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Autore: Jules_    30/11/2010    2 recensioni
Un piccola storia, che forse aggiornero', per ricordare un mito.
-Cosa ci fai qui?- "Ecco, ma che domande fai?! Adesso ti rispondera' di farti gli affari tuoi!" Pensai. Invece no, distolse lo sguardo dalle stelle e si giro' verso di me, mostrandomi un gran sorriso.
-Forse la stessa cosa che ci fai tu.-
"Che ci faccio io?". Non lo sapevo neanche io!
-Perchè proprio Londra?-
-Per il fiume.-
-Ti piace il Tamigi?-
-Il Gange era troppo lontano.-
Genere: Malinconico, Mistero, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: George Harrison
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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A casa Taylor era ora di pranzo. Il profumo del pollo della signora Pattie proveniente dalla cucina era così invitante che richiamo' subito la piccola Olivia.
-Mamma mamma, cosa si mangia!?- 
Il sorriso della donna ormai cinquantenne divento' subito una piccola e tenera risata.
-Pollo, piccola mia!-
Gli occhi della bambina si illuminarono. -Pollo! Si! Ne voglio tanto così!-
-Ma Liv, hai solo 10 anni, non ti ci sta tutto quel cibo nella tua pancia! Su, corri a chiamare papò e vai a tavola!-
Con una piccola pacca la donna spinse la figlia verso la porta e tiro' fuori il pollo dal forno per poi voltarsi verso il soggiorno, dove la bimba e il marito stavano ormai seduti. Fece per varcare la porta quando si volto' un attimo ad osservare la foto del suo artrista preferito da quando era giovane, George Harrison, che era appesa' in quella stanza. Si fermo' e rivolse un sorriso a quel volto così gentile che la foto ritraeva e finalmente porto' il cibo a tavola.
-Si mangia!- grido' tutta contenta Olivia
-Piccoli bocconi, amore! O ti andrannodi traverso! Te quanti ne vuoi, caro? Pete? Peter?-
Il marito stava guardando la TV, quasi ipnotizzato, colpito e spaventato da quella notizia che stavano dando. Non stava neanche ascoltando la moglie. Sentendosi chiamare, pero', fece cenno con la testa verso lo schermo. Non staccava gli occhi da quell'affare, percio' Pattie si volto' anche lei per vedere cosa c'era di così tanto interessante.
Non l'avesse mai fatto.
 
"Ieri sera, nella casa dell'amico Ringo Starr a Beverly Hills, Los Angeles, il mondo della musica ha dovuto dire addio a George Harrison, ex membro del gelebre gruppo The Beatles e grande artista. La sua chitarra gentile non suonera' piu', ma noi non la scorderemo."
 
A quelle parole gli occhi di Pattie divennero rossi e iniziarono a bruciare. Poi, eccola, si potè vedere sul suo viso la prima lacrima.
 
 

 
 
 
 
-E anche quest anno sta arrivando il 29 Novembre...- Dissi mentre guardavo la lattina di Coca Cola che avevo appena calciato. 

Controllai l'orologio del campanile non molto lontano da me. Le 23:45. Mancava poco.
Seduta su quella panchina, in quel parco londinese, osservavo le televisioni spente della vetrina davanti a me. Avevo le auricolari nelle orecchie e il mio MP3 era aperto su una sola cartella.
Ero stata lì seduta tutta la sera. Avevo mangiato un panino al volo e dopo ero tornata su quella panchina. Mi piaceva. La panchina, intendo. Fatto sta che stava per arrivare il 29 Novembre. Ancora. Mancavano pochi minuti.
La mia mente inizio' a viaggiare. Quel giorno non era affatto legato a un bel ricordo. Nove anni prima, a causa di esso, infatti, è stata la prima volta che vidi piangere mia madre. Mi ricordo che appena vide la notizia al telegiornale scoppio' in lacrime e mio padre provo' a consolarla.
Adesso, anche a 19 anni, quelle immagini erano così nitide nella mia testa.

