Vaniglia
Guardami,
l’effetto che mi fai è una paralisi immediata.
Non riesco a muovermi, rigida come una statua di ghiaccio che piano si
scioglie.
Non sono altro che ghiaccio fuso e fondo per la tua vicinanza.
Il tuo
corpo mi riscalda, sono fredda a contatto con la tua mano bollente. Sei
così
caldo. Caldissimo.
E mi sciolgo.
Sentimi,
non ascoltare altro all’infuori di me. Escludi
tutto, lascia perdere il resto e focalizzati su di me.
Perché non senti questo
rombo incessante nella testa?
Mi sento morire, scoppiare e rinascere.
Ascolta.
Sto impazzendo, fai qualcosa
subito e metti fine a questo supplizio.
Le emozioni mi stanno
sommergendo, non
respiro più… ho bisogno della mia dose
d’aria.
Assaggiami, basta giocare!
Voltati un’altra, un’unica volta
e baciami...
**
Un’aula
gremita di studenti, piena di file e noi siamo
qua nel nostro centro. I nostri vicini di sedia ci osservano curiosi, stanno aspettando la
nostra prossima mossa.
Le nostre dita sono intrecciate sotto il tavolino che separa la fila
davanti
alla nostra, il professore non interrompe la sua spiegazione e noi non
ascoltiamo.
Fissiamo davanti a noi, bloccati da quegli sguardi impiccioni, basta!
Mi volto
ad osservare il tuo profilo. Hai un accenno di barba sulle guance, due
rughette
intorno all’occhio sinistro e i capelli ti ricadono scomposti
sulla forte. Sei
bellissimo.
“Che
c’è?” lo dici come se nulla fosse,
girandoti a tua
volta verso di me. Siamo così vicini, due mosse e potrei
sfiorarti le labbra.
Mi
osservi, vuoi una risposta.
“Beccata…”
ti sorrido per sviare e mi allontano un po’,
lasciandomi scivolare sulla sedia.
Sbuffo.
“Dai…”
mi fai la faccia da cucciolotto “..a che pensi?
Dimmelo.” Parti con una domanda e termini con un ordine, ma
non so cosa dire.
Mi sento una totale imbranata, vorrei essere diretta ma allo stesso
tempo lo
trovo inutile. Siamo in una situazione così strana, intorno
a noi l’attenzione
è concentrata sulla lezione e solo pochi vicini ci
osservano. Da quando è
iniziata la lezione ci stiamo tenendo per mano, sotto banco
perché io ho
freddo…ma ormai sono calda. Il tuo compito è
finito.
Gli amici non si tengono per
mano, non uomo e donna. Non per così tanto tempo.
“Ti
da fastidio tenermi per mano?” sto osando
“…riesci a
prendere appunti?!” Mi guardi stranulato, poi abbassi lo
sguardo sulle nostre
mani.
“Mh,
probabilmente è un problema per te.” Mi sorride
sornione “Non ho bisogno di scrivere con la sinistra, ma tu
sei destra o
sbaglio?”
Fessa!
Datemi una fossa e mi ci butterò con gioia. Sento
salire alle guance uno strano formicolio, dannazione..ci mancavano solo
le
guance rosse!
“Ehm..”
Non aggiungo altro prima di nascondermi sulla tua
spalla. Ti sto toccando è vero, ma solo per nascondermi!
Che
figuraccia, tu ridi ed io mi sento una completa
rimbambita. Ma dove ho la testa?! Ahh, sospiro leggermente.
“Non
temere…” mi bisbigli nell’orecchio
“ se mi dava
fastidio, stai sicura, te l’avrei detto.”
***
“Fede,
la smetti!” lo dico seria ma ti guardo tranquilla.
Come potrei mai non esserlo? Siamo rimasti solo noi in
quest’aula.
La lezione è
finita, il professore se n’è andato, i nostri
compagni anche e gli unici
rimasti siamo io e te.
Mi piaci, mi piaci, mi piaci, mi piaci!!!
