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Autore: Sasita    06/12/2010    8 recensioni
Questa è una falsa Chisbon. Lo premetto, ma è il massimo che mi posso permettere. Sono ferrea in certe cose! IO sono JISBON!
Quindi, se Tess sta con Kim un motivo c'è...
E non piacerà a molti...
Genere: Malinconico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kimball Cho, Patrick Jane, Teresa Lisbon | Coppie: Cho/Lisbon, Jane/Lisbon
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Viso di Pietra Cuore di Burro




-Guardami.- mi scosse forte, io tenevo ancora gli occhi fissi sul corpo esamine davanti a me –Guardami, Teresa!- mi urlò, strattonandomi ancora più forte.
Mi girai, guardai in viso l’uomo davanti a me. i miei occhi vuoti e spenti furono catturati da quelli neri dei mio sottoposto.
-Teresa, ti prego, non crollare!- mi gridò, ma la sua voce era lontana, opaca, spenta.
-Non c’è più.- sussurrai, sentendo le mie stesse parole provenire da lontano
-No, non c’è più. Ma ti prego sfogati, non fare così.-
Riportai lo sguardo vacuo sul corpo insanguinato ai miei piedi. Lo osservai. Non lo riconoscevo. Osservai poi l’uomo difronte a me, ma non lo riconobbi. Mi guardai le mani ma mi parvero di un estraneo. Spostai lo sguardo dietro le spalle dell’uomo dall’aspetto orientale davanti a me e non riuscii a capire chi fosse la ragazza dai capelli rossi che piangeva e l’uomo alto e nerboruto che le cingeva le spalle facendo cadere silenziose lacrime.
Anche l’orientale sembrava trattenere le lacrime a stento.
Ma io non capivo. Perché loro piangevano? Perché io non ricordavo niente? Perché sentivo un peso insormontabile al cuore guardando quel corpo a terra, senza capire chi fosse?
Volli sdraiarmi e dormire, cadere in un torpore di secoli, non svegliarmi mai più.
Mi sentii scuotere di nuovo, come un sacco, come una piuma. Come un coniglio strozzato. Ma tutto era lontano e vitreo, non avevo niente dentro, non avevo niente fuori.
Una maschera si era spezzata, un cuore era andato in frantumi, una vita era finita.
Stroncati così, senza avere un’ aspettativa futura, senza avere qualcosa da decidere prima di cadere, definitivamente, a terra.
Vuota, morta. Ero in piedi ma non c’era niente di me che potesse essere definito vivo.
Poi ebbi una scossa, come elettricità.
E tutto tornò vivido.
L’olfatto percepì l’odore del sangue e della paura.
L’udito sentì tutto il trambusto che avevo intorno: gente che urlava, gente che ordinava di tirare fuori la gente, di cercare sopravvissuti, gente che gridava istericamente piangendo.
Il tatto captò le mani di un uomo che mi stringevano e mi scuotevano, forti, possenti, sicure.
Il gusto sentì la saliva dolciastra e metallica, un sapore rugginoso e salato. Sangue, era la mia lingua, che mi ero quasi tranciata con i denti.
L’ultimo senso fu la vista. A quel punto gridai.
Gridai più forte di  tutti, e ognuno in quel palazzo si fermò ad ascoltare il mio lamento.
