Per
te, Eri. Grazie, grazie di tutto.
Tears in rain
~You’ll
find out
you’re not alone
And that you are someone to
love.~
Trova qualcuno che ti
faccia dimenticare il tuo passato,
la tristezza,
trova qualcuno che ti cambi la vita,
che la renda migliore,
che sostituisca
e riempia il vuoto di chi se n'è andato.
Trova qualcuno per cui vale la pena sorridere.
La pioggia
cadeva incessante,
s’infrangeva contro i vetri delle finestra quella villetta,
nella periferia di
New Bern, che da un anno era diventata casa mia.
Era sera e, sotto il fascio di luce dei lampioni, potevo intravedere le
miliardi di goccioline d’acqua che cadevano dal cielo scuro e
plumbeo, le
fronde degli alberi oscillare, mosse dal vento freddo.
Ero sola quel weekend. I miei genitori avevano deciso di visitare gli
Outer
Banks. In realtà, lo sapevo bene, quel viaggio era un
tentativo da parte dei
miei di salvare un matrimonio in crisi.
La prospettiva di passare due giorni da sola, non mi allettava affatto.
Poggiai la fronte sul vetro freddo e mi strinsi nel maglione, cercando
calore
in quella notte di Novembre.
Sulla palpebra chiusa dei miei occhi vidi un viso tanto familiare da
causarmi
una dolorosa fitta di nostalgia.
In quel weekend a New Bern, non c’era nemmeno Jonah.
Era strano ciò che mi aveva legata a lui in così
pochi mesi, quel sentimento
che mi aveva travolta come solo un uragano può fare e mi
aveva trascinata in un
modo in cui tutto, in sua presenza, era perfetto. Qualcosa mi spingeva
verso
lui e, anche se ora era lontano, potevo avvertire quel filo invisibile,
che mi
legava a lui, tendersi ma non spezzarsi. Potevo avvertire il suo
dolore, il suo
rammarico, la rabbia, la dolcezza, l’amore, l’odio.
Ed avrei voluto poterlo
aiutare, ma non potevo. Lui, non me lo aveva permesso. E’
una cosa che devo risolvere da solo, Ellie, mi aveva detto.
Avevo annuito, incapace di emettere un solo suono. Io ero semplicemente
la sua
Luna.
Ed, ora, seduta sul davanzale della finestra, con la fronte sul vetro e
gli
occhi chiusi, non potei non chiedermi dove fosse, cosa provasse. Mi
sentivo
inutile, impotente e potevo avvertire il mio cuore urlare e piangere,
esattamente
come il suo aveva fatto e continuava a fare.
Un diciannovenne dovrebbe preoccuparsi della scuola, del diploma, di
come
chiedere ad una ragazza di accompagnarlo al ballo di fine
anno… ma questo non
valeva per Jonah. La sua vita era stata un susseguirsi di dolori ed
imprevisti,
ed avevo cominciato a comprendere il suo mondo mesi prima, quando lo
conobbi
durante l’ora di Spagnolo. Dopo, tutto cambiò.
Involontariamente,
inconsciamente, Jonah mi aveva legata a lui, incondizionatamente.
Aprii gli occhi e sospirando, con il cuore schiacciato dal senso
d’impotenza, mi
diressi in cucina per una tazza di tè.
La casa silenziosa non faceva che ricordarmi quanto sola ed inutile
fossi, in
quel momento.
Sentii lacrime amare bruciarmi gli occhi, premere prepotentemente per
uscire,
ma le ricaccia indietro, sedendomi sul divano e portandomi le braccia
al petto.
Poggiai il mento sulle ginocchia. Rimasi, lì, ferma ed
immobile, fino a che la
teiera per il tè non fischiò. Corsi a spegnerla,
ma, in quel momento, il campanello
suonò.
Corrugai la fronte, confusa, poiché non aspettavo nessuno.
