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Autore: NeverThink    05/12/2010    5 recensioni
Quando qualcosa nella tua vita cambia, quando ogni certezza ti viene sottratta, quando non hai più nulla per cui valga la pena svegliarsi al mattino, hai bisogno di aggrapparti a qualcosa, o a qualcuno per sopravvivere.
Da soli non si riesce ad andare avanti, da soli non si riesce a sovrastare quell'enorme peso che ti opprime il cuore.
Ora Jonah l'ha capito. Ellie è quella lacrima persa nella pioggia.
Sentii la gola gonfiarsi e gli occhi velarsi di mute lacrime. Nel lago dei suoi occhi, in quel libro aperto lessi disperazione, dolore, stanchezza, sofferenza, il desiderio di una vita tranquilla, l’ultimo stralcio di gioia, di speranza aggrapparsi ai miei occhi color del caramello.
(..)«Ho bisogno di te più che mai. Più del sole che mi illumina al mattino, dell’acqua e del cibo che mi tengono in vita… dell’aria che respiro. Io… ho bisogno di te.»
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Per te, Eri. Grazie, grazie di tutto.

 

 

Tears in rain

 

~You’ll find out you’re not alone 
And that you are someone to love
.~
Trova qualcuno che ti faccia dimenticare il tuo passato,
la tristezza,
trova qualcuno che ti cambi la vita,
che la renda migliore,
che sostituisca
e riempia il vuoto di chi se n'è andato.
Trova qualcuno per cui vale la pena sorridere.

 

 