Con te
resterei ovunque, continuiamo pure a
traccheggiare con libri e fogli da mettere in
“ordine”… l’importante
è stare insieme.
“Che
ho fatto??” sbatti le ciglia velocemente, quelle
ciglia che contornano i tuoi magnifici occhi chiari. Sembri un
angioletto,
sembri!
Un ragazzotto biondo con gli occhioni azzurri, un diavoletto
travestito
da angelo sei!
“Mi
piace annusarti…che male c’è? Sai di
buono.”
Arrossisco furiosamente e sono certa che se aprissi
bocca lo farei solo
per iniziare a balbettare parole senza senso, in tal caso meglio
limitarsi al
silenzio.
Mi
alzo, avvicinandomi alla finestra. Fuori è già
scuro
il cielo, colpa di un imminente temporale primaverile.
Sospiro. Amo la
pioggia,
quella che scende
fitta e a goccioloni.
Improvvisamente faccio ruotare la mia testa veloce, vedi un lampo
passare nei
miei occhi.
Oh, si.
Ora si che ti devi preoccupare.
“Vieni
con me..” lo dico seria mentre ti sto già
trascinando via per la manica.
Via, inizio a correre e tu mi strattoni
un
attimo confuso.
“Adesso
che ti prende?”
Ti
guardo ancora e ancora e ancora, poi decido cosa
dirti. “Zitto e seguimi!” Un sorrisino malizioso mi
si dipinge sulla labbra e
riprendiamo la corsa lungo le scale, faccio scivolare l’altra
mano sul
corrimano per avere un appiglio in caso di caduta improvvisa. Non
è buono
correre per le scale in discesa, il rischio ruzzoloni è
sempre in agguato. Soprattutto
per me, perché so che tu sei un tipo
atletico.
Sorrido, pensando a te mentre giochi a tennis.
Chissà come sei
carino tutto sudato dopo le partite.
Ok, basta sbavare.
Siamo
arrivati.
****
“Stai
scherzando vero?”
“Affatto.”
Sorrido della sua espressione contrariata, che
sarà mai un po’ d’acqua.
Cosa diceva
Mogol? ‘Non si muore per amore’; quindi,
figuriamoci per un po’ di pioggia!
“Ci
prenderemo qualcosa, non vedi quanta ne viene? Manca
poco ci serve una
barca!!” pensa di
essere convincete, ma è tutto fiato sprecato.
Ormai ho
deciso!
“Dai
Fedeee…” mi piazzo sotto il suo viso, non
è molto
più alto di me ma devo indubbiamente alzare la testa per
guardarlo negli occhi
“…ti prego, ti prego, ti prego.” Faccio
gli occhioni dolci, quelli stile
cartone da cerbiatto indifeso con l’occhio luccicante.
Non
può resistere allo
sguardo “bambi”, è troppo dolce!
“Sei
tutta matta te..” Sorrido felicissima, è fatta!
Apro
la porta vetro, situata all’interno della struttura,
che ci immette in un piccolo cortile adibito per prendere aria o, in
realtà,
per tutti coloro che non possono proprio fare a meno della sigaretta al
cambio
d’ora. Ci sono quattro panche di cemento a formare un
quadrilatero, al momento
noi siamo ancora al riparo sotto un piccolo cornicione. Stringo forte
la mano
in quella di Federico e lo porto verso una delle panche.
Mi
sento subito scorrere dei leggeri brividi lungo tutto
il corpo, il cambio di temperatura si sente. La pioggia è
fredda, la prendo
come un assaggio delle future docce
gelate che dovrò fare questa estate per sopportare il caldo
intenso.
Lentamente
il mio corpo si sta abituando, rilassando
impercettibilmente i muscoli delle braccia, della schiena.
Alzo il viso
verso
il cielo, così da poterlo bagnare d’acqua piovana.
Mi sento bene, ma so
di essere osservata.
Non voglio rompere
questo momento, preferisco non parlare.
Percepisco distintamente il
calore
emanato da Federico, la sua mano ancora nella mia e il suo respiro
regolare,
anche lui si sta rilassando.
