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Autore: Aya Lawliet ___backupFGI    08/12/2010    2 recensioni
«Quel regalo è servito a qualcosa, alla fine.» (...)
In dieci anni, il suo respiro sul cuore non l’aveva mai abbandonato.

{Gil/Ada ♥ accenni Gil/Oz}
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Ada Vessalius, Gilbert Nightray
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Le cose che il tempo non cambia ~

prompt: #035, snowdrop

 

 

 

{ one day }

 

«Non m’importa se non posso entrare, lui è amico mio! Gil

Non svegliarsi mai, restare così per sempre, a sentire solo indistintamente il dolore e il freddo al petto. Era stato una benedizione, quel colpo di spada: non avrebbe potuto sperare di meglio per dimenticare la vergogna bruciante di aver tradito il signorino e la tristezza insopportabile di aver riconosciuto il volto dell’uomo con il cappuccio rosso. Sì, era meglio così: lui aveva ciò che si meritava, e il signorino Oz non avrebbe mai saputo...

«Gil, Gil! Svegliati!»

Una cosa, però, gli dispiaceva: accettare di morire significava non poter più stare con lui, e vedere i suoi occhi buoni, e sentire la sua risata fresca. Peccato. Persino dei suoi scherzi avrebbe sentito la mancanza. Oh, va bene, forse di quelli no, ma...

«Gil... Per favore, Gil... Per favore...»

Strinse le palpebre, confuso, rendendosi conto di averne ancora e di esistere, di trovarsi disteso in quello che sembrava un letto morbido e profumato. Tornò lentamente a sentirsi vivo. I pensieri avuti poco prima gli fecero paura, e un brivido lo costrinse a stringersi addosso un – una coperta? Ma dov’era? L’ultima cosa che ricordava era il volto sconvolto del signorino che capiva di aver colpito la persona sbagliata...

«Gil

Aprì gli occhi. Al di là del velo che gli sembrava fosse calato tra lui e il mondo, ondeggiava una figurina familiare – e quando ne distinse il biondo dei capelli e il verde degli occhi si sentì balzare il cuore in gola, su da quel punto profondo in cui era caduto quando la spada lo aveva sfiorato. Però la voce che lo richiamava alla vita non era quella che si aspettava.

«Oh, Gil, sei sveglio! Sei vivo! Ero così preoccupata...»

«Signorina Ada...»

«Ti fa male, Gil? Oh, perdonami, non dire niente. La signora Kate non voleva che venissi – dice che hai bisogno di molto riposo – ma lo zio Oscar le ha detto di lasciarmi entrare. Mi ha chiesto soltanto di non stancarti. Ti sto stancando? Posso uscire se vuoi. Ma non mi hanno spiegato niente e io volevo sapere perché ti avevano portato qui con quelle brutte bende addosso e...»

Gilbert non la interruppe. Non si curò neppure di coprirsi. Per qualche motivo, la vita che traspariva dalla preoccupazione bambina della signorina Ada era molto più piacevole di quella che gli testimoniavano i suoi cinque sensi appena risvegliati.

«No, non voglio che ve ne andiate.»

Sollevò una mano e le sfiorò il viso per tranquillizzarla. Non riusciva mai a farlo, con il signorino Oz: toccarlo gli sembrava ingiusto, immeritato. Vide le gote della signorina Ada accendersi di colore sotto le sue dita, e si chiese se anche la sua pelle fosse così morbida.

Il pensiero lo riportò bruscamente alla realtà. Si alzò a sedere in fretta, ma una fitta acuta spezzò i suoi movimenti quasi sul nascere. Gemette, portando una mano alle bende. Erano insanguinate.

«Gil!» Ada saltò su e si mosse per correre fuori. «Sta’ tranquillo, vado a chiamare la signora Kate e lo zio!»

«No!» Dovette tirare una serie di respiri profondi, prima di continuare. «No, io... io sto bene. Voglio solo sapere... cosa ne è stato... del signorino Oz

Doveva sapere. Doveva essere sicuro che stesse bene. Se aveva visto anche lui il volto dell’uomo con il cappuccio rosso...

Capì di non potersi permettere il lusso di una speranza quando Ada soffocò un singhiozzo.