Mi portai una ciocca di capelli color del cioccolato dietro un orecchio
e,
mordendomi il labbro inferiore, mi diressi in soggiorno. Afferrai la
maniglia,
ma quando spalancai la porta rimasi senza fiato. Un paio
d’occhi color del
cielo, limpidi come ghiaccio al sole, mi fissavano disperati. Le lunghe
ciglia
nere, sipari di
quegli oceani blu, erano
imperlati di pioggia, mentre goccioline d’acqua cadevano
lungo le ciocche
ondulate che gli coprivano la fronte. Le labbra piene erano serrate in
una
linea retta.
Sentii la gola gonfiarsi e gli occhi velarsi di mute lacrime. Nel lago
dei suoi
occhi, in quel libro aperto lessi disperazione, dolore, stanchezza,
sofferenza,
il desiderio di una vita tranquilla, l’ultimo stralcio di
gioia, di speranza
aggrapparsi ai miei occhi color del caramello.
La testa prese a girarmi e solo in quel momento mi resi conto di
trattenere
ancora il respiro. Respirai e l’aria mi causò una
fitta ai polmoni, mentre il petto
tremò.
«Jonah…» mormorai con voce incrinata,
mentre sentivo le lacrime premere
prepotenti per uscire.
I suoi, arrossati per il pianto e la stanchezza, si velarono di lacrime
e
quella fu un’altra pugnalata al cuore.
Avvenne tutto in un attimo, così velocemente che non abbi il
tempo di
rispondere subito l’abbraccio. Le sue braccia furono intorno
alla mia vita,
strinsero al mio addome a sé, facendolo aderire totalmente
al suo. Affondò il
viso fra i miei capelli e sentii il suo petto, sussultare. Con le
lacrime a
rigarmi il viso circondai le sue spalle con le braccia e lo strinsi a
me, tanto
forte da credere di non poter più respirare. Lo strinsi a
me, più che potevo,
sperando avvertisse la mia presenza, davvero.
Ero, lì, per lui. Ci sarei sempre stata. Devota ad un
qualcosa di invisibile,
un qualcosa che però mi legava a lui incondizionatamente,
che potevo sentire
sulla mia pelle e sulle labbra… l’amore.
Folle.
Rimanemmo in quella posizione per Dio sa quanto, prima che
cominciassimo a
tremare entrambi. Fuori pioveva e Jonah era bagnato.
Cercai di allontanarmi appena, ma lui non me lo permise. Rimasi
immobile, fra
le sue braccia.
«Jonah,» mormorai, «vieni.
Entriamo.»
Lui non rispose subito, qualche secondo dopo annuì piano col
capo e si
allontanò. Vedere i suoi occhi gonfi per le lacrime mi
causò una fitta in pieno
petto.
«Okay.» mormorò con voce roca,
sforzandosi di sorridere.
Premetti il palmo della mia mano sulla guancia e gli baciai il mento,
alzandomi
in punta di piedi.
«Vieni.» sussurrai prendendolo per mano e
conducendolo dentro, richiudendo la
porta alle sue spalle. «Mi stavo facendo del tè.
Ti preparo una tazza.»
Tenendolo ancora per mano corsi in cucina, dove afferrai una tazza ed
una
bustina.
«Puoi lasciarmi la mano, Ellie.» disse.
Mi voltai, guardandolo con serietà. «Non
ancora.»
Lui fece una smorfia, che probabilmente avrebbe dovuto essere un
sorriso.
Le sue dita fredde erano strette dentro le mie. Le sentii piano
riscaldarsi, o
forse ero solo io che mi abituavo alla sua temperatura.
«Vado a prenderti dei vestiti asciutti, okay?»
dissi alzando lo sguardo sul suo
viso.
Lui annuì piano col capo. Poi, feci scivolare via la mano
dalla sua e sentii la
mia pelle piangere quel contatto.
