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Autore: Mo Caffrey    08/12/2010    9 recensioni
Le mani di Gwen mi accarezzano i capelli, scendono sulle mie spalle e poi si posano ai lati del mio collo, leggere come le ali di una farfalla. Mi scosto di qualche centimetro, inspirando il profumo intossicante della sua pelle. Dovrei prometterle che non succederà mai più, che mi farò da parte, che se vorrà lascerò Camelot, ma ancora una volta non sono in grado di dire qualcosa. Non stato capace di prometterle di tornare e ora non sono capace di prometterle di lasciarla a lui.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gwen, Lancillotto, Principe Artù
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Terza stagione
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Ciaooooo

Ciaooooo!

Dopo una lunga pausa finalmente sono tornata a scrivere! Lo so… avrei potuto anche farne a meno ^_= ma non potevo non scrivere una storia sul ritorno di Lancelot!

Finalmente! Hanno dovuto farci aspettare l’ultima puntata per veder tornare Lancelot! Speravo che lui e Gwen scappassero via insieme, ma invece niente ç_ç

Però ho scritto questa breve storia ambientata subito dopo la fine dell’ultima puntata della terza stagione, quindi direi che è SPOILER per il finale.

Spero che vi piaccia anche se molti odiano Gwen!

Kiss kiss

 

Ah dimenticavo! E’ dedicata alla mia sorellona!

 

 

 

L’ombra di Lancelot

 

Aiuto Arthur a far distendere il re sul suo letto. Ha il viso spaventato e gli occhi stralunati. La sua mano si chiude attorno al mio braccio per trattenermi, ma la sua non è una presa forte. In questo momento sembra soltanto l’ombra del sovrano inflessibile che avevo visto quando ero giunto qui per la prima volta.

“Chi sei?” mi chiede, tornando lucido per un attimo. E’ sicuro che io non abbia mai portato i colori di Camelot prima d’ora.

“Un vostro cavaliere, sire” dico, prendendogli la mano con gentilezza e spostandola da sopra la mia armatura. Arthur si inginocchia accanto al letto, sostituendo la mia mano con la sua. Fingo di non notare i segni delle catene lasciati attorno ai polsi del re, mentre mi allontano silenziosamente dal baldacchino, lasciando padre e figlio da soli.

Soltanto quando richiudo la porta, mi permetto di abbandonarmi a un lungo sospiro.

E’ stata una giornata dura per tutti. Piego le labbra in un piccolo sorriso quando mi rendo conto che non so nemmeno dove abiterò. Magari c’è un’ala del castello riservata ai cavalieri.

Chino lo sguardo sulla cotta di maglia che indosso, toccandola con le dita ricoperte dai guanti. Se non ne sentissi la consistenza sul torace e sotto ai polpastrelli, dubiterei della mia sanità mentale.

Non ho mai conosciuto mio padre, un mercenario di ventura che ha stuprato e poi abbandonato mia madre. Non ho nemmeno un’oncia di sangue nobile nelle vene, eppure ora sono un cavaliere.

Mi passo una mano sul viso stanco, decidendomi finalmente a muovermi. Dico a due guardie di non abbandonare la porta delle stanze del re per nessun motivo e queste mi rispondono all’unisono con un cenno affermativo del capo.

Non si chiedono chi io sia o se abbia il diritto di indossare quest’armatura. Il solo fatto di averla addosso mi rende un cavaliere.

Ho giurato di servire il principe Arthur. No, non suo padre, benché poco fa io abbia detto di essere un suo cavaliere. Non sguainerei neppure la spada per Re Uther, ma Arthur è diverso.

E’ leale ed è mosso dal desiderio di migliorare le cose. Morirei per lui.

Mi fermo in cima alle scale, guardando Gwen salire con calma i gradini portando delle lenzuola pulite. I riccioli scuri le accarezzano le guance. E’ stanca, lo capisco da come le sue spalle sono leggermente incurvate, dal modo in cui continua a mordicchiarsi il labbro inferiore mentre il suo sguardo non abbandona la porzione di pavimento davanti ai suoi piedi.

E’ stanca, la mia Gwen. Una stilettata mi attraversa il petto, mozzandomi il respiro in gola.
No, non è la mia Gwen.

E’ la Gwen di Arthur. La sua promessa, la futura regina di Camelot.

Il ricordo dei loro baci mi stringe il cuore in una morsa così ferrea che ho paura che stia per scoppiare.

Cerco di non far trasparire nessuna emozione dal mio viso, mentre lei solleva finalmente gli occhi e mi vede.

Si irrigidisce, raddrizzando un po’ la schiena e riducendo le labbra a una linea sottile. Rimaniamo a guardarci per quella che sembra essere un’eternità. Dovrei abbozzare un inchino con il capo e ritirarmi, lasciandola andare da Arthur, ma non posso. Le mie gambe sono come inchiodate al pavimento di pietra, completamente insensibili al richiamo della mia volontà.

“Devo portare queste ad Arthur” dice, scuotendo leggermente la testa. Non posso fare a meno di amare il modo in cui i riccioli scuri ondeggiano a ogni suo movimento.

L’impulso di affondare le dita tra i suoi capelli mi fa bruciare la pelle, così intensamente che sono costretto a chiudere le mani a pugno per non cedere al mio istinto.

Allontano il mio sguardo dal suo, indirizzandolo su un punto impreciso. Sarà sempre così tra di noi?

Una menzogna che interpretiamo per cercare di ingannare noi stessi.