Era un grido disperato, un grido di angoscia, un grido lacerante che avrebbe spezzato anche i pavimenti del paradiso e i soffitti dell’inferno, mischiando i suoi abitanti e scatenando una guerra.
Era un grido di amore e un grido di odio. Un grido di rabbia e un grido di sfinimento.
Mi liberai dalla stretta dell’uomo che mi teneva, tirando un numero infinito di bestemmie.
Forse minacciai di tirare fuori la pistola.
Mi lasciò e tornò nelle righe, con gli altri.
No.
Non poteva essere vero.
No.
Non poteva essere successo a me.
No.
La vita non poteva essere tanto ingiusta.
No.
Il corpo dell’uomo su cui mi ero lanciata, a terra, non poteva essere di Patrick.
Tutto mi sarei aspettata, ma non vederlo morto così.
Me lo ero immaginata ucciso per mano di John il rosso, me lo ero visto fatto fuori da un killer preso per il culo una volta di troppo.
Ma così, d’improvviso, senza niente, senza spiraglio di salvezza, senza speranza terrena e divina di poterlo rivedere.
Soltanto perché aveva avuto la maledetta sfortuna di entrare in un supermercato di Sacramento, per mettere due briciole nel suo frigo, per ospitarmi come si deve, a casa sua.
Uno stupido supermercato che aveva avuto la maledetta sfiga di un gruppo di ladri e sequestratori entrati per fare piazza pulita ed usciti avendola fatta anche di persone.
Lui era lì, davanti a quelle scatole di biscotti, che sceglieva i miei preferiti.
E così, per una parola in più, era stato freddato.
E in quel momento lo capii, capii la forza infinita che lo aveva bruciato per anni, quella forza che gli aveva perforato l’anima e ammaccato il cuore. Quell’essenza di male, quel tumore, quel tarlo che perseguitava Jane: la vendetta.
Volli vedere morire trucidati quelle teste di cazzo schifose bastarde che avevano ucciso l’uomo che amavo più di me stessa.
I miei occhi bruciarono. Alzai lo sguardo, dopo aver baciato le labbra fredde del mio biondo amante dal destino avverso, dopo averlo abbracciato e stretto a me, dopo aver gridato “non lasciarmi”.
Ma lui se ne era già andato ancora prima che io sapessi cosa fosse successo, ancora prima di rendermi conto che non mi aveva chiamata, ancora prima che arrivasse la notizia del sequestro del locale.
Guardai Kim, guardai Grace, guardai Wayne.
-Chiamate un prete, trovate una barella, e chiamate il cimitero dove sono sepolte Angela e Charlotte.- lo dissi tra i denti, sibilando.
Li vidi esitare.
-CHE CAZZO STATE ASPETTANDO, MUOVETE IL CULO!-
Wayne e Grace non se lo fecero ripetere due volte. Ma Kim rimase lì, sapeva che desideravo altro.
-Quando li trovi, quando li catturi, non portarli in centrale. Uccidili. Uccidili tutti e tre. Sparagli a freddo.-
-Teresa...-
-Anzi, no, non lo fare. Quando li cattureremo ci sarò anche io. Ci penserò io.-
-Capo...-
-Tu non mi giudichi mai, Cho. Di questo te ne sono grata. Sono una poliziotta. Quella è una gang, so come devo fare. Me ne fotto dell’etica e di quelle puttanate magistrali che ci insegnano quando entriamo in polizia o nell’arma. Non c’è giustizia al mondo. Non c’è giustizia da nessuna parte. Quindi fa quello che ti ho detto.-
 