Al piano di sopra recuperai una vecchia tuta di mio padre, che
sicuramente gli
sarebbe stata un po’ grande, nonostante la sua altezza e le
ampie spalle. Presi
un asciugamano pulito e corsi di sotto.
Lo trovai, seduto su una sedia, la tazza fra le grandi mani e lo
sguardo fisso
su un punto impreciso del pavimento. La giacca era poggiata sul tavolo.
«Mio padre ha… diversi chili in più.
Potrebbe starti larga.» dissi avanzando
verso lui.
Alzò il capo e mi sorrise rincuorato.
«Grazie.» disse con voce bassa e roca.
I suoi occhi erano vacui, spenti, privi di quella vitalità
che li
caratterizzava.
«Ehi,» dissi avvicinandomi e prendendogli il viso
fra le mani. «io sono qui.
Sono qui, Jonah.» soffiai puntando gli occhi nei suoi.
«Sono qui…»
Lui non rispose, si limitò a fissarmi con sguardo
addolorato.
«Avanti.» dissi afferrandogli i lembi inferiori
della maglia e tirandola verso
l’alto, sfilandogliela. I muscoli allungati e delineati
dell’addome tremarono,
quasi impercettibilmente. Feci scorrere le mani sulla sue pelle. Le
poggiai sul
collo e le feci scendere delicatamente lungo le spalle e poi
sull’addome. Lui
chiuse gli occhi.
Afferrai felpa e gliela feci indossare. Poi scesi piano alla cintura
dei
pantaloni. Ma lui mi bloccò la mano.
Aprì piano gli occhi e si sfilò i jeans,
indossando i pantaloni della tuta blu.
Rimasi in piedi, di fronte a me. Poi presi l’asciugamano e
glielo passai sui
capelli, cercando di liberarli dall’acqua.
Non avevo idea di cosa fare. Avrei voluto che parlasse, che mi
spiegasse tutto…
ma non potevo costringerlo. Sapevo che, se ne avesse sentito il
bisogno, se ne
avesse avuto voglia, me ne avrebbe parlato.
Gli feci segno col capo di seguirmi, lo presi per mano e lo trascinai
sul
divano, dove mi accomodai accanto a lui. Tenevo la sua mano fra le
mani,
carezzandone il dorso, disegnando cerchi invisibili. I suoi occhi,
vacui ed
impenetrabili fissavano il vetro della finestra, la pioggia infrangersi
contro
esso. Avrei voluto guardarlo in pieno viso, ma non me lo permise.
Rimasi a
fissare il suo profilo, il naso dritto, la linea del mento e della
mandibola, i
capelli scuri che, ondulati, gli incorniciavano il viso.
«Jonah…» mormorai ancora, mentre il mio
cuore piangeva col suo.
E poi, parlò, la sua voce era pari ad un sussurro perso
nella tempesta.
«Non ce l’ho fatta, Ellie. Credevo sarebbe andato
tutto okay… ma mi sbagliavo.
Credevo di poter affrontare tutto. Io, mio padre e Gwen siamo scesi
dall’auto.
Lei ha solo tre anni, Ellie, non se ne rende conto, non
capisce.», la sua voce
vacillò, tremò. Gli strinsi la mano, prima che
riprendesse a parlare. «Abbiamo
varcato il cancelletto cigolante in metallo. L’ultima volta
che ero stato lì…
fu… fu al funerale.» si fermò, con voce
rotta. Una lacrima spillò dall’occhio
sinistro ed il mio cuore pianse. Poi si voltò, puntando i
suoi occhi ghiaccio
nei miei. «Non ci mettevo piede da tre anni. Davanti alla
lapide della mamma e
di Heath, ho capito che avevo sbagliato. Ti avevo detto che era una
cosa che
avrei risolto da solo… ma ti ho mentito Ellie. In
quell’istante, mentre la
pioggia sferzava violenta sul mio viso le uniche cose a cui riuscivo a
pensare
erano che odiavo con tutto me stesso il pazzo che quel giorno
passò col rosso,
prendendo l’auto della mamma in
pieno e
che... non desideravo altro che avere te. Non posso superarla da solo,
Ellie,
non posso. Ho bisogno di te più che mai. Più del
sole che mi illumina al mattino,
dell’acqua e del cibo che mi tengono in vita…
dell’aria che respiro. Io… ho
bisogno di te.» soffiò con gli occhi velati di
lacrime, che piano presero a
scorrere sul suo viso.