Mi scappa una leggere risata.
“La
matta aveva
ragione…” socchiudo gli occhi, per evitare il
fastidio delle goccioline, e lo
scruto.
I suoi capelli sono zuppi e tutti appiccicati alla fronte, le
labbra
leggermente aperte segno che sta sicuramente per ribattere qualcosa.
“Non
ho mai fatto una cosa del genere, tu non sei
normale. Lo sai, vero?”
Rimango un attimo a cercare qualche
segno che possa
dirmi se prenderla a male, ma il suo viso è impassibile.
Noto solo della pelle
d’oca formasi sul suo collo e mi avvicino.
“Hai
freddo?”
Non rispondo alla sua
domanda, limitandomi a farne una a mia volta. Lui annuisce con la
testa, subito
dopo scrolla un po’ le spalle.
Muovo
qualche altro passo piazzandomi di fronte a lui,
provo a lasciare la sua mano ma sento che non demorde, ormai
l’ha imprigionata.
Lascio perdere e faccio quello che ho sempre voluto fare da qualche
tempo a
questa parte: mi spalmo addosso a lui, facendo aderire perfettamente
ogni parte
del mio corpo; poi gli circondo la vita col braccio libero.
Restiamo
per un lasso di tempo che non so definire così,
fermi e senza fiatare.
Ci stringiamo a vicenda senza osare nulla
più di un
abbraccio; la mia testa è appoggiata all’altezza
del suo cuore.
Mi
lascia la mano, piano, come volesse evitare chissà
quale trauma; la mano che ha “abbandonato” la mia
si posa sulla spalla
avvolgendomi tutta, nello stesso
momento affonda la testa tra il collo e la spalla e lo sento inspirare
a fondo.
Mille brividi mi invadono e mi sento tremare leggermente, trattengo il
respiro
e aspetto.
L’acqua
continua a scendere forte e noi iniziamo ad
inzupparci per bene, come due biscotti
nell’alchermes.
Mi sembra di essere
rinchiusa in una bolla, ho solo paura che questa possa scoppiare da un
momento
altro perché sento che sta per succedere qualcosa.
Non mi
muovo, lui inspira
ancora il mio odore e poi mi scosta i capelli, con non poca fatica
visto che
questi si sono appiccicati al collo.
Mi sento male, in senso buono; poi mi
ricordo
di respirare e lascio sfuggire un gemito dalla mia bocca...
causa deficit
d’aria.
“Il
tuo profumo mi stordisce..”
Il cuore martella furioso
per queste parole inaspettate, sento il suo fiato caldo sul collo.
Mentre mi
mordo le
labbra, lui poggia le sue alla base della clavicola e inizia un lento
viaggio
verso l’alto.
Il mio cervello è in tilt, ma lui continua la sua
esplorazione senza esitazioni. Su, sempre più su, lambisce
ogni centimetro di
pelle scoperta in maniera calma, decisa; infine si ferma sotto
l’orecchio e
per completare mi fa sentire i suoi canini accarezzarmi senza mordere.
Dalle
labbra mi scappa un leggero gridolino sorpreso.
Lo sento allontanarsi
ed è in
quel preciso momento che il mio cervello si scollega del tutto dal corpo.
Lo
bacio.
Nello
stesso istante in cui le nostre lingue si trovano,
realizzo seriamente di star baciando per la gioia dei miei ormoni
Federico.
Non riesco a credere ma l’ho baciato io, ma cosa
dico..lo sto
baciando ora!
Le sue labbra sono così morbide e piene, la
sua lingua è lava a
contatto con la mia che gioca a rincorrerlo; siamo quasi senza fiato ma
prima
di staccarci oso ancora e gli mordicchio il labbro inferiore, lo sento
mugolare
piano.
Abbiamo
il fiatone e lo guardo sconvolta.
Stento a
crederci, mi sento piena di forze e l’endorfine nel cervello
stanno facendo
festa a tutta randa.
Lui mi sorride e mi lascia un bacino sul naso.
Avvampo.
“Sai
di vaniglia…”