Sapevo che non mi avresti aspettato, sapevo che prima o poi avresti donato il tuo cuore ad un altro, che ti saresti sposata e avresti avuto tanti bambini. Sarei stato uno stupido a pensare che tu mi amassi ancora dopo tutto questo tempo, che non mi avessi dimenticato.

Chiudo gli occhi, sentendomi il suo sguardo addosso. Io non l’ho fatto. Non ho smesso di amarla, non ho smesso di pensare a lei ogni singolo giorno della mia vita.

“Faresti meglio ad andare” dico alla fine. Lui la sta aspettando.

Arthur la ama, vuole farne la sua regina. Io non sono nessuno, non ho alcun diritto di mettermi tra loro due, di incasinare di nuovo le cose.

Osservo il suo profilo, mentre mi passa accanto. I suoi occhi sono velati di lacrime e il profumo di vaniglia dei suoi capelli mi colpisce come un pugno.

Il mio cervello smette di funzionare mentre l’afferro per un braccio e la tiro verso di me, facendole emette un piccolo lamento di sorpresa. Le lenzuola cadono a terra dimenticate, mentre unisco le labbra alle sue senza chiedere il permesso di farlo.
Ma devo sapere. Devo sapere se davvero lei gli appartiene, se davvero lei non è più mia.
La sento rispondere al bacio con disperazione. Potrebbe sorprenderci qualcuno, forse lo stesso Arthur ma non mi importa. In questo momento non mi importerebbe nemmeno se un intero esercito ci stesse per travolgere, lanciato al galoppo.

Gwen si aggrappa alle mie spalle e mi bacia con un’intensità che mi strappa via il respiro.

Affondo le dita tra i suoi capelli, muovendo le labbra sulle sue e stringendola a me. La sento fremere, mentre faccio scorrere le mani lungo la sua schiena, fino ai suoi fianchi e poi di nuovo su in modo da poterle accarezzare i capelli. Sono setosi e soffici proprio come mi ricordavo e le sue labbra sono dolci e invitanti. Le sfioro piano la bocca con la mia, trattenendola come se non volessi più lasciarla andare.

La guardo per qualche istante e le leggo negli occhi che mi ama ancora.
Mi ama e mi desidera con la stessa intensità con cui io desidero lei.

“Sono promessa a un altro” sussurra, accarezzandomi la nuca con le dita.

Si è promessa ad Arthur, gli ha dato anima e cuore e io non ho più alcun diritto su di lei. Non le ho mai promesso niente, non le ho mai detto che sarei tornato, non le ho mai detto di aspettarmi.

La mia ragione sa che lei ha fatto quello che era semplicemente prevedibile. Perché avrebbe dovuto aspettare qualcuno che non ha mai detto di voler o poter tornare?

Lei fa per liberarsi dal mio abbraccio, ma le mie mani la trattengono contro la mia volontà.

Stupido cuore che non capisce quello che la ragione cerca disperatamente di spiegargli.
L’attiro di nuovo a me e premo le labbra sulle sue. La bacio con una disperazione che sembra annientarmi, perché so che questo sarà la nostra ultima possibilità di stare insieme.
Le mani di Gwen mi accarezzano i capelli, scendono sulle mie spalle e poi si posano ai lati del mio collo, leggere come le ali di una farfalla.

Mi scosto di qualche centimetro, inspirando il profumo intossicante della sua pelle. Dovrei prometterle che non succederà mai più, che mi farò da parte, che se vorrà lascerò Camelot, ma ancora una volta non sono in grado di dire qualcosa.

Non stato capace di prometterle di tornare e ora non sono capace di prometterle di lasciarla a lui.

“Gwen!”

La voce di Arthur, proveniente da qualche parte nel corridoio,  ci fa sobbalzare. Ci allontaniamo velocemente, prima che ci veda, e io mi affretto a chinarmi per raccogliere le lenzuola cadute sul pavimento, mentre lei si asciuga fuggevolmente gli occhi con i palmi delle mani.

“Gwen” ripete Arthur, avvicinandosi a lei preoccupato. “Che cosa succede?”

Passano soltanto pochi secondi prima che registri anche la mia presenza.

“Niente, sono soltanto stanca” risponde lei, senza incrociare il mio sguardo. “Come sta tuo padre?” gli chiede, posandogli una mano sul braccio in un gesto familiare.

“Si riprenderà” risponde Arthur automaticamente, tenendo il suo sguardo su di me.

Lui sa. Può sentire la mia ombra su di lei, sul suo cuore, sul loro rapporto. Per un istante la mano di Arthur si sposta sulla spada.

Rimango fermo, mentre le sue dita indugiano sull’elsa. Se la estrarrà, dovrò fare lo stesso e mi lascerò uccidere da lui in duello. Gli ho consacrato la mia vita soltanto poche ore fa e l’ho già tradito.

“Arthur” mormora Gwen, stringendogli maggiormente il braccio.

Arthur deglutisce a vuoto, sforzandosi di rilassare i lineamenti del viso. Le sue dita si allontanano dalla spada per posarsi sulla spalla di Gwen.

“Gli serve dell’acqua fresca” dice, spingendola gentilmente a seguirlo verso la camera di Uther.

Nessuno dei due si volta verso di me quando mi superano, nessuno dei due pronuncia una sola parola ma l’ombra del mio amore li segue, impressa a fuoco nel cuore di Gwen e nel tenue ricordo dei miei baci.

 

   
 
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