Ore 7.28 PM. Sono già pronta. Inserisco alcune forcine tra i capelli, che ho raccolto in un morbido chignon; Patrick ha detto che sarebbe passato per le otto, sono decisamente in anticipo.
Mi sistemo il vestito nero, senza spalline, la gonna appena sotto al ginocchio, è il preferito di Patrick… in realtà non me l’ha mai detto direttamente ma in quasi nove mesi di frequentazione credo di aver imparato a capire i suoi gusti… i miei pensieri vengono interrotte dalla suoneria del cellulare, il nome Patrick lampeggia sullo schermo
- Ciao amore!-
-Hey ciao… ascolta tesoro c’è un problema…la Hightower mi ha incastrato qui al CBI, non credo ci vorrà molto, perché non mi raggiungi poi andiamo direttamente al ristorante, che ne dici?
Mhm… Grace è ancora lì?
-Grace? Sì è in ufficio a compilare scartoffie, ma che c’entra Grace?
-Allora vengo e mentre ti aspetto mi intrattengo a fare quattro chiacchiere con lei… sai, cose da donne…
Potevo percepire il sorriso di Patrick dall’altro capo del telefono
-Perfetto allora ci vediamo qui, a dopo tesoro!
Prendo la mia macchina e in pochi minuti sono da Patrick.
La sede del CBI mi ha sempre dato l’idea di un edificio austero, grigio e imponente, un labirinto in cui è difficile districarsi e infatti puntualmente mi rendo conto di essermi persa!
Fortunatamente sento una voce familiare alle mie spalle:
- Ehi Kristina! Kristina! Dove vai da quella parte? I nostri uffici sono al piano di sopra!
- Grace! Ciao! Meno male che sei qui! Mi ero persa di nuovo!
Il mio mal di testa non accenna a diminuire. Colpa di tutte quelle ore al computer.
Per fortuna ho finito di compilare quel maledetto rapporto sul caso Longman, e posso andarmene a casa, sognando il divano!
Jane è ancora dalla Hightower, questa volta non se la risparmierà la lavata di capo, d'altronde era nell’aria; per quanto quella donna lo stimi, irrompere in casa del colpevole senza autorizzazione era davvero troppo; fortunatamente lo ha fatto fuori servizio, io non c’entro proprio nulla!
Saluto gli altri e mi dirigo velocemente verso l’ascensore, le porte si aprono e mi ritrovo faccia a faccia con Van Pelt e Kristina Frye.
“Che seccatura! Che diavolo ci fa qui? Sarà venuta a prendere il suo amato Jane! Quanto non sopporto questa donna, mi tocca pure fare i convenevoli adesso…” questo è quello che la mia mente elabora.
Sperando di non aver lasciato trasparire il mio profondo disprezzo per la “sensitiva” sfodero il più smagliante dei miei sorrisi e la saluto:
- Kristina, ciao! Come stai?
- Ciao Teresa! Benissimo grazie, aspetto Jane, mi porta fuori a cena in quel fantastico ristorante italiano sulla costa…oh eccolo laggiù… Amore sono qui!
Cosa ci troverà Jane in questa donna… cos’ha lei più di me? Oddio sto ragionando da pazza gelosa. Ma io non sono gelosa di Jane, non sopporto che frequenti la Frye, tutto qui.
Jane ci raggiunge e i due si scambiano un fugace bacio davanti a me e Van Pelt.
Che maleducati. Decido che ne ho abbastanza, è ora di tagliare la corda.
- Beh ragazzi, vi saluto, sono molto stanca vado a riposarmi un po’; Jane, Van Pelt ci vediamo domani. A presto Kristina, è stato un piacere vederti.
Mentre cerco di mettere a tacere il mio inconscio e mi avvio verso la porta dell’ascensore sento qualcuno afferrarmi per un braccio. Adesso cosa vuole quella dannata sensitiva truffatrice?
- Teresa aspetta, credo di avere un messaggio per te.
- Kristina tesoro, lascia stare, non mi sembra il caso di importunare Lisbon con i messaggi dall’aldilà.
- Oh, nessun problema, io non credo a queste cose, ma se senti la necessità di comunicarmi qualcosa fai pure.
- Grazie Teresa. Ecco… sento la voce di tua madre, il segnale non è chiaro… ma capisco qualcosa come “perdono”.Ecco sì, ora è chiaro: tua madre vorrebbe che tu perdonassi tuo padre, in fondo era un uomo buono.
Ma io sono Teresa Lisbon, la donna che non lascerà mai che le sue emozioni prendano il sopravvento e così tutto quello che riesco a dire, tutto quello che la mia mente è in grado di partorire è – buona serata- la voce è rauca, rotta dal pianto che tento di soffocare.
Salgo in ascensore senza lasciare il tempo di replicare a nessuno dei tre, senza voltarmi più verso di loro. Appena le porte si chiudono libero le lacrime che scendono senza sosta.
Mentre guido verso casa singhiozzando, un particolare si stampa nella mia mente: nell’andarmene con la coda dell’occhio mi sembra di aver colto lo sguardo triste del mio consulente. Uno sguardo che sembrava voler chiedere perdono, e allo stesso tempo uno sguardo colmo di dispiacere e comprensivo, di chi sa cosa vuol dire rievocare un passato tanto doloroso da toglierti il respiro.
Probabilmente è solo uno scherzo della mia mente troppo sconvolta.
Entro in casa e mi lascio cadere sul divano, la testa che mi esplode.