo, resto seduta sullo gelido pavimento del bagno. Quando finalmente le mie gambe decidono di rispondere agli impulsi del cervello mi trascino in camera mia. Nascondo i test nella mia scatola dei ricordi sotto il letto e mi ci siedo sopra senza avere la minima idea di cosa fare.
Per distrarmi prendo l’iPhone dalla borsa: cinque chiamate perse e sette messaggi!
Il più ‘vecchio’ è quello della mia amica Liz:
“Domani allenamento all’alba? L.”
Io e Liz siamo entrambe nella squadra di nuoto del liceo. Liz, nota nei registri scolastici come Elizabeth Nash (nome che odia), è un anno più grande di me. La conosco dal primo anno di liceo, da quando Sarah Morgan aveva cercato di affogarmi nella piscina e lei mi aveva prontamente salvato. Non me la sento di allenarmi domani mattina, quindi le rispondo:
“Niente da fare. Ci vediamo a scuola! E.”
Il secondo è di Josh, mio ragazzo:
“Amore, come stai? Ti vengo a prendere domani con la macchina? Ti Amo, J.”
Io e Josh stiamo insieme da poco meno di un anno. Lui è il fratello maggiore della mia migliore amica e ci conosciamo sin da quando avevamo circa cinque anni. E ora sono incinta del suo bambino.  Una parte di me muore dalla voglia di vederlo, un’altra parte di me non ha il coraggio neanche di guardarlo negli occhi.
Decido di aspettare per rispondere.
Il messaggio dopo è della mia migliore amica a.k.a. la sorella di Josh a.k.a. Jennifer:
“Sponge, come stai? Andiamo al centro commerciale? Ti voglio bene :), J.”
Ehm, forse è un po’ tardi per rispondere con una risposta entusiasta e, soprattutto, affermativa...
Cheppalle! Ogni volta che sto a casa non tengo per niente da conto il cellulare! Lo sanno tutti! Che gli è preso oggi!?!?
Altri due sono delle altre due me migliori amiche: Leah e Chelsea.
Leah è poco più alta di me con una cascata di ricci castani e un po’ di lentiggini chiare.
Chelsea è di una bellezza ingiusta: la nonna era norvegese, quindi, è altissima, occhi blu profondissimi e una chioma biondissima e liscissima. È un sacco di ‘issima’ che mi fanno sentire meno di zero.
Ogni tanto mi chiedo come fanno a essere mie amiche.
Gli ultimi due messaggi (e le cinque chiamate) vengono da Josh che si è fatto prendere da panico perché non gli ho risposto ai primi due messaggi ed è fermamente convinto che lo voglia lasciare.
Seriamente, è lui il diciottenne maturo?
“Tranquillo, non ho intenzione di lasciarti! Però domani ci vediamo direttamente a scuola... Allenamento all’alba con Liz! Ti amo, E.”
Bugia, ma vediamo se il mio ragazzo si calma...!
Poggio il telefono sul comodino e vado in cucina a prendere un bicchiere d’acqua. Arrivata agli ultimi gradini vedo che Jack è sulla porta e sta salutando mamma e papà. Mi ero scordata che stava per andarsene!
“Finalmente! Pensavo di dover partire senza salutarti!” Dice con un sorriso enorme e un po’ di malinconia negli occhi. Non gli piace andare all’università di Columbus.
Gli corro incontro e mi tuffo tra le sue braccia. Mi mancherà da morire. Proprio quando ho bisogno di lui!
“Buona fortuna e torna presto.” Gli sussurro sull’orlo delle lacrime.
Mi stringe ancora più forte e, sciolto l’abbraccio, esce dalla porta. Resto in cucina finché il rumore della macchina sparisce completamente. Schiocco le labbra più volte, indecisa su cosa fare.
È una serata così piatta che decido di fare una doccia che prosciughi tutte le scorte di acqua calda del vicinato.
Domani sarà una giornatina niente male.
E sicuramente non riuscirò a dormire.
Oh mio...!

 

 

 

 

 

 

 

 
Ecco il primo capitolo =S
Non so perché, ma mi è uscito più corto degli altri xD!
Fatemi sapere cosa ne pensate!

Love & Rockets
Geneviève


P.S.: Ho deciso di mettere, ogni tanto, una foto che meglio rappresenti uno dei personaggi, quindi ecco a voi... EMILY! :)
 
 
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