La pioggia cadeva incessante, s’infrangeva contro i vetri delle finestra quella villetta, nella periferia di New Bern, che da un anno era diventata casa mia.
Era sera e, sotto il fascio di luce dei lampioni, potevo intravedere le miliardi di goccioline d’acqua che cadevano dal cielo scuro e plumbeo, le fronde degli alberi oscillare, mosse dal vento freddo.
Ero sola quel weekend. I miei genitori avevano deciso di visitare gli Outer Banks. In realtà, lo sapevo bene, quel viaggio era un tentativo da parte dei miei di salvare un matrimonio in crisi.
La prospettiva di passare due giorni da sola, non mi allettava affatto.
Poggiai la fronte sul vetro freddo e mi strinsi nel maglione, cercando calore in quella notte di Novembre.
Sulla palpebra chiusa dei miei occhi vidi un viso tanto familiare da causarmi una dolorosa fitta di nostalgia.
In quel weekend a New Bern, non c’era nemmeno Jonah.
Era strano ciò che mi aveva legata a lui in così pochi mesi, quel sentimento che mi aveva travolta come solo un uragano può fare e mi aveva trascinata in un modo in cui tutto, in sua presenza, era perfetto. Qualcosa mi spingeva verso lui e, anche se ora era lontano, potevo avvertire quel filo invisibile, che mi legava a lui, tendersi ma non spezzarsi. Potevo avvertire il suo dolore, il suo rammarico, la rabbia, la dolcezza, l’amore, l’odio. Ed avrei voluto poterlo aiutare, ma non potevo. Lui, non me lo aveva permesso. E’ una cosa che devo risolvere da solo, Ellie, mi aveva detto. Avevo annuito, incapace di emettere un solo suono. Io ero semplicemente la sua Luna.
Ed, ora, seduta sul davanzale della finestra, con la fronte sul vetro e gli occhi chiusi, non potei non chiedermi dove fosse, cosa provasse. Mi sentivo inutile, impotente e potevo avvertire il mio cuore urlare e piangere, esattamente come il suo aveva fatto e continuava a fare.
Un diciannovenne dovrebbe preoccuparsi della scuola, del diploma, di come chiedere ad una ragazza di accompagnarlo al ballo di fine anno… ma questo non valeva per Jonah. La sua vita era stata un susseguirsi di dolori ed imprevisti, ed avevo cominciato a comprendere il suo mondo mesi prima, quando lo conobbi durante l’ora di Spagnolo. Dopo, tutto cambiò. Involontariamente, inconsciamente, Jonah mi aveva legata a lui, incondizionatamente.
Aprii gli occhi e sospirando, con il cuore schiacciato dal senso d’impotenza, mi diressi in cucina per una tazza di tè.
La casa silenziosa non faceva che ricordarmi quanto sola ed inutile fossi, in quel momento.
Sentii lacrime amare bruciarmi gli occhi, premere prepotentemente per uscire, ma le ricaccia indietro, sedendomi sul divano e portandomi le braccia al petto. Poggiai il mento sulle ginocchia. Rimasi, lì, ferma ed immobile, fino a che la teiera per il tè non fischiò. Corsi a spegnerla, ma, in quel momento, il campanello suonò.
Corrugai la fronte, confusa, poiché non aspettavo nessuno.
Mi portai una ciocca di capelli color del cioccolato dietro un orecchio e, mordendomi il labbro inferiore, mi diressi in soggiorno. Afferrai la maniglia, ma quando spalancai la porta rimasi senza fiato. Un paio d’occhi color del cielo, limpidi come ghiaccio al sole, mi fissavano disperati. Le lunghe ciglia nere, sipari  di quegli oceani blu, erano imperlati di pioggia, mentre goccioline d’acqua cadevano lungo le ciocche ondulate che gli coprivano la fronte. Le labbra piene erano serrate in una linea retta.
Sentii la gola gonfiarsi e gli occhi velarsi di mute lacrime. Nel lago dei suoi occhi, in quel libro aperto lessi disperazione, dolore, stanchezza, sofferenza, il desiderio di una vita tranquilla, l’ultimo stralcio di gioia, di speranza aggrapparsi ai miei occhi color del caramello.
La testa prese a girarmi e solo in quel momento mi resi conto di trattenere ancora il respiro. Respirai e l’aria mi causò una fitta ai polmoni, mentre il petto tremò.
«Jonah…» mormorai con voce incrinata, mentre sentivo le lacrime premere prepotenti per uscire.
I suoi, arrossati per il pianto e la stanchezza, si velarono di lacrime e quella fu un’altra pugnalata al cuore.