 
 
 
Mi svegliai di colpo. Mi guardai intorno e toccai le coperte al mio fianco.
-Ancora quel sogno.- constatò l’uomo sdraiato accanto a me nel letto.
-Lo sai che non è un sogno, Kim, è un ricordo.- lo guardai, i suoi occhi scuri brillavano nella notte e la luna segnava le venature dei muscoli sulle sue braccia, era a torso nudo.
-Lo so. Tormenta anche me.- avevo abbassato lo sguardo, ma lo rialzai di scatto, guardandolo stupita, mi sedetti poggiando la schiena al cuscino e stringendo le braccia attorno alle ginocchia.
-Sai che è diverso...- mormoro, quasi angosciata di avergli procurato del dolore.
-Cosa? Cosa è diverso, Tess?- lo guardai di sbieco, lui non era agitato, non era triste, non era ferito.
-È diverso il mio rapporto con te da come era il mio rapporto con lui.- dissi, mesta.
-Mi ami?- mi chiese, con un mezzo sorriso sulle labbra. Il suo tono di voce era sempre pacato e monocorde, ovvio, ma ormai avevo capito il suo modo di fare, di comportarsi. Mi ero abituata a leggere tra le righe.
-Sì, Kim, è ovvio che ti amo.- dissi, sinceramente
-Lo amavi?- abbassai nuovamente lo sguardo
-Molto.- mi posò una mano sulla guancia e mi tolse una lacrima scesa a mia insaputa.
Si mise a sedere e mi abbracciò.
-Io sono tuo marito. Lui era il tuo grande amore.-
Lo spinsi via malamente, alzandomi di scatto dal letto.
Iniziai a camminare su e giù per la stanza, tirandomi indietro i capelli.
-Non è nemmeno questo... o forse lo è... io non lo so. Non l’ho potuto sapere. Non ho potuto sapere niente. So solo che io ero morta dentro e tu mi hai guarita, so solo che un uomo è morto, quattro anni fa, e mi perseguita ancora la sua immagine, il suo sorriso i suoi occhi. Io ti amo, Kim, più di quanto potessi mai immaginare di amare, ma è diverso... con lui era...-
-Fuoco e fiamme. Fuochi d’artificio. Dolcezza e passione.-
Lo guardai.
-Sì.-
-Con me è sicurezza e sincerità. È pacatezza e libertà. E routine e tranquillità. È dolcezza. Sono passionale, ma in modo diverso. Il nostro è un rapporto totalmente differente, non devi temere di ferirmi.- il suo tono era sempre quello, ma sentivo la sincerità di quelle parole. La sentivo fino alle ossa, percorrermi la schiena e inebriarmi la mente.
-E allora perché mi perseguita?- chiesi, tornando nel letto accanto a lui
-Tu lo ami.- disse, serio, ma sempre con quella calma infusa.
-Amo anche te.- dissi e lo baciai lieve sulle labbra
-Ripeto: diversamente.- disse e mi strinse a se –Non devi dimostrarmelo.-
-Lui è morto.- dissi
-Tu sei viva, sei qui. Quello che senti è dovuto a ciò che hai provato, alle emozioni forti che hai subito.-
-Credo che il mio subconscio non abbia ancora capito che Lui è morto.- dissi, liberandomi.
-Lui ti ha promesso che sarebbe sempre stato al tuo fianco, che non ti avrebbe mai abbandonata. Che sarebbe sempre esistito e mai sarebbe uscito dalla tua vita se non per tua richiesta.-
 
 
-Io sarò sempre qui, sarò sempre accanto a te. Non ti abbandonerò mai. A meno che tu non me lo chieda.-
-Quindi mai.-
-Mai.-
-è per sempre?-
-Sempre sempre.-
-Giura!-
-Non ti lascerei neppure morto!
 
 
-Forse hai ragione.- dissi –comunque adesso ci sei tu. Tu che sei mio marito.-
Mi accarezzò e mi baciò con passione.
-Io sono Kimball Cho, il tuo marito/confessionale/migliore amico orientale, nonché sottoposto. Tu sei Teresa Lisbon, mia moglie/matriarca americana, nonché mia capa e pure in testa a tutto il distretto del CBI di Sacramento.-
-Mi hai sempre amata?- chiesi
-No. Mai prima di quando abbiamo iniziato a frequentarci. Non si può definire amore a prima vista. È stato un amore maturo.-
-Magari sarebbe sbocciato anche se lui ci fosse stato ancora...- osservai
-Credo di sì.-
Gli sorrisi e lo abbracciai, sotto le coperte.
-Mi manca.- dissi, mentre stavo per riappisolarmi.
-Manca a tutti, Tessie.- disse
-Ti amo.- dissi, già dormiente.
-Lo so.- disse, e lo sentii distendersi in un sorriso.







E' triste e deprimente, ma non posso sempre scrivere cose totalmente a lieto fine!!! xD
La prossima sarà più felice, lo giuro!!!

   
 
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