Decisi di alzarmi, dato che non sapevo cosa fare, e mi avviai pian piano verso non so dove. Non m'iportava, di dove stesi andando, ecco tutto. Avevo solo voglia di camminare. Le strade di Londra erano vuote e deserte. "Mi chiedo perchè si ostinino a chiudere tutto così presto" pensai mentre percorrevo le vie principali illuminate solamente dai lampioni.
L'aria era così pungente che ormai non mi bastava piu' il mio cappotto per scaldarmi, ma non m'importava. Camminavo e basta. Dopo neanche molto tempo arrivai al fiume, al Tamigi. Stanca e raffreddata mi sedetti su un'altra panchina, alla luce di un lampione. Mi fermai e mi mise a fissare l'acqua.

"Beato questo fiume che puo' raggiungerti" dissi sospirando.

Guardai di nuovo l'orologio. Le 23:58. Mancavano solo due minuti. Due minuti che spesi ascoltando la SUA musica e parlando ad alta voce come se lui fosse lì seduto affianco a me, su quella panchina fredda, come se potesse sentirmi. Me lo immaginato che guardava con me il Tamigi, che capisse quello che dicevo e di cui parlavo. Poco m'importava se mi prendevano per matta. Improvvisamente il grande campanile suono' 24 rintocchi.
Mi misi sull'attenti, come se aspettassi qualcosa, per poi tornare rilassata sulla panchina. Accesi la mia radiolina e presi una stazione a caso. Continua a girare di stazione in stazione per trovare quello che cercavo, ma senza successo.

"Sembra che nussuno, a parte me, si ricordi di te!" feci gettando a terra quella povera radiolina. Quasi subito dopo quel tonfo, avvertii l'inizio di una melodia che riempiva tutto quello che mi circondava. Controllai il mio MP3, magari lo avevo lasciato acceso, ma era spento. Allora, ascoltai meglio. Era il suono di una chitara. Una chitarra che suonava dolcemente. La conoscevo quella musica. La conoscevo a memoria e quello mi fece rabbrividire. Istintivamente guardai il cielo. Vidi una stella. C'era una stella. Una sola, ed era bellissima. Mi accorsi che le note provenivano da una panchina poco piu' la'. Subito mi alzai e mi misi a correre velocemente, senza sosta, attratta da quella musica che tanto amavo. Quando sentii che il suono di quelle core era piu' vicino mi fermai e avanzai lentamente.
La persona era seduta sul muretto al lato del fiume e con la sua chitarra se ne stava nella penombra. La ua voce calda mi era familiare, ma mai quanto quelle dolci note...
 
...I look at the world see the love that's sleeping, While my Guitar gentli Weeps...
 
Io restai lì ad ascoltarlo. Il suono di quelle corde riempiva la mia testa e tutto il mio corpo. Era una sensazione fantastica.
Ad un certo punto, senza che quasi me ne accorgessi, l'uomo, che sembrava essere sulla trentina, aveva smesso di suonare e si fermo' a guardare l'acqua. Anche se era tutto buio, a parte il lampione non poco lontanto da me, si poteva notare che aveva i capelli lunghi, non lunghissimi, ma abbastanza lunghi. Il cappotto era chiuso fino a sotto il mento e portava una sciarpa. Probabilmente si era accorto della mia presenza e aveva iniziato a mettere a terra la chitarra, nella custodia che si trovava sffianco ai suoi piedi. 

-La conoscevi?- disse lui mentre infilava lo strumento. Io mi guardai attorno. Parlava con me?

-Si dico a te. La conoscevi la canzone?-

Non riuscivo ancora a vederlo bene in faccia, era sempre nella penombra e i suoi i movimenti mi impedivano di vederlo chiaramente, ma risposi comunque.