Avvenne tutto in un attimo, così velocemente che non abbi il tempo di rispondere subito l’abbraccio. Le sue braccia furono intorno alla mia vita, strinsero al mio addome a sé, facendolo aderire totalmente al suo. Affondò il viso fra i miei capelli e sentii il suo petto, sussultare. Con le lacrime a rigarmi il viso circondai le sue spalle con le braccia e lo strinsi a me, tanto forte da credere di non poter più respirare. Lo strinsi a me, più che potevo, sperando avvertisse la mia presenza, davvero. Ero, lì, per lui. Ci sarei sempre stata. Devota ad un qualcosa di invisibile, un qualcosa che però mi legava a lui incondizionatamente, che potevo sentire sulla mia pelle e sulle labbra… l’amore.
Folle.
Rimanemmo in quella posizione per Dio sa quanto, prima che cominciassimo a tremare entrambi. Fuori pioveva e Jonah era bagnato.
Cercai di allontanarmi appena, ma lui non me lo permise. Rimasi immobile, fra le sue braccia.
«Jonah,» mormorai, «vieni. Entriamo.»
Lui non rispose subito, qualche secondo dopo annuì piano col capo e si allontanò. Vedere i suoi occhi gonfi per le lacrime mi causò una fitta in pieno petto.
«Okay.» mormorò con voce roca, sforzandosi di sorridere.
Premetti il palmo della mia mano sulla guancia e gli baciai il mento, alzandomi in punta di piedi.
«Vieni.» sussurrai prendendolo per mano e conducendolo dentro, richiudendo la porta alle sue spalle. «Mi stavo facendo del tè. Ti preparo una tazza.»
Tenendolo ancora per mano corsi in cucina, dove afferrai una tazza ed una bustina.
«Puoi lasciarmi la mano, Ellie.» disse.
Mi voltai, guardandolo con serietà. «Non ancora.»
Lui fece una smorfia, che probabilmente avrebbe dovuto essere un sorriso.
Le sue dita fredde erano strette dentro le mie. Le sentii piano riscaldarsi, o forse ero solo io che mi abituavo alla sua temperatura.
«Vado a prenderti dei vestiti asciutti, okay?» dissi alzando lo sguardo sul suo viso.
Lui annuì piano col capo. Poi, feci scivolare via la mano dalla sua e sentii la mia pelle piangere quel contatto.
Al piano di sopra recuperai una vecchia tuta di mio padre, che sicuramente gli sarebbe stata un po’ grande, nonostante la sua altezza e le ampie spalle. Presi un asciugamano pulito e corsi di sotto.
Lo trovai, seduto su una sedia, la tazza fra le grandi mani e lo sguardo fisso su un punto impreciso del pavimento. La giacca era poggiata sul tavolo.
«Mio padre ha… diversi chili in più. Potrebbe starti larga.» dissi avanzando verso lui.
Alzò il capo e mi sorrise rincuorato. «Grazie.» disse con voce bassa e roca.
I suoi occhi erano vacui, spenti, privi di quella vitalità che li caratterizzava.
«Ehi,» dissi avvicinandomi e prendendogli il viso fra le mani. «io sono qui. Sono qui, Jonah.» soffiai puntando gli occhi nei suoi. «Sono qui…»
Lui non rispose, si limitò a fissarmi con sguardo addolorato.
«Avanti.» dissi afferrandogli i lembi inferiori della maglia e tirandola verso l’alto, sfilandogliela. I muscoli allungati e delineati dell’addome tremarono, quasi impercettibilmente. Feci scorrere le mani sulla sue pelle. Le poggiai sul collo e le feci scendere delicatamente lungo le spalle e poi sull’addome. Lui chiuse gli occhi.
Afferrai felpa e gliela feci indossare. Poi scesi piano alla cintura dei pantaloni. Ma lui mi bloccò la mano.
Aprì piano gli occhi e si sfilò i jeans, indossando i pantaloni della tuta blu. Rimasi in piedi, di fronte a me. Poi presi l’asciugamano e glielo passai sui capelli, cercando di liberarli dall’acqua.
Non avevo idea di cosa fare. Avrei voluto che parlasse, che mi spiegasse tutto… ma non potevo costringerlo. Sapevo che, se ne avesse sentito il bisogno, se ne avesse avuto voglia, me ne avrebbe parlato.
Gli feci segno col capo di seguirmi, lo presi per mano e lo trascinai sul divano, dove mi accomodai accanto a lui. Tenevo la sua mano fra le mani, carezzandone il dorso, disegnando cerchi invisibili. I suoi occhi, vacui ed impenetrabili fissavano il vetro della finestra, la pioggia infrangersi contro esso. Avrei voluto guardarlo in pieno viso, ma non me lo permise. Rimasi a fissare il suo profilo, il naso dritto, la linea del mento e della mandibola, i capelli scuri che, ondulati, gli incorniciavano il viso.
«Jonah…» mormorai ancora, mentre il mio cuore piangeva col suo.