«Il fratellone... Il fratellone non c’è più, Gil

 

 

 { one week }

 

Che senso aveva stare lì ad aspettare che il taglio rimarginasse? Tanto non sarebbe mai più stato come prima. Oz era scomparso; solo questo, solo questo era rimasto nella sua mente vuota come un foglio bianco. Rabbia, dolore, rimpianto e paura – erano tutte sensazioni smorzate, non riusciva a sentirle fino in fondo. Ora più che mai gli faceva orrore il ricordo di quelle storie che il signor Oscar raccontava loro per farli addormentare, tutte quelle leggende spaventose sull’Abisso e sulle creature mortifere che lo abitavano.

La signorina Ada veniva a trovarlo spesso. L’inflessibile governante sembrava essersi arresa alle sue comparse improvvise, con le braccia esili cariche di libri e giocattoli con cui distrarre Gil, il povero Gil che da quando era successa quella cosa brutta non parlava più con nessuno. Gilbert avrebbe tanto voluto essere ancora in grado di provare tenerezza per lei. Ma si sentiva inerme, logoro, e nient’altro.

Non era stato capace di proteggere il signorino. Aveva fallito. Aveva promesso che gli sarebbe sempre stato accanto – e invece quegli uomini avevano ordito un inganno che lui non aveva saputo evitare, ma che anzi, addirittura, aveva favorito, lasciandosi circuire da quella donna.

Che senso aveva stare lì in quel letto a guarire piano piano? Sarebbe stato meglio se fosse morto. Sì, un milione di volte meglio, per lui e per il signorino Oz.

Invece era ancora lì, e c’era la voce di quella bambina [troppo simile a suo fratello] a tenerlo legato a una vita che non meritava.

«Gil, hai mangiato qualcosa?»

Alcune volte non le rispondeva. Ma difficilmente questo la scoraggiava: così giovane e già così testarda, e con quel desiderio insopprimibile di aiutare gli altri. Ed era così evidente quanto soffrisse; lo vedeva in ogni sguardo che gli rivolgeva, in ogni sorriso con cui tentava di coinvolgerlo nella favola del momento – che si sforzava di leggere da sola, come le ragazze grandi, e le ragazze grandi non piangono. Gilbert arrivava a odiarsi, in taluni momenti, perché non riusciva a scuotersi dal proprio dolore quando seduta ai suoi piedi c’era una bambina che soffriva come lui e che però aveva la forza di tendergli la mano con un sorriso. Proprio come il signorino Oz.

«Gil, la signora Kate dice che devi prendere la tua medicina.»

Forse era per questo che non riusciva ad allontanarla, come faceva con tutti gli altri sfortunati avventori di quella stanza. Forse, in fondo, gli piaceva pensare che una parte di Oz era ancora con lui, che tentava di dirgli che non lo odiava per quanto era successo. Ma era solo un’illusione, il sogno ad occhi aperti di uno stupido ragazzino in preda al delirio, e lui lo sapeva benissimo che in realtà era tutta colpa sua. Non aveva saputo aiutare in alcun modo il signorino, il suo amico. E ora non era neppure in grado di ricambiare gli sguardi della piccola Ada, che voleva soltanto farlo sentire meglio, quando lei stessa stava così male. Gilbert era una persona orribile.

«Gil, lo sapevi che il bucaneve è il simbolo della vita e della speranza?»

No, non lo sapeva. Non cambiava niente saperlo.

Però i fiori bianchi che la bambina aveva portato nella stanza fredda avevano un buon profumo.

 

 

{ one month }

 

C’era un abisso sconfinato nei suoi occhi verdi, e Gilbert credeva di sapere il perché. Dopotutto lui, per lei, era solo l’ennesimo addio.

«Tornerai a casa, qualche volta?»

Avrebbe dovuto spiegarle che quella non sarebbe stata più casa, oramai. Che la sua nuova famiglia si sarebbe chiamata Nightray. Che non la stava abbandonando perché non tenesse a lei – tutt’altro: dopotutto cosa gli era rimasto, oltre a lei? – ma soltanto per il bene suo e di Oz, dei Vessalius. Non disse nessuna di queste cose, immaginando che la signorina Ada, forse col tempo, forse senza il bisogno di parole difficili, avrebbe capito. Tante volte aveva dimostrato di comprendere molte più cose di quanto ci si aspettasse da lei: probabilmente perché era una Vessalius, e perché il destino già tracciato dei Vessalius era quello di crescere in fretta.

