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Autore: Slits    03/12/2010    1 recensioni
Arthur non replicò. Il francese aveva l’aria stanca, consumato da cose che neanche più ricordava. Tutta la sua boria improvvisamente era andata in pezzi. Guardava la sigaretta accesa dell’altro che gli si consumava fra le dita. Il fumo saliva lentamente al cielo in volute azzurrognole, senza fretta, come se potesse aspettare, anche lui, che la consapevolezza mettesse radici profonde quel tanto necessario a dargli il colpo di grazia. Da intenderci, non che ormai ve ne fosse più alcun bisogno.
Pazzo è chi accetta la realtà.
[Arthur/Francis]
[!Angst; AU]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Sixteenth bullet


Alzando gli occhi al cielo lo sorprese una brezza fredda e tagliente che spazzava il sentiero con impazienza. All’imbocco del viale c’era un piatto di bronzo colmo di scatolette di cerini con la marca sbiadita e la carta lacera. Montmartre, diceva.
Arthur Kirkland approfittò del momento in cui il vento si riversava sui colli alle sue spalle e si accese una sigaretta. Quando sentì lo sguardo dell’altro su di sé si portò il mozzicone alle labbra e, dopo aver sospirato il fumo fino a farlo entrare nella parte più profonda di sé, lo gettò fuori guardando fisso oltre la strada. Aspirò ancora come se fosse sul punto di esalare l’ultimo respiro ed aspettò a lungo la risposta del francese.
- Era anche ora. – disse Francis Bonnefoy dopo una discreta manciata di secondi – Bastava l’odore di marcio a rendere insopportabile questo posto. -
L’attenzione di Arthur fu catturata da una coppia di anziani che sedeva nelle panchine godendosi l’aria del mattino, godendosi il loro amore. Visto da fuori sembrava tutto così facile.
Gettò il mozzicone a terra ed aspettò che l’altro riprendesse a parlare. Aspettare. Restare lì, fermo, inquieto, ad ascoltare le voci di un posto troppo grande per contenerle tutte. Per uno come lui cresciuto nei crocevia della strada era come essere divorato da un’ansia cieca.
Non resistendo oltre a quell’insolito silenzio parlò ancora. Teneva entrambe le mani sprofondate nelle tasche, adesso, e misurava ciascun dito.
Muoversi, muoversi sempre in quel posto per assurdo tanto immobile quanto schifosamente grande.
- Me ne vado, Francis. – ripetè con fermezza. In fondo stava facendo quello che l’altro gli aveva sempre consigliato. - Non ci saranno altre possibilità dopo questa. -
- Mon Dieu, Arthur, apri gli occhi! - ribattè l’uomo, allungando una mano verso l'inglese. Aveva distolto lo sguardo, ma l'ardore - no, sbagliava, non si trattava affatto di ardore - con cui aveva richiamato l'altro era talmente tangibile da sembrare quasi un’informe massa compatta. Una volontà densa, corposa come un vino lasciato ad invecchiare a lungo. Francis. - Non parlarmi come se fossi tu quello che qui dentro non ha uno straccio di possibilità! -
- Ne ho una e mi è più che sufficiente. Il fronte me la sta offrendo e sarebbe irragionevole rifiutarla. -
- La ragione l'hai persa anni fa, mon amour. - rispose il francese dopo un po' in tono morbido, quasi compassionevole.
La sua risposta, tagliente, fece sentire Arthur un estraneo in terra straniera. Era come se avesse voluto ricordargli che lui ormai aveva già pensato a perdere per entrambi, che quella non era la sua battaglia e che una vita, in fondo, non era che una tacca su un fucile, amico o nemico, per quanto ben spesa.
L’inglese lo fissò in silenzio.
In sottofondo si sentiva il brusio delle campane, come un eco della loro conversazione.
- Un tempo avresti pagato per poter menare un po’ le mani. - ammise quasi infastidito. - Stare troppo qui dentro ti ha rammollito. – Francis sorrise.
- Ed il continuare a ripetermelo ti ha fatto diventare pazzo, touchè. -
Arthur non replicò. Il francese aveva l’aria stanca, consumato da cose che neanche più ricordava. Tutta la sua boria improvvisamente era andata in pezzi. Guardava la sigaretta accesa dell’altro che gli si consumava fra le dita. Il fumo saliva lentamente al cielo in volute azzurrognole, senza fretta, come se potesse aspettare, anche lui, che la consapevolezza mettesse radici profonde quel tanto necessario a dargli il colpo di grazia. Da intenderci, non che ormai ve ne fosse più alcun bisogno.
- Me ne vado, Francis. -
Arthur esitò qualche secondo, come se non avesse il coraggio di muovere un passo. Sprofondò una mano nella tasca dei pantaloni ed un tintinnio, per un attimo, perforò l’aria come lo schiocco di una moneta. All’occhiata scettica del francese, l’altro ribattè seccamente, accendendosi un’altra sigaretta.
- E’ quello che pensi. Quindici proiettili esatti, uno per ciascuno dei nostri che ho dovuto vedere cadere in quello sputo di terra. Ho intenzione di tornarglieli tutti, uno per uno. -
- Sedici, Arthur, dovrebbero essere sedici. – sospirò.
L’inglese scrollò le spalle.
- Uno più, uno meno non fa gran differenza. -
Per essere un soldato, anche se lontano dal fronte, mentire non gli riusciva bene. Francis non insistette. Aveva ormai smesso di chiedersi se l’ammettere l’esistenza di quel solo, ridicolo corpo in più, avesse potuto dare ulteriore spessore alla soglia che separava la ragione di Arthur dalla follia più cieca. Conosceva già la risposta.
- Me ne vado, Francis, questa volta per davvero, senza possibilità di ritorno. – esitò ancora, come se attendesse una qualsivoglia obiezione ad una decisione presa già mesi e mesi addietro. Si voltò e fece un sorriso storto.
- Dio, se non riesci a mettere due parole di fila neanche in un momento simile allora lo stare qui dentro ti ha veramente rammollito. -  
Francis fece schioccare la lingua e sorrise a sua volta, in quel modo che ogni volta faceva sentire l’altro piccolo ed insignificante.
- Smettila di fumare, Arthur. -
- Non posso. -
- Perché? -
Silenzio. Un sospiro insolitamente simile ad un gemito strozzato.
- Perché non mi è rimasto nient’altro. – mormorò, in un fiato.

E la lapide alle sue spalle tacque. Arthur alzò gli occhi al cielo e sospirò, piano.
C’era sempre troppo silenzio nel cimitero di Montmartre.



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P
rimo esperimento qui sul fandom, nato peraltro in seguito all’ascolto di una canzone tutt’altro che angst. Ergo, non so bene neanche io come alla fine sia arrivata a tutto questo.

Ho provato a dare una mia visione di entrambe le nazioni – non so ancora quanto di preciso concordante con quella dell’Hidekazu - , cercando di focalizzare l’attenzione sul passato di Arthur. Con una storia simile alle spalle, dubito seriamente che la facciata di razionalità e perbenismo tanto propugnata dall’inglese possa avere delle basi così concrete.
La follia mi è parsa come un passo quasi logico.

Sola nota di rilievo spetta al cimitero di Montmartre, realmente esistente. Fa da mausoleo ai corpi di Émile Zola e Edgar Degas artisti che, oltre ad amare profondamente, vedo perfettamente ad incarnare l’ideale di bellezza e cultura presenti in Francis. Una sorta di connubio, se vogliamo metterla in questi termini.

In conclusione credo sia tutto.
Slits
   
 
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