-Si si! Certo che la conosco!- feci come se cadessi dalle nuvole.-E comunque, sei bravissimo! La suoni quasi come lui!-

Il ragazzo accenno una piccola risata mentre afferrava la chitarra e si avvicinav a me, sotto la luce. 

-Me lo dicono in molti.-

Trasalii.

-Oh porc...- mi tappai subito la bocca. Lo fissai con occhi sbarrati mentre lui cercava di far finata che tutto quelo fosse normale. Per me non lo era affatto.

-George! Ma come diamine...!-

-Tranquilla! Rilassati! Non urlare, Non sono George!- mi disse lui facendomi cenno di respirare -Sono solo Dhani!.

Rimasi pietrificata.
Quando mi resi conto di quel che stava succedendo, lui era già seduto sulla panchina e s'era acceso una sigaretta. Lo fissai un attimo: era veramente identico al padre. I suoi capelli bruni erano sciolti e un accenno di baffi e una corta barba incolta compòarivano sul suoi volto dai lineamenti ben definiti. e così tanto familiari. Il naso, un po' all'insù, portava a delle sopraciglia ingenti e un po' corrugiate. Un sorriso storto comparve sul viso e gli occhi grandi e color della notte erano intenti a fissare il cielo.

-Ah, siediti se vuoi! Non ti mangio mica!- mi disse quasi come se si fosse accorto solo adesso che lo fissavo con una faccia da pesce lesso. Mi sedetti accanto a lui sulla panchina umida, con la chitarra appoggiata a terra e senza sapere cosa fare. Avevo affianco il figlio del mio idolo e non sapevo come comportarmi. Le parole, pero', mi uscirono dalla bocca senza che io me ne resi conto.

-Cosa ci fai qui?- "Ecco, ma che domande fai?! Adesso ti rispondera' di farti gli affari tuoi!" Pensai. Invece no, distolse lo sguardo dalle stelle e si giro' verso di me, mostrandomi un gran sorriso.

-Forse la stessa cosa che ci fai tu.-

"Che ci faccio io?". Non lo sapevo neanche io!
-Perchè proprio Londra?-

-Per il fiume.-

-Ti piace il Tamigi?-

-Il Gange era troppo lontano.-

-Capisco..-

Questo botta e risposta duro' massimo due minuti e io ero piu' imbarazzata che mai. Guardavo a terra e tremavo. Avevo un freddo della madonna. Probabilmente Dhani se ne accorse, perchè si tolse la sciarpa che aveva indosso e me la porse-.

-No no! Non posso prenderla! Te rimani senza!- dissi io cercando di tirarmi indietro.

-E allora?- sorrise facendo spallucce -Tu stai tremando! Io sto bene anche così.- 

A quel punto prese la sciarpa e me la misi al collo. Era calòda. Potevo sentire il suo profumo e la stoffa che mi pizzicava la pelle. Era bellissimo. 

-Come ti chiami?- chiese lui mentre gettava la sigaretta e tornava a fissare il cielo.

-Olivia...-

-.Anche mia madre si chiama così...- e sorrise di nuovo.

-Si lo so! Credo che mia madre mi abbia chiamato così per questo.-

-Perchè è il nome di mia madre?-

-Perchè è il nome della moglie di tuo padre, vale a dire tua madre- "Che casino che sto facendo!" -Penso che se fossi nata maschio mi avrebbe messo nome George. E non mi avrebbe fatto per niente dispiacere, anzi.- feci iniziando anchio a guardare il cielo stellato.

-A tua madre piace mio padre?- disse lui caricando la parola ''piace'' come stupito da questa cosa.