«Tutte le volte che potrò.»

Ada annuì, piano, e nella luce del sole i suoi occhi già non erano più gli occhi di una bambina.

«Ho una cosa per te» mormorò, e dalle mani giunte che aveva tenuto ben strette dietro la schiena fece capolino una corolla di petali bianchi come la neve.

Gilbert abbassò gli occhi. C’erano stati molti momenti, in quelle ultime settimane, in cui si era sentito indegno dei suoi – e tuttavia questo li superava tutti.

Lasciò che le sue dita ancora impacciate di giovanissima età gli appuntassero il bucaneve al petto, dalla parte del cuore, lì dove sotto i vestiti bruciava ancora il dolore che si era meritato. E quando si sentì raggiungere anche dal viso che gli premette contro – senza lacrime stavolta – si sentì veramente e profondamente vivo, per la prima volta da quando era successa quella cosa brutta.

Si portò sul cuore il respiro della bambina a lungo, anche quando la carrozza lo portò via, lasciando lei sola in una casa troppo grande e troppo vuota mentre il suo ultimo amico se ne andava via con un uomo dai capelli di neve che diceva che [forse] la speranza dei bucaneve esisteva davvero.

 

 

{ ten years }

 

«Quel regalo è servito a qualcosa, alla fine.»

Camminavano insieme nei giardini del collegio. Ada sorrideva, gli occhi di smeraldo asciutti, fissi davanti a sé. Gilbert si teneva a un paio di passi di distanza, come faceva spesso con Oz. Non era soltanto una questione di etichetta e rispetto. Era anche per prendersi il tempo di osservare, di ammirare – perché di ammirazione si trattava; inutile mentire a se stessi.

In dieci anni, il suo respiro sul cuore non l’aveva mai abbandonato.

«Cosa volete dire?»

«Non essere così formale con me, Gil.» Lei rise, leggera, serena. Come quando era bambina o forse giusto un po’ più donna. «I bucaneve. Un pomeriggio ti lessi che erano il simbolo della speranza e della vita. Tu hai saputo ritrovare entrambe. E io non so come ringraziarti per averlo fatto.»

Si era fermata. Gilbert seguì il suo sguardo. Lontano, in un altro giardino, Oscar Vessalius rideva mentre Oz e la ragazza-coniglio si rincorrevano, giovani e spensierati. Eccolo lì, il signorino Oz, il fratellone, esattamente come loro l’avevano ricordato per anni. Né una promessa infranta, né un ripudio ingiustificato, né l’Abisso – neppure il tempo lo avrebbe cambiato mai.

«Forse, se in quei pomeriggi in cui sedevate a leggere vi avessi risposto, avrei saputo ritrovarle prima.»

Ada si voltò, radiosa dello stesso sorriso di un tempo – nemmeno lei era cambiata, nemmeno lei sarebbe cambiata – e rimase a guardarlo in silenzio, poiché le parole tra loro erano finite da un pezzo. Gilbert si augurò che non ne servissero altre, mai più. Era molto più facile sapere di aver condiviso qualcosa, molto più che parlarne, molto più che sforzarsi di riempire dieci anni con la voce.

La mano salì sul petto, quasi dimentica di quella lunga cicatrice, e trasse dagli abiti quello stesso fiore bianco che per tutto il tempo era rimasto là dove lei lo aveva lasciato: sul suo cuore.

Le gote di Ada si colorarono di rosso, come il primo giorno in cui era venuta a piangere sulle sue bende macchiate di sangue.

«L’hai tenuto con te.»

Una constatazione, che in quanto tale non aveva bisogno di conferma.

Gilbert si chinò, e osò baciarle le dita prima di porle nel palmo il bucaneve appassito. Al Latowidge non ci sarebbero mai stati fiori più belli di quello, si disse.

«Senza non sarei stato lo stesso.»

Non si sottrasse quando lo costrinse dolcemente a sollevarsi; e quando avvertì le labbra di lei salire timide a cercare le sue, l’eventualità che Oscar potesse vederli fu l’ultimo dei suoi pensieri.

   
 
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