Il mio petto si muoveva velocemente, tanto da causarmi fitte e sentii
gli occhi
bruciarmi, la gola gonfiarsi. Aprii la bocca per parlare, ma da essa
non vi
uscii nessun suono. E all’istante sentii
l’irrefrenabile desiderio di
stringerlo a me, di fondere il mio corpo al suo, legarmi a lui,
abbracciarli le
ossa, scaldargli il cuore col mio respiro.
Piano alzai una mano, avvicinandola al suo viso. Con le dita gli
asciugai il
viso dalle lacrime, gli passai i polpastrelli sotto gli occhi, poi
presi il suo
viso fra le mani e gli baciai le palpebre, rubando quelle perle
d’acqua salata
imprigionate fra le lunghe ciglia nere.
«Io sono qui, Jonah. Sono qui. Ci sarò sempre,
okay? Le porte del mio cuore
sono spalancate e non c’è nulla che potrebbe farmi
cambiare idea. Non sei solo,
non lo sei mai stato. Io sono comunque con te… io sono nel
tuo cuore, Jonah.»
soffiai guardandolo negli occhi e poggiandogli ma mano destra sul
cuore. Non
potei fermare le lacrime che presero a solcarmi il viso.
Lui sorride, flebilmente. «Cosa fai? Piangi?»
chiese con dolcezza.
Scossi il capo e mi aggrappai alle sue spalle, stringendolo a me. Piano
lui si
mosse, costringendomi a stendermi sul divano. Mi adagiai sui cuscini,
mentre
lui, steso su di me, affondava il viso nel mio petto. Gli presi il capo
fra le
mani troppo piccole e cominciai ad accarezzargli i capelli color della
pece.
Sotto il mio tocco, Jonah tremò.
Gli baciai ripetutamente il capo, mentre lui mi stringeva
l’addome. Gli
accarezzai le spalle, la schiena, lo tenni stretto a me per un tempo
che mi
parve infinito.
«Ellie…» mormorò.
«Ti amo, Jonah. Più di quanto tu creda possibile.
Ti amo più dell’aria che
respiro. Ti amo più della vita stessa.» gli
sussurrai con dolcezza
all’orecchio, carezzandogli una guancia con la punta delle
dita.
«Ti amo, Ellie. Ti amo in un modo… che solo tu
puoi comprendere.» rispose
alzando il capo.
Annegai nel mare azzurro dei suoi occhi. Piegai la testa e lo baciai
con
delicatezza sulle labbra, quelle labbra che si modellarono sulla mie,
quasi
fossero fatte per essere incastrate alle sue.
Lui si girò e, sollevandosi sulle braccia, si stese accanto
a me, senza
smettere di guardarmi negli occhi.
Stesi entrambi su un fianco, prese ad accarezzarmi il profilo della
mandibola,
mentre io giocavo ancora con ciocche di capelli ribelli. Il mio cuore
scoppiava
d’amore.
Si avvicinò piano e mi baciò ancora. E piano, con
una tale dolcezza da apparire
irreale, mormorò sulla mia labbra: «Ho
trovato qualcuno per cui vale la pena sorridere.»
In fondo cosa siamo noi… se non lacrime
nella pioggia?
*
Per
evitare fraintendimenti. Gwen è la sorella di Jonah, mentre
Heath il fratello.
Grazie a tutti coloro che leggeranno.
A presto, Panda.