-Diciamo che lo adora ancora dai tempi dei Beatles. Penso che una volta òl'abbia anche incontrato, da giovane. Ama la sua musica e le emozioni che crea. I messaggi che da, l'amore che trasmette. Penso che tutto questo sia passato anche a me, visto che non riesco a non ascoltare la sua voce senza emozionarmi...oddio, scusa, non so perchè ti sto raccontando tutto questo, scusa...-

-Perchè ti scusi?- mi disse quasi stupito. -E' bello sapere che non sono il solo a ricordarlo...-

-Ti manca?-

Il suo tono si fece piu' malinconico.-Si...-

Non sapevo cosa dire. D'altro canto, cosa potevo dire? Ma non potevo stare lì senza dire niente...

-Posso chiederti un piacere, Dhani?- fec cercando di non sembrare scortese.

Lui sorrise.-Ma certo, Olivia.-

-Potresti cantare ancora una volta quella canzone? Sai, è una delle mie preferite!-

-Certamente!- rispose lui, prendendo la sua chitarra. Mi rivolse un piccolo sorriso, prima di iniziare, che io ricambiai, e poi suono' i primi accordi. Inizialmente il suo viso era chinosul manico dello strumento, poi, man mano che la canzone cresceva inizio' a guardare nuovamente il cielo, con l'aria di uno che canta a qualcun altro che ama veramente, e gli occhi velati di tristezza. La sua voce mi arrivava con una ventata d'aria calda e a momenti non piangevo. E penso che una lacrima mi sia uscita. Quella canzone. Aveva questo effetto su di me. Quest strano effetto, inspiegabile, indistinguibile, ma unico e fantastico.

Quando ebbe finito, mentre riponeva la chitarra nella sua custostodia, giurai di aver visto luccicare qualcosa sul suo viso, ma lui si copri' subito con la mano e quando torno' a fissare il cielo non c'era piu' nulla.

-E' bellissima, Dhani.-

Lui fece un cenno verso la notte con il capo. 

-Bisogna ringraziare lui.- Fece una pausa.-Vedi quella stella laggiù? No quella, quella affianco, ecco. Io sono sicuro che mio padre sia quella stella. Anche se durante il giorno mi manca e credo che non ci sia, quando arriva notte quella stela c'è sempre, ed è la prima che cerco. So che anche se per colpa della sua malattia non è piu' qui, resta sempre affianco a me. Cè, e io ne sono sicuro. Molti hanno detto che la sua chitarra gentile non suonera' piu'. Si sbagliano. Io sono sicuro che lassù lui sta ancora suondo. Quella sua chitarra gentile non smettera' mai di suonare.-

Rimasi a bocca aperta. Aveva ragione.
Rimasi a fissarlo mentre tornava a sedersi composto nella solita posizione e guardava quella stella. George. 
Ad un tratto si mosse e prese su la sua chitarra. 

-Mi dispiace, devo andare.- fece un po' maliconico mentre mi rivolgeva un piccolo sorriso.

-Te ne vai?- dissi io scattando in piedi. 

-Si. Scusami. Ormai s'è fatto tardi. Io vado per di qua. Vuoi che ti accompagno?-

-Mi piacerebbe ma devo andare dalla parte opposta.-

-Ah, spero che sara' per la prossima volta- si mise la chitarra sulle spalle e si avvio'.-Arrivederci, Olivia!-

-Ciao Dhani!- feci io un po' triste mentre mi giravo verso quella Londra buia e solitaria. Improvvisamente mi accorsi di avere ancora la sua sciarpa.

-Dhani, la tua sciarpa!- gridai a gran voce sperando che mi sentisse.

-Tienila!-fece lui senza neanche girarsi.-Me la ridarai quandi ci rincontreremo!- E lo vidi sparire nel buoi della notte.

Rimasi lì. Affacciata al fiume con quella sciarpa e quel ricordo che mi sembrava solo un sogno. Tirai un gran respiro. Si potevo ancora sentire il suo profumo.
Po mi rivolsi al cielo, a quella stella così luminosa, e sorrisi
Ero felice.
-Fino a che la tua chitarra suonera', nessuno ti dimentichera',George-
E con quelle parole, mi avvia verso il college.
  
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