E poi, parlò, la sua voce era pari ad un sussurro perso nella tempesta.
«Non ce l’ho fatta, Ellie. Credevo sarebbe andato tutto okay… ma mi sbagliavo. Credevo di poter affrontare tutto. Io, mio padre e Gwen siamo scesi dall’auto. Lei ha solo tre anni, Ellie, non se ne rende conto, non capisce.», la sua voce vacillò, tremò. Gli strinsi la mano, prima che riprendesse a parlare. «Abbiamo varcato il cancelletto cigolante in metallo. L’ultima volta che ero stato lì… fu… fu al funerale.» si fermò, con voce rotta. Una lacrima spillò dall’occhio sinistro ed il mio cuore pianse. Poi si voltò, puntando i suoi occhi ghiaccio nei miei. «Non ci mettevo piede da tre anni. Davanti alla lapide della mamma e di Heath, ho capito che avevo sbagliato. Ti avevo detto che era una cosa che avrei risolto da solo… ma ti ho mentito Ellie. In quell’istante, mentre la pioggia sferzava violenta sul mio viso le uniche cose a cui riuscivo a pensare erano che odiavo con tutto me stesso il pazzo che quel giorno passò col rosso, prendendo l’auto della mamma  in pieno e che... non desideravo altro che avere te. Non posso superarla da solo, Ellie, non posso. Ho bisogno di te più che mai. Più del sole che mi illumina al mattino, dell’acqua e del cibo che mi tengono in vita… dell’aria che respiro. Io… ho bisogno di te.» soffiò con gli occhi velati di lacrime, che piano presero a scorrere sul suo viso.
Il mio petto si muoveva velocemente, tanto da causarmi fitte e sentii gli occhi bruciarmi, la gola gonfiarsi. Aprii la bocca per parlare, ma da essa non vi uscii nessun suono. E all’istante sentii l’irrefrenabile desiderio di stringerlo a me, di fondere il mio corpo al suo, legarmi a lui, abbracciarli le ossa, scaldargli il cuore col mio respiro.
Piano alzai una mano, avvicinandola al suo viso. Con le dita gli asciugai il viso dalle lacrime, gli passai i polpastrelli sotto gli occhi, poi presi il suo viso fra le mani e gli baciai le palpebre, rubando quelle perle d’acqua salata imprigionate fra le lunghe ciglia nere.
«Io sono qui, Jonah. Sono qui. Ci sarò sempre, okay? Le porte del mio cuore sono spalancate e non c’è nulla che potrebbe farmi cambiare idea. Non sei solo, non lo sei mai stato. Io sono comunque con te… io sono nel tuo cuore, Jonah.» soffiai guardandolo negli occhi e poggiandogli ma mano destra sul cuore. Non potei fermare le lacrime che presero a solcarmi il viso.
Lui sorride, flebilmente. «Cosa fai? Piangi?» chiese con dolcezza.
Scossi il capo e mi aggrappai alle sue spalle, stringendolo a me. Piano lui si mosse, costringendomi a stendermi sul divano. Mi adagiai sui cuscini, mentre lui, steso su di me, affondava il viso nel mio petto. Gli presi il capo fra le mani troppo piccole e cominciai ad accarezzargli i capelli color della pece.
Sotto il mio tocco, Jonah tremò.
Gli baciai ripetutamente il capo, mentre lui mi stringeva l’addome. Gli accarezzai le spalle, la schiena, lo tenni stretto a me per un tempo che mi parve infinito.
«Ellie…» mormorò.
«Ti amo, Jonah. Più di quanto tu creda possibile. Ti amo più dell’aria che respiro. Ti amo più della vita stessa.» gli sussurrai con dolcezza all’orecchio, carezzandogli una guancia con la punta delle dita.
«Ti amo, Ellie. Ti amo in un modo… che solo tu puoi comprendere.» rispose alzando il capo.
Annegai nel mare azzurro dei suoi occhi. Piegai la testa e lo baciai con delicatezza sulle labbra, quelle labbra che si modellarono sulla mie, quasi fossero fatte per essere incastrate alle sue.
Lui si girò e, sollevandosi sulle braccia, si stese accanto a me, senza smettere di guardarmi negli occhi.
Stesi entrambi su un fianco, prese ad accarezzarmi il profilo della mandibola, mentre io giocavo ancora con ciocche di capelli ribelli. Il mio cuore scoppiava d’amore.
Si avvicinò piano e mi baciò ancora. E piano, con una tale dolcezza da apparire irreale, mormorò sulla mia labbra: «Ho trovato qualcuno per cui vale la pena sorridere
In fondo cosa siamo noi… se non lacrime nella pioggia?

 

*

Per evitare fraintendimenti. Gwen è la sorella di Jonah, mentre Heath il fratello.
Grazie a tutti coloro che leggeranno.

A presto, Panda.

   
 
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